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Autore: Elerock    29/07/2013    10 recensioni
Ho amato la coppia Kalijah dall'inizio direi.. dai piccoli flashback nel passato di Katerina e mi dispiace non abbiano approfondito di più nel telefilm, quindi ho preferito farlo io.. Katerina si troverà davanti a molte scelte da fare, a scappare di nuovo.. saprà affrontare una nuova vita?
è la mia prima FF su TVD e spero vi piaccia!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah, Katherine Pierce
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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Katerina era scappata, di nuovo.
Mystic Falls ormai era diventato un luogo troppo pericoloso per lei, per la sua umanità improvvisa. La sua doppelganger aveva fatto un ottimo lavoro facendole ingerire la cura.
Era stato un gesto così codardo persino per lei. Lo avrebbe dato a Niklaus  per ottenere la libertà, ma non glielo avrebbe mai fatto ingerire, non si sarebbe mai abbassata a quel livello.
Si era ritrovata così, senza nessuna motivazione per rimanere lì ed era scappata, riuscendo ad intrufolarsi in un treno ed ora era nella cabina merci e stava frugando fra delle valigie in cerca di indumenti puliti.  Trovò un vestitino rosso a balze della sua taglia e lo indossò. Non aveva salutato nessuno, anche perchè sarebbero stati tutti felici nel vederla mentre lasciava quel luogo maledetto.
Il treno si fermò all’improvviso, stavano facendo dei controlli in tutte le cabine e il cuore le balzò in gola. Ormai non poteva più soggiogare nessuno per permetterle di rimanere li.
Si guardò intorno e poi saltò all’improvviso, riuscendo a non cadere a terra, nonostante le alte scarpe col tacco. Erano le uniche cose che si era portata via, il resto l’aveva bruciato colta da un’improvvisa rabbia.  Rabbia per non aver mai vissuto la vita che desiderava, rabbia nel vedere la sua doppelganger felice alle sue spalle, rabbia nel non contare niente per nessuno e rabbia nell’essere stata abbandonata nuovamente da Elijah, che aveva preferito la sua famiglia a lei, di nuovo.
Gli aveva aperto il cuore, non solo con le parole, ma anche consegnandogli la cura che poi era stata usata contro di lei. I suoi sentimenti erano puri e semplici per la prima volta e non poteva viverli, era stata costretta nuovamente a scappare.
Represse un grido di rabbia e sofferenza e si avviò verso l’uscita della stazione ferroviaria: Chalmette.
Los Angeles.
Il suo cuore perse un battito. Era a solamente mezz’ora di strada da New Orleans. Sapeva benissimo dov’era diretto Elijah quando aveva deciso di abbandonarla nuovamente.
Mille sensazioni invasero la sua mente provocandole mille brividi in tutto il corpo, lasciandola senza pensieri che non fossero quegli occhi neri e quel sorriso disarmante.  Era scesa a quella fermata, senza sapere dove si trovasse e non aveva più soldi con sé per prendere un altro treno. Si maledì per questo ma era così stordita da non riuscire a pensare lucidamente sul da farsi.
Il grande cartello della piccola cittadina l’abbagliava col sole cocente e dei rivoli di sudore le scendevano sulla schiena. Era ancora così strano l’essere diventata umana, le sensazioni erano forti e i sentimenti deboli come la sua forza fisica. Era nata per essere un vampiro, ma ormai vedeva tutto lo sforzo durato cento anni svanire come una bolla di sapone fra le sua mani. Non avrebbe mai perdonato Elena, l’aveva condannata ad una vita peggiore della morte: sola, debole ed in preda ai sentimenti umani che la stavano logorando dentro.  Non mangiava da giorni e le piccole occhiaie sotto agli occhi, facevano intuire le poche ore passate a dormire.
Si fermò davanti ad una piccola bottega, un banco dei pegni. Le si strinse lo stomaco, ma doveva farlo.
Entrando notò un vecchio signore dall’aria stanca ma le sorrise dolcemente.
-Posso aiutarla signorina?- la voce era roca probabilmente dovuta alle sigarette oltre che all’età.
Katerina avanzò di un passo porgendo al signore l’unico ricordo della sua povera madre defunta. Il vecchio la esaminò con accuratezza, ne toccò i profili e sorrise come se avesse trovato un tesoro.
-Questa spilla è molto antica e molto preziosa, il suo valore è troppo anche per me, non ho soldi a sufficienza per poterla prendere , mi dispiace signorina-
Era un uomo onesto. Poteva semplicemente valutarla meno del reale valore, ma amava e rispettava il suo lavoro, doveva dargliene atto. Si irrigidì. Come poteva fare?
-Può anche valutarla meno-  disse senza nascondere la sofferenza nella voce, senza tralasciare il dolore per la possibile perdita di quell’oggetto a lei sacro.
-Ne è sicura signorina?- chiese l’uomo preoccupandosi per la ragazza. Quel gesto la lasciò di stucco; nessuno aveva mai provato compassione per lei, ma è anche vero che non si era mai rapportata molto con gli umani.
Annuì senza proferire parola, la voce le era morta in gola. Il vecchio prese la spilla e l’avvolse in una carta morbida per proteggerla e la mise in una scatola blu, come lo zaffiro che splendeva in mezzo al piccolo oggetto. Andò alla cassa e prese dei soldi, mettendoli in una busta. Erano sufficienti per vivere un paio di settimane, contando anche l’affitto e le bollette. Prese la busta con le mani tremanti ed uscì dal negozio salutando debolmente il proprietario dirigendosi verso una piccola insegna che indicava un affitto da privato.
Era troppo anche per lei, quella vita non le apparteneva, ma doveva stabilizzarsi almeno per un po’ e comportarsi da umana,  dato che ormai era destinata ad una vita vuota. Suonò e le aprì un uomo, sulla trentina, coi capelli biondi scompigliati e l’aria da uno che si è appena svegliato.
-Ho letto l’insegna di affitto della sua casa- disse Katerina con voce sicura nonostante un momento prima avesse cacciato indietro le lacrime. L’uomo la guardò a lungo soffermandosi sul suo corpo snello e sugli occhi da cerbiatta. Anche se ormai era umana, era una donna dall’indubbia bellezza che sarebbe appassita col tempo, invecchiando.
-Certo! Prego si accomodi, sarò molto conciso, ho poche regole e sono molto flessuoso- sorrise indicando la cucina.
-Prende qualcosa?- chiese l’uomo aprendo il frigo. Lo stomaco della ragazza borbottò, ma non riusciva a mangiare, non era ancora abituata ad ingerire cibo normale e ad assaporarne il gusto. Era come se accettasse il fatto di essere mortale e non poteva, non voleva.
-Un bicchiere d’acqua va bene, grazie- aveva la gola secca, arida. I pensieri le avevano prosciugato tutte le energie. Sollevò uno sguardo non appena vide il bicchiere di vetro ed una mano protesa verso di lei.
-Sono Jace Sullivan, piacere- la sua mano era grande ma la stretta era delicata per essere quella di un uomo. Forse non voleva farle del male. Il sorriso dell’uomo era sincero ma non riuscì a contraccambiare con un sorriso smagliante.
-Katerina P…Posadov piacere-  aveva mentito sul suo vero cognome, ricordando quello di una vecchia amica di famiglia. Non voleva realmente dire chi fosse e facendo uso della sua sensualità innata, non appena l’uomo le aveva chiesto che cosa ci facesse in una cittadina piccola e modesta come quella, gli raccontò di aver perso tutta la sua famiglia e tutti i suoi averi in un incendio che aveva colpito una parte della Russia mesi fa. L’avvenimento era realmente accaduto e riuscì a convincere Jace. Ai suoi occhi era una donna rimasta orfana senza possedere nulla per vivere ed accettò di buon grado di affittarle l’appartamento sopra al suo, senza chiederle nessuna referenza e nessun soldo in anticipo. Questa bontà umana la confondeva e si sentì fragile. Detestava questa sua nuova vita, il fatto di essere sempre esposta al giudizio della gente, a dipendere dalle loro decisioni.
Era una Petrova dannazione!
Sospirò congedando l’uomo e si recò nella nuova tenuta. Era umile, spoglia, priva di vita e molto piccola. Ma l’affitto era misero e doveva accontentarsi.
Riuscì a farsi una doccia fredda, non voleva sentire nessun calore, non provandolo da molto tempo, da quando le mani di Elijah l’avevano scaldata nelle notti di tempesta..
Gli occhi si inumidirono, ma cacciò le lacrime indietro, sentendo il tormento e la sofferenza fare capolino attraverso la dura corazza che si era costruita in questo secolo e con la sua umanità ritrovata grazie alla cura, stava lentamente sgretolandosi.
Il loquace  Jace le aveva parlato di una spiaggia poco frequentata li vicino. Era di una calma incredibile  e ci arrivò dopo poco tempo. Camminava lentamente e la sabbia le solleticava i piedi, mentre l’acqua salata le bagnava la piccola ma curata mano.
Si sedette su un piccolo scoglio, guardando l’orizzonte, sentendo l’anima più leggera ma il cuore era come un grosso masso, troppo pesante perché la sua piccola gabbia toracica potesse sopportarne il dolore.
Il vento le scompigliò i capelli che riportò dietro l’orecchio girandosi nella parte opposta ed i suoi occhi, sebbene non avesse più la vista acuta tipica dei vampiri, notarono il corpo muscoloso fasciato in un abito elegante blu, la camicia bianca e l’immancabile sguardo nero, profondo che tradì la sorpresa, ma la bocca era una linea dura sul volto spigoloso e perfetto.
-Katerina..-
Stava forse sognando? Era così sconvolta da immaginarsi anche la sua voce suadente, forte?
Non ne era sicura..
SPAZIO ALL'AUTRICE:
Ciao a tutti! Questa è la mia prima FF su TVD. Adoro la coppia Katerina/Elijah e mi è dispiaciuto che non l'abbiano approfondita come meritava quindi cercherò di farlo io anche se le mie "doti" di scrittrice sono tutt'altro che ottime!
Spero vi piaccia..
A presto
Ele

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