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Autore: DanteBastoggi    30/07/2013    0 recensioni
"Ma adesso guardo la lampadina ed emana una luce che è perfetta per il momento, per l’atmosfera e per me che mi sento così. Chi le aveva mai notate le lampadine?".
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.


<< Vai a parlarle. E’ semplice, ti avvicini a lei e “come va’?”, ecco l’approccio, poi il resto scorrerà da solo. Ora fai un respiro…>> Respiro. << E vai… Vai…>>. Continuo a ballare. << E’ lì, non si sposta, aspetta qualcuno, qualcosa, e potresti essere tu… Vai.>> Non mi sposto. Il Vocalist insiste: << Chi vuole scopare stanotte alzi le mani al cielo!>>, è a ritmo di musica. << Esci?>> mi domanda Claudio, << Ho bisogno di respirare.>>. Non rispondo subito, sono indeciso, controllo… è ancora lì… E’ bella e balla. Si può capire molto da come si muove una donna in pista, e lei è spensierata. E’ una ragazza. Claudio attende risposta. << Ascolta, adesso esci, fai il favore al tuo amico, poi rientri, torni qui e vai a parlarle. D’accordo? D’accordo.>>. Ci dirigiamo all’uscita, strattonando coi gomiti e le spalle, l’aroma di ascelle assopisce, fortuna che i culi tengono svegli e attenti come falchi affamati. Siamo finalmente fuori e l’aria e respirabile e fresca, non pulita però, il locale è circondato da fumatori nell’atto che meglio riesce loro in queste circostanze. Uno di questi, probabilmente in crisi d’astinenza, ci si avvicina e frettolosamente domanda: << Scusateaveteaccendino?>>.
<< No, non fumiamo.>> rispondiamo noi tre all’unisono, un po’ fuori sincrono. Ho dimenticato di dirvi che tra me e Claudio c’è anche Maurizio.
<< In treenonc’èunochefuma? Macosedapazzi…>> penso abbia detto questo, aveva iniziato a camminare via prima che finissimo la frase. Viviamo in una società in cui il giusto, ovviamente insolito, viene insultato e isolato a causa della sua diversità. La società stessa ha un’aspettativa di uniformazione e conformismo limitativo nei tuoi confronti, che se violata, ripudiata o ribellata rischia di sbatterti porte e finestre in faccia. E lo si può capire anche da come si comporta uno che ti chiede di farlo fumare. Se non hai i mezzi per farlo fumare.
E’ tardi, ho poco tempo e paura che vada via. Devo andare a parlarle. Gli altri si sono rinfrescati e li convinco a rientrare. Entrando si ha come la sensazione che qualcuno ti stia strangolando. <<Ascoltami bene, ascoltati bene, non c’è d’aver paura. Figurati tra qualche ora, sotto le coperte del tuo letto, se adesso non andrai a parlarle te ne pentirai, immaginerai tutte le possibili conversazioni e gli intrecci di lingua che avresti potuto sperimentare, e sarà un lenta agonia che non ti farà chiudere occhio. Sei un codardo? Sei un codardo? No che non lo sei! Quindi smetti di avere paura e vai a parlarle!>>Vado in bagno, c’è il mio riflesso nello specchio. <<Si vive una volta sola. Non devi avere paura di niente, non puoi! Tantomeno di parlare con una bella ragazza. Fai una cosa: non ci pensare, vai e basta. Adesso.>> Esco dal bagno. Eccola, ancora lì che balla col suo gruppetto, << su… Vai… Così…>> Sono a un metro e mezzo circa da lei. Ho paura. <<Sei un codardo.>> Si accendono le luci. Ero talmente immerso nel mio discorso con me stesso che non ho sentito il Vocalist annunciare l’ultima canzone. Forse perché non c’era “sesso” nella frase. Ho perso. Usciamo tutti dal locale e io la cerco con gli occhi, la trovo ma sta salendo su un auto. L’ho persa.
Gli altri mi chiedono se ho voglia di stare ancora un po’ in giro, non ne ho voglia, sono deluso, un altro colpo basso alla mia autostima. Sto sempre a ripetermi quanto sia breve la vita e quindi importante fare tutto ciò per cui valga la pena vivere, e poi mi struggo quando non seguo i miei stessi consigli. Non c’è niente che ti faccia perdere più occasioni della paura, la vita presenta ogni giorno tutto quello che serve per renderla speciale. La verità è che sono un codardo. E non perdo opportunità per rinviare il faccia a faccia con lui, il me codardo. Ma giuro che la prossima volta lo butto giù.
Sono sotto le coperte. E mi darei pugni allo stomaco. Ci sarà un’altra possibilità spero. <<Sei un codardo.>> Sono calde le sue labbra… nel mio sogno.



Oggi è dopodomani. Oggi ho 18 anni. Li ho compiuti ieri però. E’ stata una giornata speciale. Più bella di altre, più brutta di altre, più emozionante di altre. Oggi dovrei essere indipendente, uomo, maturo e forte, soprattutto forte, in grado di cavarmela da solo nel mondo meglio di due giorni fa. Dovrei avere dei progetti ben delineati per il futuro, un programma solido da seguire rigidamente e idee chiare e sicure. Oggi, dopo di ieri, dovrei guardarmi allo specchio e dire “sei un uomo”. Oggi, infine, dovrei avere coraggio. Oggi, invece, sono in un letto d’ospedale. Stamattina quasi non esistevo più, non mentalmente almeno. Stavo andando a scuola e bam!, sono a terra, zip macinato, automobile del tizio intatta, testa sanguinante, schiena dolorante, spalla tagliata, maglietta rovinata, per fortuna o purtroppo avevo quella con la s di Superman. Forse grazie a quella sono vivo. Tra la vita e la morte è un velo. Ho dormito e ora sono sveglio. Sono sotto shock, è sera o è notte. Sono caduto male. Male male. Mela? Mordo una mela. E’ buona questa mela. Più buona di tutte le altre che ho mangiato, dubito che dipenda dalla marca, siamo in ospedale e sicuramente non è luogo conosciuto per le mele. Acqua, la bevo e sto bene. Amici, ciao amici. Che c’è? Ho una cosa in mezzo ai denti? Muco mi esce dalle narici? Conto mio cugino Vincenzo, Stefano, Claudio, Maurizio, Ivan. Mi guardano ora come fossi un cucciolo. Mia madre parla al telefono fuori dalla porta. Ho gli occhi ben aperti e mi si avvicinano tutti con un gran sorriso, sollievo. Mi abbracciano. Tutti insieme su di me, sono tutti leggeri, insieme ancor più leggeri. Risaputo che di tutti i gesti piacevoli lo sono ancora di più quelli inaspettati. Sdraiato inerme immobile sotto le coperte di quel letto bianco, un abbraccio collettivo, con le persone tra le più significative della mia vita inesperta e breve quanto intensa ed emozionante, mi danno ora in corpo la forza della natura, sono mare, sono fuoco, vento e terra. Questa energia non posso contenerla. La catalizzo, divido in due e la rilascio con un sincero abbraccio ricambiato e una lacrima potente. Energia proveniente dal nulla. Stiamo in silenzio. Ora cercano di farmi ridere. Sorrido forse di gioia. Io non piango mai. Non è vero. Sono abbastanza emotivo, medio emotivo. Ma con quest’abbraccio piangerebbe pure un leone.
Mia madre entra e mi da un bacio sulla fronte, di quelli che fa proprio “smack”, quelli che quasi ti risucchiano tra le labbra. Una carezza di quelle che ti asciuga dalle impurezze. E mi passa il telefono che c’è mia sorella dall’altra parte. << Amore… Come stai?>> è preoccupata. La rassicuro. Dice che quando torna da Milano ce ne andiamo al cinema e al mare. Ora c’è mio fratello al cellulare, dice che quando torna da Palermo mi porta due libri “spettacolari”, come dice sempre lui. Devo stare per un po’ qui, forse in pace forse in irrequietezza. Avrò del tempo per pensare, << come se non ce l’avessi mai avuto!>>. Ma adesso guardo la lampadina ed emana una luce che è perfetta per il momento, per l’atmosfera e per me che mi sento così. Chi le aveva mai notate le lampadine?

Oggi è domani. Ho dormito bene, poche volte mi sono svegliato così carico e riposato, solitamente al risveglio arrivo a non sopportare neanche me. E’ presto, saranno le sette, qui intorno tutto è grigio, bianco e ombroso, ma non cupo e scuro come dovrebbe, almeno come la vedrei abitualmente, c’è un clima di pace e serenità e quiete che difficilmente riuscirei a trovare, anche nella mia stanza. E’ il riflesso del mio sentimento. Noto che percepisco ogni piccola cosa, ogni dettaglio e particolare, che mi fa sorridere apparentemente senza motivo. Ma è forse l’essenza della vita quella che vedo, l’esistenza del creato nel suo ciclo vitale, che è colmo? E io sorrido per questo.
Devo fare la pipì. Forse dovrei dire devo pisciare per sembrare un duro. Mi alzo con un po’ di noie, arrivo al bagno che non è nelle migliori condizioni. Ma la faccio lo stesso. La testa mi gira. Mi lavo le mani e mi sciacquo il viso, mi guardo allo specchio e oggi sono più bello del solito. Sorrido e ho i denti un po’ rossi, mi accorgo solo ora del sapore di sangue. Ritorno sotto le coperte e mi metto a pancia in giù, chiudo gli occhi e immagino. La prima cosa che mi viene in mente è la bella ragazza disinvolta che ballava aggraziata quella musica sporca di sesso, alcol, droga e culi e tette. Poi penso ai culi e alle gambe e alle tette. Poi penso a quest’estate, manca meno di un mese. Sono solo nella stanza. Vedo altri due letti alla mia sinistra, sistemati e vuoti, a destra c’è una finestra con la serranda abbassata. Non ho il cellulare vicino, forse l’ho perso nell’incidente, quando arriva mia madre glielo chiedo, adesso non me ne curo, sono solo e questa solitudine mi serve. Ho tutto quello che voglio.

Sto tornando a casa e sono in auto con mia madre che guida e ho il finestrino abbassato, il vento mi accarezza e gioca coi miei capelli. E’ una giornata serena. Tutte le persone che vedo, in quell’attimo consentitomi dalla velocità, mi sembrano sorridenti e fiduciosi, anche amichevoli. Bambini, adulti e anche i vecchietti sulle panchine, tutti. I cani corrono qua è là senza considerare la fame o l’affetto mancato. I palloni rimbalzano raggianti col sole. I fiori e le piante immobili s’abbronzano. I piccioni spiegando le ali assaporano la loro gioia. I musicisti di strada esprimono la loro arte per sé e per gli altri nell’infinito. Io... Io li guardo e sorrido. Io mi scruto e sono diverso, non ho e non faccio. Non rimbalzo non volo non corro non ho niente per me né per gli altri. Dov’è la mia arte? Direi che sopravvivo ma non vivo, ma non basterebbe a spiegare la vuotezza e l’inutilità e futilità dei miei giorni fino ad ora. Paure paure paure, come un uccellino in gabbia aperta che rimane dentro e talvolta chiude la stessa per sentirsi obbligato a non superare il suo limite. Chi l’ha creata questa gabbia?
<< Che vuoi mangiare?>> chiede mia mamma.
<< Carbonara.>>
<< Niente di più speciale?>>
<< Carbonara speciale.>>.

Torno a casa, è fresca e accogliente, mi sta abbracciando. Prendo il cellulare intatto che era sulla scrivania del corridoio. Lo metto a caricare e lo accendo. Ho qualche chiamata e un po’ di messaggi.

Clara:
“Marito, ho saputo dell’incidente e ho pianto per tutto il giorno. Quando puoi fammi sapere come stai… Un bacio e un abbraccio grande grande <3”.

Marito e moglie è come ci chiamiamo. Lei è una ragazza dolce e buona. Una brava ragazza, invaghita di me da quando eravamo piccoli, una differenza d’età di tre anni ci separa e siamo amici di famiglia, questo mi ha sempre trattenuto da fare sul serio con lei.
Il resto sono messaggi di amici e amiche. Entro su Facebook. Alcuni messaggi e alcuni post in bacheca, persone che non sentivo da un’eternità che ora si ricordano di me, proprio quando stavo per non essere più. Solo apparenza, per sembrare cuori sensibili agli occhi, non miei che sono la vittima che necessita di aiuto, ma di quelli per cui appaiono più che essere. Quanti atteggiamenti cortesi, affettuosi e generosi nei tuoi confronti sono in realtà finti e privi di sentimento, indirizzati a qualcun altro per un fine terzo di cui tu sei solo un tramite inconsapevole.



 
  
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