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Autore: MissNothing    31/07/2013    8 recensioni
"Oakland, teoricamente, era una cittadina nella contea di Garrett, Maryland.
Praticamente, però, era quanto di più simile esistesse all'Inferno.
Popolata da appena millenovecentodue anime, era con ottime probabilità il buco più inutile che Madre Natura avesse mai concepito, e Frank e Gerard la odiavano con passione.
Più che altro, il vero problema era che non aveva proprio nulla della tipica località di vacanze, ed era ridicolo che i loro genitori si ostinassero a passare ogni estate della loro vita in quello stupido posto. E come loro al generazione prima, e quella prima ancora, e stupidi com'erano forse si aspettavano anche che loro avrebbero fatto lo stesso, e che avrebbero costretto i loro figli alla medesima tortura."
[AU: Frank e Gerard vanno in vacanza nello stesso posto da una vita intera, si conoscono fin da piccoli e si odiano... almeno pensano]
Genere: Angst, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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This Is The First Song For Your Mixtape

 

 

Oakland, teoricamente, era una cittadina nella contea di Garrett, Maryland.

Praticamente, però, era quanto di più simile esistesse all'Inferno.

Popolata da appena millenovecentodue anime, era con ottime probabilità il buco più inutile che Madre Natura avesse mai concepito, e Frank e Gerard la odiavano con passione.

Più che altro, il vero problema era che non aveva proprio nulla della tipica località di vacanze, ed era ridicolo che i loro genitori si ostinassero a passare ogni estate della loro vita in quello stupido posto. E come loro al generazione prima, e quella prima ancora, e stupidi com'erano forse si aspettavano anche che loro avrebbero fatto lo stesso, e che avrebbero costretto i loro figli alla medesima tortura.

Ma loro no, loro non sopportavano Oakland: non aveva le spiagge, non aveva i turisti europei, non aveva i surfisti o i palestrati, non aveva le ragazze abbronzate che girano in pareo anche per strada e non aveva nemmeno uno straccio di centro città, a dirla tutta, ma questo probabilmente era perché non si poteva nemmeno definire una città, quel piccolo insieme di case intorno ad un bosco.

Quindi, diciamo, essere costretti a starci li rendeva solo due ammassi di nervi e odio: odiavano essere costretti a passarci l'estate ogni anno, odiavano doversi spostare dal New Jersey -che significava casa propria e, ancora più importante, i propri amici- per due mesi l'anno, odiavano lo stupido amore che i loro genitori avevano per l'escursionismo, odiavano l'ancor più stupido lago dove ogni volta venivano praticamente gettati per fare il bagno.

Tutto questo odio annullava le loro capacità di comportarsi come degli esseri umani funzionanti, e li portava, soprattutto, ad odiarsi a vicenda.

E quindi ogni volta era sempre la stessa, identica storia.

Era un circolo vizioso di cene di “famiglia” e di infinite passeggiate nei boschi: di Linda che parlava con Donna, del compagno di Linda che parlava con Donald e di loro due che, rinchiusi in cucina, si guardavano in cagnesco dal basso delle loro sedie formato bambino. Loro che mangiavano in silenzio e intanto ribollivano di rabbia senza nemmeno sapere perché, che di tanto in tanto borbottavano un qualche infantile (e veramente poco offensivo) insulto giusto perché quando hai nove anni e sei incazzato è semplicemente tutto ciò che puoi fare per sfogarti.

E sembrava proprio che nessuno volesse rendersi conto che non si sopportavano.

Però quello era appena il millenovecentonovantatré, e anche se a quell'età erano convinti che questo profondo non-piacersi non sarebbe cambiato mai, chi poteva dirlo?

Alla fine, Oakland sembrava molto meno brutta dopo aver scoperto quanto fosse bello stare insieme.

 

 

 

20 Luglio 1996, Oakland;

 

Avete presente quando a dodici anni ci sentiamo già grandi?

Che siamo piccoli, ma veramente piccoli, però pensiamo di avere il mondo in mano. E pensiamo veramente che se solo volessimo potremmo anche stringerlo nel palmo così forte fino a spaccarlo, questo mondo, e non ci rendiamo conto che se ci fanno tornare alle otto a casa è già tanto.

Ecco.

La fase più o meno era quella, ma le circostanze un po' diverse.

Gerard non era quel tipo di ragazzino, però dodici anni e tutte le turbe pre-adolescenziali non gliele toglieva nessuno.

Ed era per questo che adesso che era in vacanza con sua madre e il suo nuovo compagno -Adam- proprio non riusciva ad evitare di domandarsi se fosse colpa sua se, quell'inverno, i suoi genitori avevano divorziato. Proprio non riusciva ad evitare di chiudersi per ore e ore nella sua casa sull'albero e piangere come se non ci fosse un domani, perché infondo gli mancava tutta quella schifosa routine, adesso che ne aveva provata quest'altra terribile variante.

Era disposto a fare tutte quelle cavolo di escursioni con sua madre e suo padre, purché fosse il suo vero padre a stare con loro, e non un tipo a caso che adesso aveva deciso che lo doveva chiamare così.

Era disposto a rivivere ogni momento di quelle cene con quel cretino di Frank perché sapeva che dopo sarebbe tornato a casa con i suoi genitori, e che in macchina suo padre gli avrebbe fatto ascoltare qualche suo CD e lui lo avrebbe adorato.

Era disposto anche a ricordare ogni momento dei litigi dei suoi, tutte le urla, tutte le parolacce e tutte le tazzine da caffè e i posacenere buttati a terra.

Tutte le porte sbattute e tutte le nottate che suo padre passava sul divano.

Era disposto a scendere in cucina nel pieno della notte per bere e vederlo dormire in salotto, piuttosto che sentire un'altra volta la stupida risatina che sua madre faceva ogni volta che questo Adam apriva bocca.

Ma forse era anche lui ad averlo allontanato, fallito com'era, e adesso c'era poco da fare.

Adesso Gerard sapeva solo che il rumore dei passi di qualcuno si stava avvicinando e che probabilmente lo stavano cercando. Si asciugò gli occhi con il bordo della t-shirt e fece finta di leggere il libro che aveva portato con sé come alibi.

«Hey.» Una voce molto familiare lo chiamò. Era una voce scocciata, un po' troppo alta perché si potesse anche solo pensare che la persona a cui apparteneva fosse vicina all'età della pubertà, ma soprattutto era la voce di chi avrebbe preferito camminare sui carboni bollenti piuttosto che fare quello che stava facendo: era la voce di Frank. Avrebbe voluto tirargli il libro in faccia.

«Cosa vuoi?» Chiese, e non riuscì a nascondere il tono di voce un po' spezzato.

«Mi hanno obbligato a cercarti, non sarei qui se non sotto minaccia.» Disse Frank, e riuscì a far sentire il più grande ancora più uno schifo. Non gli era mai importato di quello che pensava di lui, eppure in un momento come quello e con l'autostima sotto i piedi era difficile ignorarlo. Abbassò lo sguardo.

Gerard non odiava Frank.

Gerard provava un forte senso di repulsione nei confronti di Frank, il che era diverso.

Allo stesso tempo, però, Gerard pensava di voler essere proprio come lui.

Frank lo intimidiva, gli metteva soggezione.

Frank era sempre molto più carino di lui, sempre un figurino, e piaceva a tutte le ragazze del gruppo di escursioni. Questo era abbastanza per far capire a Gerard che il suo parere non era esattamente oggettivo: era condizionato da una forte invidia, e molto spesso preferiva semplicemente dire che pensava fosse uno “stupido” e uno “sbruffone” piuttosto che ammettere a se stesso e agli altri tutte queste sue preoccupazioni.

Provava questa forte ambivalenza nei suoi confronti che un qualsiasi ragazzino di dodici anni non sarebbe mai riuscito a comprendere fino in fondo, e Gerard non faceva eccezione.

Quindi, alla fine, cosa avrebbe potuto fare?

«Grazie.» Disse sarcasticamente, nascondendosi la faccia dietro il libro e cercando di non piangere. Voleva soltanto che qualcuno potesse apprezzarlo come tutti sembravano apprezzare Frank. «Se è per questo nemmeno io passerei più di due minuti in tua compagnia se non fossi obbligato a farlo, perciò...» Disse, cercando di scalfire la sua autostima e fallendo miseramente prima di farsi scendere anche qualche lacrima.

«Sei triste?» Chiese Frank dopo un momento di silenzio in cui osservò l'altro -che intanto moriva di imbarazzo- piangere, come se improvvisamente gli importasse. Se avesse risposto con sincerità, probabilmente gli avrebbe dato spunto per una qualche battuta,

«Non ti riguarda.» Rispose a tono, rovinando il tutto con la sua stupida voce spezzata dai singhiozzi.

«Tanto mi hanno già raccontato tutto. Mi hanno detto di venire a farti compagnia perché sono mesi che stai da solo. Mi dispiace che non siamo mai andati d'accordo.» Disse il più piccolo, con un tono comprensivo di cui l'altro non lo credeva capace. «Lo sai... anche... anche i miei genitori hanno divorziato, quindi ti capisco...»

«Ti faccio solo pena.» Constatò Gerard, che per un attimo si era anche fatto abbindolare. Frank si sedette accanto a lui, gli tolse il libro dalle mani per costringere l'altro a guardarlo in faccia.

«Non è vero. Io faccio finta di odiarti perché tu mi odi.»

«Ma dai.» Il più grande sorrise, quasi shoccato nel notare quanto fossero simili.

«Giuro. Perché non diventiamo amici?» Chiese, porgendogli il mignolo in quello che per due dodicenni era il vincolo più sacro al mondo. Gerard lo fissò per un po' nel tentativo di accertarsi che fosse serio, e dopo un po' ricambiò il gesto e intrecciò il proprio mignolo a quello dell'altro.

«Quanto sono arrabbiato. Io odio Adam. Lo odio, lo odio, lo odio.» Si sfogò, come se dopo due secondi di “amicizia” Frank fosse diventato improvvisamente affidabile e un suo grande confidente. «Quanto mi fa arrabbiare.»

«Perché non lo facciamo arrabbiare lui, allora?» Chiese quest'ultimo, con un sorriso malizioso che sul volto di un ragazzino che avrebbe compiuto dodici anni fra qualche mese era la cosa più inappropriata del mondo.

 

**

 

Diciamo che nessuno si sarebbe aspettato che Frank e Gerard, dopo quel giorno, avrebbero fatto amicizia per davvero.

Nessuno si sarebbe aspettato che avrebbero cominciato ad uscire insieme tutti i giorni, che alla fine di tutte quelle cene precedentemente piene di odio nessuno dei due volesse tornare a casa, e nessuno si sarebbe aspettato di vederli con quel muso lungo al momento di ripartire.

Nessuno, insomma, si sarebbe mai aspettato che volessero addirittura continuare a sentirsi telefonicamente durante l'inverno.

Proprio nessuno, e quindi figuriamoci loro.

Così come Gerard non si aspettava che Frank gli avrebbe anche fatto un regalo.

«Tieni, l'ho fatto per te!» Gli aveva detto, porgendogli una cassetta. «E' un mixtape, ci ho messo delle canzoni. Così magari quando le sentirai sarà come se fossi lì, no?» Aveva continuato, e Gerard, sentendosi in colpa perché non aveva assolutamente nulla da dargli, si era strappato di fretta e furia il braccialetto della fortuna che gli aveva regalato Mikey e glielo aveva legato al polso. Frank gli aveva sorriso come se quel misero pezzo di stoffa fosse stato la cosa più bella al mondo, come se anche solo l'idea di possedere un qualcosa che fosse stato “contaminato” dall'altro lo rendesse felice.

«Ti prometto che l'anno prossimo te ne farò uno anche io. E anche l'anno dopo. Sempre, okay?»

«Ed io farò lo stesso.»

«Croce sul cuore?»

«Croce sul cuore!»

E poi entrambi erano saliti in macchina con i propri genitori, tornando alla grigia e banale vita delle loro cittadine natali.

 

**

 

Da: Frank

Per: Gerard

"Canzoni che non c'entrano niente l'una con l'altra per farti felice (ne hai bisogno)"

1. Blink-182 / Toast And Banana

2. Green Day / When I Come Around

3. Green Day / Brain Stew

4. Sex Pistols / Anarchy In The U.K.

5. The Misfits / Helena

6. The Misfits / Diana

7. Black Flag / TV Party

8. Sex Pistols / God Save The Queen

9. Pearl Jam / Alive

10. Soundgarden / My Wave

 

 

 

14 Agosto 1997, Oakland;

 

«Dai, forza, non ci vorrà nulla!» Disse Frank, cercando ancora di afferrare la mano che l'altro si teneva stretta fra le gambe per impedirgli di raggiungere il suo scopo. «Non lo sentirai nemmeno! Me lo avevi promesso!» Continuò, lamentandosi con un tono così petulante che l'altro stava quasi cominciando a convincersi. «L'hai giurato con il mignolo.» E a questo, Gerard sospirò. Era vero. Non poteva tirarsi indietro dopo aver giurato con il mignolo.

Il punto era che quando Frank gli aveva proposto di fare il cosiddetto “patto di sangue” non gli era sembrata una cattiva idea: infondo, aveva pensato, ci sarebbero voluti sì e no due secondi.

Ora che era seduto sul pavimento del salotto di casa di Frank e l'altro aveva un taglierino in mano, però, la faccenda era un po' diversa.

Se Frank avesse tagliato nel punto sbagliato? Se mischiare il sangue gli avesse portato qualche infezione? Se non fossero riusciti a chiudere la ferita? Se si fosse sentito male?

In pratica c'erano mille motivi più che ragionevoli per non farlo e soltanto uno -anche un po' stupido e astratto rispetto agli altri che andavano contro- per farlo: l'amicizia. Gerard glielo aveva promesso, e anche se non capiva perché Frank ci tenesse così tanto, che importava? Il dolore sarebbe passato.

«Okay.» Gli porse la mano, e l'ultima cosa che vide prima di chiudere e strizzare gli occhi fu l'altro che gli sorrideva. Poggiò l'altra mano sulla superficie ruvida dell'asciugamano che avevano messo a terra per evitare di macchiare il tappeto persiano di Linda e aspettò, cercando di concentrarsi sulla sensazione della mano dell'altro che teneva la sua piuttosto che sulla fredda lama del taglierino che cercava il punto giusto in cui incidere il suo palmo.

Poi, sinceramente, fu tutto un po' una confusione generale. Sentì la lama penetrargli la carne e per poco non scoppiò a piangere- non tanto per il dolore, che in effetti era minimo, quanto per la sensazione. Aprì gli occhi, evitando di incrociare con lo sguardo la sua mano e il liquido rosso che colava da essa, e vide Frank che di fretta e furia (per evitare che l'altro perdesse troppo sangue, forse) si incideva la carne allo stesso modo. Quest'ultimo, poi, guardò il fluido scorrere come se fosse completamente a suo agio, e, una volta assicuratosi che ce ne fosse abbastanza, porse la mano a Gerard. Questo la strinse, intrecciando le sue dita con quelle dell'altro perché altrimenti la cosa gli sarebbe sembrata troppo “formale”.

E andava tutto abbastanza bene, prima che gli venisse la malaugurata idea di guardare un po' più giù rispetto agli occhi di Frank e notasse tutto il sangue che gli era colato lungo il polso e, in seguito, sull'asciugamano. Non sapeva nemmeno se fosse il suo, quello di Frank o,molto più probabilmente, un mix di entrambi, eppure fu abbastanza per fargli sentire le ginocchia deboli, fargli girare la testa e fischiare le orecchie.

«Fr- Frank...» Disse, rendendosi conto di quanto debole sembrasse la sua voce e spaventandosi per quanto gli suonasse ovattata.

«Mh?» Chiese l'altro, e sembrava stesse quasi meglio di prima.

«Credo vada... bene.»

«Okay.» Disse, sfregando per l'ultima volta la sua ferita contro quella dell'altro e allontanando in seguito la mano. Fissò il colore scarlatto che aveva assunto e ridacchiò, una risata così soddisfatta da rasentare quasi il macabro, viste le circostanze. «Dammi la mano.» Disse, asciugandosi un minimo sul tessuto precedentemente di un bianco immacolato e prendendo il suo “kit medico”. Gerard gli porse nuovamente la mano e chiuse gli occhi, mentre Frank gli disinfettava la ferita con qualche liquido che probabilmente era acqua ossigenata e spargeva sulla sua mano una notevole quantità di Cicatrene. Gli mise un cerotto (giusto per stare sicuri) e, scherzosamente, gli fece il baciamano. «Sei vivo!» Disse con tono sarcastico, lasciando l'altro andare mentre disinfettava il suo stesso taglio con una noncuranza disarmante.

«Perché ci tenevi così tanto?» Chiese Gerard dopo essere rimasto in silenzio mentre Frank si medicava.

«Perché così avresti superato questa paura.» Disse, alzandosi improvvisamente con l'intento di liberarsi dell'asciugamano incriminata e di mettere apposto cerotti e quant'altro. «E perché adesso sei mio.» Aggiunse, tono così serio che Gerard raggelò. Probabilmente fu piuttosto visibile anche dall'esterno, perché il più piccolo scoppiò a ridere.

 

**

 

Da: Frank

Per: Gerard

Heavy Metal, stronzo! Ps: i Beatles fanno schifo”

1. Warrant / Cherry Pie

2. Alice Cooper / Feed My Frankenstein

3. Motley Crue / Dr. Feelgood

4. Ozzy Osbourne / Crazy Train

5. Warrant / I Saw Red

6. Ozzy Osbourne / Dreamer

7. Alice Cooper / Might As Well Be On Mars

8. Alice Cooper / Hey Stoopid

9. Skid Row / In A Darkened Room

10. Motley Crue / Kickstart My Heart

 

 

 

Da: Gerard

Per: Frank

Canzoni tranquille. Devi stare tranquillo, Frank, smettila di essere iperattivo perché potresti farti molto male, okay?”

1. Pink Floyd / Wish You Were Here

2. The Beatles / Hey Jude

3. The Beatles / P.S. I love you

4. Janis Joplin / Summertime

5. Tracy Chapman / Baby Can I Hold You

6. The Beatles / Here Comes The Sun

7. Elton John / Your Song

8. Billy Joel / Just The Way You Are

9. Janis Joplin / Try (Just A Little Bit Harder)

10. Berlin / Take My Breath Away

 

 

 

3 Luglio 1998, Oakland;

 

«Lo sai che ho paura, no, no, ti prego.» Implorò Frank, mugugnando alle “minacce” dell'altro di afferrarlo per la caviglia e tirarlo in acqua. Infondo sapeva che non lo avrebbe mai spinto nel lago contro la sua volontà, ma era anche vero che erano andati lì proprio perché voleva “superare questa paura e bla, bla, bla”, quindi adesso gli toccava.

«Da piccolo non ti lamentavi.» Sbuffò Gerard, cercando di tenersi a galla e guardando l'altro dal basso.

«Da piccolo avevo i braccioli, cretino.» Lo fulminò il ragazzo con sguardo quasi omicida.

«Okay, io mi sono tagliato la mano e ho sanguinato per almeno un minuto e tu non puoi fare questo? E saresti tu quello che tutti considerano “figo” e “coraggioso”? Ed io vengo chiamato femminuccia?»

«Tu vieni chiamato femminuccia ed io li prendo a pugni.»

«Te la ricordi quella volta?» Gerard sorrise -più a se stesso che all'altro- mentre ci ripensava. Non si era mai sentito tanto amato quanto in quel momento, nonostante il gesto di Frank fosse stato puramente una cosa da amico a amico e normalmente non gli piacesse la violenza.

«Già.» Anche Frank sorrise, e anche per lui fu un sorriso distante.

Rimasero in silenzio.

Gerard si era abituato alla temperatura dell'acqua e Frank intanto si stava allontanando con la velocità di un passo all'ora dal bordo, e in tutto questo non aveva detto nemmeno una parola. Come se, in pratica, quella fosse una cosa personale e per quanto gli facesse piacere la presenza dell'altro era convinto di potercela fare da solo. Anche senza il coach motivazionale vicino.

Frank prese la rincorsa e si tuffò, praticamente volando per qualche secondo e poi “atterrando” nell'acqua non proprio limpida con un forte rumore.

«Frank?» “Azzardò” Gerard quando le acque tornarono calme e l'altro si ritrovò a qualche centimetro di distanza da lui, come se volesse fargli notare che hey, cazzo, ce l'aveva fatta.

«Lo so.» Gli rispose con un tono che era un misto di felicità e iperattività, quasi come se gli avesse appena letto nel pensiero

 

**

 

Da: Frank

Per: Gerard

Canzoni per l'inverno (già mi manchi)”

1. Pink Floyd / Wish You Were Here

2. Placebo / Teenage Angst

3. Green Day / I Want To Be Alone

4. Nirvana / Polly

5. Weezer / Holiday

6. Nirvana / Heart Shaped Box

7. Green Day / Best Thing In Town

8. Placebo / Summer's Gone

9. Weezer / Falling For You

10. The Verve / Bitter Sweet Symphony

 

 

 

Da: Gerard

Per: Frank

Canzoni incazzate”

1. Rage Against The Machine / Killing In The Name Of

2. Nirvana / Rape Me

3. Pantera / Walk

4. Iron Maiden / Fear Of The Dark

5. Megadeth / Set The World Afire

6. Rage Against The Machine / Township Rebellion

7. Marilyn Manson / Rock Is Dead

8. Pantera / Message In Blood

9. Marilyn Manson / The Nobodies

10. Metallica / Enter Sandman

 

 

 

6 Agosto 1999, Oakland;

 

«Cazzo.» Sussurrò Frank quando sentì un rumore alle sue spalle. Entrambi cominciarono a correre, chiedendosi chi diavolo gli avesse fatto venire un'idea così stupida.

Vecchio Joe era, come lasciava intuire l'apposizione vicina al suo nome, un anziano signore di Oakland. E fin qui tutto bene, no?

Aveva almeno ottant'anni e nessuno ricordava di averlo visto trasferirsi lì, né tanto meno di conoscere i suoi genitori o qualsiasi familiare che avrebbe potuto tenerlo in affidamento fino al compimento dei diciotto anni.

Era praticamente spuntato dal nulla in un giorno di ottobre secondo alcuni e marzo secondo altri, e su di lui si tramandavano anche delle leggende metropolitane.

Ad esempio si parla di una coppietta trasferitasi nella casa accanto alla sua, tornata nel suo paese di provenienza pochi giorni dopo averlo conosciuto, o di innumerevoli ragazzi spariti nel nulla dopo aver bussato per i più stupidi motivi alla porta di casa sua.

Quindi, come i tipici quindicenni annoiati con mezzo cervello in due quali erano, Frank e Gerard avevano pensato che non ci fosse davvero nulla di più interessante da fare che intrufolarsi in casa sua mentre era via, durante quel pomeriggio troppo caldo per girare fra gli alberi e spaventarsi a vicenda ma pur sempre troppo bello per essere sprecato.

E adesso scappavano chissà da chi o da cosa, correndo in quel corridoio buio come se si aspettassero di trovare una porta di uscita alla fine di esso. Merda. Gerard era veramente sul punto di farsi venire una crisi isterica, quando Frank gli afferrò la mano all'improvviso e con una mossa della quale l'altro non capì le dinamiche riuscì a chiuderli entrambi in un baule vuoto.

Gerard era schiacciato da Frank, aveva il suo gomito premuto contro le costole, gli teneva le gambe intorno al bacino in assenza di altro spazio per stenderle e ormai non era più sicuro di avere una spina dorsale correttamente funzionante: diciamo che era stato meglio. Ma l'adrenalina che sentiva in quel momento gli era mancata, e non era mai stato così contento di avere un migliore amico così cazzone.

Quest'ultimo intanto gli teneva il palmo della mano sulla bocca, quasi come se conoscendo la natura logorroica dell'altro, volesse accertarsi che sarebbe rimasto zitto. I due sentirono dei passi e si guardarono negli occhi -che avevano cominciato ad abituarsi al buio-. Frank, ormai certo che l'altro avesse capito, spostò la mano usata come "tappo" e, piuttosto, la usò per bilanciarsi prima di schiacciarlo ulteriormente.

Per qualche strano motivo Frank sorrise, e per qualche motivo ancora più strano riuscì a far sorridere anche l'altro anche in un momento come quello, in cui qualche vecchio pazzo li stava inseguendo con un fucile da caccia in mano.

(O forse questo dettaglio lo aveva completamente inventato, però, insomma- rendeva perfettamente l'immagine che aveva nella sua mente, e soprattutto faceva diventare la storia ancora più interessante, quindi sì, lo avrebbe sicuramente riciclato in qualche sua futura esposizione dell'aneddoto.)

Passarono almeno cinque minuti nel terrore più totale.

Cinque minuti ad ascoltare ogni minimo rumore e pregare che fra gli sportelli che stava aprendo il Vecchio Joe non ci fosse anche quello del baule dove erano ancora schiacciati, cinque minuti di battiti accelerati, raddoppiati, triplicati, e cinque minuti di sorrisi immotivati. Cinque, o magari sei. Forse quattro. Fatto stava che entrambi tirarono un sospiro di sollievo quando sentirono l'anziano chiudere la porta di casa dietro di sé e serrarla addirittura con la chiave, come se non avesse avuto in programma di tornare molto presto.

«Oh. Mio. Dio.» Disse Frank, tenendo ancora la voce bassa come se a quel punto facesse semplicemente parte della sua natura e si fosse dimenticato come parlare con un tono normale. Ridacchiò, non accennando a muoversi da quella posizione.

«Non dovremmo uscire?» Domandò Gerard, sussurrando alla stessa maniera.

«Woah, dammi due minuti, mi sento le gambe di polistirolo. Cazzo, che cazzo dico, non me le sento proprio, cazzo

«Cazzo.» Confermò l'altro, riprendendo fiato. «Dici che dovremmo uscire dalla finestra?»

«Per forza.» Rispose Frank, ancora tutto sorridente.

E poi Gerard gli diede un bacio che durò esattamente mezza frazione di secondo, e non sapeva nemmeno perché.

Era come se tutta l'adrenalina e tutto il bene che provava nei confronti del ragazzo gli fossero piovuti addosso nello stesso momento, e quello gli era sembrato l'unico modo adatto per esprimerli. Prese a respirare ancora più affannosamente di prima, il sangue che gli scorreva nelle vene gli sembrava essersi solidificato e riusciva a sentire i suoi stessi battiti. Una vampata di calore gli arrivò all'altezza delle guance, ed era contento del buio solo perché così Frank non l'avrebbe visto arrossire. E forse sì, stava davvero andando in panico perché non aveva considerato l'ipotetica reazione disgustata dell'altro.

«Ti voglio bene, non sai quanto sono felice di avere un migliore amico come te.» Disse in maniera così veloce da non essere nemmeno sicuro che l'altro l'avesse capito. Era un po' il suo stupido modo di aggiustare la situazione, forse, ma vedere Frank sorridere in risposta gli fece capire che aveva funzionato.

«Che figata, mi hai baciato.»

«Non parliamone mai più.»

«E perché? E' una figata

«Perché non avevo mai baciato nessuno.» Rispose Gerard dopo qualche secondo di silenzio che durante quel botta e risposta era veramente fuori luogo, arrossendo di nuovo.

«Davvero?» Gli chiese Frank in tutta risposta, quasi shoccato. Gerard non riusciva a vedere con chiarezza il viso dell'altro, ma riusciva perfettamente a vedere nella sua mente la sua espressione in quel momento, con le sopracciglia aggrottate e lo sguardo perso, rapito da qualcosa che lui non riusciva esattamente a cogliere. Così come non riusciva a cogliere il perché di tutta quella sua aria sorpresa, dato che, onestamente, chi lo avrebbe mai baciato?

«Ovvio che no! Te lo avrei detto, così come tu lo hai detto a me.» Ancora ricordava quel giorno: erano mesi che Frank si lamentava di questa ragazza per cui aveva una cotta, dicendo che non aveva idea della sua esistenza, che si sentiva una nullità quando era vicino a lei, che non riusciva nemmeno a mettere due parole insieme. E poi invece era stata il suo primo bacio, e un pomeriggio, quando gli squillò il telefono di casa e un Frank tutto emozionato cominciò a dire il suo nome una decina di volte di seguito, Gerard semplicemente lo sapeva. Era come se avessero uno strano tipo di connessione per quelle cose, e nonostante una parte molto nascosta del suo cervello lo sapesse già, quando glielo sentì dire ad alta voce provò una gelosia che ancora non si sapeva spiegare.

«Non puoi neanche chiamarlo un bacio quello, se vogliamo dirla tutta.» Si pavoneggiò l'altro, come se a quindici anni nemmeno compiuti potesse aver avuto tante di quelle esperienze da diventare un playboy nel giro di un inverno.

«Perché no!?» Chiese Gerard: cazzo, ora che non era più nel limbo dei "non-ho-mai-baciato-nessuno" non aveva intenzione di ritornarci. Frank ridacchiò, emettendo un "pfff"che lo fece sentire piuttosto un reietto.

«Vieni qui.» Disse il ragazzo, infilandogli un dito nel colletto della maglia e tirandolo a sé. E Gerard non sapeva esattamente perché, ma "lì" ci andò veramente, e due secondi dopo stava baciando il suo migliore amico. Ma non "baciando", proprio baciando. Baciando seriamente. E ancora prima che potesse accorgersene -ancora prima che il nodo nello stomaco sparisse e il momento di nulla che aveva appena vissuto si potesse tramutare in un qualcosa da ricordare in futuro-, era già finito. Quindi Gerard poteva dire di non ricordare nulla del suo primo bacio, e non gli andava bene. E quindi lo fece di nuovo, dopo dieci minuti aveva dato anche il terzo, quarto, quinto bacio.

«Wow.» Disse, sentendosi come se avesse appena scoperto El Dorado.

«Ora sì. Se non fossi così schiacciato, ti farei anche un applauso.»

«Dici che adesso possiamo andare?» Chiese Gerard, tentando disperatamente di cambiare argomento mentre tutto l'imbarazzo che avrebbe dovuto provare durante il bacio -no anzi, i baci, cazzo!- lo colpiva all'improvviso.

«Decisamente.»

E durante tutto il tragitto verso casa, nonostante Frank avesse continuato a parlare, parlare, parlare, Gerard non aveva ascoltato nemmeno una parola: era troppo occupato a fissarlo e pensare a quei fatidici dieci minuti.

 

**

 

Da: Frank

Per: Gerard

"Canzoni che spaccano il culo (per quando ti senti un coglione)"

1. Blink-182 / The Party Song

2. Blink-182 / All The Small Things

3. Green Day / King For A Day

4. The Misfits / This Magic Moment

5. Weezer / Tired Of Sex

6. Black Flag / Rise Above

7. Black Flag / Wasted

8. The Offspring / Pretty Fly (For A White Guy)

9. Green Day / Basket Case

10. The Offspring / Cool To Hate

 

 

 

Da: Gerard

Per: Frank

"Canzoni da ascoltare se mai ti dovesse venire voglia di intrufolarti in casa di qualche altro vecchio pazzo ps non farlo"

1. David Bowie / The Beauty and The Beast

2. David Bowie / Heroes

3. Blink-182 / Adam's Song

4. Bowling For Soup / 1985

5. Green Day / Good Riddance

6. Green Day / All By Myself

7. Blink-182 / I'm Sorry

8. Korn / Freak On A Leash

9. Korn / Got The Life

    1. Green Day / Dominated Love Slave (Haha! Non sapevo che metterci!)

 

 

 

29 Luglio 2000, Oakland;

 

La prima volta che Gerard si ubriacò non finì esattamente bene.

O meglio, forse è questione di punti di vista.

Diciamo che lui non si ricordava proprio che fosse finita, e che dopo un certo punto la sezione sezione della sua testa che conservava i ricordi riguardanti quel giorno conteneva solo delle immagini abbastanza sfocate; lui e Frank erano tornati in anticipo da un'escursione usando la tipica scusa della caviglia storta (che ormai uno di loro si storceva a turno, in maniera alternata e regolarmente), avevano buttato gli zaini per terra e il più piccolo era andato a frugare nell'armadio dei liquori del compagno di sua madre.

Così, giusto per far incazzare qualcuno.

E qualche bicchiere di Jack Daniel's dopo erano stesi sul pavimento di camera di Frank, ridendo almeno per una mezz'oretta perché c'era un moscerino che girava nel verso opposto al ventilatore da soffitto e ogni tanto veniva trascinato indietro dal vento che questo produceva.

«Mi sento iperattivo. Mi sento come se mi interessassero le cose! Perché non lo abbiamo fatto prima, Frank!?» Chiese Gerard col tono di un bambino di cinque anni che domanda ai genitori perché non ha visto nessuna cicogna portare il suo fratellino.

«Perché sei arrivato ieri, cretino

«Okay, okay, potevamo farlo ieri.»

«Che tipo di "cose" ti interessano?»

«Tipo devi dirmi tutte le cose che hai fatto questo inverno, e cosa hai fatto il giorno del tuo compleanno, poi voglio ammazzare mia madre e Adam per aver staccato il telefono perché adesso non ti posso nemmeno più sentire di inverno, è assurdo, è veramente stupido, una cosa da deficienti, mi fa incazzare.» Disse il più grande tutto d'un fiato, e in tutta risposta Frank scoppiò a ridere. La tipica risata del fumatore, che era più che altro un susseguirsi di respiri con un accenno di rumore di sottofondo.

«Oh mio Dio. Oh mio Dio mi sei mancato.» Disse quest'ultimo, rotolandosi addosso all'altro.

«Sul serio. Raccontami tuuuutto.» Gerard lo spinse via controvoglia solo perché non voleva morire soffocato, ma Frank finì per sbattere la testa contro lo spigolo del letto, e questo, in qualche modo, gli provocò una risata talmente forte da fargli perdere l'equilibrio e farlo cadere esattamente su una bottiglia ancora mezza piena di liquore. E quindi risero almeno per un altro quarto d'ora, mentre il tappeto si impregnava di alcool e la stanza si riempiva del suo odore.

«Oh merda, dobbiamo pulire questo casino.» Disse Frank, spargendo il liquido con la mano ma riuscendo soltanto a peggiorare la situazione.

«Che cazzo di guaio.» Rispose Gerard, canticchiando le parole e alzandosi alla ricerca di qualcosa. A dire il vero cercava qualcosa in particolare, ma nello sforzo di alzarsi si era dimenticato cosa, e dunque aveva preso la prima cosa che gli era capitata sotto mano: una racchetta da tennis. Poi era tornato a sedersi per via dei capogiri.

Frank intanto era uscito dalla stanza ed aveva anche avuto il tempo di tornare con un panno bagnato e una scopa dalla dubbia utilità, senza che Gerard si accorgesse di niente.

«Se devi vomitare fallo qui.» Gli porse un secchio che -ci avrebbe giurato- si era appena materializzato, e il ragazzo lo strinse in grembo come se fosse la sua ancora di salvezza, cominciando a sentire solo in quel momento la nausea e i conati.

Frank cominciò a pulire, strofinare su quella stupida macchia, a ridere perché solo in quel momento si era reso conto che non se ne sarebbe mai e poi mai andata via, e Gerard intanto vomitava.

E non era mai stato così innamorato in vita sua.

 

**

 

Da: Frank

Per: Gerard

"Canzoni da sbornia"

1. Soundgarden / Black Hole Sun

2. Pearl Jam / Once

3. Jimi Hendrix / Voodoo Child

4. The Ramones / I Wanna Be Sedated

5. The Ramones / Sheena Is A Punk Rocker

6. The Clash / Rock The Casbah

7. Jimi Hendrix / Purple Haze

8. Soundgarden / Fell On Black Days

9. Blur / She's So High

10. Blur / Beetlebum

 

 

 

Da: Gerard

Per: Frank

"Canzoni che mi fanno ballare"

1. Queen / Another One Bites The Dust

2. Michael Jackson / Smooth Criminal

3. The Cure / Friday I'm In Love

4. ABBA / Dancing Queen

5. Michael Jackson / Beat It

6. Prince / I Wanna Be Your Lover

7. Stevie Wonder / Isn't She Lovely

8. Earth, Wind & Fire / Boogie Wonderland

9. Aretha Franklin / Respect

    1. Earth, Wind & Fire / September

 

 

 

31 Agosto 2001, Oakland;

 

«Gerard, ti prego, non...» Disse Frank, pregando che nonostante tutto il ragazzo riuscisse a capire che quello che stava facendo era semplicemente necessario, e non la sua volontà.

«”Non” cosa, Frank?» Urlò, e l'altro non era mai stato così contento che i loro genitori non fossero già in macchina e a pochi metri da loro, aspettando che finissero di salutarsi prima di partire. «Ti sei comportato in maniera strana per tutta l'estate e adesso mi stai scaricando! Io lo so perché!» Disse, cercando di nascondere le lacrime con un tono arrabbiato e le sue solite urla isteriche che l'altro aveva sentito in tante, tante occasioni, ma fortunatamente mai quella... prima di quel momento.

Frank era perfettamente consapevole del fatto che Gerard non aveva la minima idea che il vero motivo per cui gli aveva appena detto che “non potevano più essere amici” fosse che era innamorato di lui e che la situazione lo stava soffocando, perciò almeno su questo era tranquillo. Ma la verità era che si sentiva un verme, uno schifoso, e onestamente ora che ci pensava avrebbe preferito sentirsi dire che non provava le stesse cose, piuttosto che quello. Abbassò lo sguardo. «Tu... tu hai gli amici della band adesso. Non hai più tempo per me, vero? Non mi hai mai voluto bene.»

Bam.

Un palo in piena faccia.

«Non è vero, Gerard... te ne voglio anche adesso, è solo che...» E prima che Frank avesse tempo di finire la frase -cosa che non avrebbe fatto ugualmente-, Gerard gettò via il mixtape che anche quell'anno gli aveva preparato, e Frank vide il nastro partire e la copertina rompersi in mille pezzi. Gli prese le mani, contento almeno per una volta di quella forza fisica che sinceramente avrebbe volentieri trattato per un po' di cervello in più, perché sapeva che di questo passo si sarebbe fatto male. «Per favore... devi credermi...» Continuò, e per qualche secondo considerò anche l'opzione di dirglielo. Farla finita. Togliersi quel macigno di dosso e chissenefrega, no?

Però non poteva.

Era immobile.

L'unica cosa che poteva fare era fissare gli occhi dell'altro riempirsi di lacrime e desiderare di trovare un modo per farlo smettere immediatamente di piangere, per cancellare tutto quello che era appena successo e per anestetizzare tutti quei suoi stupidi sentimenti. Frank non era altro che un egoista, un egocentrico, quanto di peggio esistesse al mondo... e Gerard non poteva perdere tempo con lui.

«Puoi abbracciarmi? Ti- ti prego...» Chiese il più grande fra una lacrima e l'altra, e Frank fu più che felice di farlo. Sapeva di non meritarselo, eppure le fece lo stesso: lo strinse fra le sue braccia come se non ci fosse un domani. E in effetti, almeno per loro, non ci sarebbe stato.

Rimasero imbambolati così nel bel mezzo del marciapiede mentre Frank ere nel pieno di un trip di sensi di colpa e Gerard troppo impegnato a piangere per realizzare effettivamente la cosa, quando improvvisamente sentirono un clacson bussare. Gerard lo strinse più forte a sé prima di lasciarlo andare per quella che sapeva essere l'ultima volta, e cercò di smettere di piangere nella sua spalla prima di farsi vedere dai suoi genitori. Frank intanto aveva lo sguardo fisso nel vuoto, fisso verso l'orizzonte che gli si estendeva davanti, ed era in quella fase in cui era ancora troppo scosso anche solo per muoversi.

Le crisi di pianto isterico sarebbero venute dopo, una volta arrivato a casa.

 

This is the first song for your mixtape, and it's short just like your temper... somewhat golden like the afternoons we used to spend before you got too cool.

(“Questa è la prima canzone per il tuo mixtape, ed è corta come il tuo carattere... ma un po' d'oro, come i pomeriggi che eravamo abituati a passare prima che diventassi troppo figo.”)

 

 

 

12 Luglio 2005, Oakland;

 

Immaginare come siano andate le cose dopo quel fantomatico trentuno agosto del duemilauno non è difficile: ritornò tutto come all'inizio.

Avevano questa concezione sbagliata di ciò che provavano e di ciò che avrebbe potuto provare l'altro che li portava all'incomprensione più totale. Erano così spaventati dall'idea del rifiuto e della non accettazione che preferivano non provare nemmeno a cercarla, questa accettazione, e, più di ogni altra cosa, avevano questa strana sicurezza che se fossero stati sinceri e avessero deciso di confessarsi l'un l'altro i loro sentimenti, si sarebbero odiati. Sarebbero rimasti disgustati, sconvolti.

E in quel momento rimpiangevano il loro rapporto di odio e amore, quell'ambivalenza che anni prima li teneva tenuti insieme e li aveva predestinati a tutto questo -nonostante in quel periodo non riuscissero ancora a capirla a pieno-.

Adesso era tutto relativamente più semplice: lasciavano che il loro istinto li guidasse... in retromarcia, però.

Facevano l'esatto contrario di ciò che sentivano di dover fare, e con questo comportamento erano riusciti ad evitarsi per ben tre anni.

Non una sola volta si erano incontrati, tanto che avevano persino smesso di andare ad Oakland l'estate. Non che fosse una grande perdita, ora che non potevano più stare insieme, ma persino le loro famiglie avevano cominciato a capire, e loro avevano continuato a depistarli, far finta di mandarsi lettere e telefonarsi.

Erano diventati due professionisti nel negare a loro stessi ciò che volevano.

Due campioni di non-accettazione.

Si erano illusi che non si sarebbero mai più visti, e si sentivano intoccabili. Invincibili.

Avevano combattuto contro loro stessi ed erano completamente guariti dall'amore, alleluia, stappiamo lo champagne.

Erano sani.

Stavano bene.

O almeno così credevano.

Era facile dirlo finché erano lontani.

 

**

 

Frank non sapeva chi gli avesse mandato quell'invito e non sapeva perché l'indirizzo del mittente fosse quello di casa di Gerard, ma se c'era una cosa che sapeva era che non era stato lui a organizzare una festa. E se anche fosse cambiato a tal punto da diventare un casinista convinto in tre anni -perché insomma, chi poteva mai dirlo?-, sicuramente non lo avrebbe mai e poi mai invitato.

La situazione, il ragazzo aveva concluso, si poteva riassumere in tre punti focali:

1- Gerard odiava Frank.

2- Non avrebbe mai aperto casa sua a una banda di ragazzi dai diciotto ai ventuno anni, soprattutto se c'erano buone probabilità che sarebbero stati tutti ubriachi e arrapati.

3- Ancora più importante, non avrebbe poi mai avrebbe voluto rivedere quella testa di cazzo di Frank.

Facile.

Però rimaneva comunque il fatto che in quel momento Frank aveva quell'invito fra le mani, ed era un dato di fatto. Era un corpo solido. Era lì.

Forse stava sognando.

Si diede uno schiaffo che gli lasciò un segno rosso sul volto, ma la lettera era ancora fra le sue mani. E l'indirizzo era sempre lo stesso. E il nome del destinatario era proprio il suo.

E Frank stava impazzendo.

 

**

 

Fatto stava che anche dopo aver messo in dubbio la sua salute mentale, Frank era lì.

Vedere casa di Gerard gli aveva fatto uno strano effetto: non riusciva a smettere di pensare che era lì davanti che aveva commesso la più grande cattiveria della sua vita- non solo nei confronti del ragazzo, che sicuramente non ci era rimasto proprio bene, ma anche nei suoi. Era tutto così stupido che a distanza di più di millenovantacinque giorni Frank non riusciva nemmeno a dare un senso a quello che aveva fatto, nonostante in precedenza gli fosse sembrato di aver avuto l'idea perfetta. Geniale. Proprio intelligente.

...Che cazzata.

Era tutto un susseguirsi di flashabacks.

Vicino a quella stessa cassetta della posta aveva aspettato che l'altro si avvicinasse a lui per circa una trentina di secondi, mentre il cuore cercava di scappargli dal petto e la testa provava a metterlo a tacere.

Il tombino che stava calpestando in quel momento era lo stesso sul quale aveva cominciato a battere il piede mentre l'altro continuava ad urlargli contro, e ricordava di aver persino letto il nome della fabbrica che lo aveva prodotto giusto perché c'era inciso sopra; tutto pur di tenere la testa bassa e non concentrarsi sulle parole che uscivano dalla bocca dell'altro perché infondo sapeva di meritarsele tutte, una per una.

E quella era la stessa casa.

La casa dove aveva passato praticamente ogni pomeriggio d'estate per Dio-solo-sa quanti anni era la stessa dove adesso stavano entrando almeno cento persone a gruppi di cinque o sei, e gli sembrava tutto così assurdo.

Il mondo intorno a lui era rimasto immobile mentre il suo si era spaccato in due.

Prese un respiro profondo: non importava.

Non c'era altro posto in cui sentiva di dover essere.

Aveva ricevuto un invito e aveva ancora altri amici ad Oakland. Poteva farcela.

 

**

 

La serata fu, sotto molti punti di vista, terribile.

Alla console c'era un tizio con i capelli un po' troppo lunghi e uno stupido camice bianco che si faceva chiamare DJsù (un terribile gioco di parole con le parole “DJ” e “Gesù”, si pensava), e sparava certi pezzi veramente orribili che l'unica cosa che stavano riuscendo a far ballare erano le sue cellule tumorali.

Incitava il “pubblico” a ballare (come se non fosse abbastanza chiaro che erano tutti occupati a bere, fumare erba o strusciarsi contro qualcuno) e diceva cose come “se non riuscite a scatenarvi senza alcolici, potete passare al banco”. E forse quella fu la cosa più sensata che avesse sentito quella sera.

Come se non bastasse, poi, continuava a venire approcciato da tutte quelle persone che un tempo gli stavano simpatiche: “Ah, sì, ciao, come stai” era la sua risposta tipica ai loro saluti pieni di entusiasmo, tipiche domande di circostanza, tipiche facce di cazzo.

Tipici stronzi che riusciva a sopportare solo perché era un po' brillo.

Tutti a fargli i complimenti per il tatuaggio che aveva “appena“ fatto -quando ormai era quasi un anno che era lì-, tutti a chiedergli se i piercing gli avessero fatto male, se il buco dilatato che aveva all'orecchio sinistro si sarebbe mai chiuso.

Tutti con quella stessa mentalità.

Tutti che gli si accalcavano intorno, quando poi avrebbe avuto bisogno solo di una persona per stare bene: qualche anno fa si sarebbe sentito invincibile in quella situazione, ma ormai aveva superato la fase in cui viveva per la “popolarità”. E sì, se quella persona fosse stata al suo fianco, sarebbe stato bene anche in mezzo a quei caproni. Caproni e cagne, letteralmente.

La parte peggiore, ad ogni modo, era che Frank non aveva visto Gerard nemmeno una volta.

A quel punto aveva cominciato anche a pensare che qualcun altro avesse affittato la casa, dato che lui aveva apparentemente smesso di venire ad Oakland, e che per qualche strana coincidenza gli fosse arrivato un invito- poi aveva visto Mikey, aveva fatto due conti e le cose avevano fatto click.

Era la sua festa per il diploma.

Era stato lui ad invitarlo, non... suo fratello.

Sentì un dolore all'altezza del petto e cominciò a chiedersi se non gli si fosse davvero spezzato il cuore, a quel punto, e poi si girò: ne ebbe la conferma. Era definitivamente in mille pezzi.

Spinto contro il muro da un tizio che Frank avrebbe veramente voluto prendere a cazzotti c'era lui, Gerard, e forse il più piccolo si incantò un po' a guardarlo.

Forse più di un po'.

Passò un minuto intero a guardare quello sconosciuto che gli baciava il collo, la clavicola, a cercare di sentire le risatine che stava facendo Gerard sotto il rumore con cui quel coglione di DJsù gli stava ancora tartassando le orecchie, a sperare che aprisse gli occhi e lo vedesse, a immaginare come sarebbe stato stringergli i fianchi come stava facendo quello spilungone.

Frank, cercando di distrarsi dal lancinante dolore psicofisico che provava, pensò a quanto dovesse sembrare ridicolo in quel momento: aveva una bottiglia di Beck's ancora mezza piena nella mano destra e ne stringeva il collo con una presa mortale, gli occhi socchiusi da un sonno che non si era nemmeno accorto di avere e si era alzato in piedi -probabilmente di riflesso, come se volesse raggiungere il ragazzo- senza accorgersene. Qualche secondo dopo si rese conto di avere anche la testa piegata leggermente verso sinistra per migliorare la visuale.

Intanto, in lontananza, sentiva le voci dei suoi “amici” che continuavano a chiamarlo, a scuoterlo per le braccia perché in quel momento era completamente fuori, okay, era come se non riuscisse ne a sentirli e né a parlare, e poi boom.

Tre anni gli crollarono sulle spalle, tutta la solitudine, la voglia di mandare una lettera a quell'indirizzo che ricordava a memoria, la voglia di presentarsi a casa sua da un giorno all'altro e chiedergli scusa, tutti i sogni che aveva fatto e tutte le mattine che si era svegliato con le guance umidicce e il cuscino bagnato, tutte quelle volte che si era sentito chiedere da i suoi compagni di classe se avesse pianto.

Tutta la paura del rifiuto, tutte le paranoie adolescenziali che la sua mente lo aveva costretto a sopportare solo perché era arrivato il suo turno di innamorarsi e forse non aveva scelto la persona perfetta, tutti quei pomeriggi passati a combattere contro la voglia di dirgli tutto, di prendergli le guance fra le mani e baciarlo, di tenergli le braccia strette intorno al collo per qualche secondo in più- quel secondo che, purtroppo, sarebbe bastato a rendere tutto “strano”.

Si sentì minuscolo.

Gli si strinse il cuore in petto e poi gli salì fino alla gola.

Le gambe, se non fosse stato per le sue capacità di autocontrollo, avrebbero già ceduto da un pezzo.

La testa gli girava da matti e i suoi occhi non riuscivano a smettere di fissare quelli di Gerard, che adesso erano spalancati e doloranti, una finestra aperta sulla sua anima, belli come non ricordava di averli mai visti.

Poi il ragazzo li chiuse di nuovo -e Frank voleva piangere perché già ne sentiva la mancanza-, allontanò lo spilungone da sé e scappò via in giardino. E in qualche modo l'altro sapeva già dove stesse andando Gerard, anche prima di seguirlo.

Diede a qualcuno della sua “comitiva” la bottiglia e gliela lasciò in mano senza farsi troppi problemi, andandogli incontro.

Era ancora nella fase in cui gli sembrava tutto un miraggio, e di conseguenza non si era nemmeno accorto di essersi arrampicato lungo la scaletta della casa sull'albero di Gerard, ma poco importava, perché adesso ce lo aveva davanti.

Era in un angolo, rannicchiato su se stesso.

Lo stesso, identico angolo in cui si trovava la prima volta che ci aveva veramente parlato e la stessa identica posa.

Frank aveva paura di parlare e rovinare l'equilibrio che c'era in quel momento, quella complicità. Entrambi consapevoli della presenza dell'altro e entrambi impotenti e immobili davanti alla forza delle emozioni che questa provocava.

Muti e spaventati. Forse ancora un po' innamorati l'uno dell'altro.

«Hey.» Disse Frank. La prima parola che gli aveva detto quel venti luglio. Gerard non rispose, troppo impegnato a fissare l'angolo opposto a quello in cui si era accucciato lui, sguardo assente, forse pieno di malinconia o forse, più semplicemente, vuoto. «Hey.» Riprovò, avvicinandosi.

Era arrivato a un punto in cui non aveva assolutamente nulla da perdere, per quanto quella frase gli sembrasse solo un grande cliché. «Hey, no, ti prego...» Lo implorò quando lo vide stropicciarsi gli occhi: non sopportava l'idea di vederlo piangere per colpa sua... di nuovo. Non ora che voleva aggiustare tutto.

«Vattene via.» Rispose l'altro, dandogli una gomitata. «Non voglio che tu stia qui. Non sapevo nemmeno che mio fratello ti avesse invitato, io- io vi odio, tutti e due.» Gerard abbassò lo sguardo, sbraitando e poi continuando a piangere. Solo sentire la sua voce lo fece sentire a casa, in qualche modo. Senza considerare ciò che stava dicendo, ovviamente.

«Voglio solo parlarti. Lo capisco se mi odi, anche io mi odio.» Disse Frank, un sorriso amaro stampato in volto. L'altro lo guardò, con gli occhi lucidi che brillavano di tristezza e di una ritrovata paura.

«Non devi odiarti. Hai solo fatto una scelta. Io devo odiarti.»

«Però non mi odi.»

«Pretendi ancora di conoscermi. Che testa di cazzo che sei, Frank Iero.»

«Io non pretendo di conoscerti. So di essere una testa di cazzo, ma so anche che non mi odi.» Disse, guadagnando in qualche modo l'attenzione dell'altro. «Sono una testa di cazzo, un montato, un cretino, tutto. E forse non conosco quello che sei diventato, ma conosco quello che eri. Certe cose non cambiano mai, e prima, quando... quando mi hai guardato, io l'ho capito che non mi odi. Non so perché. Io, onestamente, lo odierei a morte uno come me, specialmente dopo quello che ti ho fatto... ma tu non mi odi.» Gerard cominciò a piangere anche peggio di prima, forse perché aveva passato tre anni ad illudersi del contrario e lo aveva fatto in maniera talmente magistrale che si era dimenticato di quanto Frank lo avesse fatto stare bene.

«Non puoi ricomparire all'improvviso, lo sai?» Disse fra un singhiozzo e l'altro, con lo stesso tono che aveva quel giorno. Il trentuno agosto del duemilauno lo aveva reso una persona mentalmente instabile e doveva aspettarselo.

«Sì, lo so... e non pretendo di farlo. Te l'ho detto. Voglio solo parlarti.»

«Stiamo già parlando.»

«Okay, ma volevo chiederti una cosa in particolare.»

«Allora chiedimela, così posso risponderti e andarmene.» Rispose Gerard con tutto il veleno che aveva nel cuore, perché adesso che la fase del pianto era finita era arrivato solo a sentirsi profondamente seccato da tutta quella situazione.

«...Te lo ricordi quel giorno?»

«Certo. Mi hai scaricato perché avevi altri amici e poi non ho più parlato con nessuno che non fosse mio parente per due anni, certo che me lo ricordo.» Rimasero in silenzio, Frank che sorrideva amaramente e scuoteva il capo perché solo lui poteva sapere quanto fosse nel torto il ragazzo.

«Non te lo ricordi per niente.» Esordì dopo poco.

«Allora raccontamelo tu, se te lo ricordi così bene.»

«E' un po' più difficile di così. Io non ti ho mai detto di aver trovato altri amici, tu non mi hai fatto parlare perché eri talmente incazzato che tutta la gelosia che ti eri tenuto dentro quell'estate perché avevo la band ti è uscita fuori solo in quel momento.» Gerard abbassò il capo, sentendo una strana sensazione di colpevolezza, sentendosi marcio dentro, sentendo per la prima volta il peso di tutta quella situazione; non aveva mai realizzato di non aver parlato a Frank per tre anni, e ora che la verità gli era stata sbattuta in faccia gli sembrava tutto così chiaro e palese che voleva solo continuare a piangere. «Già.» Disse Frank, come se avesse capito al volo tutto quello che l'altro aveva in testa in quel momento. «Non ti ho mai detto perché non potevamo più essere amici, alla fine.»

«Dimmelo.»

«Vedi, il problema è che non poss-»

«Dimmelo

«Ger-»

«Dimmelo. Smettila di sprecare fiato con le tue stronzate e dimmelo. Non credi che-»

«Ti amo.»

Frank si sentì leggero.

Non si rese nemmeno conto del fatto che si era lasciato fuggire quelle due parole dalla bocca perché gli erano uscite con una naturalezza ed una velocità impressionanti, eppure non se ne pentiva. Nemmeno un minimo. Non un briciolo.

Lo aveva fatto. Glielo aveva detto.

L'aria intorno a lui era tesa e pesante, ma la sua testa era leggera e si sentiva come se stesse volando. Lo aveva detto. Ce l'aveva fatta. Non aveva rimpianti, nemmeno mentre lui e Gerard si fissavano con quelle espressioni illeggibili che gli mettevano una paura assurda. Era un tipo ti paura diverso, ad ogni modo, perché non era più paura dell'ignoto. Non era più “ho paura di quello che sarebbe successo se glie l'avessi detto”, ma era solo la genuina paura del rifiuto, che in un momento come quello era più che legittima.

«Ti amo, e credo sia questo il mio più grande problema. E' solo che quando ti stavo intorno mi sentivo malissimo perché sapevo di non essere sincero e avevo paura che se lo fossi stato mi avresti trovato disgustoso, okay, e quando invece non c'eri era ancora peggio. Cosa avresti fatto tu? Cristo santo.» E la risposta non gli arrivò in modo concreto, ma Gerard gli diede un'ottima dimostrazione di quello che avrebbe fatto lui: lo baciò con tutto ciò che aveva.

Con tutte le paure, le paranoie, il terrore di mandare la loro amicizia a puttane, tutto l'amore che si era tenuto dentro da quando era troppo piccolo pesino per capirlo, l'amore, e tutto il dolore. Lo baciò con tutti quei tre anni di assenza e di malinconia, con la mente, l'anima, lo sguardo, e solo alla fine con la bocca.

Frank non se ne rese nemmeno conto: un secondo prima gli stava dicendo esattamente tutto ciò che provava e un secondo dopo era sdraiato con tutto il peso dell'altro addosso, ma comunque troppo “impegnato” per fare qualcosa.

«Quanto ti odio.» Disse Gerard, allontanandosi di una distanza di pochi millimetri dalle labbra dell'altro solo per sussurrargli con voce affannata quelle tre parole. Frank lo baciò di nuovo, ad ogni modo, a stampo.

«Non è vero. Mi ami da pazzi.»

«Lo so.» Confermò l'altro, con un enfasi e un bisogno di nemmeno-lui-sapeva-cosa nella voce.

«Hai appena detto che mi ami in modo implicito o sono solo io?»

«Oh mio Dio, vuoi che ti mandi un telegramma? Ti amo, oddio, sei completamente deficiente? Ti amo da quando ho tredici anni e tu te ne sei reso conto adesso? Se solo me l'avessi detto prima, cazzo, avremmo potuto fare questo per, tipo... sempre

«Abbiamo ancora una buona parte di questo “per sempre”, se ti può rassicurare.» Frank sorrise e Gerard fece lo stesso, ritornando a baciarlo come prima. Come se avesse aspettato una vita intera per farlo.

E con la consapevolezza che “per sempre” poteva aspettare e che avevano una vita intera per creare altri ricordi, per una notte pensarono semplicemente a ritrovarsi.

 

**

 

OH MERDA, CIAO A TUTTIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!

Okay, wow.

E' stato un parto, seriamente, però sono troppo felice çWç

In pratica, grazie mille se siete arrivati fino alla fine: questa fanfiction non è altro che il frutto della mia nostalgia per degli anni che avrei preferito vivere ora che ci capisco un po' di più, dato che sono solo una stupida novantotto. Okay, l'ho detto.

Il titolo (e quel piccolo spezzone dopo la parte del 31 agosto 2001) è preso da “Mixtape” dei Brand New, e credo che ogni essere umano esistente debba sentirla ;_;

Spero vi piaccia nonostante sia lunghissima, davvero, non ho mai scritto diciassette pagine di Open Office per una oneshot e né per un capitolo di nessuna delle mie fic, è una cosa che fa paura. Mi ha presa veramente un po' troppo, e avevo pensato di dividerla addirittura in capitoli... poi però, umh, a proposito di capitoli, mi sono ricordata che ho anche un'altra storia in sospeso.

Ecco, parliamone.

Chiedo umilmente scusa a tutti voi che seguite “When The Sun Goes Down” perché non aggiorno da due mesi, credo, è solo che non so cosa mi succeda d'estate, ma mi vengono tutte queste idee che non riesco a togliermi dalla testa se non scrivendole.

Il prossimo capitolo della ff è mezzo pronto e GGGIURO che appena riesco a riprendermi da questo post-vacanze e giornate di uscite compulsive con amici che non vedrò per uno o due mesi interi lo finirò. Il che sarà veramente prestoprestoprestissimo, giuro, perché amo quella fic, okay!? Scusate tanto çoç

Ad ogni modo, spero che questa vi piaccia! (se mai vi dovesse andare di insultarmi in privato, sono @weumhbelui su twitter

Va tutta a Frà perché mi ha supportata durante la fase di scrittura (sembra una cosa troppo ufficiale ma non trovo altri modi per dirlo).

Lasciate un commento se vi va *^*

SCIAOOOH!

PS- chiedo scusa al mitico DJsù: non fai schifo (o almeno non troppo), è solo che sei un personaggio esilarante.

   
 
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