«Sono
tornato. Tony, stai bene?»
«Zi...»
affermò una voce nasale dal divano.
Alzò
gli occhi al cielo andandogli incontro
e lo trovò sdraiato sotto una coperta con il naso rosso e
una faccia distrutta.
«Meno
male che stavi bene.» commentò dopo
avergli posato una mano sulla fronte bollente.
«Cergavo
di non fardi preoggupare.»
Sorrise esasperato dalla
protettività del
compagno «Hai almeno preso qualcosa?»
«Dobrei
alzarmi.»
«Vado
io, tu resta lì.» gli diede un
leggero bacio sulla fronte come se quello potesse fargli scendere la
febbre e
andò in cerca di qualche medicina.
Sebbene
vivesse lì ormai da un paio di mesi
non aveva ancora idea di dove potesse trovarsi l'armadietto delle
medicine.
Girovagò a vuoto per qualche minuto fino ad aprire un
cassetto in una sala da
pranzo e trovarci qualche contenitore arancione pieno di pastiglie.
Certo che
Tony teneva le cose nei posti più improbabili. Un po' come i
calzini che aveva
trovato nel frigo o il telecomando sopra il lavandino.
Ritornò
dal suo malato con il flacone tra
le mani e la stessa espressione di chi ha appena scoperto un nuovo
continente.
«Dobe
zei ztato?» chiese imbronciato.
«A
cercarti delle medicine. Se tu non
seguissi il tuo disordine mentale nel riporre le cose ci avrei messo di
meno.»
si sedette accanto a lui infagottandolo nella coperta visto che il moro
continuava a tremare per il freddo.
«Z'è
un orbine: zbarzo.» replicò tra uno
starnuto e un colpo di tosse.
«Sei
divertente quando parli, sai?»
ridacchiò concedendosi quel filo di cattiveria.
«Zdronzo.»
«Oh
dai, tu mi prendi continuamente in giro
e io non posso nemmeno un po'» gli si sdraiò
accanto facendolo rannicchiare sul
proprio petto per farsi perdonare.
«Ba
tu zei Cabitan Bazienza.»
«E
tu il miliardario eccentrico che sfotte
tutti, va bene. Quando starai meglio mi farò
perdonare.» sussurrò l'ultima
frase nel suo orecchio con un tono che avrebbe fatto eccitare un morto.
«Zto
già meglio.» si voltò verso di lui ma
il naso e gli occhi rossi lo tradirono.
«Non
ci casco, mi spiace. Comunque te la
sei cercata.»
«Non
è vero.»
«Ah
no? Ricordami, chi ha voluto andare sul
tetto a giocare con la neve.»
«Andibadico.»
Eh
sì, il grande Tony Stark lo aveva
convinto ad andare sul tetto durante una nevicata epica, uno dei tipici
blizzard che si abbattono su New York paralizzando la città
e facendo imprecare
i tassisti in modo tale che se tutte le divinità che
bestemmiavano non erano
ancora scese a scagliare una qualche maledizione o a scatenare una
pioggia di
cavallette sulla città avevano avuto solo fortuna.
Steve
aveva accettato quel gioco solo per
lui, poiché dopo essere rimasto surgelato per settant'anni
in un blocco di
ghiaccio per lui più caldo faceva e meglio era, quindi
uscire in mezzo a una
tormenta in una gelida giornata di gennaio era stata una concessione
grandissima che però il moro non aveva tardato a
ricompensare.
Dopo
averlo seppellito nella neve, sia ben
chiaro.
Lo
aveva colto di sorpresa con una serie di
palle di neve e poi gli era saltato addosso, spingendolo in uno dei
cumuli e
iniziando poi a infilargli la neve nel collo; Steve non aveva tardato a
reagire
e dopo poco di Tony non si riconosceva quasi più nulla tanto
era coperto di
neve.
Inutile
dire che rotolarsi nella neve per
sue ore di fila non aveva fatto bene al miliardario nonostante la
doccia
bollente, bollente per almeno una paio di motivi che avevano causato la
richiesta del riservatissimo Steve di togliere le telecamere almeno dal
bagno,
che si erano concessi una volta rientrati e levati i vestiti fradici.
Quello
della doccia era diventato ormai un
rituale di ogni sera, e per quanto tornassero a casa stanchi e
esasperati non
saltavano mai quei minuti di rilassante silenzio e di roventi baci che
sfociavano sempre in qualcosa che aveva fatto insistere tanto il moro
per
conservare i filmati di sicurezza finché Steve non lo aveva
convinto mandandolo
in bianco per tre giorni di fila, in cui il rituale della doccia non si
era
interrotto rendendo a tutti e due le cose più difficili,
alla fine dei quali
Tony aveva ceduto pur di poter riavere il suo aitante capitano
dell'umore
giusto per una bella scopata.
È
quasi inutile aggiungere che il soldato
era del tutto ignaro dell'esistenza di qualcosa chiamato "backup"...
«Prendi
queste, dopo ti preparo qualcosa.
Oggi hai mangiato?»
«Do...»
ammise già sapendo la sfuriata che
lo aspettava.
Una
delle cose che facevano più incazzare
Steve, oltre ai filmati di loro due in atteggiamenti piuttosto intimi e
la fame
nel mondo, era il suo continuo saltare i pasti solo per dedicarsi al
progetto
del suo ennesimo giocattolino elettronico di cui non avrebbe mai capito
il
funzionamento.
«Quando
si ha l'influenza la fame passa, ma
devi mangiare qualcosa.» spiegò con tono dolce
avvolgendo meglio il suo corpo
minuto ma perfetto tra le braccia.
Gongolò
di nascosto. Questa doveva
ricordarsela per la prossima volta in cui lo avrebbe beccato dopo che
si era
dimenticato di mangiare.
«Non
andardene.» mugolò facendo la vittima.
«E
come pensi di mangiare se non te ne
preparo?»
«Non
ho bame.»
«Piantala,
ci metto due minuti a farti
scaldare qualcosa.»
«Zono
drobbi: zto ber morire.» rantolò
accompagnato da un colpo di tosse dopo che l'altro gli aveva fatto
inghiottire
a forza tre diverse pastiglie.
«Piantala
di fare il cretino. Adesso fai il
bravo e mangi.»
«Di
odio.» sibilò mentre l'altro lasciava
la presa sul suo corpo per andare verso la cucina che aveva iniziato a
funzionare solo dopo il suo arrivo.
«Me
ne ricorderò stanotte.»
«Zcherzabo.»
aggiunse precipitosamente.
Il
capitano trasformato in crocerossina
d'emergenza ritornò con una minestrina che il moro
guardò con malcelato schifo.
«Mangia.»
«Don
ci benzo brobrio.»
«Mangia.»
«Do.»
Continuarono
così per parecchi minuti
finché Steve non si decise a immobilizzarlo e a farlo
mangiare con la forza per
poi sollevarlo quasi di peso e portarlo a letto.
«Don
zo ze oggi ce la faccio.» borbottò
mortificato mentre lo infilava sotto le coperte.
«Non
ci pensare nemmeno, tu stanotte dormi
e se sarà necessario io andrò sul
divano.»
«Stebe...»
mugolò.
«Cosa?»
«Ztai
qui.» allungò una mano e con una
forza che il moro non si aspettava in quel momento se lo
trascinò accanto.
«Va
bene.» gli baciò la punta rossa del
naso «Ma non farti venire strane idee o me ne vado.»
«Ztarò
bravo.» promise alzando le dita come
gli scout.
«Ora
a nanna. Se non stai bene svegliami.»
«Zi
mamma.» si accoccolò al suo fianco e in
pochi minuti si addormentò, complici la malattia e il calore
del corpo del
biondo.
Steve
lo osservò dormire per qualche
momento, poi gli posò una bacio nei capelli arruffati e
chiuse a sua volta gli
occhi.
«Sveglia.»
Respinse
la mano petulante che lo scuoteva.
«Dai
Stebe, svegliati.»
Brontolò
nel sonno e si voltò dall'altra
parte, ignorando deliberatamente il compagno.
«Steeeebe...»
trascinò come suo solito la
vocale in quel modo che lo faceva impazzire; aveva imparato ad
apprezzare la
bellezza del proprio nome solo dopo averlo sentito pronunciare da lui,
uno
srotolarsi di lettere come quello di un sontuoso tappeto rosso.
«Che
c'è?» borbottò aprendo a malapena un
occhio.
«Sto
meglio e fuori nevica. Andiamo a
giocare sul tetto?»
Note
della Vecchia Volpe
Ho
detto che per il momento avrei sospeso
la Ironfrost visto che ormai i commenti erano davvero pochi e non avevo
voglia
di scrivere per niente, perché potrà essere
strano ma ho bisogno di
gratificazioni e per andare avanti e non ricevendone ho deciso di
interrompere
momentaneamente a meno che le cose non cambino, ma questa shot
l’ho scritta in
aereo ed era già pronta, quindi eccola.
Mi
scuso per l’incomprensibilità di queste
non-meglio-definita cosa, ma spero vogliate dare la colpa
all’altitudine.
Ora
chiedo ai miei quattro lettori (sì, lo
so, come captatio benevolentiae fa
schifo) di lasciarmi un loro parere, non costa molto, potete anche
insultarmi e
dirmi che mi verrete a cercare per per darmi fuoco (tanto non sapete
dove sono
*balla*).
Grazie
mille per aver letto questo sclero.
Baci e a presto.