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Autore: mamie    31/07/2013    1 recensioni
Geralt ha decisamente la vocazione del buon Samaritano e, quando trova un elfo ferito, durante uno dei suoi viaggi, non è capace di tirare dritto per la sua strada...
Ispirato ad una fiaba dei fratelli Grimm.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ELFO
 
Era nascosto tra le foglie, fuori dal sentiero.
Geralt non se ne sarebbe accorto se non avesse sentito un lievissimo rumore.
Di solito gli Elfi sono estremamente silenziosi, è quasi impossibile individuarli in un bosco, ma questo era ferito e stremato, non pareva nemmeno che stesse cercando di nascondersi, sembrava piuttosto che si fosse buttato a morire nel primo buco che aveva trovato.
Geralt si guardò intorno molto attentamente. Restò immobile a lungo. Ascoltò. Non c’era nessuno.
– Sei solo?
Non sembrava aver sentito la domanda. Respirava a malapena. Geralt bestemmiò sentitamente. Poi si chinò e, cercando di non fare troppi danni, lo caricò su Rutilia. La cavalla non sembrò esserne molto contenta.
 
Per tutta l’ora che ci volle a raggiungere il rifugio che conosceva, Geralt non fece che rimuginare sempre più irritato. Dove poteva lasciare un elfo ferito? Certo non al villaggio che aveva appena lasciato e nemmeno a quello dove era diretto. Avrebbero semplicemente ringraziato appendendolo alla prima forca a disposizione, con o senza la sua compagnia. Non poteva neanche lasciarlo a morire lentamente nel bosco, sarebbe stato meglio ammazzarlo subito.
Era ancora perso in queste elucubrazioni quando arrivò alla capanna. Un semplice rifugio di taglialegna, ma asciutto e ben organizzato. Una catasta di legna sotto la tettoia, un secchio per attingere l’acqua, persino qualche coperta tarlata. Per fortuna in quel momento non c’era nessun altro. Geralt scaricò il suo fardello su un mucchio di coperte e cominciò a frugare nella sua cassetta in cerca di medicine.
 
***
 
– Lena…
Geralt si svegliò di colpo. Il ferito si stava agitando e ripeteva quel nome già da un po’.
– Ehi… chi è Lena?
L’elfo aprì gli occhi di scatto e sembrò rendersi conto solo in quel momento che c’era qualcuno accanto a lui. Ebbe un sussulto e la mano, quella che gli era rimasta sana, corse invano a cercare il fodero del coltello.
– Fermo, fermo – cominciò a dire lo strigo cercando di sembrare rassicurante. – Chi sei? Cosa ti è successo?
L’altro lo guardava con gli occhi spalancati. Non spaventati, ma attenti, pronti a cogliere ogni minimo movimento.
– Ah, io sono Geralt e qui siamo al sicuro. Almeno per un po’.
– Cosa? Perché? – cominciò l’elfo, esitante.
– Senti – lo interruppe Geralt che stava cominciando a perdere la pazienza: – Ti ho trovato nel bosco e ti ho portato qui. I tuoi affari non mi interessano, ma dimmi almeno come devo chiamarti.
L’elfo lo considerò a lungo. Sembrava lo stesse minuziosamente studiando.
– Gwynnbleidd – disse alla fine, come se fosse arrivato ad una conclusione sicura.
Lo strigo sbuffò. – Sì, sono io.
– Ilvor – rispose semplicemente l’elfo prima di chiudere di nuovo gli occhi.
 
***
 
- Dov’è andato il tuo commando?
La mattina dopo l’elfo sembrava perlomeno in grado di parlare.
– Sono da solo – rispose mentre lo strigo preparava un’altra delle sue medicine. –Ero… sono venuto per…
– Sei venuto ad incontrare una donna?
Possono arrossire gli Elfi? Santo cielo, questo doveva essere proprio giovane. Era maledettamente difficile capire che età avessero.
– Come fai a…
– Nei boschi girano i commando, i cacciatori, i taglialegna e le ragazze che portano loro da mangiare e vanno a raccogliere le pigne e il muschio. Non sei un taglialegna, non sei un cacciatore, non fai parte di un commando, quindi… Allora? Chi è Lena?
 
***
 
La prima cosa che aveva notato erano gli occhi. Grandi, grigi, belli in un viso un po’ insignificante. Poi aveva visto che piangeva. Era magra e spaventata. Aveva un sacco che cercava di riempire con le pigne cadute, pezzi di corteccia, muschio secco e felci dure che strappava dal terreno con le mani che si piagavano poco a poco. Gli era sembrato così naturale aiutare quella creatura in difficoltà.
- Come ti chiami?
- Lena.
Lei l’aveva guardato tirare fuori il coltello, per aiutarla a strappare le felci più dure, e aveva cercato di tirare fuori un sorriso dallo sconforto che la avvolgeva.
La storia venne fuori poco dopo con facilità. Ultima di sei figli, femmina, un po’ delicata, la sua famiglia non se ne faceva nulla di una come lei. La mandavano tutti i giorni nel bosco senza nemmeno un bastone per difendersi, forse nella speranza che qualche bestia feroce potesse mangiarla togliendo così loro l’incomodo del suo mantenimento.
Che cosa lo attraeva di lei?
Aveva un atteggiamento, dietro la paura, qualcosa di raro, come una dignità intangibile. Dove aveva imparato una cosa del genere una povera contadina?
Lo aveva ringraziato e stava per andare via. Allora lui l’aveva attirata più vicino e le aveva dato un bacio. Un bacio semplice, a fior di labbra, come si fa tra bambini.
Non era arrossita, lo aveva guardato con i suoi seri occhi grandi, poi si era voltata ed era scomparsa nel folto.
 
L’aveva incontrata ogni giorno nel bosco da quel momento e ogni giorno tirava fuori il suo coltello e la aiutava a tagliare i duri rami dell’erica da portare a casa.
Non ci avevano messo molto a finire su un letto soffice di felci fresche. Di lei ricordava che, nonostante fosse magra, era tenera come un piccolo agnello. Aveva le mani ruvide e le braccia bruciate dal sole, ma i capelli erano fini e morbidi come quelli di un neonato. Lui la baciava piano piano e sussurrava il suo nome.
 
***
 
– Hanno seguito la ragazza, è così? – sbuffò Geralt. – Chi erano? Suo padre e i vicini di casa?
– I suoi fratelli – rispose asciutto l’elfo. – Quattro – aggiunse per precisione.
– Come mai non si sono assicurati di averti ammazzato?
– Forse pensavano di averlo fatto.
L’elfo si agitò sul giaciglio cercando di mettersi a sedere. Geralt lo aiutò a sollevarsi e intanto cercava di pensare a come uscire da quella situazione.
– Domani dovremo cercare di andarcene. Non è sicuro qui – disse alla fine guardando il suo compagno con una certa preoccupazione: aveva una pessima cera e non sembrava affatto in grado di viaggiare. – Hai idea di dove trovare i tuoi?
– Non lo so. Stavamo alla Fonte Scura, ma ora si saranno spostati.
– Vedremo. Adesso ti cambio la fasciatura e poi riposati.
 
Lo strigo guardò accigliato la mano gonfia e inerte. Il colpo doveva avergli tagliato i tendini: un bel guaio per un tiratore d’arco. La spalla non era messa molto meglio, per non parlare del brutto taglio che aveva nella pancia. Forse i suoi sarebbero riusciti a sistemarlo a dovere, erano abbastanza bravi in questo, ma ne dubitava. Un elfo invalido era forse qualcuno che la sua gente potesse tollerare? Che chiunque in quello schifo di paese potesse tollerare? Per l’ennesima volta Geralt si chiese se gli stesse facendo davvero un favore.
 
***
 
– Lena – sussurrò l’elfo ancora una volta. Era riuscito a montare, con immensa fatica, su Rutilia. Geralt, dietro di lui, lo reggeva in modo che non scivolasse a terra. La cavalla sbuffava infastidita per il doppio peso. Lo strigo cercò di calmarla accarezzandole piano il collo.
– Buona… buona – mormorò per tranquillizzarla.
– Lena…
Geralt sospirò.
– Non puoi andare da lei adesso – era così ovvio che Geralt si mise a parlare come avrebbe fatto ad un bambino. Il resto della frase lo tenne per sé. Non era proprio il caso di rivedere una contadina che, se non la ammazzavano di botte prima, magari gli avrebbe regalato un piccolo elfo bastardo, un altro reietto inviso sia in un paese sia nell’altro.
 
Il resto della giornata fu per Geralt estremamente fastidiosa. Faceva caldo, una cappa plumbea gravava sugli alberi rendendo l’aria soffocante. Ilvor respirava a fatica e Geralt doveva stare attento che non scivolasse dall’arcione. Fecero solo una breve pausa, ma l’elfo non riuscì a mangiare nulla di quello che Geralt gli porgeva, bevve solo avidamente un po’ d’acqua.
Erano arrivati alla Fonte Scura trovando i resti di un accampamento abbandonato. Geralt si era avviato di nuovo verso nord seguendo qualche debole traccia, che poi si era persa nel folto del bosco. Stava per fare notte e non avevano trovato ancora nulla.
Ilvor ciondolava in un dormiveglia agitato. Geralt, tenendolo contro le proprie spalle per non farlo cadere, respirava il suo odore pensando a quanto fosse diverso da quello degli umani. Era un odore più selvatico, ma meno sgradevole. Un odore boschivo simile a quello del muschio bagnato dalla pioggia.
– Ehi, non mollare proprio adesso! – esclamò tirando su l’elfo che stava scivolando di nuovo dalla sella.
 
Improvvisamente Rutilia si fermò allargando le froge in uno sbuffo. Anche Geralt aveva teso le orecchie. C’era qualcuno davanti a loro.
Dovevano averli seguiti già da qualche tempo perché si fecero avanti senza timore.
Il cavallo, bianco, sembrava luccicare nella penombra del bosco.
Mae govannen, Filavandrel – scandì Geralt a voce alta.
Ai na vedui, Gwynnbleidd – rispose il bellissimo elfo che lo cavalcava.
 
***
 
Fortunatamente la notte si era fatta più fresca e il piccolo fuoco acceso dagli elfi scacciava l’umidità dalla radura erbosa dove si erano accampati.
Ilvor era stato medicato di nuovo dai suoi compagni e ora dormiva su un letto di felci profumate, probabilmente il primo sonno ristoratore da giorni.
– È stato fortunato – aveva detto Geralt.
– È stato sciocco – aveva risposto Filavandrel, immobile accanto al fuoco che faceva danzare la sua luce sui loro capelli. Anche quelli dell’elfo erano bianchi, ma soffici e luminosi come la criniera del suo cavallo, molto diversi dalle ciocche scolorite di Geralt.
– Ma è molto giovane – aveva continuato l’elfo con un sospiro. – Chissà che cosa gli sarà sembrata quella umana.
– Lo dici come se fosse un insulto.
Filavandrel sorrise. – Neanche tu sei umano, strigo, anche se fai di tutto per sembrarlo… La dimenticherà. Fra qualche tempo non sarà più che un vago ricordo fastidioso.
– La ragazza potrebbe essere incinta – si ostinò Geralt. – Hai detto che Ilvor è giovane, no?
Filavandrel rimase per qualche tempo pensieroso, guardando le scintille che si alzavano verso il blu sontuoso del cielo notturno.
– Noi non ce ne faremmo niente di un piccolo mezzosangue e i contadini del borgo ancora meno. La faranno abortire o esporranno il bambino appena nato.
– Potrebbe essere il vostro futuro. Il vostro… destino. – sussurrò Geralt, e in quel momento gli venne in mente Ciri. Ciri ostinata che lo guardava con gli occhi scintillanti di rabbia. Ciri che gli urlava di lontano di essere il suo destino.
– Potrebbe essere la nostra fine.
L’elfo si alzò con un movimento fluido. Per un attimo l’orlo del mantello fece scaturire una pioggia di scintille dalle braci.
– Vai a dormire Gwynnbleidd. Domani ce ne saremo andati. Ti ringrazio per quello che hai fatto: non dimenticheremo che sei dalla nostra parte.
– Non sono dalla vostra parte – scandì Geralt con rabbia.
– E di chi allora?
Geralt chinò il capo. – Non lo so – rispose. – Forse dalla parte del destino.
La risata di Filavandrel lo accompagnò a lungo fra i rumori della notte.
 
***
 
La ragazza strinse bene le cocche del fazzoletto in cui aveva messo il pane e quel po’ di formaggio che aveva osato prendere dalla madia senza farsi vedere. Si fermò ad ascoltare, tesa, il respiro pesante degli altri che dormivano, poi si passò lentamente una mano sul ventre che cominciava già ad arrotondarsi.
Con decisione frugò nelle tasche del padre per prendere il coltello, un bel coltello d’acciaio di fattura elfica, e se lo nascose sotto la gonna. Per un attimo le vennero le lacrime agli occhi. Le scacciò via con rabbia.
Ellander era lontana, ma lei ci sarebbe arrivata.
Sarebbe andata al tempio della dea e avrebbe fatto nascere il suo bambino. Laggiù non l’avrebbero mandata via. Poi si sarebbe arrangiata in qualche modo.
Facendo più piano possibile, Lena aprì la porta della casupola e sparì veloce nella notte.
 
***
Seduto in un punto assolato del giardino, Geralt guardava dei bambini che giocavano fra le siepi di bosso del labirinto. Era stato un inverno freddo e quel tepore primaverile finalmente arrivava a scaldargli le ossa e il sangue.
I bambini strillavano eccitati, come fanno tutti i bambini quando giocano, ma lo strigo non ne era infastidito. Quando l’ampia gonna di madre Nenneke frusciò nel sedersi accanto a lui, Geralt si rivolse alla donna e le sorrise.
– Chi sono quei bambini? – chiese vagamente incuriosito.
– Figli di sacerdotesse per lo più – rispose madre Nenneke guardandolo con i suoi occhi penetranti come spilli. – A volte figli di ragazze che vengono a partorire qui perché non hanno più una casa o un uomo su cui contare.
Geralt ne osservava uno in particolare, un ragazzetto svelto che aveva dei tratti delicati.
– Quello sembra un mezzelfo – disse. – Possibile?
– Sì, a volte ne nascono ancora, anche se sono sempre più rari – rispose la donna. – Di solito diventano degli ottimi giardinieri, ma è raro che si fermino a lungo di questi tempi. Vedi, ai bambini ovviamente non interessano le differenze di colore, le loro discriminazioni di solito sono molto più sottili e perfide, ma ai grandi sì. Il nostro piccolo Ilvor non avrà una vita molto facile.
– Come hai detto che si chiama?
Madre Nenneke continuò a scrutare Geralt con la sua tipica apprensione da chioccia.
– Ilvor. Sua madre è arrivata qui che era incinta, mezza morta per gli stenti e la fatica del viaggio. Poi ha deciso di rimanere. È quella là che sta raccogliendo la salvia nell’aiuola. La conosci?
Geralt vide una bella donna formosa, vestita semplicemente con l’abito delle sacerdotesse. Così, da lontano, sembrava felice.
– No – rispose Geralt con un sussurro.
– No, non la conosco.
E non poté impedirsi di alzare la testa e sorridere alle nuvole svelte che solcavano il cielo.
 
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Note:  Questo racconto si ispira ad una fiaba presente nella prima edizione della raccolta dei Grimm dal titolo La mano col coltello, tolta poi dalle seguenti edizioni perché cruda e con un finale decisamente infelice.  Potete leggerla in Principessa Pel di Topo e altre fiabe edito da Donzelli. Ho voluto dare una specie di lieto fine a questa fiaba che mi aveva colpito molto.
 
Il racconto si intende ambientato fra Il guardiano degli innocenti e La spada del destino. Il finale invece si colloca parecchi anni dopo, poco prima del Tempo della guerra.
 
Non avendo io capito un accidente del tipo di elfico che usa Sapkowski, per lo scambio di saluti fra Geralt e Filavandrel ho usato quello di Tolkien. Se qualcuno potesse darmi una versione più fedele gliene sarei grata.
 
 
 
  
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