Titolo: La Ruota
Titolo
Capitolo: La Temperanza
Ship: Girolamo Riario/Caterina Sforza (In un certo
senso. Principale comunque) Altri Vari.
Rating: Giallo
Sommario: Girolamo
aveva seguito i passi, disegnando con Caterina una circonferenza immaginaria,
“Sei sfacciata” aveva constata, “Ne sono
consapevole” aveva detto sorniona lei con
una risata, “Potrei riavere i miei occhiali?” aveva chiesto Girolamo, “Sono un
uomo che non tollera essere privato delle sue cose” aveva detto con una voce asettica, lei aveva montato un sorriso
sornione, “Non so di cosa parliate” aveva bisbigliato lei, prima di rifugiarsi
da un altro cavaliere.
Warnings: Tecnicamente Girolamo e Caterina si portano quasi ventanni,
quindi questo potrebbe offendere qualcuno, ma A è ambientato alla fine del
quattrocento, B il legame che si forma tra loro è qualcosa di diverso dalla
sessualità, decisamente non amore, ma più forte dell’affetto.
A/N:1. Il Titolo della storia si riferisce alla Carta
dei Tarocchi che rappresenta la fortuna. Ma anche la frase tipica “La Ruota Gira”, ovvero che la fortuna
cambia, quanto le sorti della persona, o semplicemente i sentimenti delle
persone.
2.Il
Titolo del capitolo è un chiaro riferimento alla carta dei Tarocchi, dove viene
rappresentata una donna vestita in blu e rosso. E la Temperanza è una virtù
cardinale, rappresenta la moderazione. Un senso lo aveva per questo capitolo
sia simbolico che “fisico”.
3.La
storia è ambientata più o meno quattro anni prima di Da Vinci’s Demons, ovvero
nel 73, all’incirca Leonardo ha venticinque anni nel telefilm, quindi dovrebbe
essere il 77, ovvero quando Caterina entra ad Imola e quando si dice sia stato
consumato il matrimonio Riario-Sforza, avvenuto però nel 73.
4.Riguardo
a Costanza Fogliani era l’originaria promessa sposa e non so come farò a
liberarmene.
5.Spero
vi possa piacere la mia breve Long, saranno cinque o sei capitoli massimo, se
non meno.
La Ruota
La
Temperanza
Ad accoglierlo quando arrivò a
Milano, fu quel maiale di uno Sforza.
Vestito in un profondo blu notte con ornamenti d’oro, che percorrevano l’intero
uniforme, aveva un sorriso sfacciato ed impudente al suo fianco c’era una piccola
donna di minuta statura, grassoccia, Bona di Savoia, sua moglie. Quando
Girolamo smontò da cavallo, ancor prima che potesse avanzare di qualche piede
la grassa signora di Milano era già venuta ad accoglierlo con lunghi abbracci e
baci languidi, “Oh siamo così onorati di aver un figlio di Roma qui” aveva
cinguettato affabile. Galeazzo Maria venne da lui invece seguito dalle sue
guardie con un espressione più seccata che altro, prima di montare un sorriso
irsoso e dargli il suo ben venuto. Certamente, si rese conto Girolamo, sua
moglie conosceva molto meglio i modi della politica, per quanto apparisse
fastidiosa. Bona si prese eccessiva confidenza prendendolo a braccetto,
“Abbiamo fatto preparare una delle camere migliori” aveva tenuto a precisare premurosa
la donna, “Mio marito ha anche organizzato una caccia per dopo domani” aveva
aggiunto, regalando un sorriso amichevole, salutando anche le guardie, Grunwald
ridacchiò quando lei lo salutò. “Spero non abbiate avuto un viaggio spiacevole”
aveva detto Glaeazzo, disinteressato, “Piacevolissimo duca” aveva risposto lui
asettico, prima che la giovane donna arpionata al suo braccio cominciasse ad
interrogarlo su tutto il viaggio che lui ed i suoi uomini avevano fatto da Roma
a Milano e se per caso casualmente fosse
passato ad Imola. Le sue risposte erano state sterili ma piene di finte
cortesie.
Bona voltò lo sguardo verso il
marito, c’era un sottile rimprovero, “Siamo così felici che il Santo Padre
voglia unire le nostre casate” aveva immediatamente detto il duca Sforza,
Girolamo ne dubitava, probabilmente
dovevano essere parole che sua moglie doveva averli insegnato. Era
risaputa la noncuranza del Duca, un uomo in vena di ascoltare solo i suoi istinti
e sempre chiacchierato, la sua promiscuità era ormai nota in tutt’Italia.
“Adorerete la piccola Costanza, è una bambina così dolce” aveva tenuto a
precisare la duchessa con una voce squittente, “Non ne dubito” aveva risposto
asettico lui; sposare la piccola Fogliani non era nelle sue priorità, ma il
santo Padre pretendeva un’alleanza con Milano. Probabilmente avrebbero potuto
trovare un alleanza più resistente con qualcuno che fosse più stretto alla
famiglia Sforza, Costanza era una Fogliani ed era una semplice nipote del Duca,
ma sfortunatamente non erano riusciti ad organizzare nozze migliori, neanche
con una ragazza che si avvicinasse di più alla sua età.
Bona di Savoia si prese la briga
di accompagnarlo fino alle sue stanze e farli fare una lunga visita della
corte, fermandosi in interessanti elucubrazioni su tutte le statue e le opere
che adornavano la casa. “Rinfrescatevi e riposatevi Girolamo” aveva mormorato
lei, “La mia casa è la sua casa” aveva
aggiunto, prima di comunicarli che la servitù era al suo completo servizio e
sarebbe stati reperibili per ogni cosa, prima di salutarlo con la comunicazione
di attendere con morbosità la cena, dove lui avrebbe potuto conoscere
finalmente Costanza. Girolamo aveva sorriso accondiscendente prima di
scomparire nelle sue stanze, ultimo dei suoi desideri era conoscere la sua
futura moglie bambina. Grunwald era venuto da lui per studiare i suoi pensieri
riguardo i Duchi di Milano, ma l’uomo era rimasto ermetico, non che ci fosse
molto da stabilire, Galeazzo Maria era un pingue uomo pieno di sfrenatezze ed
incosciente ai precetti della chiesa, assuefatto dai suoi vizi, e Bona era una
donna con la spregiudicata capacità di affascinare, nonostante le curve
sformate del suo corpo. Anche il suo capitano delle guardie pareva
incredibilmente attratto dalla duchessa, nonostante questa fosse priva di
bellezza.
Girolamo passò le ore che
precedevano la cena e rendersi splendente e presentabile, come il santo padre
aveva preteso alla sua partenza, indossando l’abito più ricco che potesse
sfoggiare. Ed allora che l’aveva notato, un piccolo scatto, di una porta che si
chiudeva. Qualcuno era entrato nelle sue stanze, tentando di non farsi vedere,
Girolamo afferrò il pugnale che teneva sempre con se e cheto si diresse nelle
altre stanze, ma non trovò spie o uomini intenzionati ad ucciderlo, trovò una bambina che studiava le sue cose, aveva
piccole mani che frugavano, ma tutta la sua curiosità sembrava appagata dai
suoi occhiali a lenti scure, con grandi occhi curiosi li guardava catturata.
Girolamo aveva pensato fosse della servitù, ma indossava un abito da cerimonia
curato, era di un pallido azzurro che chiudeva la pettorina e le maniche
strette, la gonna era di un rosso bruno, così come i ricami d’uncinetto che
attraversavano il busto ed una fascia d’orata chiudeva la vita. “Lei sarebbe?”
chiese restando composto, la bambina saltò e sollevò il volto, aveva un viso
carino come quello delle bambole ed era piccola, più infantile di quanto avesse
pensato, dieci anni non di più, “Perdonatemi” mormorò semplicemente lei con
occhi bassi, nascondendo le mani ree dietro la schiena non lasciando però i
suoi occhiali. “Non è quello che ho chiesto” aveva risposto sterile lui,
rimettendo il pugnale al proprio posto, convenendo che con una bambina appena
al suo decimo anno di vita non fosse necessario, “Caterina” allora mormorò
quella, le gote sembravano essersi stinte del rosso del pudore così come la sua
voce ora pareva priva del precedente imbarazzo. “E cosa cercava?” aveva chiesto
Girolamo, facendo un passo in avanti, la bambina però non era indietreggiata,
era rimasta ferma come se avesse messo le radici. Una bambina alta, dai capelli
di fulvo ardente e con una certa fierezza degli occhi castani.
Caterina si morse un labbro, “Lei” aveva risposto poi, “Volevo vedere
se i quadri donati a Costanza fossero fedeli” aveva risposto semplicemente lei,
“Siete soddisfatta?” aveva domandato lui alla fine, la ragazza allora aveva
mostrato nuovamente segni di quel candore, “No” rivelò alla fine, Girolamo
crucciò le sopracciglia, “Speravo foste di più brutto” aveva confessato alla
fine con un risolino sciocco, “Perché?” aveva chiesto lui, stranamente
interessato, “Per Costanza, un marito brutto le sarebbe stato bene” aveva detto
lei convinta delle sue parole. Girolamo rimase di granito a quella risposta,
non consono di cosa avrebbe dovuto dire, Caterina era una bambina e pensava
come tale e la risposta data era solo quella che un’infantile avrebbe potuto
dare e si rendeva conto che Costanza non sarebbe dovuta essere troppo diversa.
“Non andate d’accordo?” aveva
domandato lui alla fine, “Nessuno ci riuscirebbe” aveva confessato Caterina con
un sorriso divertito, “Perdonate la mia impudenza” aveva alla fine enunciato la
bambina prima di fuggire dalle sue stanze, senza che Girolamo avesse potuto
dire o fare qualcosa. Aveva sorriso, un tenue ed accennato sorriso, ricordando
quando anche lui da bambino usava girovagare per le stanze quando c’erano
ospiti nel tentativo di scovare tesori, il Santo Padre, ai tempi in cui era
cardinale, l’aveva picchiato tante volte per questo suo vizio. Era una
punizione al perché si facesse scoprire, che perché lo facesse. E solo quando
si destò dai ricordi della sua infanzia si rese conto che Caterina oltre a se
stessa aveva portato via anche i suoi
occhiali per pararsi dal sole. Quelli si disse doveva recuperarli.
All’ora del grande banchetto fu Grunwald che venne ad avvertirlo. E così si erano
diretti nella sala principale, ad accoglierli era venuto quel maiale del Duca,
assieme a quello che ben presto era stato ovvio fosse Lodovico, il fratello
minore, più alto, composto, in forma e di bell’aspetto del fratello, un uomo
dalle spalle larghe ed il viso affascinante, una mascella marcata, pelle
bronzea e capelli scuri, un personaggio per il quale sua cugina Lucrezia
avrebbe ridacchiato divertita facendo occhi languidi. E con loro in disparte
c’era un ragazzino, Costanzo Sforza, signore di Pesaro, un ragazzino che
occupava una posizione che sembrava andarli troppo lenta, sbarbato e divertito
da ogni cosa. “Sono addolorato di essere mancato al nostro benvenuto” aveva
detto Lodovico, era molto più sarcastico ed attore di suo fratello, che aveva
limitato la questione ad un borbottio. “Costanza è felicissima di conoscervi”
l’aveva rassicurato il signore di Pesaro, non che ha lui interessasse.
All’interno della sala, Girolamo
aveva conosciuto ogni signore della Lombardia, baciato le mani ad ogni ricca
donna. Bona l’aveva preso a braccetto e baciato come se fosse di sua famiglia,
Costanzo aveva presentato con orgoglio una piccola donna bionda dal sorriso
cinguettoso, Camilla sua moglie. Ed alla
fine Girolamo non ricordava neanche più chi avesse conosciuto. “Immagino sia
uno strazio” aveva detto un ragazzo affiancandolo, teneva in mano un calice di vino che Bona
aveva fatto portare cominciando il rinfresco, aveva sui quindici anni ed era
uno Sforza, somigliava sia a Galeazzo Maria che a Lodovico, più al primo, ma
possedeva dei dettagli più aristocratici e fini rispetto gli altri, “Stare qui
e sorridere a tutta questa gente” aveva commentato. Girolamo l’aveva guardato
critico, “Siete fatto di pietra, ve ne do atto, nessuna emozione traspare dai
vostri occhi” aveva detto quello divertito, “Ma la mia defunta nonna mi ha
insegnato bene che non esiste uomo in grado di celare ciò che prova” aveva
rivelato, gustandosi un poco di vino, prima di allontanarsi. Bona era venuta
immediatamente, muovendosi in modo impacciato nel suo pomposo abito che
sfoggiava con orgoglio i colori bianco e rosso della sua casa d’appartenenza.
“Spero Carlo non ti abbia turbato” aveva detto amichevole, lanciando uno
sguardo a disaggio al ragazzo che ora importunava una nobildonna con una
parlata di miele, “Non sarebbe il primo” aveva detto accidioso Girolamo. Parole
che la duchessa non aveva gradito, “Come?” aveva chiesto con finta ingenuità ad
una perfetta curiosità, “Qualcuno vi ha dato fastidio?” aveva domandato.
Avrebbe dovuto dirle di Caterina? “L’attesa” aveva risposto, “Gli uomini” aveva
cinguettato Bona, “Non amano mai aspettare” aveva bisbigliato, “La venerabile
Bianca, la madre dl mio adorato marito, diceva sempre che le cose migliori
veniva solo dopo una lunga attesa” aveva bisbigliato, prendendo del forte vino
rosso e bevendolo.
Dunque doveva pensare che
quell’attesa dai mantovani, fosse la prova di quanto Costanza dovesse essere
una cosa migliore. Certamente li avrebbe portato un alleanza ed anche una
nomina, il Santo Padre l’avrebbe nominato conte solo a nozze adempiute. Vide
Caterina con l’abito da festa, del primo incontro, ma con i capelli raccolti, perdersi tra la gente tenendo la mano di un
piccolo bambino dai capelli con i riccioli d’oro, che somigliava a Bona,
sebbene fosse esile quanto una bambina, molto più piccolo della sua
accompagnatrice. Altri due bambini li seguirono, uno era un maschio e sembrava
una versione di Caterina maschile e più infantile, l’altro era una femmina,
piccola, con la zazzera scura degli sforza ed un naso adunco. Correvano tutti
insieme allegramente. E per un attimo Girolamo fu tentato di raggiungerli per
prendere la più grande, desideroso di
riavere ciò che era suo. Ma l’attesa era finita. Gabriella Gonzaga era entrata
nella sala vestita di sete pregiate, tenendosi al braccio di Corrado Fogliani,
suo marito,uno strano duo, lei era una donna alta e spigolosa, tanto lui era
basso ed in carne seguito dai figli Ludovico che teneva per il braccio sua
sorella Costanza, i figli parevano una buona mescolanza dei genitori.
“Siamo così onorati di
conoscervi” aveva detto immediatamente Corrado, un uomo semi stempiato e con
grossi baffi, vestito in modo impeccabile, come si addiceva al Marchese di
Vighizzolo. Gabriella non aveva detto nulla, si era limitata ad allungare una
mano verso di lui perché potesse baciarla con uno sguardo di sufficienza, cosa
cui con suo sommo disgusto Girolamo si era dovuto piegare a fare. “Lo stesso
per me” aveva detto al marchese prima di voltarsi verso i figli. Ludovico aveva
tentato di mantenere come sua madre un atteggiamento glaciale, ma era timorosa,
riguardo a Costanza accenno un sorriso vagamente amichevole, “Siete come vi ho
immaginato” aveva mormorato lei con sguardo vago, “Voi più bella” aveva mentito
Girolamo. Ritrattisti avevano portato i quadri della giovanissima Fogliani, ma
lui non aveva speso tempo a guardarli. E Costanza non era una bambina bella.
Non che la bellezza di una donna potesse essere misurata ad undici anni, ma sua
cugina Lucrezia era carina già da piccola.
Il Duca Galeazzo Maria aveva
ordinato che si sedessero tutti a gustarsi la cena. Gli Sforza avevano organizzato
una cena di tutto rispetto, con molte portate. A Girolamo erano parsa una più
ispida dell’altra, si era dovuto sedere accanto alla sua promessa sposa, di
fronte Carlo e Caterina, che aveva appurato poi essere i figli maggiori di Galeazzo,
illegittimi nati da una nobildonna lombarda. Mentre mangiavano il fagiano,
Costanza aveva richiamato l’attenzione alla cugina bastarda e le aveva regalato
una smorfia ironica, allorchè Caterina
aveva mandato giù un sorso di acqua senza dire nulla, ma un espressione
infastidita.
Dopo il banchetto c’era stata la
danza. Girolamo aveva dovuto danzare con la sua futura sposa, con Gabriella,
con Bona, sebbene Grunwald ne aveva voluto i diritti, ed anche Camilla.
All’ennesima giravolta, si era ritrovato palmo e palmo con la figlia
illegittima del Duca. “Cosa ne pensate di Costanza?” aveva domandato lei con
curiosità. Una ragazzina ordinaria. “Non le piace, vero?” aveva domandato
retorica, “Non piace a nessuno, neanche a Madonna Bona nonostante lo ripeta sempre”
aveva aggiunto. Girolamo aveva seguito i passi, disegnando con Caterina una
circonferenza immaginaria, “Sei sfacciata” aveva constata, “Ne sono consapevole” aveva detto
sorniona lei con una risata, “Potrei riavere i miei occhiali?” aveva chiesto Girolamo,
“Sono un uomo che non tollera essere privato
delle sue cose” aveva detto con una voce asettica, lei aveva montato un
sorriso sornione, “Non so di cosa parliate” aveva bisbigliato lei, prima di
rifugiarsi da un altro cavaliere.
Quando la cena era finita quel
maiale del Duca Sforza si offrì di scortarlo alle sue stanze, assieme a Bona
che intratteneva una conversazione piacevole con Grunwald, che pareva pendere
dalle sue labbra. “Sa Girolamo, quando il Santo Padre ha proposto un unione da
parte della nostra famiglia con il suo più caro nipote” aveva esordito
Galeazzo, “Avevo pensato di proporre la mia figlia maggiore” aveva detto
quello, “Caterina?” aveva chiesto
Girolamo confuso, avevano pensato di darle una bastarda? Di far contessa un
illegittima? Di accostare al nome del Capitano Generale della Santa Chiesa
Romana? “Il nipote di Sisto ho pensato l’avrebbe trovata più interessante” aveva ripreso il milanese,
“Caterina è quanto mai particolare” aveva ripreso quello con tranquillità, del
tutto disinteressato all’offesa che le sue precedenti parole avevano portato.
“Ma sono stato dissuaso” aveva detto
burbero il duca, lanciando uno sguardo a sua moglie pochi passi avanti, “Che il
Santo Padre interpretasse la mia offerta come un’offesa” aveva ripreso, “Così
c’era la figlia della mia cara cugina è sembrava tutto più appropriato” aveva
terminato quello. Ovvio che era più appropriata, era una marchese di sangue Gonzaga
da Mantova, sarebbe stata certamente più gradita di una bastarda lombarda.
Eppure pensò Girolamo lo stesso Santo Padre avrebbe trovato assai più
intrigante quella piccola sfacciata di Caterina, non che l’avesse presa a
schiaffi se si fosse mostrata così impudente davanti i suoi occhi. Sarebbe
stato come essere blasfema agli occhi di Dio.
“Perché Duca mi dite questo?”
aveva chiesto Girolamo, “Perché spero sempre che Gabriella si riveli una spina
nel fianco” aveva detto quello divertito, “Mia cugina può sempre essere
esasperante” aveva rivelato, non prima di guardare sua moglie, “E perché
convengo che sarebbe meglio per voi sposare una Sforza” aveva risposto lui.
Impudente grasso maiale, aveva pensato Girolamo, “Una bambina illegittima?”
aveva detto offeso, trapelante di rabbia, quasi più piccola della sposa che
avrebbe dovuto prendere, “Una Sforza” precisò Galeazzo, “Di nome e di fatto”
aveva aggiunto, poi aveva dato un lungo sguardo a sua moglie, “Più Sforza di
quanto ci sarà mai nei figli che quella Gallina mi darà” aveva aggiunto
sprezzante. Girolamo era rimasto interdetto, “Il solo propormi questo
matrimonio è un offesa, Duca” aveva sentenziato, prima di accelerare il passo
verso le sue stanze, non prima di aver richiamato il capitano delle guardie
perché si muovesse. Pingue maiale,
imprecò nella sua testa.