L’anima è piena di stelle cadenti.
| cit. Victor Hugo, “L’uomo che ride”, 1869 |
▪ ▪ ▪
—
Siamo in viaggio di piacere! In vacanza!
—
Tu sei sempre in vacanza — sottolineò Ragnor. — Sono
trent’anni che sei in vacanza!
Era
vero. Magnus non metteva su casa in un posto fisso dalla morte della sua
amante. Non la sua prima amante, ma la prima che gli era
vissuta
accanto ed era morta tra le sue braccia.
Lo stregone aveva pensato a lei abbastanza spesso da far sì che ormai non
lo ferisse parlarne,
e
il suo viso nel ricordo gli dava la sensazione dolce e distante della bellezza
delle stelle, intoccabile, irraggiungibile, ma che ogni notte brillava per i
suoi occhi.
¬
Le Cronache di Magnus Bane 1 ~ Cosa accade in Perù.
▪ ▪
▪
||
CAPITOLO UNICO ▪ il suo viso
nel ricordo gli dava la sensazione dolce e distante della bellezza delle stelle.
―
Sedeva con pacata tranquillità vicino
al letto della sua amata, Magnus. Si muoveva silenziosamente sulla sedia
foderata, bilanciando il peso da un lato all’altro del proprio corpo, cercando
di fare meno rumore possibile per non disturbarla. Le mani poggiate sulle
ginocchia e il corpo leggermente proteso in avanti, i capelli lunghi fino alle
spalle cadevano su queste arruffati e tremendamente scomposti – non era da lui,
essere così fuori posto, ma qualcosa gli impediva di trovare del tempo per sé
stesso. Sentiva solo il disperato bisogno di stare accanto a lei, e basta. Consumare quei ultimi
tempi vicino a lei.
La sentì respirare più profondamente
delle altre volte, le sue labbra si schiusero per catturare più aria di quanta
ne avesse avuto realmente bisogno e gli occhi aprirsi immediatamente dopo, come
se l’ossigeno inalato le servisse proprio per alzare le palpebre; ruotò piano
il capo verso Magnus e gli donò un tenero sorriso, muovendo le rughe e
rendendole espressive e bellissime.
«Ti sei svegliata» mormorò lui con
gentilezza, passando dalla posizione seduta a quella in ginocchio con un unico,
flebile, felino movimento. Allungò le mani e con una morsa delicata afferrò
quello dell’anziana che giaceva sul materasso da cui lui non staccava gli occhi
da giorni, ormai. Catturò la sua mano tra le proprie portandosele alle labbra,
«giusto in tempo per la cena».
Lei sorrise ancora, scuotendo piano
la testa: non aveva fame. Ma sapeva che se si fosse ostinata a non mangiare
nulla, Magnus si sarebbe arrabbiato in quel suo modo affettuoso di sempre. Così
non si sforzò di dirgli di no, ma divincolò le dita dalla sua presa gentile e
allungò le dita vecchie e stanche e tremolanti tra i capelli dello stregone,
affondandole in quelle ciocche corvine che preferiva ricordare pettinate e
legate in modo impeccabile per un ballo o una serata fuori con gi amici. La
vista le risultava sfocata da vicino, quindi non poté ammirare quei occhi
verde-oro dell’uomo con cui aveva trascorso la sua vita, l’unico che l’avesse
vista crescere davvero, ma i suoi occhi ora vagavano sul paesaggio che si
intravedeva dalle ante del balcone aperto dietro di lui, da cui entrava un
debole venticello. Riusciva a vedere le stelle, alte e brillanti.
Anche Magnus le aveva notate, mentre
poco prima passeggiava per la stanza. Qualcosa gli diceva che con il passare
degli anni non le avrebbe più viste, e non sapeva con esattezza il perché. Lo
stregone le amava davvero, perché come lui sembravano immutevoli
nel loro cambiamento: potevano dire di essere le stesse per decine di anni, eppure
lo spettacolo che offrivano non era nient’altro l’ombra di quello che erano
state e, cosa più importante, non potevano ritornare a quello che erano. Una
teoria bizzarra ma interessante, su cui aveva scaricato i propri pensieri.
La donna tossì appena, abbastanza
perché Magnus si preoccupasse e il suo viso si colorasse di malcelato terrore,
«mia cara…» mormorò appena, la voce spezzata
dall’ansia che fosse arrivato il momento, le riprese la mano affogata tra i
suoi capelli (un tocco gentile che amava) e tornò a stringerla, stavolta con
più forza, «mia cara… non sono ancora pronto…», le parole gli uscivano come lacrime, sgorgando
dalle labbra come quelle avrebbero fatto dagli occhi, ella tossì di nuovo e
Magnus sentiva la vita scivolarle via, lentamente.
«Sei sempre pronto, Magnus… per qualsiasi occasione» il mormorio era roco e
stanco, ricordava i fiori appassiti di un giardino essiccato d’estate perché
nessuno lo ha innaffiato con cura. Si sforzò di mettere a fuoco il suo bel viso
giovane come lo aveva conosciuto, mentre lui le faceva la corte in un ballo
dove ella si era recata assieme ai genitori. Magnus ricordò il loro primo ballo
assieme, la loro passeggiata in giardino e le parole che le aveva sussurrato
all’orecchio solleticandole il viso con i capelli, ricordò quando si mostrò a
lei con gi occhi da gatto e il suo commento spiritoso a riguardo («mi piacciono
i gatti, ma purtroppo mia madre non li ama come vorrei»), ricordò le notti a
raccontarle le sue paure, i suoi sogni ed i suoi ricordi legati a Batavia e ai Fratelli Silenti, aspettando che lei se ne
andasse perché è così che facevano in molti, nonostante fosse passato poco più
di un secolo dalla sua nascita.
Lei invece era rimasta,
accarezzandogli i capelli nella notte per farlo addormentare, come avrebbe
fatto una madre.
Una madre, un’amante, una figlia.
Rimase inginocchiato al suo capezzale
con la sua mano che ricambiava la stretta che egli offriva, il viso affondando
sul materasso. Cercava di rammentare il suo viso quando l’aveva conosciuta, e
poi gli anni a venire mentre la pelle invecchiava e le rughe sbocciavano come
margherite, dandole un’aria saggia e vissuta.
Rialzò lo sguardo sentendo le sue
dita più deboli attorno alla sua mano, gli occhi felini richiedevano un’urgenza
che sapeva di sale delle lacrime, si allungò a scostarle un ciuffo bianco dalla
fronte e notò che gli occhi erano chiusi, il viso pallido, il torace fermo.
Un verso strozzato gli morì tra le
labbra, affondò il viso sul materasso mentre le lacrime gli rigavano le guance
color caramello. Singhiozzava piano, cercando di non far rumore.
Era morta.
Quelle parole gli vorticavano
ferocemente nella mente assieme ai ricordi, sentiva come se delle dita gli
stessero strappando la carne dalle ossa. Continuava a piangere, l’unica cosa di
cui si sentiva capace, stringendole la mano inerme tra le sue con una forza che
non avrebbe mai usato, come se quella morsa potesse riportarla in vita, ancora
per un’ora, una sola.
E mentre sentiva il proprio cuore
essere strappato dal suo petto, le stelle brillavano in cielo, come rivolte
alla stanza. Anche loro piangevano per la morte dell’amante di Magnus.
Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»
Forse dovrei smetterla di maltrattare
Magnus.
Non ho molto da dire, in realtà.
Scrivo queste note solo per dire che
non ho assolutamente idea di chi fosse questa donna che ha amato Magnus, per
questo non le ho dato un nome né una posizione geografica (anche se penso sia
la Francia, metto le mani avanti). L’unica cosa che posso dire è che
temporalmente siamo nel 1761 circa, dato che sono passati trent’anni da quando
viene citata ne “Le cronache di Bane 1 ~ Cosa accade
in Perù” (1791).
Il titolo è una citazione di Victor
Hugo (come scritto sopra), l’ho scelto perché mi piace pensare che l’anima di
Magnus sia piena di stelle, ognuna delle quali rappresenta un suo amore durante
questi anni passati a consumare la sua eterna esistenza.
Lascio a voi il resto.
radioactive,