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Autore: aelfgifu    31/07/2013    8 recensioni
«Apro gli occhi, per quel poco che riesco, e vedo il pallone che rotola oltre la linea laterale. Un secondo dopo, alzando la testa, vedo uno sguardo azzurro come il cielo, sgranato, puntato sulla mia faccia, e una voce preoccupata e un po’ cantilenante mi parla in inglese: “I’m sorry... are you alright?”».
Il giorno in cui Stefan Levin ritrovò sé stesso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Stefan Levin, Tomeya Akai, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Come fa il ghiaccio quando s'incrina'
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La via di Damasco

Telecronista

 

Levin riceve la palla e carica il suo micidiale tiro... ribatte Ozora in scivolata, ma l’impatto è talmente violento che lo scarpino gli vola via... la palla torna ai piedi del numero dodici svedese, che tira... Akai la prende in pieno stomaco! Ah, ma la forza impressa al tiro fa sì che il pallone torni ancora verso il capitano della Svezia... ancora un Levin shot diretto contro Akai, che ferma con la spalla sinistra! Non è possibile, gentili telespettatori, il pallone torna per la terza volta sui piedi di Stefan Levin, che carica di nuovo... il tiro impatta contro il volto del numero ventitré nipponico... Akai finisce a terra! Ozora recupera il pallone e parte in contropiede! Nel frattempo Akai è steso a terra e non accenna a rialzarsi! Ozora supera Levin che non fa niente per contrastarlo... Ozora vola verso l’area avversaria!
 

Shelly

 

È trasfigurato dalla rabbia, carica, tira, colpisce il suo marcatore allo stomaco, il pallone gli torna sul piede, colpisce più forte, il giapponese stavolta prende il colpo alla spalla, l’effetto impresso al pallone lo fa ritornare ancora a Stefan che non ne vuol sapere di fermarsi, tira ancora, ancora più forte, il pallone parte come un bolide e prende il suo avversario al viso... il ragazzo va all’indietro, un fiotto di sangue schizza nell’aria.

No, no, no! Lo stai ammazzando! Fermati, per amor di Dio! Non otterrai niente così! Basta, Stefan, basta, basta, basta!!!...

 

Tsubasa

 

È impressionante la sua furia, sono a terra con una gamba intorpidita, non riesco a muovermi, e intanto lui scarica tiri a ripetizione contro Akai, è una vista raccapricciante, al terzo tiro Tomeya va giù come un sacco di stracci. La palla ora è ferma. Provo a muovere le dita dei piedi... il sangue sta ricominciando a circolare. Due movimenti e mi metto in ginocchio poi in piedi. Con uno scatto mi lancio sulla sfera, lì per lì non riesco a tenere l’equilibrio, il mio piede destro non è più calzato, ma non importa, ce la farò lo stesso.

Levin è davanti a me, immobile come una statua.

Lo trapasso da parte a parte con lo sguardo.

Non ti farò il favore di ricambiarti con la tua stessa moneta, bastardo, penso.

Gli vado incontro.

The ball is a friend, gli grido in faccia. The ball is a friend! Sto piangendo? Mi pare proprio di avere urlato tra le lacrime...

Supero Levin con una finta senza che lui provi a fermarmi, e parto verso il centrocampo.

 

Genzo

 

Tomeya è steso supino davanti alla porta, si tiene sui gomiti per non crollare definitivamente. Un rivolo di sangue gli scende lungo la guancia e gli sfregia la bocca, ha escoriazioni su tutta la faccia. Dev’essere ferito seriamente, ma se il gioco non s’interrompe non lo potranno soccorrere. Mi avvicino, lo tengo sollevato mettendogli le braccia sotto le ascelle. Gli chiedo: “Riesci a resistere, Akai? Ancora qualche minuto?” Lui accenna a un sorriso, strizza gli occhi, sembra più di là che di qua.

... l’ho fermato?”

L’hai fermato... siamo partiti in contropiede...”

Va bene, ma tu ora rientra, non distrarti... Non è nulla” e così dicendo rotola su se stesso, allunga le braccia a terra, adagia la guancia su un braccio e chiude gli occhi. Temo stia per svenire.

Alzo la testa. Levin è davanti a noi, diritto come un palo, le braccia abbandonate lungo i fianchi, lo sguardo assente; immobile, pietrificato.

 

Telecronista

 

Prosegue il contropiede del Giappone, Ozora per Aoi, la Svezia si schiera tutta in difesa... Levin non sta rientrando, è rimasto immobile al limite dell’area giapponese! La palla di nuovo a Ozora, che crossa verso Hyuga, Hyuga è di fronte alla porta svedese, Brolin su Hyuga, Hyuga salta Brolin lanciando la palla oltre la sua testa, rovesciata di Hyuga, blocca Larsson ugualmente con gioco aereo, intercetta Aoi, fermato da Fredericks! Brolin spazza via... ma attenzione, il tiro raggiunge Levin, che stoppa la palla e si gira per tirare... e non è fuorigioco, gentili telespettatori, non è fuorigioco, tra lui e il portiere c’è Akai ancora disteso a terra... la difesa giapponese sta rientrando ma non c’è più tempo... sarà un duello uno contro uno tra Levin e Wakabayashi! Il pubblico trattiene il respiro e... incredibile, gentili telespettatori, incredibile! Non crediamo ai nostri occhi... Stefan Levin ha calciato la palla in fallo laterale!

 

Genzo

 

Siamo faccia a faccia, lui palla al piede al limite dell’area, io perfettamente in posizione. Tira pure, carogna, dico mentalmente, so come fermarti. La mano sinistra mi prude, un brivido mi attraversa tutto il corpo. Chiudo le dita a pugno e poi le riapro, ripetutamente.

Akai è ancora disteso bocconi proprio nel mezzo, sulla linea dell’area piccola, vittima sacrificale dell’ossessione distruttrice di Levin.

Ed ecco che sotto i miei occhi avviene l’inverosimile.

Levin ruota di quarantacinque gradi su sé stesso, colpisce il pallone di destro e lo manda fuori.

 

Stefan

 

Akai è a terra. Tre tiri, uno più violento dell’altro, ed è riuscito a respingerli tutti, ma ora è a pezzi, io l’ho fatto a pezzi.

Sento urla di raccapriccio tutt’intorno, credo di sentire la voce di Shelly che mi grida di smetterla, di smetterla, che non otterrò niente così... non riavrò indietro quello che ho perso... sono pazzo, ora sento anche le voci...

Ozora è davanti a me con la palla al piede e una faccia da guerriero vendicatore.

Anche lui mi sta urlando qualcosa. Qualcosa che non capisco.

Un amico... Chi? Dove?

Sono paralizzato.

Ozora mi supera e non tento neanche di fermarlo. L’azione si sposta alle mie spalle ma non mi volto a guardare, il mio corpo è diventato di piombo. Il coach Hansen si sgola dalla panchina, dice “rientra, Levin, rientra”, la sua voce mi arriva come quella di Shelly, come quella di Ozora, uno sciabordio confuso di onde in lontananza, in dissolvenza.

Un amico...

Katarina...

Il mio marcatore è a terra e Wakabayashi, accanto a lui, cerca di tenerlo su.

Sono pazzo ora o lo ero prima?

Improvvisamente tutto si ferma. Il tempo smette di scorrere. Fisso il viso sfigurato di Akai, vedo la smorfia di dolore che gli attraversa la bocca, chiudo gli occhi, li riapro e non vedo più lui... la persona a terra è Katarina, ha i capelli incrostati di fango, il labbro superiore gonfio e sanguinante... mio Dio, Katarina, che fai qui, tu non sai giocare a calcio, chi è che ti ha ridotto in questo modo... qualcuno mi aiuti, non puoi essere qui!

Levin!”

Il mio nome gridato così forte mi fa sussultare. Non so come né da dove, qualcuno mi ha lanciato il pallone, automaticamente stoppo e mi ritrovo, solo, con un unico uomo a terra tra me e Wakabayashi.

Inspiro.

Espiro.

Inspiro.

Espiro.

Poi butto il pallone oltre la linea laterale.

 

Tomeya

 

Di botto, non sento più il trambusto attorno a me. Sono svenuto?

Apro gli occhi, per quel poco che riesco, e vedo il pallone che rotola oltre la linea laterale. Un secondo dopo, alzando la testa, vedo uno sguardo azzurro come il cielo, sgranato, puntato sulla mia faccia, e una voce preoccupata e un po’ cantilenante mi parla in inglese:

I’m sorry... are you alright?”

Y... yes” trovo la forza di rispondere.

Levin è davanti a me, un ginocchio posato a terra e un’espressione smarrita sul viso.

Can you stand up?” mormora.

Con un cenno di assenso, provo a mettermi in ginocchio. La testa mi scoppia, ho un dolore pazzesco al torace. Strisciando come un verme, riesco a sollevarmi. È a quel punto che Levin mi si fa accanto, mi passa un braccio attorno alla vita, e facendo leva sulle gambe riesce a mettermi in piedi.

Put your arm around my neck, you can’t stand” dice, e io faccio come mi ordina. Ha ragione, non riesco a stare in piedi. Mi abbandono contro il suo fianco e lascio che sia lui a condurmi fuori dal campo.

Lo stadio sembra impazzito.

La presa di Levin è gentile ma ferma, salda. Siamo stretti l’uno all’altro, la mia testa appoggiata alla sua spalla. Tutto il suo corpo è gentile e fermo allo stesso tempo, sembra esile, ma nel contatto lo avverto forte e rassicurante. Eppure so bene che cosa è in grado di fare questo corpo che ora mi sostiene con una premura disarmante... Il viso del mio avversario è a pochi centimetri dal mio, il viso dal bel profilo pallido, la bocca dolce, la guancia morbida, il ciuffo color del lino scompigliato dal vento. È stato sul punto di ammazzarmi e ora mi soccorre, mi porta a bordo campo dove i paramedici già aspettano con una barella e il necessario per il pronto soccorso. Wakabayashi ci segue a pochi passi di distanza, rigido come un automa e con un’aria incredula dipinta sulla faccia.

Mentre camminiamo, a un tratto io alzo la testa, Levin si gira verso di me, i nostri occhi si incontrano. Sorride appena appena, quasi imbarazzato. È inverosimile la dolcezza che leggo in tutta la sua espressione. Ha lo sguardo di un angelo.

Ancora pochi passi e un paramedico ci si fa incontro, tende le braccia per accogliermi. Senza accorgermene faccio resistenza. Non lasciarmi, vorrei dire a Levin se riuscissi a parlare. Lui avverte che mi sono rannicchiato contro il suo fianco, come se gli uomini attorno a noi fossero una minaccia, e mi rassicura stringendomi a sé per un momento ancora. Poi, con delicatezza, sfila il mio braccio dalla sua spalla, sgancia il suo braccio dalla mia vita e mi consegna allo staff medico come se fossi un vaso di porcellana incrinato. Wakabayashi è sempre accanto a noi e gli sento fare un sospiro di sollievo.

Thanks” riesco appena ad articolare. Levin spalanca gli occhi, che sembrano ingrandirsi - è il suo modo per esprimere gioia e sollievo. Alza una mano, in una specie di saluto o di augurio, e si volta per rientrare in campo.

 

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Note al testo. L'episodio è quello, celebre, che avviene durante la partita Giappone-Svezia del World Youth. Katarina non è altri che la tragicamente deceduta fidanzata di Stefan Levin, che noi normalmente conosciamo come Karen. In realtà la ragazza si chiama Katarina di nome e Karen di cognome; ma, poiché i giapponesi usano apostrofare le persone per cognome, nel manga compare costantemente come Karen.

Disclaimer. I diritti sui personaggi e la storia di Captain Tsubasa appartengono al maestro Yoichi Takahashi e alle case editrici che la pubblicano nei rispettivi paesi.

  
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