Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Ricorda la storia  |      
Autore: FinnAndTera    31/07/2013    2 recensioni
[What if...?]
E se, alla fine di tutto, l'esercito avesse affidato il potere nelle mani del Parlamento e tutti i soldati che avevano preso parte alla guerra di Ishval fossero stati condannati a morte per crimini di guerra?
Dalla storia:
Sembrava essere passata un’eternità da quando li avevano arrestati in massa, mentre invece erano passati appena tre giorni.
Il Colonnello Roy Mustang, dal giorno dell’arresto, non aveva parlato molto – l’unica cose che aveva detto era stata la parola “Giustizia” -, preferendo restare seduto immobile sul pezzo di branda che gli spettava. Non poteva vedere cosa stesse accadendo lì intorno, ma l’udito, il puzzo di sudore e l’esperienza gli avevano procurato qualche idea.
[leggero OOC]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note d'autrice:quando Riza parla a Ed di Ishval viene accennata la possibilità di un nuovo governo e della condanna a morte per crimini di guerra per i vari soldati che presero parte allo sterminio di Ishval. Dunque, questa è una What if...? che prende in considerazione questa eventualità. Ho scelto però di rappresentare una democrazia che condanna a morte senza il consenso del popolo, dunque una democrazia distorta, che mira solo a distruggere quell'istitutzione che per troppo tempo aveva detenuto il potere. Ci tengo a precisare che questa non è quel tipo di democrazia che invece si presenta alla fine dell'anime del 2003, quella bella, pucciosa e pacifica, ma esattamente l'opposto, un "finto governo". Nella fanfiction Mustang è cieco e Havoc non ha riacquistato l'uso delle gambe a causa dell'arresto e dunque l'impossibilità di usare la pietra filosofale. Probabile che io sia sfociata nell'OOC, ma spero vivamente di no. Bene, dopo tutti questi bla bla bla penso di potermi ritirare. Giuro sul mio procione che la prossima volta scriverò qualcosa di più allegro.
 

Democrazia sanguinaria
 
 
 
Nessuno ricordava di aver mai visto le celle delle prigioni di Central City così gremite di persone; migliaia di criminali si accalcavano in pochi metri quadrati di spazio e purtroppo ne sarebbero arrivati molti altri ancora da ogni parte di Amestris. Il giorno prima un’enorme quantità di nuovi prigionieri provenienti da East City aveva occupato le celle dell’ala ovest della prigione, svuotate quello stesso giorno dalla forca esposta in piazza.
Le guardie delle prigioni – ragazzini travestiti da soldati – marciavano avanti e indietro imponendo il silenzio sventolando il manganello, ma si vedeva lontano un miglio che neanche loro sapevano cosa fare: le loro espressioni mentre zittivano un ufficiale di comando molto più anziano di loro trasudavano insicurezza e perplessità, quasi a dire “Che autorità ho io per ordinare qualcosa a questo uomo che fino a poco tempo fa era considerato un eroe?”
Quella era stata più o meno la reazione di tutti i civili – o almeno quelli a cui la guerra non aveva portato ingenti danni e fiumi di sangue – che si ritrovarono improvvisamente con un nuovo tipo di governo che non sapevano ancora gestire, l’esercito dimezzato e una verità scottante fra le mani: tutti i loro punti di riferimento, coloro che i bambini ammiravano con occhi spalancati, non erano altro che criminali.
Uno degli agenti stava contando i prigionieri uno ad uno, segnando una crocetta sulla lista procurata dal governo accanto al nome degli identificati. Data la dura educazione da soldato, nessuno si sottraeva a quella pratica così inusuale e questo aiutava anche a capire quali soldati mancavano all’appello e dovevano ancora essere arrestati.
«Maggiore Sandor Acros».
Il Maggiore - per quanto poté – fece un passo avanti, accennando un gesto di assenso.
Nonostante l’attuale stato giudiziario, nessuno dei detenuti si era spogliato completamente della propria carica: quasi tutti indossavano la divisa e venivano sempre chiamati per nome, cognome e grado di appartenenza. Dopotutto il loro titolo era anche il loro maggiore reato.
«Sergente John Adams».
A quel richiamo nessuno rispose.
«Sergente John Adams!»
«Il Sergente John Adams è morto» disse una voce proveniente dalla cella numero quarantasei: un uomo scarno e stanco, coi capelli rosso fuoco e le occhiaie violacee sotto gli occhi castani pieni di paura e dolore. «Si suicidò sette mesi dopo il ritorno da Ishval, nella camera che divideva con il fratello».
La guardia tremò appena, poi continuò l’appello senza aggiungere altro, un po’ mortificato dell’errore commesso da coloro che avevano stilato la lista. Di sicuro non si erano accertati che tutti i nomi scritti appartenessero ancora a qualcuno di vivo, ma avevano semplicemente dato l’ordine di arrestare tutti i soldati partecipanti agli stermini di confine. Chissà quante altre volte quella guardia avrebbe dovuto sentirsi fuori luogo.
«Tenente Joseph Adams».
L’uomo che aveva parlato poco prima fece un passo avanti, accennando un gesto di assenso.
 
♣♣♣
 
 
Sembrava essere passata un’eternità da quando li avevano arrestati in massa, mentre invece erano passati appena tre giorni.
Il Colonnello Roy Mustang, dal giorno dell’arresto, non aveva parlato molto – l’unica cose che aveva detto era stata la parola “Giustizia?” -, preferendo restare seduto immobile sul pezzo di branda che gli spettava. Non poteva vedere cosa stesse accadendo lì intorno, ma l’udito, il puzzo di sudore e l’esperienza gli avevano procurato qualche idea.
«Non vedo l’ora che tutto questo finisca» affermò la voce del Dottor Marcoh non troppo distante da lui. Il suo non era un pensiero spaventato né tanto meno speranzoso – il creatore della pietra filosofale di Ishval non poteva di certo sperare in una semplice condanna a tempo indeterminato o addirittura in un’amnistia -, ma era un pensiero del tutto sincero. Non era stato mai più lo stesso da quando aveva fatto ritorno da quel posto e sapeva che la morte era l’unica alternativa alla costante agonia che provava, anche se aiutare altra gente aveva aiutato lui ad alleggerirne il peso. Aveva pensato molte volte di risolvere la questione come il Sergente John Adams, ma in fondo al cuore sentiva che non era giusto farlo in quel modo. Era il governo a dover agire, la gente doveva sapere cosa lui e i suoi colleghi erano stati capaci di fare.
«Già» confermò il Tenente Hawkeye, sporgendosi un po’ verso le sbarre per prendere aria.
«Credete che io possa cavarmela con una condanna a venti anni?» domandò il Sottotenente che divideva la cella insieme a loro, preoccupato. «Dopotutto io non ho ucciso così tanta gente come voi».
Mustang alzò la testa e, pur non potendo vedere l’espressione ottusa sul viso del compagno, sapeva di trovarsi davanti ad uno degli uomini più spregevoli del pianeta. Dei furbi si deve aver paura, ma degli stupidi ancor di più.
«Spero proprio di no» gli rispose, ritornando poi al suo silenzio imposto.
«E anche se te la cavassi con venti anni, stai ben certo che tu, così piccolo e pieno di te, non sopravvivresti a lungo in una cella. Non so se lo sai, ma i criminali odiano i soldati» aggiunse Riza scandendo bene ogni parola e assicurandosi che quel cretino capisse il suo discorso, spinta da un moto di rabbia scaturito dalla leggerezza con cui il Sottotenente sminuiva la vita umana «E odiano ancora di più i criminali che si spacciano per soldati».
«Allora odiano anche te, signorina tiratrice scelta».
Riza appoggiò la testa al muro, ignorando l’ultimo commento del Sottotenente, quando un nome attirò la sua attenzione.
«Avete sentito del Maggiore Alex Louis Armstrong?»
«Non dirmi che l’hanno risparmiato! Era un alchimista, ha anche più colpa di noi».
Le voci erano quelle di due Sergenti della cella affianco, un uomo e una donna che da quando erano in quel posto non avevano fatto altro che giurare sulla loro vita di non aver mai voluto uccidere nessuno, erano colpevoli e non lo negavano, ma si erano resi conto di aver sbagliato ed avevano passato tutta la loro vita a cercare di rimediare, come se fossero gli unici pentiti lì in mezzo. La cosa più patetica erano i loro tentativi di giustificare la loro inattività con il senso di colpa. “Non siamo mai riusciti a salire di grado, questo dovrebbe farvi pensare a come ci siamo opposti al vecchio regime!” gridavano alle guardie sperando di ammorbidirli. “Guardate l’uomo seduto lì, invece, così giovane e già Tenente Colonnello. Lui è un vero assassino, pensateci!”.
«Lo hanno condannato all’ergastolo, ma non alla pena di morte» continuò la donna. «L’hanno risparmiato perché fu uno di quei soldati che tornarono prima, ricordi?»
«Sì, certo che mi ricordo. Chi l’avrebbe mai detto? Alla fine la sua vigliaccheria l’ha salvato. Uscirà presto, ha anche la famiglia ricca. Che dannata fortuna, peccato che io non porti il cognome degli Armstrong».
Riza smise di origliare, non riuscendo più a sopportare quelle voci. La gente sparava sentenze anche quando si trovava in carcere, era davvero una cosa buffa se vista dall’esterno. Ma lei, purtroppo, ci era dentro, immersa fino al collo e più, e tutto quello sembrava solo assurdo e sbagliato. Rise, sperando anche lei che tutto potesse finire al più presto.
“Il Maggiore accetterà la sua condanna e morirà nella sua cella come un uomo onesto fino al midollo”, fu il pensiero comune che non trovò nessuno sbocco da cui poter uscire.
 
♣♣♣
 
 
Le aule del tribunale mettevano soggezione solo a guardarle, persino da fuori: erano spaziose e pulitissime, le pareti completamente bianche e i pavimenti neri, segno che la giustizia non sempre era candida e facile da accettare, ma a volte dimostrava di essere violenta e apparentemente inaccettabile. Il bancone della giuria – quel giorno vuoto, dato il processo per direttissima – era in legno e posizionato sulla destra, mentre il bancone del giudice circondato ai lati da quelli per i testimoni era molto più in alto del previsto. “Ricorda con chi ti sei messo contro”, sembrava minacciare.
Dopo aver giurato di dire il vero, solamente il vero e nient’altro che il vero, gli imputati vennero condotti al centro dell’aula, mentre il giudice li fissava con sguardo truce. Se non fossero stati soldati così forti ed eroici probabilmente si sarebbero messi a piangere, sentendosi come pulcini indifesi condannati al macello.
Ma loro erano soldati forti ed eroici e affrontavano le loro colpe a testa alta.
Dopo varie domande perfettamente inutili da fare e l’ultimo “no” del Colonnello in risposta alla domanda neanche conclusa del giudice, si passò al verdetto.
«Dichiaro gli imputati colpevoli».
Un colpo di martelletto sancì la fine della causa.
«La condanna sarà effettuata a data da stabilirsi».
«E questa la chiamate giustizia?».
Edward Elric si alzò dal suo posto, liberandosi dalle mani di suo fratello che cercava di trattenerlo con le lacrime agli occhi.
«Il Colonnello Roy Mustang e i suoi sottoposti, come altri soldati condannati, hanno aiutato questo governo a nascere, hanno salvato il paese!» gridò l’ex Alchimista di Acciaio, puntando l’indice sui giudici presenti. «Ripagare il sangue con il sangue, è questo che volete? Dopo tutto quello che è successo non avete capito che non è questa la soluzione più adatta?»
Sapevano tutti che Edward Elric aveva ragione, ma ormai non si poteva più tornare indietro.
«Portate il signor Elric fuori dall’aula: qui si pratica giustizia, non bontà d’animo».
 
♣♣♣
 
 
Ogni condannato aveva diritto a due visite prima dell’esecuzione; in realtà il limite di due era stato imposto solo ai criminali di guerra per ragioni pratiche. Erano diventati troppi e troppe visite avrebbero portato il caos.
«Tenente Colonnello Roy Mustang, ci sono visite per lei».
Mustang si alzò dalla branda e, sbandando un po’, fu condotto nell’ala delle visite.
«Potete levarmele queste?» chiese ad una delle guardie riferendosi alle manette.
«Non possiamo, mi dispiace. Motivi di sicurezza».
«A quanto pare hanno paura che lei si metta a fare il barbecue con i loro lunghissimi manganelli».
Il pesante odore di fumo arrivò alle narici di Mustang, rendendo inconfondibile la voce appartenente al suo visitatore. Sorrise. Nonostante tutto, i suoi sottoposti avevano deciso di mandare lui come portavoce.
«È felice di rivedermi, Colonnello?»
«Brucio dalla felicità».
«Dovrebbero condannarlo a morte più spesso, diventa più spiritoso in questi frangenti».
Mustang cercò di trovare sollievo muovendo i polsi, mentre pensava che la visita di Havoc sarebbe stata davvero l’ultima occasione di farsi una sana risata.
«Come stanno gli altri?» domandò, sinceramente interessato.
«Oh, benone. Dopo che siamo riusciti a convincere il governo che noi con quel cattivone di Roy Mustang che ha salvato il culo a tutti non c’entravamo proprio niente – tentativo fallito mi hanno detto, forse ci siamo messi poco d’impegno data la mancanza di un capo ligio al dovere come lei al comando -, abbiamo deciso di lasciare l’esercito, tranne Falman che si è trasferito a Briggs, dove il mondo sembra ancora onesto. Chiamalo scemo, con quel donnone della Armstrong! Io sono sempre in azienda, una vita noiosissima, ma almeno c’è una cliente molto carina che viene ogni mercoledì. Fury e Breda invece si sono dati al volontariato e sono partiti per Ishval».
Mustang sospirò, pensando che da quel momento in poi forse i suoi amici non si sarebbero più rivisti, troppo occupati ad evitare i ricordi.
«Immagini la scena: un ex Sergente con gli occhiali e un apparecchio strano fra le mani che indica ai bambini del posto delle rovine bruciate dicendo “Ehi, sapete che io ho conosciuto l’uomo che ha fatto quello? Ha cotto a puntino un paio dei vostri nonni, ma ha salvato anche le vostre mamme, ma al governo le nonne stavano più simpatiche e allora BOOM, fu lui a scoppiare"».
Roy scoppiò a ridere portandosi una mano sulla fronte mentre l’altra scivolava a mantenersi la pancia. Jean si unì alla risata, offrendo un po’ di fumo all’amico.
«Ah, ho dimenticato Edward. Sta bene, è tornato al suo paesino e vive normalmente».
«Se lo merita, in fondo».
«Già».
Havoc si passò una mano fra i capelli, gesto che compieva solo quando era esasperato.
«Tu…tu verrai?» gli chiese poi Mustang fumando il resto della sigaretta quasi allo scocco del tempo limite.
«Sì, verrò. Resterò immobile fra la folla a guardarla negli occhi, promesso».
«Tempo scaduto. Deve entrare l’altra visitatrice».
Havoc disse addio a Roy in modo molto leggero, sapeva che il Colonnello non ne avrebbe sopportato uno più triste del dovuto: ci aveva sempre tenuto ai suoi sottoposti e sapere della loro amarezza di certo non avrebbe reso le cose più belle e melodrammatiche. Già il cappio al collo era una morte molto poetica per lui, anche se il rogo sarebbe stato molto più divertente. Uscì ridendo, borbottando un “Ah, le fans di Roy Mustang! Se vengono a trovarlo anche qui finiranno per soffocarlo!”
Pochi minuti dopo un profumo di vaniglia e shampoo al melone distrasse il Colonnello dai suoi ultimi pensieri.
«Ciao, Roy».
Non se lo aspettava. Forse doveva, ma no, non lo aveva neanche lontanamente immaginato. Gracia Hughes poggiò una mano sulle sue, sfiorandolo in una carezza quasi materna.
«Ciao» le rispose lui, non riuscendo a nascondere la sorpresa. «Come…?»
«Avevo bisogno di vederti perché in fondo sono un’egoista. Dovevo ritrovare i miei valori». Gracia ritirò la mano, come se fosse stata punta da un animale velenosissimo.
«Quando è iniziato tutto questo non sapevo come reagire, se essere sollevata perché mio marito ha avuto un funerale degno del suo nome, con tanti amici al suo fianco evitando tutta questa farsa, oppure essere triste perché la sua morte è stata vana».
«Non è stata inutile. Abbiamo ucciso tutti gli homunculus, coloro che lui aveva scoperto prima di noi».
Faceva male parlare di Maes. Chissà, forse se quelle voci nelle chiese erano vere, avrebbe potuto rincontrarlo. Consolazioni da disperati, lui a quelle cose non ci aveva e non avrebbe mai creduto.
«Lui è morto per garantire al paese qualcosa di meglio».
«Ed è successo».
«Lui è morto per vedere te difendere tutti noi» gli disse Gracia non riuscendo più a trattenere le lacrime. «Ecco perché è morto. Perché si fidava del futuro».
«Io ci credo ancora, nel futuro» disse Roy dopo qualche minuto di silenzio. «Non nel mio, ma nel vostro. Abbiamo combattuto tanto per un governo democratico e dovete avere fiducia in questo. Se un giorno dovesse cambiare, vi toccherà di nuovo lottare».
La guardia si stava avvicinando quando Gracia si alzò con un sorriso tirato. «Non hanno chiesto nulla al popolo prima di condannarvi. Mi dispiace dirlo così brutalmente, ma avete fallito anche voi. Questa non è democrazia».
Il Colonnello Roy Mustang sperava seriamente che quella donna si sbagliasse.
Era diventato cieco durante quell’impresa, e cieco aveva intenzione di concluderla.
 
♣♣♣
 
 
«Tenente Riza Hawkeye, ci sono visite. Anche per il Dottor Marcoh».
Mentre Mustang si risistemava nel suo angolo di branda – era diventata ancora più piccola o si sbagliava? – Riza e Marcoh seguirono la guardia, chiedendosi chi sarebbe venuto per loro.
«Winry?»
Il Tenente si sedette composta, i capelli legati come sempre dietro la nuca e le mani sul tavolo bene in vista.
«Ciao» la salutò la ragazza sorridendole. «Ho portato un po’ di torta di mele».
«Grazie mille Winry, ma non credo che potremmo mai mangiarla».
Un scarica di dolore attraversò il petto di Winry. «Neanche per un’ultima volta?»
Riza prese il cestino e lo spostò con entrambe le mani legate dalle manette. Si voltò verso la ragazza, indovinando i suoi pensieri.
«Nel momento in cui abbiamo affidato il governo nelle mani dell’Assemblea sapevamo a cosa andavamo incontro. L’abbiamo fatto perché è giusto così. Abbiamo riscattato una parte dei nostri peccati, e va bene».
«Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrate?» le chiese Winry a bruciapelo. «Mi avevi detto che ti eri arruolata per proteggere una persona. All’epoca non capii molto della dinamica dei soldati, sapevo solo che i miei genitori avevano perso la vita ad Ishval e per una parte era colpa dell’esercito, ma quando ti sentii pronunciare quelle parole cominciai a provare una sorta di fiducia in quell’istituzione».
Winry puntò i suoi occhi in quelli di Riza, imprimendoli nella memoria. «È vero che poi la mia fiducia è caduta nel momento in cui il Comandante Supremo si è scoperto essere l’artefice di tutto, ma è grazie a te che ho continuato a credere in quello che faceva Ed. Nell’esercito c’erano anche brave persone, a dispetto di ogni sentenza. Per questo la settimana scorsa sono andata a trovare anche il Maggiore Armstrong, accompagnando sua sorella Catherine. Siete brave persone, ricordatevelo. Sempre».
Sul viso di Riza fiorì un sorriso bellissimo, un sorriso sentito ed emozionato. Scaduto il tempo, Winry si diresse verso la porta di uscita, ma all’ultimo si fermò.
«Edward mi ha detto di dirvi che gli dispiace. Voleva andare a trovare il Colonnello, ma la signora Hughes ha insistito per presentarsi al suo posto».
«Lo sappiamo. Non preoccupatevi».
Il visitatore di dopo risultò essere Rebecca che, come suo solito, per non aggravare la situazione e non apparire debole davanti all’amica iniziò un discorso lunghissimo senza capo né coda, cominciando dal ricordare come si erano trovate, quanti fidanzati avevano avuto e raccontando tutte cose futili che alleggerivano la mente di entrambe.
«Mi mancherai, Riza Hawkeye».
«Anche tu, Rebecca. Anche tu».
Finito il tempo delle visie, Riza e il Dottor Marcoh, che aveva incontrato con sua grande sorpresa la piccola Mei Chang, si ritirarono nelle loro celle, aspettando il domani.
Il loro ultimo domani.
 
♣♣♣
 
 
 
Quella mattina tante persone erano accorse ad assistere alla condanna del Colonnello e molti di loro, senza saperne esattamente il motivo, piangevano a dirotto. L’Assemblea aveva usato la scusa dell’essere testimone per guardare con i propri occhi l’uomo che gli aveva dato il potere - e dunque anche loro rivale – morire definitivamente, insieme a buona parte dell’esercito che aveva imposto una dittatura per così tanto tempo. Ora, finalmente, le cose erano cambiate.
E Allora perché il popolo non sembrava esserne entusiasta?
«Pronta?» sussurrò Roy Mustang alla sua spalla destra.
«Pronta» rispose lei, sbarrando gli occhi. La paura era inevitabile.
La botola si aprì sotto ai loro piedi, lasciandoli cadere a peso morto; i corpi oscillavano, le gambe si scuotevano, i visi si contorcevano per la disperata ricerca di aria, finché non fu tutto finito. Un urlo di disapprovazione uscì dalla gola di qualcuno e questo fu rispettivamente l’immagine e il suono con cui Riza Hawkeye e Roy Mustang lasciarono il loro servizio.
Era tutto finito.
O almeno così l’Assemblea credeva.

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: FinnAndTera