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Autore: nikolorien    01/08/2013    1 recensioni
Ciao a tutti! Questa storia all'inizio doveva essere una storiella senza capo né coda che doveva coinvolgere i primi due oggetti che una mia amica aveva scelto a caso... come avete potuto evincere, questa storia parla di un violoncello, una pipa e, questo non lo potevate evincere, due uomini legati dal destino.
Genere: Fantasy, Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C'erano una volta una pipa ed un violoncello.


C’era una volta un violoncello. Il suo nome era semplice: Cello. Cello era stato costruito da un famoso liutaio in un paese della Germania del nord. I violoncelli Heinz Geppetto, infatti, erano molto richiesti in tutta Europa, se non in tutto il mondo, se non in tutto il cosmo. Era Cello un bellissimo strumento: aveva la pancia piena e rotonda, un collo liscio ed affusolato, ed una testa con un ricciolo a forma di fiore, con dei bellissimi piroli in acero scurissimi. Era di colore marrone scuro, con la vernice un poco sbiadita ai bordi, che faceva intravedere il colore giallo del legno. Legno che non era un qualsiasi legno. Heinz Geppello, infatti, si era curato personalmente di andarlo a prelevare dai profondi meandri della foresta nera, un luogo dove si dice abbiano avuto luogo tutte le storie che leggiamo da piccoli, da Cappuccetto Rosso fino ad Hansel e Gretel. Ne va, naturalmente, che Cello fosse un violoncello incantato, in grado di narrare colle sue profonde note qualsiasi favola, fiaba o racconto.
Cello rimase nella bottega di Heinz per moltissimo tempo: il liutaio, che lo amava come fosse un figlio, lo lucidava ogni giorno, gli cambiava spessissimo le corde, gli sistemava il ponticello in modo che non lasciasse troppi segni… insomma, lo amava proprio! Un giorno Geppello si ammalò, e, sapendo di avere ancora poco tempo, scrisse nel proprio testamento che tutti gli strumenti del negozio fossero lasciati in dono ai bambini senza famiglia, come un tempo era stato per lui, in modo che con la musica e con la fantasia riempissero le proprie vite.
Tuttavia, quando giunse l’ora di Heinz Geppello, i due sciocchi e crudeli figli bruciarono il testamento ignorando le richieste del padre, e venderono tutto ciò che la liuteria conteneva ai migliori offerenti. Di Cello si persero le tracce.
 
In un tempo di cui poco sappiamo, a Cuba vi era un dittatore. Da buon cubano, ogni sera mentre controllava le carte nel suo studio non poteva fare a meno di stringere tra le sue labbra una pipa, che disegnava nell’aria ghirigori di denso fumo. Ma questa pipa, come potete immaginare, non era una pipa qualsiasi. Era una pipa molto elegante, fatta di un legno che veniva da lontano, dipinta con una vernice color mogano. Si chiamava Consuelo, ma naturalmente il crudele dittatore non era a conoscenza del suo valore e delle sue magnifiche qualità.
Avvenne che Cuba fu sottoposta all’ennesimo embargo da parte degli Stati Uniti d’America, molto più severo dei precedenti, tanto che persino l’esportazione di qualsiasi bene era categoricamente vietata e punita.
Il dittatore, che era un codardo, fuggì. Lasciò la preziosa Consuelo incustodita, nel paese in piena guerra civile. La casa del despota fu bombardata; per miracolo, la bella pipa ne uscì salva, solo un po’ rovinata dall’ingente mole di libri e mobili che le era caduta addosso.
Restò così per qualche giorno, fino a che dei commercianti senza scrupoli non la prelevarono, vendendola a collezionisti esteri che, tra una cosa e l’altra, la persero.
 
Dopo questi avvenimenti, tra le strade di New York, girovagava un giovane squattrinato. Era arrivato nella città direttamente dal New Jersey, in cerca di fortuna, ma non gli era andata proprio bene.
Aveva occhi azzurri e vivaci, un cappotto troppo grande per lui, ed indossava un basco che gli copriva i folti capelli scuri arruffati. Anche se non aveva molti soldi, si preoccupava sempre del prossimo: lasciava ogni volta che passava una moneta nei cappelli degli artisti di strada, od un tozzo di pane ai poveri mendicanti, nonostante il suo stomaco fosse irrimediabilmente vuoto ed il portafogli troppo leggero.
Harris, così si chiamava il giovane, era un musicista polistrumentista: suonava un sacco di cose! Spaziava del pianoforte all’armonica, dal flauto traverso alla fisarmonica. Tuttavia, il suo strumento preferito era da sempre uno solo: il violoncello. Quando trovò in un negozio dell’usato del Bronx un violoncello ad una cifra più che allettante, non esitò a spendere quei pochi soldi che aveva per comprarlo. Era un vecchio strumento: era fatto di un misterioso legno giallo che a prima vista non sembrava molto pregiato,  pareva che la vernice si fosse sbiadita col tempo, e le corde in budello erano molto consumate. Insomma, sembrava ne avesse passate tante. Nonostante fosse in condizioni pietose, quando Harris lo suonò per la prima volta, rimase estasiato: sembrava proprio che con la sua suadente voce raccontasse storie antiche, dimenticate da tutti, patrimonio di una popolazione.
Quella stessa notte si esibì nel solito locale, alla solita ora, per la solita misera paga davanti alla solita gente. Ma al tavolo dell’ultima fila c’era una faccia nuova, ed Harris la notò subito. Era un uomo sulla quarantina, con una barbetta ben curata e lucidi e profondi occhi scuri, uno sguardo interessante fuori dal comune, ed indossava un vecchio e logoro completo giacca e cravatta.
Era uno scrittore, uno di quelli che hanno dedicato la loro vita alle parole, uno di quelli che compongono nel buio dei loro appartamenti circondati da un alone di fumo e tante, troppe, tazze di caffè vuote. Anche quella sera stava fumando la sua pipa; niente di strano direte voi. Tuttavia quando Harris fece vibrare la prima nota della serata, e quando Hugo, questo era il nome dello scrittore incompreso, fece fluttuare il primo sbuffo dalla sua gialla pipa, avvenne qualcosa di magico. Il fumo danzava nell’aria come danzavano le dita dell’artista sullo strumento, come fosse una cosa sola con la musica, alimentato dai fumosi respiri lenti e costanti dello scrittore, ed iniziò a rappresentare nell’aria, trafitto dall’unico fioco raggio di luce della stanza, la storia di due uomini, la storia di un unico destino. La pipa ed il violoncello raccontarono di come un giovane uomo, che viveva per dare un senso alle note, ed un deluso scrittore, che veniva al mondo ogni volta che una parola prendeva forma su un foglio bianco, si fossero trovati la stessa sera nello stesso squallido locale, senza avere a prima vista nulla in comune, in realtà in comune avendo tutto.
Harris e Hugo si guardarono e, nella penombra della stanza, si sorrisero.
  
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