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Autore: Mary15389    01/08/2013    0 recensioni
I cambiamenti tendono a destabilizzare e, a volte, prima di ripartire è necessario fare un passo indietro, eliminare ogni dubbio, respirare e...andare avanti.
Dal trasferimento di JJ al Pentagono, l'intera squadra della BAU ha avvertito il vuoto lasciato dalla liaison dei media. In particolare Nicole Liardi, che in lei aveva trovato un'amica al suo arrivo in quella squadra.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jennifer JJ Jareau, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Spoilers:Episodio 6x02 - JJ
Disclaimer: I personaggi (tranne quelli introdotti da me) non mi appartengono, sono di Jeff Davis. Criminal minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
Note: Storia scritta un bel po' di tempo fa, in pieno blocco, per cercare una sorta di liberazione. E dovevo assolutamente ripartire da questo punto.
 

Must go on


Perché aveva scelto di vestirsi in quel modo? Continuava a porgersi la stessa domanda in quella sala d’attesa vuota dove era chiusa già da troppo tempo. Aveva provato a sedersi, ma gli scossoni violenti e veloci della sua gamba che si agitava l’avevano spinta ad alzarsi e a camminare invece avanti e indietro per la stanza, così tanto che le facevano male i piedi per quei tacchi così alti.
Perché aveva scelto di vestirsi in quel modo? Si domandò ancora una volta dentro di sé, vedendo il suo riflesso contro uno stretto specchio decorativo posto contro una delle pareti. Il tailleur non era il suo abbigliamento preferito, non l’avrebbe mai preso in considerazione prima di approdare a quel lavoro, ma poi aveva capito che per certe occasioni era decisamente necessario. E questa era una di quelle.
Finì di accarezzarsi le curve racchiuse in quella gonna grigia in coordinato con la giacca dalla quale pendeva il cartellino con la sua fototessera e il suo nome, preceduto da quelle tre lettere che ormai la definivano: SSA, Agente Speciale Supervisore. Solo che questa volta erano seguite dalla dicitura ‘Visitatore’.
Sollevò una mano fino a sfiorare la plastica lucida del badge, ricordando quando poco tempo prima gliel’avevano consegnato all’ingresso, facendole lasciare sotto custodia la pistola d’ordinanza. Lì era semplicemente un’ospite e non poteva tenerla con sé, per ragioni di massima sicurezza.
Aveva quindi attraversato il grande parcheggio, scortata da alcuni ufficiali, fino a raggiungere la bassa ma immensa struttura, dove le sarebbe toccato passare per cinque anelli di cinta, che l’avrebbero introdotta al giardino al centro del quale si trovava l’edificio principale.
Poi ricordava solo le quattro mura di quella stanza di cui aveva tracciato il perimetro infinite volte.
Era nervosa, non poteva negarlo. Continuava ad accarezzarsi la gonna e stritolarsi le mani l’una contro l’altra quando non le impegnava in altro, forzandosi di calmarsi. Ma invano.
Lo spostamento d’aria e il rumore della porta che si apriva la fecero sobbalzare e voltare verso l’uomo che si affacciò, «Agente Liardi, può andare.» comunicò professionalmente, spingendosi in avanti del tutto insieme al battente, mentre con l’altra mano si reggeva allo stipite.
La donna si sentì mancare il fiato per un attimo. Socchiuse gli occhi, quindi svuotò i polmoni prima di regalare loro nuovo ossigeno. Una mano spostò una ciocca di capelli, incastratasi nei grandi orecchini a cerchio che indossava, mentre l’altra afferrava la borsa abbandonata su una sedia. Continuava a ripetersi che era pronta, seppure non ne fosse del tutto convinta.
 
Almeno per l’ultimo tratto del suo percorso le fu concesso di stare da sola, così che poté lasciarsi divorare dai suoi pensieri pressanti. Non aveva preso un appuntamento, non aveva neanche una reale ragione professionale per essere lì. Solo un bisogno umano e personale.
Infine si trovò faccia a faccia con il legno scuro, alzando lo sguardo fino al cartellino con quel nome. Il cuore accelerò i suoi battiti, mentre le dita si contraevano contro la borsa. Regolarizzò ancora una volta il respiro, mentre una mano timida e tremante abbandonava la stoffa e andava a bussare con decisione. Non poteva più tirarsi indietro.
Attese quasi in apnea fin quando una voce delicata risuonò da dietro la porta, invitandola ad entrare, quindi la mano ancora vibrante si spostò dal battente al freddo metallo della maniglia, che abbassò con decisione, allontanandola da sé, così da rivelare alla sua vista l’interno dell’ufficio.
Sollevò gli occhi con timidezza, incontrando una sagoma di spalle impegnata in una telefonata che dal tono sembrava parecchio formale. Fece qualche passo avanti, spostando lo sguardo sulle pareti beige, interrotte da librerie in mogano scuro.
Si morse il labbro inferiore richiudendo silenziosamente la porta dietro di sé, non riuscendo più a trattenere un dolce sorriso, a tratti malinconico. Si rimise dritta, in attesa e inclinò il capo quando vide quella figura voltarsi verso di lei e mutare espressione quando i loro occhi si incrociarono. Quelle iridi blu mostravano sorpresa e gioia, la stessa che subito dopo sentì scoppiare all’interno del suo cuore.
Con qualche ultima professionale frase la donna concluse la telefonata, riponendo la cornetta e risollevando la testa verso la giovane che era timidamente in piedi accanto alla porta, intenta a trattenere qualche lacrima, quindi si mosse girando attorno alla scrivania e dopo qualche istante si ritrovarono l’una tra le braccia dell’altra.
«Nicole...» mormorò la bionda stringendola con calore e oscillando lentamente, mentre le dita si arpionavano alla sua schiena.
La giovane si lasciò stringere, restituendo forza a quella presa e rendendosi conto che contro il pianto non avrebbe vinto: le lacrime le stavano già solcando le guance con un lieve pizzicore.
Con qualche titubanza reciproca, si allontanarono l’una dall’altra e Liardi sollevò una mano al viso per asciugarlo, non smettendo di sorridere nel vedere gli occhi azzurri dell’amica velarsi di un commosso rossore. «Non sapevo che saresti venuta.» disse l’ex liaison della BAU, rompendo quel silenzio e facendole cenno di accomodarsi con lei sul divanetto in fondo alla sala.
«Non sarebbe stata una sorpresa.» rispose lei con voce rotta dall’emozione, mentre accettava di sedersi subito seguita da Jennifer che si sistemò proprio accanto a lei. «Complimenti per l’ufficio.» aggiunse poi sollevando una mano ad indicare l’ambiente che le circondava. «Decisamente un salto di qualità.»
«Di cui avrei fatto a meno pur di restare con voi.» proseguì JJ prendendo una mano della ex collega tra le sue. «Come stai?» mostrò l’ennesimo sorriso su quel viso sereno e rilassato. Non vedeva l’amica da tanto tempo e ancora ripensava a come non le avesse potuto dare un adeguato saluto quando era stata costretta a lasciare Quantico.
Il calore di quella presa riscaldò il cuore di Nicole, i cui occhi si illuminarono mentre si accingeva a rispondere, «Va tutto bene, nel complesso, ma sento terribilmente la tua mancanza: passo nel corridoio con la voglia di offrirti il caffè e poi vedo la stanza vuota.»
«Non avete ancora trovato nessuno?»
«Sai che non potrebbe sostituirti nessuno e in ogni caso non vogliamo, Hotch è stato chiaro: cercheremo di riportarti indietro.» con la mano libera spostò una ciocca di capelli portandola dietro l’orecchio e inumidendosi le labbra.
«Ma guardati un po’!» esclamò l’ex agente portando l’attenzione sull’abbigliamento di Nicole, come a non volersi soffermare troppo su quell’ultima frase per non soffrire maggiormente. «Una versione di te inedita.» continuò nel constatare che indossava abiti che raramente le aveva visto usare.
«Sono al Dipartimento della Difesa, al Pentagono! Ho pensato che servisse un abbigliamento adatto.» ammiccò scherzosamente indicandosi con la mano libera. «Ma non ti nego che sarei voluta venire in jeans e stivali.» confessò poi abbassando la voce e sporgendosi verso di lei.
JJ rise per la sua reazione, lasciando con attenzione la mano della ex collega e rimettendosi in piedi, «Ti offro qualcosa.» stabilì indirizzandosi verso un piccolo mobiletto che aprì rivelando un mini bar.
«Beh...di certo non possiamo competere con questo.» osservò Liardi in riferimento al livello di efficienza di quello studio, spalancando gli occhi. «Comunque accetto volentieri quel caffè...» lasciò in sospeso alzandosi a sua volta e tirando verso il basso la gonna lungo i fianchi.
Jareau la guardò abbozzando un sorriso, «Stai benissimo comunque.» le disse interpretando quel gesto come il senso di imbarazzo che provava in quei vestiti con i quali non si sentiva a suo agio.
«Grazie.» rispose Nicole smettendo di sistemarsi e raggiungendo l’amica. «Prima o poi mi ci abituerò. Spero..»
L’espressione tenera lasciò il volto della donna, «Come stanno...gli altri?» continuò JJ con qualche esitazione, non certa di volersi addentrare in quello che era sicuramente un campo minato per i suoi sentimenti, abbassando gli occhi e concentrandosi così sulla preparazione della bevanda nella speranza di farsi coinvolgere meno.
Liardi si inumidì le labbra, raggiungendo da dietro la donna che aveva smesso di guardarla, non capace di sostenere quello sguardo. «Vanno avanti. Penelope ha tentato di prendere le tue mansioni, ma non ha retto la pressione del dover svolgere due lavori, quindi ci alterniamo un po’ tutti tra la presentazioni dei casi, le conferenze stampa e l’accoglienza con le famiglie delle vittime.»
«Garcia è proprio una persona speciale.» commentò l’altra rinunciando alla possibilità di non commuoversi ma forzandosi a tenere bassi gli occhi, come se questo rendesse la sua tristezza meno evidente.
«Lo siete tutti, dal primo all’ultimo.» sospirò Nicole continuando senza quasi controllarsi in quel flusso di pensieri che vennero fuori ad alta voce e spontaneamente. «Non ti perdonerò mai per essertene andata così.»
«Nemmeno io...» sussurrò la bionda alzando finalmente lo sguardo e sospirando ma ricomponendosi subito dopo, «...e Spence come sta?» lasciò la macchina a preparare la moka, voltandosi definitivamente a guardare l’ex collega.
La ragazza inclinò la testa, fissandola, «Ha smesso di ripetere che ‘non possono portarti via’, ma ogni tanto si imbambola a guardare il tuo vecchio ufficio.» confessò con tenerezza nella voce, portando le mani a giocherellare con il ciondolo della collana che indossava.
Jennifer aveva paura, una terribile paura che lasciarsi andare, farsi sopraffare dalle miriadi di emozioni che si muovevano dentro di lei, avrebbe significato raccogliere immediatamente le sue cose e tornare indietro, sfidando apertamente la Strauss, il Pentagono e chiunque si fosse messo in mezzo. La sua mano si sollevò ad accarezzare il braccio della figura che aveva di fronte, «Ha bisogno di sapere che c’è ancora qualcuno accanto a lui, qualcuno su cui può contare.» le disse con un tenero sorriso.
La federale sorrise a sua volta cogliendo più di quello che l’amica avesse voluto dire con quella frase. «Henry come sta?» domandò poi mentre l’altra si voltava a recuperare le due tazze fumanti pronte.
«Attenta, scotta.» le disse porgendole il recipiente che Nicole afferrò con cura. «Lui è contento di vedermi di più, fa meno i capricci, non posso negarlo.» si abbandonò a prendere un profondo sorso di caffè, ricominciando subito dopo. «Il lavoro non è male, ho incarichi abbastanza importanti e sono orgogliosa che mi sia data questa fiducia. Trasferirei tutti voi qui, allora si che sarebbe perfetto.» rispose ad una domanda che non le era stata formulata direttamente.
Anche Liardi si rilassò a bere, lasciando che il silenzio si insinuasse negli angoli vuoti intorno a loro. Era un silenzio confortante, sicuro e carico di tepore, non imbarazzato. Anche se la conversazione procedeva a singhiozzi e attraverso parole nascoste e velate, sapevano bene cosa stesse succedendo, conoscevano i fragili confini che le loro emozioni avevano e distruggerli avrebbe significato peggiorare la situazione. Solo trattenendosi potevano tutelarsi e cercare di sopravvivere in una realtà che aveva deciso di mettersi in mezzo, distruggendo i solidi e perfetti equilibri che si erano creati, reinventandoli.
Lo squillo di un cellulare interruppe quel flusso di emozioni e Nicole allontanò una mano dalla ceramica per prendere l’apparecchio nella tasca della giacca. Lesse l’identificativo del chiamante e si scusò con una smorfia delle labbra rivolta a Jennifer. «Spencer, dimmi.» esordì rispondendo, concentrandosi poi nell’ascoltare quello che aveva da dirle il ragazzo, «Arrivo subito, datemi mezz’ora per la strada.» concluse chiudendo la comunicazione e rattristandosi in viso.
«Conosco benissimo la situazione, la creavo io prima.» cercò di ironizzare la bionda agitando una mano di fronte a sé.
«Non sapevano che ero qui.» confessò timidamente Liardi, «Io...avevo semplicemente voglia e necessità di vederti. E sono venuta, senza rifletterci più di tanto.»
Gli occhi della donna si velarono di un nuovo pianto, «Pregherò il tuo istinto di spingerti a farlo più spesso.» rise con gli occhi lucidi.
Nicole si alzò in piedi, restituendo alla bionda la tazza ormai vuota e avviandosi a raccogliere le sue cose, fermandosi poi imbarazzata ad attendere che la ex collega tornasse verso di lei. «So dove trovarti.» minacciò bonariamente allargando le braccia pronta a dispensare un altro abbraccio. «Non ti libererai facilmente di me.»
L’agente dei Dipartimento della Difesa sorrise, commossa, stringendola di nuovo a sé. «Saluta tutti mi raccomando.» la pregò, incapace di lasciarla andare via.
La mora si allontanò, distendendo le braccia con le mani ancora ferme sulle spalle dell’amica e scosse il capo in senso affermativo. Sapeva che se non si fosse costretta ad andar via in quel momento, probabilmente non ci sarebbe mai riuscita. E un nuovo caso la attendeva a Quantico.
Non si dissero altro, mentre, continuando a guardarsi e sorridersi, Liardi procedeva lentamente all’indietro verso la porta, che aprì superandola e voltandosi, imboccando a testa bassa il corridoio al termine del quale avrebbe trovato qualche ufficiale pronto a scortarla nuovamente, stavolta verso l’esterno.
Non si girò neppure per un momento, non ne ebbe il coraggio, cercando di mantenere ogni singola emozione provata in quel breve incontro stretta a lei e ricacciando indietro lacrime e tristezza, che però vinsero ancora una volta la battaglia.
Le mancava quella donna, le mancava il punto di riferimento che era stata nella sua esperienza alla BAU e non solo. Ma la vita doveva andare avanti. Per il bene di tutti.
  
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