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Autore: Alcolic_    01/08/2013    1 recensioni
[...] mentre strappava l'ultimo petalo della sua margherita ascoltava la favoletta di Seth, stregata.
Era incredibile come un ignorantello vagabondo sapesse cavarsela bene con le parole.
«D'improvviso, l'Incantatore aprì gli occhi. Corrucciò la fronte, e, stringendo i denti, allungò le braccia in modo tanto brutale che il pubblico ebbe un sussulto, anche se in realtà non aveva tirato nessun filo! Un altro gesto. Poi abbassò la testa, consapevole: aveva strappato i fili della sua finta marionetta. La donna barcollò. I suoi occhi si spensero. Cadde a terra senza far rumore, e il pubblico tacque. L'Incantatore se ne andò. Tutti si coprirono gli occhi, spaventati.
"nessuno fa niente?" Si sentiva dire. Era caduta da venti metri di altezza»,
«Era morta»? chiese Lilith, più incuriosita che preoccupata. Seth le sorrise senza perdere la pazienza: prima o poi avrebbe capito.
«Aspetta. Il presentatore tornò a passo tranquillo, e si soffermò a guardare la donna, a terra. Sorrise.
"nononono, gente, non scappate! Come promesso, è tutta un'illusione..." Prese per la mano bianca la donna che si tirò in piedi con un balzo veloce. Fece un'inchino.
Ingenuo, il pubblico prima si portò le mani alla bocca, esterrefatto; poi cominciò ad applaudire».
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: Incest
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AVVISO: CHIEDO VENIA per aver cambiato e ricambiato completamente questi capitoli un milione di volte, ma prometto che questa è la definitiva xD L'onestissima realtà è che avevo fatto un inizio pessimo, e mi è sembrato il caso di migliorarlo un po', quindi spero che mi perdonerete xD
 


 
 
Prologo.
M.
Un tempestoso giorno d'inverno, forse un lunedì.
L'ultima volta che ti scriverò, Marshal.
 
Guardo fuori dalla finestra, e per vizio abbasso gli occhiali che mi premono sulla gobba del naso. Ho sempre pensato che con parte del reddito accumulato in questi anni di corte mi sarei fatto costruire come prima cosa un nuovo setto nasale, dritto e regolare, perché ho sempre odiato i nasi grandi, con le narici aperte.
"Interessante", lo definiva mio nonno.
"Hai un naso interessante".
 Così come i miei capelli, allora lunghi e folti, "non erano male", e il mio insieme risultava essere "un tipo".
Non si sbilanciavano mai coi complimenti, i miei, ma non avevano neanche di che lamentarsi. "Sei un bravo ragazzo" biasciavano ogni tanto. "Proprio un bravo ragazzo". Beh, era il massimo che riuscissero a fare, e io l'apprezzavo. Apprezzavo loro e tutti i loro sforzi per farmi fare una vita decorosa e il più felice possibile.
A modo loro, ci sono riusciti: sono diventato grande in un clima di realista tranquillità, consapevole dei miei difetti ma anche dei miei pregi, anche se sono stato tutta la vita uno di quegli uomini che mia zia definiva "senza pepe" o"mollicci", laboriosi e buoni, ma docili e poco interessanti.                                           
Strizzo gli occhi cercando qualcosa in quell'orizzonte brullo che mi si para davanti uguale ogni santo giorno.      
E' nero, troppo nero.
Dopo vent'anni e oltre sul Nemmeck dovrei essermene fatto una ragione; ma a volte, quando non mi occupo dei pazienti,  ripenso alla luce del mio quartiere, il sette, della Landa di Fuoco, e mi viene una gran voglia di mandare al diavolo questo posto da sorci e di tornarci. Se solo fosse così semplice! A questo buio spettrale, non riesco proprio a farci l'abitudine.
Non ci si abitua mai.
Sposto lo sguardo cercando di non pensarci troppo, perché quando lavori per il male e "non hai pepe" è meglio non essere troppo emotivi, ma resto ugualmente accanto alla finestra, nel corridoio, perché fuori fa freddo, e la mia camera è più scura del resto del castello.
Le scale davanti a me, quelle che sprofondano nell'atrio, sono bagnate e cominciano a puzzare.
Sanno di legno che marcisce.
Dovrebbero dire ai Guinee di fare qualcosa, per quelle scale penso. Invece di farli giocare a far le guardie davanti all'ingresso.
Chi sperano che entri? Quale pazzo pensano che possa azzardarsi ad entrare? Il castello è come un labirinto infernale. Le mura sono pullulanti di creature che i Preparatori hanno plasmato con la loro magia e che il Sire ha stregato e posizionato tra le fila dei suoi eserciti, e nella prima torre oltre alle mura vivono asserragliati i soldati dell'Arena, sempre con le spade sguainate e pronti a difendere il loro sovrano.
Il castello è inespugnabile.
Estraggo un panno rosso dal taschino del gilet, per ripulire il vetro degli occhiali appannati dal freddo, quando un grido dietro la porta accanto alla finestra fa vibrare le intercapedini, e squarcia il silenzio.
Syrinx si sente male.
Non so se supererà il parto.
Entro nella stanza. Il cuore non mi batte così forte dall'ultima maratona fatta agli Istituti del mio quartiere, quando avevo sangue pulsante nelle vene e tanta giovane energia, e questo mi preoccupa. In fondo sono un medico,  ed avendo visto morire decine di pazienti, questa volta non dovrebbe essere diverso. Ma forse, neanche alla morte ci si abitua, soprattutto se sei "molliccio".
Mi avvicino e tiro giù le coperte in cui la donna è avvolta.
Ha perso ancora molto sangue, ma sta bene.
Sento che ora è più tranquilla, e cerco di rassicurarla scostandole i capelli appiccicati al viso sudato, e accarezzandole una guancia.
Si calma.
I suoi occhi sono rimasti intatti.
Pieni di odio, ma intatti.
 Anche lei non si è abituata al buio.
La mia Syrinx.
Mi guarda stravolta, schiudendo le labbra scure, sfinite da un perenne tremolio.
«Oh, Mani di Fata. »dice.  Credo che mi abbia sempre chiamato così, dalla prima volta che l'ho vista, ma non mi dispiace. E' un nomignolo carino, penso. E anche lei è carina. No, lei è bella, bella come l'arcobaleno che squarcia il cielo quando piove e il sole che spunta quando finisce la tempesta.
Accenno un sorriso, stringendole forte una mano.
«E' quasi finita, vero?»mi chiede.
«Un paio d'ore. Un paio d'ore e avrai con te il tuo bel bambino!»
Gira la testa dall'altra parte, in un'espressione che non mi piace. Stringo più forte la sua mano, sperando che la possa aiutare a cambiare i cattivi pensieri che in questo momento le staranno frullando nella testa.
Accenna un sorrisetto d'insufficienza, rivolgendosi alla finestra attaccata al letto.
«Cosa vedi, Mani di Fata?» mi chiede con un tono di sarcasmo.
Deglutisco.
«Non molto, a dire il vero. E' un po' buio al momento. »
Al momento.  Al momento. Solo dopo mi rendo conto della stupidaggine che ho detto, e mi viene da sorridere.
Ma il mio sorriso è triste come quel buio.
La donna chiude gli occhi e ricambia il sorriso.
«Esatto. La chiamano semplicemente "Tenebra", Mani di Fata, e non si cancella. E' più nera della pece, e sarà la prima cosa che vedrà mio figlio.»
Non posso rispondere o controbattere, perché quello che dice è drammaticamente vero.
«Non so se sai....» fa una pausa. Penso che non osi continuare a parlare, Syrinx non è una a cui piace sfogarsi, lamentarsi di tutto il male che le cade addosso. Ma forse ha capito che non ne avrà più l'occasione. Che è la fine, per davvero. «...Come ci si stente. A fare un figlio sapendo che dovrà vivere in questo e posto e diventare una macchina da guerra. E che non vedrà la luce, mai. E avrà gli occhi dei Nemmeckiani.»
Alzo i miei occhiali.
«Non li avrà, Syrinx.»
«Certamente li avrà.»Dice rassegnata.
Ogni parola che aggiunge, sono un po' più certo che non se la caverà.
Non sarà il parto a ucciderla, ma la depressione.
Il desiderio di morte.
Poi riapre gli occhi. Quegli occhi ancora vivi e glaciali. I suoi occhi verdi. E dice una cosa, una cosa che non avrei mai voluto sentire. Cerco di sfuggire a quella cosa, a quelle parole, ma non posso.
«Mani di fata»  accenna in un fil di voce, tirandomi verso le sue labbra, con le ultime forze che ha. 
Le appoggia contro il mio orecchio, e sussurra la sua ultima volontà.
«Nel caso non ce la facessi...»
«Ce la farai» controbatto, alzando lievemente la voce.
Ma non ce la farà, e lei lo sa.
Non si lascia illudere dalle mie parole.
«...Porta via il mio bambino. Portalo al quartiere Due della tua Landa, lì dove sono nata, e crescilo.»
Sento contro la pelle il calore di una sua lacrima e il mio cuore si ferma. Brucia come se fosse una fiamma ardente. E il mio cuore, il mio povero cuore, batte altrettanto pericolosamente.  «Crescilo come se fossi il padre.»
Ma non lo sono.
Il Sire è il padre.
Il Sire non lo permetterebbe mai. Mi farebbe cercare dal suo esercito di Guinee e mi ucciderebbe, a meno che non vada alla Grande Rosa, dove sarei intoccabile. Sì, intoccabile, ma per quanto ancora? Quanto resisterà ancora il Conciglio alla minaccia del male? E poi lo stile di vita nella Rosa, in mezzo ai maghi, i Consiglieri dei maghi e gli alchimisti , costa. E anche se il mio stipendio è più che sufficiente per una vita agiata nel quartiere Due o Sette, nella Grande Rosa non basterebbe nemmeno per sopravvivere a una giornata.
So di non poterlo fare, ma prometto.
«Si, Syrinx. Mi prendo cura io del tuo bambino. Mi prendo cura io del tuo bambino...» dico cancellando una lacrima dal suo viso.
Non so come fare.
Ma voglio convincermi che magari, prima o poi potrò farlo.
Che in qualche modo, riuscirò a mantenere la promessa.
 
  
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