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Autore: Be Only One    02/08/2013    1 recensioni
" La vita non è che un'ombra in cammino; un povero attore, che s'agita e che si pavoneggia per un'ora sul palcoscenico e del quale poi non si sa più nulla. E' un racconto narrato da un idiota, pieno di strepito e di furore, e senza alcun significato "
                                                                                   -William Shakespeare-
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Il sole all'alba
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
<< La vita non è che un'ombra in cammino; un povero attore, che s'agita e che si pavoneggia per un'ora sul palcoscenico e del quale poi non si sa più nulla. E' un racconto narrato da un idiota, pieno di strepito e di furore, e senza alcun significato >>
                                                                                   -William Shakespeare-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                        A mio fratello, Mirko.
 
 
 
 
 
 
 
 
1.
Aprii gli occhi.
La prima cosa che vidi fu il mio profumo, Chanel n 5, ancora aperto sul comodino. L'aria era, ormai intrisa del suo profumo. Mi rigirai lentamente e mi guardai intorno. La luce del sole, ancora neonato, entrava dalla finestra spalancata e illuminava il letto beige. I mobili erano raffinati e moderni. La stanza era ampia e luminosa. Mi rigirai nel letto ancora intontita e mi sorpresi di non sentirmi cadere. Il mio letto non era così grosso.
Quella non era camera mia. Panico.
Dove mi trovavo?
Guardai meglio la stanza.
Era una stanza circolare, con un letto enorme beige. Aveva le delle piastrelle a terra bianche ed un grosso lampadario che pendeva dal soffitto grigio. Le pareti grige scure si aprivano verso un piccolo balcone che si sporgeva verso il centro di Milano.
Guardai il mio corpo sul letto, indossavo una camicia da uomo azzurra e vicino ai miei piedi c'era un biglietto. Mi alzai lentamente e lo lessi sperando che mi desse qualche risposta:
Spero che la notte sia andata bene. Scusa ma sono dovuto scappare per lavoro, fai pure come se fossi a casa tua. Ciao.
Notai con particolare interesse una scrivania posta alla mia sinistra su cui giacevano diversi libri ne lessi i titoli : Cime Tempestose, Amore e Psiche, Ragione e Sentimento...
' Oddio', pensai 'mi sono ritrovata un rincoglionito romantico che legge classici. '
Provai a ricordarmi della notte, ma il mio unico ricordo era di una macchina, una Porshe gialla, poi più nulla.
Un buco.
Dove ero finita? Lentamente mi alzai dal letto. La testa mi faceva ancora un po' male. Mi guardai allo specchio. I miei capelli castano chiari erano sciolti e ricadevano leggeri sulle spalle e avevo gli occhi azzurri un po' chiusi per tutta la luce di quel mattino. Mi diressi in bagno quasi strisciando per la stanchezza. La casa era ben ordinata e sobria, ma io non mi ricordavo nemmeno il nome del proprietario. Mi svestii ed entrai dentro la doccia.
Sentivo ancora il mio alito, vodka mischiato a gin lemon e forse un po' di whisky. Barcollavo anche nella doccia. Aprii l'acqua che mi travolse il corpo facendomi tirare un sospiro di sollievo. Mentre mi insaponavo i capelli pensai a come arrivare a casa e cosa avrei potuto raccontare ai miei genitori adesso. Uscii dalla doccia mi lavai i denti con uno spazzolino non mio e sempre con l'asciugamano avvolto addosso andai in cucina.
Lasciai delle impronte di piedi per tutto il parquet del corridoio. Arrivata in cucina, notai con dispiacere che era piuttosto piccola.
Aprii tutti gli sportelli fino a trovare la Nutella. Era un po vecchia e nascosta nell'angolino più remoto dell'armadietto. Probabilmente cercava di mantenere una linea perfetta, ma a me non importava, presi due o tre cucchiaiate e poi lasciando la Nutella e il cucchiaino ancora sporco sul tavolo andai in camera. Poi velocemente mi vestii e uscii da quella casa che già mi annoiava troppo.
Mi chiusi il portoncino alle spalle e iniziai a scendere le scale. A metà scale mi ritrovai una vecchietta con i capelli bianchi che mi squadrò dall'alto al basso. Io tirai dritto, ma lei non si fece sfuggire l'occasione e con voce leggera mi chiese
<< E' lei la nuova ragazza dell'Alessio ? >>.
' Ma chi è sto Alessio? ora scusi ma devo ritornarmene a casa' ecco cosa le avrei voluto rispondere, ma invece tirai fuori un raggiante sorriso e risposi:
<< No sono sua sorella, piacere Alice >>.
La vecchia strabuzzo gli occhi.
<< Non mi aveva mai detto di avere una sorella >>.
E ora cosa le dicevo?
<< E invece eccomi qui, probabilmente non le ha mai parlato di me perché sono la sua sorellastra, mia madre si è risposata con mio padre dopo il suo e sa lui ci sta ancora cosi male che non ne parla molto volentieri>>.
Feci una faccia sconsolata.
<< Ah allora lo saluti da parte mia e buona giornata >>.
<< Senz'altro e buona giornata a lei >> le risposi cercando di trattenere il sorriso che mi stava già spuntando sulle labbra.
Uscii dal portone principale e mi ritrovai all'aria aperta.
Il vento fresco mi travolse come una burrasca gelata, ma piacevole. Ispirai l'aria fino a non avere più spazio nei polmoni ed iniziai a camminare a vuoto per le strade di Milano. Quando mi resi conto che casa mia era a pochi isolati da qui decisi di andarci a piedi. I passanti camminavano velocemente con l'aria monotona del lunedì mattina.
Era estate e molte famiglie erano in vacanza magari li scocciava il dover essere rimasti in questa grigia città. Un paio di ciclisti si girarono a guardarmi, mi ero messa a canticchiare. Mi sentivo stranamente leggera ed allegra. Troppo presto arrivai al portoncino di casa mia. Suonai incerta.
Al citofono non mi rispose nessuno, mi aprirono semplicemente. Sapevano che ero io. Salii le scale controvoglia, mi immaginavo già la scenata che mi aspettava superata la soglia. Spinsi leggermente la porta.
Giorgia, mia sorella, era li. Appoggiata al muro mi guardava come se stesse aspettando una spiegazione. Giorgia era una bella ragazza aveva 19 anni ed era alta e snella solo un po' di pancetta che avevo notato quando si faceva la doccia. Ora aveva i capelli rossi legati in una coda e gli occhi marroni cioccolato che sembrava mi lanciassero uno sguardo accusatore erano stanchi e circondati da pesanti occhiaie. Non aveva dormito mi aveva aspettato. Lei non mi capiva. Non riusciva a comprendere il perché io fossi così. Del resto non lo sapevo neppure io.
Lei era migliore di me lo sapevo benissimo. Era responsabile e, matura, educata, curata. In pratica il contrario di me.
<< Dove sei stata questa notte Elis ? >> mi chiese quasi con un tono disperato. Mi chiamano tutti così. Elis è la pronuncia del mio nome in inglese. Odio quando mi guarda così. Mi fa sentire malissimo.
<< Scusa Gio è stata una nottata tremenda e giuro che non ho bevuto >> cercai di improvvisare una bugia, ma ovviamente lei mi conosceva troppo bene per credere in una cretinata del genere.
<< E tu pensi ancora che io me la beva? >> mi chiese quasi ridendo.
<< Almeno ci ho provato. Mamma e papà? >> risposi con sincerità.
<< Stai tranquilla ti ho coperto io. Questa mattina quando si sono svegliati li ho detto che eri andata a comprare il giornale non credo che ci abbiano creduto, però >> rispose sedendosi sulla poltrona in salotto.
<< Poco originale. E adesso dove sono? >> chiesi sedendomi anche io sul divano.
<< Stanno ancora dormendo >> rispose lei semplicemente accendendo la televisione.
Cambiò circa dieci canali poi si girò verso di me e con lo sguardo fisso mi disse:
<< La devi smettere, Elis, hai 24 anni e non puoi continuare a non fare niente e ad ubriacarti fradicia la sera e dormire ogni notte con uno sconosciuto diverso. Devi crescere. Odio dirtelo perché sai quando ti voglio bene, ma è la verità. >> .
In quel momento mi sentii sprofondare, volevo sparire, come era umiliante sentire questo discorso da tua sorella minore di cinque anni e dover ammettere che aveva ragione.
Guardai la sua pelle chiara come il latte
<< Lo so, Gio, hai ragione, mi dispiace >>.
Finsi di guardare il telegiornale, ma intanto stavo ripensando a quella notte.
Io e le mie amiche eravamo andate in un pub, stasera basta alcolici, ci eravamo dette.
Era un piccolo posticino in periferia di Milano. Ordinammo un Martini e poi una birra e infine io per strafare vodka alla pesca con ghiaccio, il mio preferito. Mi ricordo solo che ad un certo punto ragazzi che non conoscevo si unirono a noi, io ero ubriaca ridevo, parlavo e bevevo. Poi uno di loro mi prese in disparte ,era bello e simpatico e mi portò su una Porshe gialla canarino. Ricordo che ero rimasta colpita da quella macchina, era favolosa. Poi un buco nero, non mi ricordo più nulla. Un rumore mi distrasse dai miei pensieri veniva dal piano di sopra.
<< Si sono svegliati >> mi bisbiglia Giorgia.
Dopo pochi minuti vidi i miei genitori scendere dalle scale ancora addormentati.
Mia madre, Rosa, portava bene i suoi cinquanta anni, era bassotta ed era un pò tonda, ma neanche troppo per dire che fosse grasso, aveva dei capelli rossi corti e degli occhi azzurri che mi ricordavano i miei, ora indossava una vestaglia da notte grigia e le mie pantofole.
Mio padre, invece dopo di lei, si chiamava Enrico , era molto diverso da lei. Era alto e magro e aveva un viso severo. I capelli ormai grigi, erano ribelli e neanche il gel riusciva a tenerli a posto. I suoi occhi erano neri come la pece e quando ti guardava non riuscivi a distinguere la pupilla dal resto dell'occhio non capendo mai cosa fissava. Ora aveva una canottiera bianca e dei pantaloncini blu.
Mia madre mi sorride. <>.
<< Auguri mamma >> dice Giorgia, quasi subito. Oddio mi ero dimenticata, aspetta oggi che giorno è il 20 ? No è il 22...Quindi è davvero il suo compleanno!
<< Si auguri.. >> dico io tra la vergogna e l'imbarazzo.
<< Grazie ragazze >> ci sorrise lei solare come sempre.
<< Allora io vado in camera mia >> dissi in fretta mangiandomi le parole e salii due scalini alla volta.
Entrai nella mia stanza e spalancai la finestra.
Il sole entrò dalla finestra e mi fece bruciare gli occhi. Aprii l'armadio e presi un paio di jeans e una canottiera. Mi cambiai e dopo mi sedetti sul letto. La mia stanza era arancione, io ho sempre odiato quel colore e infatti tutte le cose che avevo comprato dopo e di mia volontà le avevo prese di un colore diverso.
La mia stanza era disordinatissima. Avevo libri sparpagliati per terra, io adoravo leggere. Sulle pareti c'erano ogni tipo di fotografie, io e la mia ex migliore amica, Emily.
Emily. Distolsi in fretta lo sguardo da quella fotografia.
Io, mia madre e mia sorella...
Io amavo mia sorella, come una madre, una amica, una cugina, una compagna. Non avevamo mai avuto problemi io e lei non litigavamo mai. Mi ricordo che quando io avevo sei anni e lei uno mi cercava sempre e una delle prime parole che imparo fu Ali.
<< E' pronto >> sentii mia madre urlare dalla cucina.
<< Arrivo >> urlai di rimando.
Scesi le scale in fretta e mi diressi in cucina. C'era un buon profumo di pasta appena cotta e di pesce.
Aveva fatto gli spaghetti con le vongole. La tavola era ben preparata con la tovaglia migliore capii che era perché era una giornata speciale. Il compleanno di mia madre. Mio padre e mia sorella erano a tavola e parlavano di lavoro, di scuola, di quei discorsi seri che solo loro due riuscivano ad affrontare. Mi sedetti sull'unica sedia libera.
Mi sentivo un intrusa in quella famiglia perfetta, il puntino nero su un foglio bianco, la mela marcia del cestino. Mia madre arrivò e ci diede una porzione di pasta a ciascuno poi si sedette e disse rivolgendosi a me:
<< Ali, oggi è il mio compleanno e vorrei che stasera alla mia festa ci fossi anche tu e... >>.
<< Deve venire >> la interruppe mio padre lanciandomi uno sguardo trovo.
<< Enrico, ti prego >> lo ammonì mia madre.
<< Comunque la festa inizia alle 10 qui a casa e ci terrei che venissi >>.
<< Ci sarò >> dissi quasi strozzandomi con uno spaghetto. Sentivo lo sguardo di mio padre sulla testa. I discorsi allegri della mia famiglia non riuscivo a sentirli pensavo di essere diventata sorda vedevo la loro bocca muoversi, ma non sentivo nulla.
Loro ridevano e io no, io non li capivo. Mi veniva la nausea.
<< Scusate io devo andare >> borbottai e con la pasta ancora nel piatto uscii.
Ero stufa di tutti e di tutto. Uscii per la strada ed incominciai a correre. Ero stufa di essere me stessa, della mia famiglia, della mia casa, della mia città, della mia vita .
 
 
 
 Angolo Autrice:

 
Cosa ne pensate? Era una storia che avevo scritto molto tempo fa, ma che ho pensato di pubblicare. L'ho scritta tre anni fa, mamma mia quanto tempo.. Scrivete una recensione e fatemi sapere come la trovate ;)
Alla prossima. Ciao 
  
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