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Autore: Sennar1927    02/08/2013    0 recensioni
Un sogno ricorrente di un ragazzo innamorato. E' uno stile nuovo che provo, colloquiale, ispirato a "Il Giovane Holdien" di J. D. Salinger.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C'è un sogno ricorrente nelle mie notti. Non è proprio un sogno, in realtà, di quelli che sembrano la sceneggiatura di un film. E' più un immagine, fissa e in movimento al tempo insieme. Una sorta di clip. C'è questa casa, che sa tanto di patetico a raccontare... bhe in realtà un po' tutto il sogno è un po' patetico, dopo. Ma vi assicuro che mentre sono lì io... io... insomma, c'è questa casa. Una bella casa, di quelle un po' classiche, sapete? Il muro pittato di bianco, il tetto con le tegole rosse, un po' spiovente, che da' a pensare alla presenza di una mansardina. Un giardino, tutto davanti, con l'erba corta, quasi a livello della strada, di un verde chiaro... insomma, verde. E poi il vialetto, anche quello è bianco, ma non riesco mai a vederlo bene. E c'è anche la cassetta delle poste, di quelle che si vedono nei film americani, col paletto e la scatoletta che si apre davanti per il postino e dietro per i proprietari. Ed è strano, perché non c'è sempre, e se c'è una volta è rossa, quella dopo blu, come se si alternassero, come se avessero dei turni. Come se si dessero il cambio.
Ed io scendo dalla macchina, o meglio sento di essere sceso dalla macchina, ma non lo vedo mai che lo faccio, vi ho detto, è solo un immagine fugace. Però credo sia una di quelle macchine sportive, basse e veloci, di un nero acceso e i vetri oscurati. Credo anche abbia la chiusura centralizzata, perché in mano ho ancora le chiavi e il dito è sul bottone.
Nell'altra mano invece ho una cartella, non so come è fatta, credo o in pelle o in tela, comunque o nera o marroncina. Mio nonno aveva una cartella marroncina in pelle. Faceva il professore, decisamente un brav'uomo. Che possa riposare in pace.
Credo sia in uno di questi due tipi perché anche io voglio fare il professore, magari ho fatto successo pubblicando libri o con una qualche teoria filosofica, per questo ho tutte quelle comodità nella vita. Quindi volendo essere un professore e volendo bene a mio nonno (ed essendo anche un tale nostalgico, lo ammetto) potrei aver comprato la stessa cartellina, o comunque una molto simile. Sarebbe un gesto carino, mi sentirei come di mandare avanti la tradizione (anche se, in definitiva, non è una tradizione di famiglia fare l'insegnante... più che altro quasi nessuno da ambo i ceppi ha completato gli studi, o comunque sono veramente rari casi). L'altra versione della valigia la vedo bene perché si sa, ci sta bene il nero con un vestito elegante. Ah, perché è così che sono vestito. Una camicia bianca, classica, ma non direi da cerimonia, o almeno credo; pantaloni neri, senza strisce o altre cose da completo; una giacca, anch'essa nera, chiusa da due bottoni del medesimo bottone all'altezza dell'addome; un bell'orologio al polso, argentato col quadrante blu.
Io non lo so bene che aspetto ho, ma sembro sproporzionatamente GRANDE. Ho delle spalle enormi, braccia troppo grandi. Credo sia per darmi la sensazione di essere più protettivo... ora capirete, ci sto arrivando.
E quindi c'è questa scena, che a ricordarla così mi verrebbe da piazzarci il suono, tipo uccellini che cinguettano, e vento tra le foglie, vento che magari me lo sento anche addosso. E ci sono io che in pratica, o così credo, sto per avviarmi per il vialetto, dato che sto sul marciapiede (anche quello è bianco, e non ci sono recinzioni attorno al cortile, è come una casa anglosassone, tutto aperto), ma succede che la porta si apre e c'è questa bambina. E' piuttosto bassa, avrà si e no 4 anni. Ha i capelli biondo cenere, lunghi, gli occhi celesti/grigi e un vestitino bianco, e mi corre incontro. Sento che è mia figlia, sento il bisogno di abbracciarla, di proteggerla appunto. E la stringo a me, quasi piango a ripensarci. E' una cosa che mi scuote molto la mattina, tant'è che sul bus per scuola o alle prime ore di lezione continuo a pensarci e sento come un tremolio lungo la schiena.
Comunque il sogno non è finito qui, dura un altro paio di secondi. Mentre l'abbraccio, la bacio e lei grida felice "Papà, papà!", sul ciglio della porta si affaccia una ragazza, avrà circa 26 anni, sento che mi è coetanea (sì, è impossibile che a 26 anni io sia riuscito a laurearmi, passare i concorsi ed aver già avuto successo economico, ma suvvia, è un sogno!). Sorride e in mano tiene una tazza di thé. Deve essere molto calda, anzi so che è molto calda. Ha un felpone grigio addosso, con la tasca davanti che comunica, quelle che d'inverso sono una goduria perché stai lì a crogiolarti al caldo delle tue mani e al riparo per la tasca. Ha i capelli spettinati, tutti in confusione, uguali a quelli di mia figlia: biondo cenere. E anche gli occhi sono gli stessi! Grandi occhi color cielo con lunghe ciglia nere. Oh, non è tutto questo spettacolo, ma in quel momento mi pare bellissima, sento che la amo. E vorrei andare verso di lei, mentre la bambina grida "Mamma, mamma, è tornato papà dal lavoro! E' tornato a casa!", e baciarla sulle labbra. E poi, mettendole un braccio intorno alla vita, tenendo con l'altro nostra figlia in braccio, condurla in casa. E vivere la nostra vita, tutti e tre assieme felici.
Non siete i primi a cui racconto questo sogno, c'è stata un'altra persona prima di voi, una ragazza. Si da il caso, inoltre, che questa ragazza fosse la mia ragazza e che assomigliasse appunto a quella donna del sogno, quella ventiseienne sul ciglio della porta che guarda sorridere sua figlia e suo marito. Si mise a ridere quando finii il racconto, già da allora forse non credeva che saremmo stati insieme per sempre, come invece io credevo, e continuo a credere, anche alla luce di questo sogno, lo reputo molto importante. Significativo, forse. Sì, significativo.
Da quando le raccontai quel sogno ormai ne sono passati, di mesi. Mi manca, mi manca con tutto me stesso. A volte vorrei scriverle, parlarle, nonostante ora non stiamo più insieme. Vorrei continuare a ridere con lei, baciarla e farle poggiare la faccia sul mio petto.
Ma ormai quel che è andato è andato, meglio starci male che non aver vissuto per niente, no? Mi rimangono i ricordi, e questo sogno.
Anche se ormai neanche questo, ho più. L'altra sera, ad esempio, ho fatto un sogno diverso.
C'ero io, solo in camicia e pantaloni, sul divano, a rilassarmi. Tutto intorno la casa era marroncino-gialla, arredata in modo rustico, credo che lei stia nell'angolo cottura a cucinare, quello deve essere l'interno di casa nostra, e a differenza del precedente sogno ora è sera, e l'aria è umida, io sono leggermente sudato. E mi sento infinitamente stanco.
Accanto a me c'è la piccola, che gioca sul divano. Guarda ancora il mondo con estrema curiosità, e quando posa i suoi occhi su di me fa la faccia stupita, come se fosse impossibile che io sia così perfetto. E infatti non lo sono, ma vallo a spiegare a tua figlia? E poi è bello sentirsi ammirati da quel batuffoletto rosa. Mi sorride, mi abbraccia, mi dice che mi vuole bene.
Ma poi non sento più il rumore del coltello che sbatte contro il legno, attorno a me tutto diventa più triste, smorto. Mia figlia non capisce, mi guarda spaesata, io ho attacchi di panico, sono agitato. La guardo, la abbraccio, cerco di rassicurarla mentre sento nel petto nascere le lacrime e salirmi alla gola.
-Papà, papà! Che succede papà? Ho paura papà, perché mi sento così triste?- mi chiede.
Non riesco a trattenere le lacrime, scoppio a piangere, le dico che anche io sono triste, che ho paura, che insieme ce la possiamo fare. Le spiego che la mamma non è cattiva, non è colpa sua, doveva andarsene.
Lei si stacca e seria mi guarda negli occhi. Ha capito, è intelligente come sua madre. Con quella voce infantile che poco si adatta alla sua faccia così seria in quel momento, mi dice: -Non esisterò più, vero papà? Non esisterò mai più...-
-No, non esisterai amore mio, non esisterai.- le dico, tirando su col naso.

  
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