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Disclaimer: I personaggi e i luoghi di questo racconto appartengono quasi tutti a J.K. Rowling. Il personaggio di Dana Deepfeel è invece di mia creazione.Avvertenze: Il personaggio di Dana è idealmente lo stesso presente nella mia storia "Harry Potter e la Chiave dell'Amore", tuttavia il suo passato è leggermetne diverso, perchè non è mai riuscita, in questa storia, a vivere il suo amore per Severus. Questa scelta è dovuta al fatto che, per me, questo è un capitolo mancante dei Doni della Morte, quindi ho voluto rimanere fedele al passato che JK attribuisce a Severus.L’addio
La luce del mattino era così vivida da ferirle gli occhi,
ma Dana non vi stava realmente facendo caso. Tutto, intorno a lei, era
immobile e insignificante. Si rendeva vagamente conto di star trattenendo il
respiro.
Allungò un braccio, afferrando con mano tremante uno dei
pali di legno che andava a formare il recinto della Stamberga
Strillante.
Solo pochi minuti prima, aggirandosi cautamente tra le
persone riunite a Hogwarts, era riuscita a incontrare il giovane Potter. Lui
le aveva sorriso e le aveva fatto un cenno del capo, come con tante altre
persone lì presenti. Il ragazzo non poteva davvero parlare con tutti, e con
chi non aveva evidentemente esigenza di andare a stringergli la mano, faceva
così.
I lineamenti stanchi e gli occhi vivi, era stato
involontaria fonte della sua disperazione.
Aveva sempre saputo che probabilmente sarebbe finita
proprio così, ma non riusciva ancora a crederci…
Potter, durante lo scontro con Voldemort, aveva detto che
Severus era sempre stato fedele a Silente. Come faceva a saperlo? Era convinta
di essere l’unica depositaria di quel segreto!
In un momento, ancora prima che Voldemort confermasse il
suo sospetto, capì cosa dovesse significare. Severus aveva dato a Harry le
prove della sua devozione, tutte…
Ma il tempo era stato davvero poco, possibile che avessero
trovato il modo di incontrarsi, non scontrarsi e parlare? No, poco probabile.
Così rimaneva una sola possibilità, quella che Severus le aveva più volte
prospettato quasi con sufficienza.
Era morto. Era morto e aveva fatto in modo, chissà come,
che la verità arrivasse al ragazzo.
Poi Voldemort aveva confermato le sue paure: lo aveva
ucciso.
Mentre le parole di quell’essere infernale e maledetto le
giungevano fin dentro il cuore, lacerandolo, Dana si era resa vagamente conto
di quello che le stava attorno, ma non di essersi accasciata a terra,
addossata come tutti alla parete della Sala Grande di Hogwarts.
In quel momento aveva provato solo disperazione, e la
sensazione non l’aveva più abbandonata.
La caduta definitiva di Voldemort fu solo un episodio,
ormai per lei insignificante, di quell’alba nefasta.
Eppure attorno a lei le persone avevano festeggiato,
urlando il nome del ragazzo che li aveva salvati tutti.
Guardandolo, mentre veniva travolto dagli abbracci degli
amici e della folla, Dana aveva capito che la risposta all’unica domanda che
poteva ancora farsi l’aveva lui.
Così, incrociandone lo sguardo, durante la mattinata, carpì
da quegli occhi verdi l’informazione che cercava.
Il corpo di Severus era alla Stamberga.
Avanzò con passo lento, costringendo i propri piedi a
muoversi. Ma in realtà avrebbe preferito assecondare il proprio corpo,
lasciarlo immobile in contemplazione della casa cadente, piuttosto che
costringersi ad arrivare di fronte ad una scena che l’avrebbe probabilmente
schiacciata.
Ma doveva andare, lo sapeva. Doveva trovare il corpo di
Severus e fare in modo che non diventasse vittima di qualche atto vergognoso e
umiliante.
Procedette dunque, le mani strette a pugno, le unghie
dolorosamente conficcate nella carne e i denti che battevano leggermente tra
loro.
Aveva troppa paura.
Si fermò e chiuse gli occhi, costringendosi a prendere
fiato. Fu un grave errore. Non appena l’aria uscì dai suoi polmoni un conato
la costrinse a piegarsi in due, verso il ciglio del sentiero appena
tracciato.
Strinse gli occhi più che poté, impedendosi di piangere,
mentre la sensazione di nausea la travolgeva ad ondate. Lentamente, riuscì a
far passare la sensazione e poté rimettersi dritta, gli occhi annebbiate dalle
lacrime.
Si volse lentamente verso la casa, di nuovo, e
procedette.
Arrivata sulla soglia, spinse la porta cigolante con la
punta delle dita, esitando. Da dov’era non si vedeva poi molto, così entrò,
rigida come un automa. I suoi occhi cercarono, ma non trovarono
nulla.
E in quei momenti un folle pensiero le attraversò la mente
annebbiata dal dolore: magari Severus era vivo, magari era riuscito a salvarsi
in qualche modo, e Potter lo aveva semplicemente visto perdere i
sensi!
Ma il suo cuore sapeva che non era così. L’immagine che
aveva strappato dalla mente del giovane Potter era chiara. Severus era
morto.
E allora perché lei continuava a vivere?
Erano i muscoli della sua cassa toracica a fare tutto, a
continuare a pompare aria dentro organi inutili che la costringevano ancora
sulla terra.
Stupidi muscoli che facevano entrare aria in un movimento
programmato e del tutto istintivo.
Ma non si trattava di nulla di più, perché Dana non
riusciva nemmeno a pensare di poter respirare.
Il cuore pompava ancora vita nelle sue vene, sebbene lei
non la sentisse come reale.
Sapeva di essere viva, ma non gliene importava.
Esisteva solo il suo corpo e, con lui, la terribile
sensazione allo stomaco, il dolore, il terribile peso. Una lama sotto il
diaframma, affilata dalla sua ostinata decisione di trattenere le
lacrime.
Così, sull’orlo di perdere il controllo del proprio corpo,
avanzò finché non lo vide.
Era steso scompostamente, la testa posata su una grande
chiazza rossa. Il sangue si era ormai rappreso.
Dana rimase a bocca aperta, e istintivamente si avvicinò al
corpo di Severus, sollevandone delicatamente la testa per allontanarla dal
sangue.
Aveva ancora gli occhi aperti e Dana lo fissò, realizzando
l’ovvia verità mentre il cuore martellava prepotentemente contro la cassa
toracica. Severus non l’avrebbe più guardata con fare accigliato, non
l’avrebbe più scrutata con quelle perle nere. Più nulla da quegli
occhi.
Glieli chiuse delicatamente, mentre sentiva che non poteva
più trattenersi.
Le lacrime che premevano per uscire erano troppo
prepotentemente alimentate dal suo dolore, e non poteva più
opporsi.
Così chinò la testa, sfiorando il viso di Severus con i
lunghi capelli rossi, mentre finalmente scoppiava in lacrime.
Fece scivolare le braccia attorno al corpo di Severus e lo
sollevò un poco, per poterlo abbracciare, e rimase lì a piangere, dilaniata
dalla consapevolezza di poterlo finalmente stringere così solo in quel
momento.
Aveva rimarginato la ferita sul suo corpo, lo aveva
spostato da dov’era e lo aveva accuratamente pulito, senza mai smettere di
piangere.
Perché trattenersi ormai?
Ora che la disperazione per la perdita stava finalmente
uscendo da lei, cominciava a sentire gli effetti dei combattimenti sostenuti
durante la nottata, ma poco importava.
Voleva versare quelle lacrime, doveva farlo, perché
all’improvviso si era resa conto che nessun altro lo avrebbe pianto. Nessun
altro avrebbe onorato quel corpo.
Così aveva costretto anche le proprie convinzioni ad
arrendersi, e aveva lasciato fluire le emozioni.
Alzando lo sguardo vide che, oltre la finestra, il cielo
stava tingendosi di rosa.
Presa alla sprovvista da quella scoperta, si guardò
attorno. La luce in effetti si stava affievolendo, e lei era ancora lì,
accanto al corpo dell’uomo che amava.
Non si era nemmeno resa conto delle ore passate, aveva
completamente perso il senso del tempo e dello spazio.
Riportando lo sguardo su Severus, allungò una mano in un
gesto che quel giorno aveva compiuto infinite volte. La sua mano si posò su
una guancia di lui e la accarezzò con tutta la tenerezza e tutto l’amore di
cui era capace.
"Non ti ho mai strappato a lei, non ci sono mai riuscita,
ma non è questo a pesarmi, Severus. Non ho mai voluto che tu la dimenticassi,
perché la tua capacità di continuare ad amarla con tanta tenacia e costanza è
stata una delle cose che di te ho sempre ammirato. Pochi uomini sanno amare
davvero, e pochissimi riescono a farlo con tale intensità per tutto questo
tempo.
Ma almeno avrei voluto poterti dare il mio, di amore. Non
hai voluto nemmeno quello."
Un vibrante sospiro mentre alzava la testa e fissava il
soffitto, nel vano tentativo di reprimere un’ondata di dolore e
lacrime.
"E so il motivo per cui non hai mai ceduto, conosco le tue
ragioni, le ho sempre comprese, ma è straziante lo stesso. Mi si spezza il
cuore in petto se penso a come sei morto.
Solo, privo di amore, incompreso, gelido e disperato, così
pieno di rabbia e di astio che persino il tuo corpo si è dovuto
adattare.
Avrei voluto altro per te, ma non mi hai permesso di darti
nulla…
E io non ho potuto impormi. Difficilmente me lo avresti
concesso, dannato testone. Ma alla fine mi sono resa conto che forse nemmeno
io avrei voluto davvero farlo, perché so che tutta la sofferenza che ha
attanagliato il tuo cuore per anni ha compiuto il miracolo, so che la tua
anima ora è salva, integra e al sicuro, da qualche parte.
So che ti sei guadagnato il tuo perdono e che hai riavuto
la tua dignità. Solo questo può aiutarmi a non impazzire."
Ancora carezze dalle sue mani, ma poi un rumore alle sue
spalle la costrinse a voltarsi di scatto. Qualcuno era entrato dalla
botola.
Seduta a terra, il corpo di Severus steso vicino a lei e la
testa di lui sulle sue ginocchia, rimase immobile, la bacchetta istintivamente
sollevata.
"Era qui…" una voce che aveva già sentito…
"Potter…"
Una seconda voce, e conosceva anche questa.
Passi incerti raggiunsero la porta della stanza dove si era
rifugiata con Severus, e i suoi occhi incontrarono quelli di Harry Potter e di
Minerva McGranitt.
Lo sguardo incerto dei due, il fatto che non stessero
minimamente accennando a muoversi e l’assenza di bacchette sfoderate indusse
Dana ad abbassare la sua.
Li guardò quasi con risentimento. Cosa volevano?
Riportò entrambe le mani sulle spalle di Severus e distolse
lo sguardo dai nuovi venuti, rimanendo in silenzio. Sapeva che probabilmente
questo li avrebbe messi in imbarazzo, ma non gliene importava.
Poi il rumore di passi incerti le fece capire che almeno
uno dei due aveva deciso di avvicinarsi.
Con sua immensa sorpresa si trattava del giovane Potter.
Harry si piegò sulle ginocchia e posò lo sguardo sul corpo
di Severus, rimanendo in silenzio per diversi secondi.
"Credo che dovremmo seppellirlo." Disse infine, alzando lo
sguardo su di lei.
Non c’era disprezzo in quegli occhi verdi, non c’era
diffidenza né disgusto. Non la conosceva, ma aveva capito perché era lì e
quanto fosse legata a Severus. E questo non lo sorprendeva più di
tanto.
Alla fine dunque lo aveva compreso?
"Io…io so che avrebbe voluto esser seppellito vicino alla
scuola, in un modo o nell’altro. In fin dei conti è stata la sua vera casa per
anni." Disse Dana.
Che strano. La sua voce era ancora evidentemente corrotta
dal pianto, ma non riportava alcuna traccia dell’assoluta confusione che
regnava in quel momento nella sua testa, perché per il momento aveva ritrovato
qualcosa di cui occuparsi. Voleva almeno tentare di dare a Severus la
sepoltura che lui avrebbe voluto.
Harry annuì, volgendosi poi verso la McGranitt. Dana fece
istintivamente lo stesso e si sorprese nel vedere Minerva McGranitt, una delle
insegnati più severe e irreprensibili di Hogwarts, tenace combattente
dell’Ordine, con gli occhi annebbiati dalle lacrime e il corpo quasi
abbandonato nella sua immobilità.
Stava osservando il corpo di Severus, e sembrava che non si
ricordasse neppure della presenza degli altri due.
Dopo alcuni attimi scrollò appena la testa, lo sguardo
triste ancora ostinatamente fisso sul corpo.
"Siamo stati così ciechi…così stolti…avremmo dovuto capirlo
nel momento stesso in cui gli è stato possibile avere accesso allo studio di
Albus. La stanza non gli avrebbe permesso di entrare se non ne fosse stato
degno. Ma non abbiamo voluto vedere…"
Finalmente si decise ad avanzare e si portò accanto al
corpo, dall’altra parte rispetto agli altri due.
Inginocchiatasi sul pavimento polveroso, allungò una mano e
fece ciò che Dana aveva fatto per ore.
Accarezzò il volto freddo e immobile, mentre lacrime
silenziose le rigavano le guance.
"Mi dispiace Severus, mi dispiace davvero così
tanto…"
Harry abbassò lo sguardo e sospirò, aggrottando la fronte.
"Sono stati fatti davvero molti errori con lui." Disse a
bassa voce "Credo che dovremmo esaudire il suo desiderio. In fin dei conti lo
abbiamo fatto per Silente, non vedo perché non farlo anche per lui. Non è
stato meno legato di Silente alla scuola e alla causa."
Dana osservò con sorpresa il giovane Potter. Quel ragazzo
era incredibile, e ora Dana aveva l’assoluta certezza che lui avesse infine
compreso Severus.
La McGranitt annuì, rimanendo in silenzio e con gli occhi
tristi e colmi di lacrime ancora posati sul volto di Severus.
Sì, erano stati fatti davvero troppi errori.
Il cielo stava rapidamente perdendo luminosità e le prime
stelle cominciavano ad intravedersi, fioche, nell’azzurro intenso che
precedeva la notte.
Avevano portato il corpo di Severus al castello, e lì molte
persone di erano avvicinate, alcuni solo per guardare, altri per curiosare, ma
altri, capì Dana, erano venuti per rimediare all’errore fatto.
Le parole di Potter non avevano convinto tutti, ma di
sicuro avevano fatto comprendere la realtà a chi conosceva Severus e a chi
aveva una vaga idea di come si fosse giocata quell’assurda guerra.
Dana era riuscita a rimanere da sola con lui ancora per
qualche minuto, poco prima che il corpo fosse portato nel luogo di
sepoltura.
In quei brevi minuti, troppo pochi per lei, tutto quello
che le riuscì di fare fu guardarlo e chiedersi dove fosse in quel momento. Li
vedeva, da lassù, mentre si decidevano finalmente a tributargli il rispetto
che meritava?
Infine, sentendo che stavano arrivando altre persone, si
alzò e gli posò un bacio sulle labbra, mentre lacrime silenziose scendevano
incontrollate.
Ci sarebbe stato solo quel bacio, per lei, ma non
importava.
Stavano raggiungendo uno dei tanti alberi della scuola, dal
quale si godeva di una vista magnifica del Lago Nero e dell’imponente
castello.
Era davvero il posto perfetto, e Dana capì che era stato
Harry a sceglierlo.
Mentre i loro passi silenziosi non rompevano la quiete che
era calata sul castello, Dana intravide un gruppo di uomini portare via due
corpi. Dietro loro, una donna stava piangendo in silenzio, mentre teneva in
braccio un bambino piccolo.
Un’ondata di dolore investì Dana, a causa del suo potere di
empatica, e la scena attirò inevitabilmente la sua attenzione.
Osservò meglio la donna, e per un attimo provò l’istinto di
portare la mano alla bacchetta, ma un attimo dopo comprese che quella non era
Bellatrix, bensì sua sorella, la famosa Andromeda, della quale aveva sempre
sentito molto parlare ma che non aveva mai visto di persona.
Allora quello che aveva tra le braccia era il piccolo Teddy
Lupin. E i due corpi…
Mentre Andromeda proseguiva il proprio cammino, preceduta
dalle salme, comparve sulla soglia della scuola un’altra figura, che Dana
riconobbe come Narcissa Malfoy. Al suo fianco, Draco.
Stavano entrambi osservando la scena, il ragazzo ancora
evidentemente a disagio, la donna con un miscuglio troppo vasto di emozioni
che le muoveva il cuore.
Narcissa, non vista dalla sorella, fece qualche passo verso
di lei, ormai abbastanza lontana, ma poi si fermò, tremando. Sembrava quasi
confusa, incapace di decidere il da farsi, ma consapevole del terribile dolore
che stava ingabbiando il cuore della sorella.
Draco si avvicinò alla madre, e lei gli afferrò un braccio,
tenendolo stretto a sé ma continuando a guardare la figura magra che ormai
stava per raggiungere i confini della scuola.
Dana sospirò.
Il suo cuore non era il solo ad essere stato spezzato, ma
il piccolo Teddy, addormentato tra le braccia della nonna, le ricordò che
alcuni di loro avevano ancora qualcosa per cui lottare.
Lei no.
Riportò lo sguardo sul gruppo di persone che era con lei, e
si accorse di essere rimasta un po’ indietro. Stranamente, si fermò, quasi a
voler aumentare la distanza tra lei e loro.
Non era mai stata vicina a nessuno, se non che a Severus.
Perché ora avrebbe dovuto essere diverso?
Giunsero infine sotto l’albero prescelto dove il corpo, già
riposto in una cassa di legno scurissimo, venne calato nella fossa. Harry,
mentre la terra veniva fatta ricadere sul coperchio sigillato, ripeté con
parole diverse ciò che già aveva detto durante lo scontro con
Voldemort.
La voce leggermente tremante, non scostò mai gli occhi
dalla tomba, che pian piano scompariva sotto la terra.
Dana si chiese cosa mai vedesse il giovane Potter mentre
pareva perdersi nei suoi stessi pensieri.
Sapeva che non lo avrebbe mai scoperto, ma quella piccola
distrazione le permise di non pensare troppo a quello che stava
succedendo.
Il corpo di Severus in quella bara, e la bara sotto
terra…un brivido violento le scese lungo la schiena e i suoi pensieri vennero
per un attimo inghiottiti dal dolore, ma un attimo dopo stava già cercando di
riprendere il controllo.
Vide Minerva McGranitt di nuovo piangere, vicino alla
fossa.
Accanto a lei, Vitious, la professoressa Sprite e alcuni
membri dell’Ordine, oltre che quasi tutti i ragazzi delle ES. Non vide teste
rosse in giro e capì che i Weasley non c’erano, ma non poté che comprendere.
Avevano subito anche loro una perdita devastante.
Accanto a Harry c’era Hermione, gli occhi lucidi e le dita
nervosamente intrecciate. Il suo sguardo ogni tanto vagava verso il
castello.
E proprio dal castello, mentre ormai era tutto finito, uscì
la figura alta e magra di un ragazzo.
Harry e Hermione gli andarono incontro e scambiarono con il
ragazzo un paio di parole, poi lui proseguì nella direzione della tomba di
Severus, dove Dana ancora rimaneva immobile.
Hermione invece prese Harry al gomito e gli fece segno di
rientrare, verso un’altra figura che, sulla soglia, stava
attendendoli.
Il ragazzo alto, con capelli rossi e molte lentiggini, non
aveva un orecchio.
George Weasley.
Gli occhi gonfi per il pianto e il volto pallidissimo,
lanciò uno sguardo quasi assente verso Dana, ma solo per qualche secondo, poi
riportò l’attenzione su ciò per cui era venuto.
Di fronte al mucchio di terra ancora scomposta, alzò la
bacchetta e fece comparire dal nulla un oggetto che lasciò Dana sorpresa.
Sembrava un orecchio.
"Questo è uno degli ultimi pezzi delle Orecchie Oblunghe
fatte da me e Fred. Te lo lascio come ricordo. Non puoi darlo a mio fratello,
ma sono certo che si farà una gran risata quando gli dirai che l’ho fatto
finire proprio nella tua tomba."
Con un colpo di bacchetta, George fece sprofondare
l’oggetto all’interno della fossa, rimase fermo ancora qualche secondo, poi se
ne andò.
Era rimasta ferma immobile per più di mezz’ora, incurante
del fatto che quasi tutti ormai avessero abbandonato la scuola.
Probabilmente erano rimasti solo i professori, e di sicuro
la McGranitt.
Dana credeva di averla anche intravista ad una delle
finestre, intenta a guardare nella sua direzione.
Forse anche lei aveva bisogno di tornare davanti alla tomba
di Severus, ma Dana non poteva andarsene, non ancora, proprio non se la
sentiva. Così rimase lì, immobile, mentre il pianto andava e veniva. E quando
arrivava, la scuoteva con una violenza terribile.
In certa misura, invidiava le persone che, lentamente,
avevano abbandonato il castello. Loro avevano qualcosa a cui tornare, qualcuno
da cui andare o con cui festeggiare, qualcuno che permettesse loro di vedere,
in qualche modo, uno spiraglio di futuro afferrabile.
Lei invece non aveva nessuno.
Creduta morta dall’intero mondo magico, ora avrebbe potuto
far valere di nuovo la sua identità, perché ormai il pericolo da cui si
nascondeva, Voldemort, era stato distrutto.
Ma che senso aveva riappropriarsi della propria identità se
non sentiva alcuno stimolo ad affrontare il giorno che veniva?
L’unica persona che sapesse di lei, della sua esistenza e
della sua storia, era sepolta davanti a lei.
Si inginocchiò sull’erba e chiuse gli occhi, sentendo di
nuovo il peso di quelle ore difficili e lunghissime. Aveva bisogno di
riposare, ma persino quell’attività le sembrava insignificante e
inutile.
Sfiorò appena la terra smossa davanti a lei e sospirò, poi
prese a muoversi e si sistemò accanto alla tomba di Severus. Avevano deciso di
non posarci sopra nulla, e lei non aveva avuto nulla da obiettare.
L’unica cosa che indicava il luogo di sepoltura era una
piccola pertica di legno scurissimo, su cui era stato magicamente inciso un
giglio, il nome e la data di nascita e morte di Severus.
Nessun epitaffio. Dana sbuffò ironicamente; ora che Harry
aveva detto a chiare lettere cosa avesse legato Severus a sua madre, quel
giglio era l’epitaffio più indicato e preciso che si potesse
immaginare.
Chiuse gli occhi, incurante della sensazione di fresco che
stava prendendole le membra. Nonostante la stagione estiva, la sera faceva
ancora fresco e l’aria era estremamente umida. La mattina dopo avrebbe fatto
fatica a muoversi se fosse rimasta così, ma non si mosse.
Un respiro dopo l’altro, cercò di calmarsi e di trovare un
minimo di serenità per poter decidere cosa fare. Sapeva che la disperazione
che le imbrigliava il cuore non era una buona cosa, che le annebbiava i
pensieri, ma era così potente da aver bisogno di calma e molta concentrazione
per cercare di combatterla.
Così cercò di dominarsi, di calmarsi e darsi qualche
possibilità. Un respiro dopo l’altro.
Così inutili.
I sensi lentamente si assopirono, il freddo scomparve, il
dolore alle membra divenne più sopportabile, ovattato.
Poi qualcosa di caldo le si posò sopra, impalpabile e
leggero, senza gravarle davvero addosso. Fu una sensazione particolarmente
piacevole, e Dana non seppe decidersi a svegliarsi per capire di cosa si
trattasse.
Sapeva solo che era una sensazione piacevolissima, un
tepore consolante, sincero, che le infondeva sicurezza, e in certa misura
anche consolazione. Ma poi c’era altro.
Percepiva nettamente una sensazione, che però non le
apparteneva.
Ancora, non le riuscì di svegliarsi, certa che quella
meravigliosa sensazione di sarebbe dissolta una volta aperti gli occhi, così
rimase lì, nella consapevolezza di quella sensazione che l’affascinava. Era un
affetto così intenso e così solido che la lasciava senza parole nemmeno da
pensare.
Coccolata così, si addormentò sull’erba umida, accanto alla
tomba di Severus.
Fu sempre la strana e piacevole sensazione a farla destare.
Avvertì come una lieve stretta sulla spalla, e i suoi occhi si
aprirono.
Rimase un attimo confusa per ciò che vide indistintamente,
per i colori tiepidi accesi da una luce tutta particolare, poi, in un attimo,
si ricordò perché vedesse davanti a lei così tanto azzurro e così tanto
verde.
Si sollevò lentamente, passandosi una mano sugli occhi e
schiarendosi le idee.
Aveva passato davvero la notte stesa lì! Eppure il suo
corpo pareva non averne pagato le conseguenze…
Alzò gli occhi al cielo, illuminato da una meravigliosa
alba.
Un nuovo giorno, nuove ore da affrontare.
Non voleva pensarci, non in quel momento di assoluta
quiete. Così si concentrò sui colori del cielo, che stava tingendosi di
sfumature sempre più chiare e dorate.
Raggi luminosi si infrangevano sul meraviglioso panorama
che era sempre stata Hogwarts e Dana per un attimo ebbe la netta sensazione
che le cose sarebbero andate bene.
Non sapeva da dove le nascesse quella nuova e strana
convinzione, ma era certa che le stesse maturando nel cuore, lottando contro
la sofferenza della perdita di Severus.
D’improvviso, avvertì l’intensificarsi della sensazione che
l’aveva protetta durante tutta la notte. Era concentrata accanto a lei, in
qualche modo e in qualche forma a lei del tutto sconosciute.
Fissò allora la tomba, e un nodo alla gola le impedì quasi
di respirare.
"Severus?"
Di nuovo percepì la stretta sulla spalla e le lacrime si
rifiutarono di non scendere.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma si accorse di non
sapere che dire.
Era certa che si trattasse di lui, ma ne rimase
sconcertata. Non avrebbe mai immaginato che, da dovunque lui fosse, avrebbe
potuto inviarle quelle sensazioni.
D’improvviso il suo sguardo fu catturato da qualcosa che si
muoveva poco al di sopra della superficie del Lago.
Era qualcosa di luminoso, una figura che andava via via
definendosi. Sembrava un lupo mannaro d’argento. Sì, lo era di sicuro! E stava
scherzosamente giocando con un camaleonte di dimensioni
ragguardevoli.
Dana osservò la scena come ipnotizzata, chiedendosi se
fosse uno scherzo della sua mente, o magari un gioco di luci e colori, così
pieni di brillantezza.
D’improvviso un grosso cane, sempre d’argento, sfrecciò tra
gli altri due animali e li costrinse a seguirlo, in una corsa giocosa e
sfrenata.
Poco oltre comparvero altri animali argentei e Dana capì di
cosa si trattasse. Non era certa di quel che stava accadendo, ma forse il suo
potere di empatica le permetteva di vedere i Patronus delle persone morte in
quel luogo.
Evidentemente erano più di quanti credeva, perché in pochi
istanti quasi l’intera superficie visibile del Lago Nero fu ricoperta da
vivaci Patronus. Una sensazione di quieto rispetto le impedì di far altro che
guardare, mentre i Patronus non davano segno di prestarle
attenzione.
I suoi occhi poi catturarono una coppia di animali che non
si sarebbe aspettata di distinguere. Poco oltre al luogo dove il grosso cane
stava ancora giocando, stavano due bellissime creature, un cervo e una cerva.
Sapeva bene di chi fossero quegli spiriti, e quindi seppe
che in realtà non stava vedendo i Patronus delle persone morte ad Hogwarts.
Lily e James Potter non erano morti lì.
Perplessa, si chiese allora cosa stesse vedendo,
inconsapevole che la risposta la stava raggiungendo con eleganti e lenti
passi.
Il cuore le si fermò per un attimo, mentre finalmente
notava un’altra cerva, che stava dirigendosi verso lei. Sopra il suo dorso,
leggera ed elegantissima, andò a posarsi una Fenice. La cerva volse un po’ la
testa e salutò la Fenice, che ricambiò con un suono dolcissimo.
Travolta dalla consapevolezza di quel che stava succedendo,
allungò appena una mano, sapendo bene che comunque nessuno di quegli animali
si sarebbe avvicinato a lei.
Così improvvisamente come erano comparsi, gli animali
cominciarono a svanire.
La cerva e la Fenice invece rimasero ferme a guardarla.
Oltre loro, si raccolsero i pochi animali che ancora si potevano vedere: il
cervo e l’altra cerva, il cane, il lupo e il camaleonte.
La cerva e la Fenice si volsero verso loro, come richiamati
da qualcosa, poi la Fenice cantò, e anche gli ultimi animali presero a
sparire.
La Fenice spiccò il volo, dissolvendosi nel cielo sempre
più luminoso. La cerva invece rimase ferma ancora qualche secondo, fissando
intensamente Dana.
"Va tutto bene. È questo che volevi farmi capire? Volevi
dirmi che ora stai bene?"
La cerva rimase immobile, ma il suo sguardo cambiò,
diventando quasi più luminoso.
Dana sentì calde lacrime rigarle il volto, mentre sorrideva
sinceramente.
"Ho capito, Severus."
La cerva annuì e la guardò ancora per qualche secondo, poi
prese la rincorsa e balzò nel nulla, sparendo scintillando dalla vista di
Dana.
Per qualche minuto non seppe che fare, oltre che rimanere
ferma immobile con lo sguardo ancora posato sul Lago e il viso bagnato dal
pianto.
Ora Severus stava bene.
Non riusciva a pensare a null’altro. Dunque davvero tutti i
sacrifici e tutte le sofferenze erano servite! Ora era con chi lo aveva amato
e rispettato, libero da tutti i pesi che gli avevano gravato sul cuore per
anni.
Non poté fare a meno di sorridere, travolta dalla gioia di
quella nuova e felice certezza.
Severus aveva lottato tanto per questo, e ora aveva avuto
la sua ricompensa.
Sapendo di non poter desiderare nulla di più o di meglio
per lui, si decise a dargli l’ultimo saluto.
Si volse verso la tomba e prese la bacchetta, facendola
muovere appena in direzione della pertica scura. Vi comparve sopra un altro
simbolo, un falco, emblema dei Prince nei loro tempi di splendore e suo
Patronus.
Non avrebbe mai dimenticato l’uomo complicato e
meraviglioso che per anni aveva riempito il suo cuore, ma ora sapeva che
doveva lasciarlo andare. Con un ultimo sguardo rivolto al Lago, capì che non
solo doveva, ma che di sicuro poteva farlo, perché Severus era finalmente al
sicuro.
Ripose lentamente la bacchetta, ammirando il falco e il
giglio incisi sul legno scuro, poi prese un bel respiro, libero e sereno, e si
incamminò verso i cancelli della scuola.
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