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Autore: mamogirl    02/08/2013    2 recensioni
Poteva incolpare la sua testardaggine ed ostinazione per quello ma, in realtà, c’erano stati tanti altri fattori ad unirsi e costruire la sua armatura: erano state le suppliche e le offerte di totale supporto da parte del gruppo a far vincere la sua resistenza e continuare come se niente nella sua vita professionale fosse cambiato. Era stato il suo senso di lealtà verso di loro e verso tutto ciò che avevano costruito a cementare il rifiuto per l’arresa. Era stata la lealtà che sentiva per ancora tutte quelle persone che lo supportavano senza nemmeno pretendere qualcosa in cambio; lealtà verso tutti coloro che avevano fiducia in lui e continuavano a riempirlo di messaggi di supporto. Come gli eroi giapponesi, quei samurai che continuavano a combattere nonostante sapessero che la loro causa era già persa ma l’unica cosa che li teneva a galla era il loro onore. E poi non era un solitario combattente. Come poteva abbandonare la battaglia quando aveva altri quattro guerrieri pronti a fendere armi al suo posto?
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Littrell, Nick Carter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Don’t Give Up*




 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Agitando il flaconcino, le poche pillole rimaste al suo interno iniziarono a danzare creando una stonata melodia ogni volta che sbattevano contro le pareti circolari fatte di plastica. C’erano giorni in cui si chiedeva quale fosse la ragione per cui continuasse a prendere quelle pillole con religiosa puntualità quando era chiaro e limpido che non servissero a niente. Esattamente come tutte le altre differenti che avevano provato negli ultimi dodici mesi.  In alcuni momenti, quando il caos attorno a lui si faceva troppo pesante e denso per respirare normalmente, elencava quelle medicine in ordina alfabetico e, se non era abbastanza, anche per quanto le avesse odiate. E la vincitrice era sempre lei, la prima, quella che gli aveva dato più speranza per poi abbatterlo nel più crudeli dei modi: lei avrebbe dovuto mettere a posto la situazione in dal principio; lei era quella che, gli era stato assicurato, avrebbe potuto risolvere il problema ancor prima che potesse incominciare a dar segni di ingrandirsi e portarsi via la sua voce. Invece aveva fallito. Nuove pillole avevano fatto la loro comparsa, nuovi nomi, nuovi flaconi; erano cambiati i colori, dimensioni e effetti collaterali. Ciò che non era mai cambiato erano le promesse di una guarigione e la conseguente arresa, come se lui fosse l’unico individuo su cui quelle medicine non riuscissero a svolgere il loro compito.
L’onta del fallimento, l’ennesimo, prese possesso del suo corpo, trasformandolo nel suo giocattolo preferito con cui divertirsi e giocare per qualche ora. Erano noiosi quei giochi, non differivano mai da volta a volta e, se ne avesse avuto la forza, lui sarebbe stato in grado di prevenirli e sconfiggerli ancora prima che essi potessero azzannarsi contro di lui. Ma, debole com’era, non poteva fare nulla se non lasciare che il fallimento gli lanciasse contro brividi mentre gli faceva rivedere, attimo dopo attimo, le immagini che lo avevano risvegliato dal suo tepore. Non serviva chiudere gli occhi, vi aveva già provato un centinaio di volte ma quelle scene non scomparivano mai né si dissolvevano dietro l’oscurità offerta dalle palpebre. Era impossibile sfuggire, così tutto quello che poteva fare era rivedersi mentre cercava note che un tempo erano state così facile da trovare, quasi come se queste nascessero naturalmente come un respiro o un battito. Tutto quello che poteva fare era rivedersi mentre fiamme di dolore risalivano sulle corde vocali, rendendosi ben visibili e apparenti per milioni di persone mentre suoni strozzati uscivano dalle sue labbra, come un gattino che stava cercando di farsi sentire per non venire soffocato. I suoni, la sua voce, erano la parte più terribile di tutta quella rivisitazione. Erano quei suoni a provocare il peggiore dei giochi per mano del senso di fallimento, quelle fiamme che risalivano sul suo viso e davano adito alle lacrime, lasciandole libere di prendere sempre più posto negli occhi e sfidandosi l’un con l’altra per la possibilità di scendere e cadere via. Su quelle, almeno, aveva ancora un filo di controllo e non lasciò passare momenti prezioso prima di incominciare a combatterle, stringendo così forte il pugno da sentire le unghia conficcarsi nella pelle. Il lampo di dolore fu accolto come una benedizione, considerato che era come una ventata di respiro da quel senso di vuoto che si era avvolto attorno a lui come una coperta.
Le pillole continuavano a danzare davanti a lui. A che cosa serviva prenderle se tanto non funzionavano? Era pronto ad abbandonare tutto, sarebbe stato facile: niente più visite, niente più collezioni di figuracce e nuovi medicinali che si mangiavano via le sue speranze.
Eppure, nonostante ciò, le sue dita si strinsero attorno al coperchio, aprendolo; inclinò il flacone fino a quando una sola bianca pillola cadde sul suo palmo. Senza troppi altri pensieri, senza dubbi o ripensamenti, la mano portò la pillola alle labbra e, in un secondo, scomparve assieme alla piccola speranza che, almeno quella volta, potesse adempiere al suo dovere.
Davanti a lui, l’ampia finestra apriva lo sguardo verso lo skyline così tipico, famoso e mozzafiato di Tokyo. Imponenti, eleganti e stabili grattacieli si stagliavano all’orizzonte, quasi come se stessero cercando di raggiungere il cielo con le loro antenne. Edifici, quelli, abitati fino a che anche l’ultimo spazio rimasto fosse occupato da una persona, una famiglia, una vita. Gente comune, gente che si svegliava ogni mattina alla stessa ora e si destreggiava nella giornata fra lavoro, amici e chissà, forse anche amore o semplicemente sesso. E con il sole, con l’iniziare della giornata e la notte ormai alle spalle, quegli edifici si svuotavano per buttarsi e riempire le strade che li circondavano come vene e arterie di un infinito corpo: le vie incominciavano a brulicare di vita frenetica, accendendo rumori di traffico mescolati a musica tenuta troppo alta e quello che si poteva intuire potessero essere le prime chiacchiere di un lungo giorno. Osservando tutto ciò, lui non poteva fare altro che domandarsi quante altre persone si trovassero nella sua stessa posizione, ingarbugliati con problemi e paure senza sapere in che modo poter incominciare a liberarsi. Quanti di loro continuavano a camminare con la testa alta e un sorriso sul volto che serviva a dire al mondo che non c’era niente di cui preoccuparsi, una perfetta menzogna per nascondere scheletri e imperfezioni? Quanti di loro continuavano a cercare nuovi modi per tenersi a galla, nonostante ogni nuovo fallimento era un sasso che li buttava più a fondo in quel mare? Quanti di loro si domandavano quale fosse la ragione per cui continuavano a combattere una battaglia che sembrava essere ormai già persa? Quanti si erano trovati fra le dite opportunità troppo perfette per alzare la bandiera bianca ma le avevano lasciare poi sfuggire via, perché nessuno aveva insegnato loro ad arrendersi?
Quelle persone, quegli individui così simili a lui, avrebbero potuto alzare paletti e difese in tanti momenti, avrebbero potuto fare un passo indietro e lasciare agli altri le redini di ciò che ormai non erano più in grado di esserne dei protagonisti. Invece non lo avevano fatto. Invece, non lo aveva fatto. Poteva incolpare la sua testardaggine ed ostinazione per quello ma, in realtà, c’erano stati tanti altri fattori ad unirsi e costruire la sua armatura: erano state le suppliche e le offerte di totale supporto da parte del gruppo a far vincere la sua resistenza e continuare come se niente nella sua vita professionale fosse cambiato. Era stato il suo senso di lealtà verso di loro e verso tutto ciò che avevano costruito a cementare il rifiuto per l’arresa. Era stata la lealtà che sentiva per ancora tutte quelle persone che lo supportavano senza nemmeno pretendere qualcosa in cambio; lealtà verso tutti coloro che avevano fiducia in lui e continuavano a riempirlo di messaggi di supporto. Come gli eroi giapponesi, quei samurai che continuavano a combattere nonostante sapessero che la loro causa era già persa ma l’unica cosa che li teneva a galla era il loro onore. E poi non era un solitario combattente. Come poteva abbandonare la battaglia quando aveva altri quattro guerrieri pronti a fendere armi al suo posto?
Gli occhi non si erano mai staccati dalla vista di fronte a lui, anche quando il suo corpo aveva incominciato a cedere sotto l’effetto della pillola appena presa. Gli occhi avevano continuato a seguire le linee dei grattacieli anche quando queste incominciarono a diventare sfocati puntiti che si confondevano l’uno nell’altro, fino poi arrendersi al completo buio.

 
 
 
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Il ristorante vibrava con l’andirivieni di gente che entrava e usciva, clienti che si fermavano in un angolo per terminare una telefonata e camerieri che, con l’eleganza maestria giapponese, portavano gli ordini ai tavoli. Una di essi uscì dalla cucina e, facendo attenzione a persone e tavoli, si diresse verso l’area riservata in fondo al locale, la stanza che veniva assegnata regolarmente a importanti uomini d’affari o celebrità o chiunque avesse i soldi necessari per affittarla. Un inchino, poi si occupò dei piatti lasciati da parte e ormai vuoti prima di ritirarsi e tornare in cucina. Solamente un piatto era rimasto ancora intatto, oltre a sembrar essere la vittima designata dalle bacchette che, a turno, infilzavano e facevano rotolare ora un pezzo di sushi ora un pezzo di sashimi.
Avrebbe dovuto essere contento, Nick. La promozione stava andando alla grande e, a giudicare dall’ultima volta che aveva controllato la pagina internet, anche il suo progetto per il film era indirizzato verso il successo. Aveva tutti i motivi per alzare quel bicchiere di sakè e brindare a quella fortuna che si era guadagnato. Eppure, c’era una nota che stonava in quel quadro e che gli impediva di godersi appieno quel momento. Quella nota era l’assenza del quinto membro del gruppo, rinchiusosi volontariamente in albergo dopo il disastro dell’esibizione di quella mattina. In un certo senso, se l’erano aspettata visto la montagna russa di impegni di quell’ultima settimana ma, forse, avrebbero dovuto aspettarsi anche la sua reazione, così atipica in Brian. Le prime volte, ormai anni addietro, quei piccoli momenti no venivano superati con una risata, una scrollata di spalle e il sorriso di chi sapeva che era solamente una questione momentanea; ora, invece, venivano accolti da un’espressione di vergogna, delusione e imbarazzo che offuscavano ogni qualsiasi tentativo di conforto, come se Brian non credesse più alle loro intenzioni ma pensasse che, dietro alle loro parole, ci potesse essere solo pietà e commiserazione.
Non era quella la verità. Quante volte Nick glielo aveva ripetuto? Lo aveva fatto con parole, aveva cercato sinonimi e giri di frase quando le prime erano sembrare ripetitive e prive di significato; lo aveva fatto silenziosamente, con gesti che sapeva avrebbero avuto più possibilità di funzionare, più armi ed efficacia per abbattere quel muro dietro cui Brian si era nascosto.
Erano frustati ma quello era più che naturale. Erano arrabbiati e furiosi e nemmeno quei sentimenti potevano considerarsi strani o anormali in quelle circostanze. Ma mai lo erano stati nei confronti di Brian, non quando sapevano esattamente che cosa gli impediva di esibirsi con quella perfezione che lo aveva sempre contraddistinto. Forse era perché erano tutti cresciuti e maturati – sì, anche lui - , forse era perché nessuno di loro voleva commettere lo stesso errore due volte, ma senza bisogno di dirlo, senza bisogno di fare annunci o proclamare strategie, avevano fatto fronte comune attorno a Brian.
Ed era questo che rendeva ancor più frustante quella situazione, perché era quella l’unica cosa che potevano fare per aiutarlo. E se c’era una cosa che Nick odiava più di tutte era sentirsi inutile.
Stava ancora torturando un pezzo di salmone quando una tessera bianca apparve di fronte ai suoi occhi. Seguendo la linea della mano che la teneva, incontrò lo sguardo di Howie. “Tieni.”
“Che cosa devo farne?”
“Lo sai bene.”
Dopo qualche secondo, Nick si rese conto che tessera era. “Come hai fatto ad averla?” Si ritrovò a domandare, la fronte aggrottata nel tentativo di mettere insieme i pezzi.
“Me l’ha data lui. In caso di emergenza. E’ come suo cugino, nonostante l’età non hanno ancora imparato a chiedere aiuto quando ne hanno bisogno.”
Il giro contorto di quel gesto era così tipico di Brian che Nick si ritrovò comunque a sorridere prima che il desiderio di prendere a testate il ragazze prendesse il centro dell’attenzione. Erano appena agli inizi di quella che poteva considerarsi una relazione, se non fosse che ancora si nascondevano dietro ad anni di girarsi attorno e allontanarsi quando finalmente si stavano per avvicinarsi. Non era mai stato solo sesso e non lo sarebbe mai stato, anche nel malaugurato caso in cui avessero deciso che essere una coppia a tutti gli effetti non faceva per loro. Ecco perché quel gesto, il consegnare una copia della sua chiave a Howie invece che direttamente a lui, lo faceva sorridere e imbestialire allo stesso tempo. Perché stare insieme, essere in una relazione, significava e avrebbe dovuto significare che ci si fidava l’uno dell’altro, anche e soprattutto quando non si era in grado di reggersi in piedi, soffocati dal peso dei problemi e delle ansie. Non riusciva, però, ad odiare Brian per quello, forse perché erano sempre stati molto simili e rendersi deboli e vulnerabili era una cosa che avevano odiato con qualsiasi energia che pulsava ancora dentro di loro. L’unica differenza era che Brian era sempre stato più bravo di lui a trovare un pertugio per abbattere le sue difese e prendersi cura di lui, quasi come se fosse un talento sempre rimasto nascosto e segreto dentro di lui.
A quanto pareva, a Nick non era stato concesso quel talento.
“Non so come fare.”
“Invece sì. – Lo rassicurò Howie. – Tu lo conosci meglio di qualsiasi altro. E sai bene che Brian non ha bisogno di parole o altro.”
Nick era sul punto di ringraziare l’amico per il consiglio quando si rese conto dell’implicazione di quelle parole. “Sai di noi?” Si ritrovò a domandare con occhi sgranati.
“Non siete molto discreti. E ho il sonno più leggero di quanto immagini.”
Nick abbassò il volto mentre sentiva le guance incominciare ad infiammarsi per l’imbarazzo. “Ehm... scusa?”
Howie scoppiò a ridere, anche se nessuno stranamente prestò loro attenzione. “L’unico modo che hai per farti perdonare è prenderti cura di Brian. Sembra strano dirlo ma lo preferiamo tutti quando è normalmente pazzo.”
Nick annuì con un cenno del capo, prima di ringraziare Howie e uscire dal ristorante. Non c’era molta distanza fra  il locale e il loro albergo e, dopotutto, amava essere lì fra le strade caotiche di Tokyo che camminare non sembrava essere una scelta così difficile da compiere. Con un paio di occhiali e il capellino grigio di Brian, Nick sapeva di passare inosservato alla maggior parte delle persone, sconosciuti che camminavano con passi frenetici pur di non fare tardi per i loro impegni.
Le parole di Howie continuavano a girare e rigirare nella sua mente, non solo per quanto riguardava il fatto che avesse scoperto della sua relazione con Brian. Qualche anno addietro, nella sua fase “cagnolino che segue il padrone ovunque”, Brian era stato il suo barometro per qualsiasi tipo di umore: se lui era felice e estasiato, allora lo era anche lui; se era triste, allora anche lui pensava alle cose peggiori pur di avere quell’espressione malinconica e piena di lacrime; se era arrabbiato, oh, quello era molto più semplice perché chiunque faceva uno sgarbo a Brian lo faceva automaticamente anche contro di lui. Ora era decisamente cambiato tutto, Brian non era più il centro attorno cui girava tutto il suo essere. O meglio, lo era ancora, considerato che era la persona più importante nella sua vita ma da lui non dipendevano più tutti i suoi umori o emozioni, come se la sua anima fosse solo una lavagna bianca che necessitasse di qualcuno con un pennarello in mano per scriverci sopra. Nonostante ciò, una traccia di verità ancora rimaneva da quei giorni, soprattutto perché era sempre Brian la persona che si lasciava abbattere per ultimo ed era sempre lui la persona che, solitamente, tirava su di morale il gruppo.
Ci impiegò poco ad arrivare all’hotel e ancora di meno per trovare un ascensore libero che lo portasse al piano dove si trovavano le loro camere. Rimase solo qualche secondo, fermo immobile di fronte alla stanza di Brian, forse per prepararsi mentalmente e psicologicamente a ciò che lo avrebbe accolto dall’altra parte. Quella sarebbe stata la prima volta che lui avrebbe infranto quel sottile e implicito muro che Brian aveva messo fra loro due quando avevano iniziato la loro relazione. E non ci voleva un genio per indovinare quanto spaventato e terrorizzato Nick fosse di varcare quella porta: se avesse sbagliato? Se avesse commesso un errore o se si fosse rivelato essere pessimo nel confortare qualcuno? No, non semplicemente qualcuno. Brian. Con lui non poteva sbagliare, anche se non c’era un manuale che potesse spiegargli come fare per togliere da quel viso almeno un velo di tristezza.
Poteva farcela. Le parole di Howie lo avvolsero come il mantello di un supereroe e Nick non poteva fare altro che ammettere la loro veridicità: con Brian non erano mai serviti grandi discorsi, metafore o paragoni di quelli che si leggevano nei libri o in quei filmoni romantici che tanto Brian amava vedere e rivedere, anche se difficilmente poi ammetteva di averli amati. Soprattutto in quella situazione, le parole avevano perso ogni significato perché non potevano negare quello che stava succedendo, né porvi una pietra sopra per bloccare tutta la negatività dentro e fuori di sé. C’era solo un modo per fare ciò e su quello, almeno, sapeva di essere un esperto.
Infilò la tessera nell’apposita serratura, facendola scattare con metallico click e una lucina verde; non appena entrato, la prima cosa a colpirlo fu l’aria completamente gelida dell’aria condizionata. Con un sospiro, Nick allungò la mano verso il pannello di controllo e spense quel getto freddo che sembrava aver ibernato la stanza. D’istinto, senza nemmeno darci troppo pensiero, aprì l’armadio che si trovava nel piccolo antro d’ingresso e recuperò una coperta, sicuro che Brian nemmeno si era accorto della temperatura. Poteva vederlo già da lì, rannicchiato sul letto come se stesse cercando di proteggersi da tutti quei pensieri che, di sicuro, lo stavano trafiggendo come spade appuntite.
Ogni remora, dubbio e paura venne cacciata via mentre passi sicuri si dirigevano verso il letto. Brian non diede segno di aver preso coscienza che un’altra persona era presente nella stanza e. solo quando prese posto accanto a lui, Nick comprese il motivo: era addormentato, forse esaurito qualsiasi energia con quelle lacrime che avevano lasciato segno del loro passaggio. La coperta si adagiò attorno a quell’esile corpo, a protezione dal freddo e chissà da quali altri pericoli; le braccia di Nick si avvolsero come un secondo mantello, creando un contatto di freddo e caldo che fece rabbrividire entrambi. Trattenne per qualche secondo il fiato, maledicendosi se Brian si fosse svegliato visto che più di tutto era proprio il sonno ciò di cui aveva più disperatamente bisogno il ragazzo. Sul comodino, a pochi centimetri da lui, giaceva la ragione di quel profondo e, apparentemente, indisturbato sonno. Nick allungò una mano e prese fra le dita il flacone, contando con attenzione il numero di pillole: sapeva che Brian non sarebbe mai arrivato a quel punto ma era una paranoia che Nick non riusciva a scrollarsi di dosso. Poteva succedere, era già successo nella sua vita e non avrebbe permesso che succedesse anche a Brian. Non gli avrebbe permesso di andarsene e arrendersi come aveva fatto sua sorella.
Per fortuna, ne mancava solo una, la giusta dose prescritta, così Nick ripose la boccetta al suo posto con il petto sollevato dal peso della paura e dell’ansia. Più rilassato, allungò poi le gambe e le incrociò sopra quelle di Brian, formando una sorta di alcova in cui custodire e proteggere il ragazzo. Avrebbe dormito ancora a lungo, era quello uno degli effetti collaterali di quella nuova medicina e uno di quelli che più era stato accolto a braccia aperte da loro. Non solo lui, ma anche gli altri tre s’erano premuniti di imparare i vari effetti collaterali, soprattutto dopo quella volta che una brutta combinazione fra medicinale e alcohol aveva fatto credere di poter imparare a volare. Nick rabbrividì al ricordo di quelle immagini, ritrovandosi a ringraziare ancora una volta qualsiasi stella avesse deciso di spingerlo a salire su quel tetto proprio in quell’esatto momento.
Per fortuna, almeno, quella nuova pillola lo avrebbe fatto dormire, fatto che ora succedeva così raramente perché l’ansia e la preoccupazione non diminuivano con il calar del sole e l’arrivo di stelle e luna. Anzi, sembravano sempre crescere ad ogni nuova stella che nasceva, sembravano cibarsi dell’oscurità e diventare ogni volta più forti e invincibili. Nonostante ufficialmente ancora non condividessero la stessa camera, era accaduto che rimanessero l’uno nella stanza dell’altro e quante volte, troppe, Nick si era svegliato e aveva trovato Brian che si girava e rigirava nel letto, come se stesse cercando di fuggire via dai pensieri? Per non parlare di quante volte lo aveva trovato in bagno, la luce accesa mentre cercava di far uscire note fino a quando non rimaneva solo un rauco singhiozzo.
“Mi dispiace.” Il sussurrò fu così flebile che, almeno all’inizio, Nick faticò per captare quelle due semplici parole. E quando arrivarono alle sue orecchie, per poi essere trasmesse al cervello e trasformate in significato. Nick nascose il viso nei capelli di Brian, strofinando la punta del naso sulla pelle del collo: come sempre, la prima cosa a cui il ragazzo pensava e si struggeva era averli delusi, averli ancora una volta resi deboli e incerti sull’unico elemento di cui si erano sempre fatti forza. Le voci, il talento, il saper cantare ad ogni momento e alla perfezione. Non più, non quando il loro elemento più prezioso stava perdendo troppo velocemente la sua voce.
“Non ti preoccupare. – Mormorò a fior di labbra. - Domani andrà meglio.”
Una risata amara si alzò dalla parte di Brian, sebbene così debole ed ancora resa docile dal sonno. “Come fai ancora a crederci?”
Le parole, la domanda, il tono si riunirono in un unico pugno che si rivolse contro lo stomaco di Nick. Perché quel pugno sapeva, preannunciava una sconfitta. No, non una sconfitta perché il nemico era più forte ma un’arresa. Parola che mai avrebbe voluto legare a doppio filo con il suo compagno. Era peggiore dell’annuncio di un apocalisse, forse perché sembrava preannunciare qualcosa di definitivo e altrettanto spaventoso e terrificante. Non poteva, Nick, immaginare il gruppo senza di lui: era letteralmente la loro roccia, la persona cui tutti, prima o poi, si erano appoggiati e chiesto consiglio e forza. Era lui che li aveva  spinti a continuare quando Kevin aveva abbandonato la nave ed era sempre stato lui a costringerli a lottare con artigli e unghie contro la loro etichetta. Capiva il suo ragionamento, proprio perché aveva sempre messo il bene del gruppo prima di qualsiasi altra cosa, compresa la sua salute, ora si sentiva in dovere di togliersi silenziosamente dai riflettori e rimanere nell’ombra. Ma non era così che funzionava, Brian non riusciva a comprendere che senza di lui, senza più essere in cinque, non avrebbero potuto più essere quella meravigliosa unione.
“Non arrenderti. – Si ritrovò a pregare, la voce trattenuta dal groppo di lacrime e terrore. – Qualsiasi cosa succeda, non arrenderti. Possiamo farcela. Puoi farcela. Ma non... non farlo. Non mollare tutto.”
La prima risposta fu il silenzio. Non si sentiva nessun altro rumore se non quello dei loro respiri, uno lento che sapeva di lacrime ed un altro più veloce, ansioso e preoccupato per che cosa quel silenzio volesse dire. Nick non sapeva che cosa aspettarsi ma desiderava solo una conferma, un semplice attestato che Brian avrebbe continuato a lottare insieme a loro. E arrivò, anche se solo con un cenno di capo e dita che si strinsero attorno a quelle che stavano accarezzando il suo stomaco.
Senza usare quella voce che tanto lo stava ostacolando, Brian aveva appena risposto alla preghiera di Nick. 
No, non si sarebbe arreso.
 
 
 
 
 
 
 







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Quanto avrei voluto non ritrovarmi più a scrivere di questo Brian. ç__ç
   
 
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