Cap. VIII°
Eccesso
di adrenalina
Kei
guidava rispettando i limiti di velocità, nonostante la faccia sconvolta di
Hilary lo spingesse a cercare al più presto un albergo. Non erano feriti, ma
lei era spaventatissima.
Il
ragazzo era lieto di quella notte buia che gli dava l’opportunità di fuggire senza
intoppi e, quando apparve l’insegna amica di un albergo, si fermò di colpo.
La
aiutò a scendere, per evitare che si tagliasse con i vetri. Ordinò la solita
suite, sebbene fosse meno elegante e lussuoso degli alberghi che frequentava di
solito.
-Hilary,
resta qui, d’accordo?- le disse con fermezza, prendendola per le spalle. –Io
vado a cercare qualcuno che ripari l’auto.
La
brunetta annuì meccanicamente e Kei, seppur con preoccupazione, lasciò la
camera.
Hilary
era terrorizzata, ma viva. Doveva attaccarsi a quello, senza riflettere su ciò
che era accaduto. Erano sopravvissuti ad una sparatoria! Erano quasi dei
supereroi.
Niente
poteva fermarli.
Alzò
lo sguardo e incontrò il mobile bar.
Kei
trovò una stazione di servizio ancora aperta che gli sistemò i lunotti esplosi.
Poi chiese che fosse verniciata di blu. Come diavolo aveva fatto Ivanov a
raggiungerli? Mito non era lontana da Tokio, forse si erano avvicinati troppo
alla base…ma avevano avuto proprio una sfortuna nera. Di tante città, proprio
lì doveva dirigersi quel pazzo. E la sua povera Jaguar ne pagava le
conseguenze.
Per
non parlare di Hilary. Forse aveva sbagliato a coinvolgerla in quel piano, ma
senza di lui sarebbe morta in modo orribile.
Rientrando
in camera, pensò di scusarsi con lei e di cercare un posto sicuro dove
nasconderla. Sì, sarebbe andato avanti da solo.
La
stanza era avvolta dall’oscurità e i suoi riflessi erano all’erta, come sempre.
Ma, malgrado questo, non fu pronto a reagire alle braccia che lo strinsero al
collo e alle labbra che premettero sulle sue in un bacio appassionato.
La
ragazza aprì gli occhi e si ritrovò a fissare il soffitto azzurro cielo della
sua stanza. Si sentiva intontita, come se avesse avuto la testa imbottita di
ovatta.
Barcollando,
tentò di alzarsi, accorgendosi di indossare ancora i vestiti della sera prima.
Ma cos’era successo?
Ricordava
la sparatoria, la fuga…E poi? Poi aveva iniziato a bere, aspettando il ritorno
di Kei. E gli era praticamente saltata addosso! Eppure aveva ancora i vestiti e
lui non era nella stanza. Cos’era accaduto allora? Perché non riusciva a
rammentarlo?
Appoggiandosi
al muro, uscì a tentoni dalla camera.
Avvampò
nel vederlo seduto al tavolo, intento a fare colazione e a leggere il giornale.
Chissà cosa pensava di lei… Si trascinò a testa bassa fino a lui, evitando
accuratamente di guadarlo negli occhi.
-Buongiorno-
la salutò.
-Ciao.
Il
silenzio calò nella stanza. Un silenzio rotto solo dal rumore delle posate e
delle pagine girate. Hilary avrebbe voluto sprofondare: non si era mai sentita
così in imbarazzo come in quel momento.
-Stai
bene?- le domandò, appoggiando il giornale e osservandola. Non c’era derisione
o altro nel suo sguardo. Era il solito Kei con cui viveva da un mese ormai.
-Kei…io…
-Non
preoccuparti per ieri sera- la interruppe, distogliendo lo sguardo. –La tua è
stata una normale reazione causata dall’adrenalina in circolo. Ho visto persone
molto più mature, fare cose molto più stupide nella stessa situazione, credimi.
-Ti
sono saltata addosso come una pazza.
-Non
penso male di te per questo: ti ho chiusa in camera ed è finita lì.
Sembrava
tranquillo, come se non fosse successo niente. La ragazza si calmò leggermente
e trovò il coraggio per rialzare la testa e sorridergli.
-Grazie.
-E
di cosa?- chiese stupito.
-Bhe…avresti
potuto approfittare della situazione…invece non l’hai fatto…
-Ho
molto rispetto per te, Hilary. Sono io ad aver sbagliato: non dovevo obbligarti
a questa vita.
-Siamo
vivi. Cos’altro c’è che conta?
-Hai
rischiato di morire- proseguì lui.
-Non
con te. Non puoi fermare Spyro da solo. E questa è l’ultima volta che ne
parliamo.
Le
labbra dell’Angelo si incurvarono in un raro sorriso: che determinazione in
quella ragazzina pelle e ossa. Una determinazione che sentiva simile alla sua,
sebbene spinta in una diversa direzione.
E, anche se sarebbe morto piuttosto che ammetterlo, una strana sensazione si era impadronita di lui da quando lei lo aveva baciato.