Cap. XII°
Gli
artigli del gatto
Uno
sparò sovrastò il suono del clacson, e fece un buco nella porta della suite,
frantumando il legno. Un colpo di fucile a così breve distanza!
Kei
si nascose dietro la cassa con il coperchio aperto, mentre qualcuno prendeva a
calci la porta con il tacco dello stivale: udì il legno andare in pezzi e il
metallo spezzarsi. Bloody Mary entrò e, non vedendo Kei, sparò cinque colpi in
rapida successione, per tutta la stanza, colpendo anche la porta della camera
da letto e il muro.
Due
colpi raggiunsero il coperchio della cassa
L’uomo
con il fucile si fermò sulla soglia per ricaricare, la stanza davanti a lui
sembrava vuota. Kei saltò fuori da dietro la cassa e sparò quasi alla cieca con
la calibro 45. Il proiettile colpì il divano vicino alla porta. Yuri si
precipitò dietro il tavolino su cui era appoggiata una lampada di cristallo, e
si abbassò per finire di ricaricare l’arma.
L’Angelo,
rannicchiato dietro la cassa, riusciva a vedere il punto in cui i proiettili
avevano colpito il coperchio.
Respirando
a fatica contò quante pallottole gli restavano; nella stanza regnava un
silenzio irreale, interrotto solo dal rumore del suo nemico che ricaricava il
fucile; il tempo sembrava essersi fermato.
Non
vide il suo avversario alzarsi, ma due colpi penetrarono nella cassa e la
scaraventarono con forza contro di lui, spingendolo sul pavimento, di fianco e
privandolo del riparo.
Nel
momento in cui si rese conto di essere esposto, il ragazzo dai capelli argentei
sparò tre colpi in rapida sequenza: un di questi mandò in frantumi la lampada
di cristallo sul tavolino. Le schegge volarono dappertutto e colpirono in pieno
viso Yuri, come le punture di decine di terribili api.
Ivanov
urlò per la sorpresa e il dolore e cadde sulle ginocchia. Kei, ancora steso di
lato, perfettamente visibile, continuò a sparare, ma i proiettili servirono
solo a spingere l’altro, ferito e dolorante, a cercare rifugio dietro il divano
imbottito.
Kei
si accorse di sparare a vuoto, quindi lanciò un’occhiata a Bloody, rannicchiato
dietro il divano: con una mano si toccava il viso insanguinato, con l’altra
stringeva il fucile, impotente, almeno per il momento.
Sfruttò
il momento di calma: si alzò in piedi, corse verso la porta della camera da
letto e iniziò a prenderla a calci. Riuscì a romperla quel tanto da far passare
il braccio e girare la chiave.
Entrando,
si voltò rapidamente, ricaricando l’arma. Gianni era riverso sul letto, di
schiena, con la bocca e gli occhi aperti e una chiazza di sangue sulla giacca
da camera. Spruzzi scarlatti macchiavano anche la parete e la testiera. Una
delle pallottole del fucile aveva colpito il contabile, dandogli un’ultima
lezione sul mondo del crimine.
La
camera da letto aveva un’altra uscita: Kei passò da lì e corse via lungo il
corridoio, scendendo poi la scala antincendio e, nel giro di pochi secondi,
stava avviandosi verso il parcheggio.
Non
si avvide che Yuri Ivanov, nel frattempo, era riuscito a raggiungere la
finestra e ad aprire le tende, aveva estratto un revolver a dalla tasca del
soprabito, si era ripulito dal sangue e, infine, aveva preso la mira. Nessuna
scheggia gli era finita negli occhi, per sua fortuna.
Hilary
riconobbe immediatamente Kei che usciva dal vicolo, ingranò la retromarcia e
indietreggiò per andargli incontro. Nessuno dei due perse tempo, ma due spari
li scoraggiarono entrambi: sul tetto della Jaguar si aprirono due fori e i
raggi del sole penetrarono nell’abitacolo. La ragazza sentì l’amico gridare:
-Vai!
Vai!
E
lei sapeva che, nonostante andasse contro il suo cuore, non poteva
disubbidirgli.
Cambiò
marcia e iniziò ad accelerare, mentre Kei correva accanto all’auto. Aprì la
portiera ed era quasi salito, quando si udì un altro sparo e Kei ritrasse la
spalla, sussultando per il colpo.
Eppure,
in un modo o nell’altro, riuscì a salire sulla Jaguar e a chiudere la portiera,
gridando ancora:
-Vai!
VAI!
Hilary
era spaventata, ma sapeva che l’Angelo era stato ferito, perciò fece del suo
meglio: premette l’acceleratore, spingendo fino al limite della velocità,
procedette a zigzag lungo il traffico mattutino, mentre le sirene ululavano
dietro di loro.
Raggiunta
finalmente la periferia, si voltò verso Kei, che si teneva la spalla sinistra
con la mano: il sangue gli scorreva in mezzo alle dita, formando righe rosse
sul braccio.
Il
ragazzo scorse il panico sul volto di lei e disse:
-Sto
bene, non preoccuparti. Guarda la strada.
Hilary
continuò a guidare.
Nella
suite, Yuri Ivanov si inginocchiò come se fosse sul punto di mettersi a
pregare, ma non congiunse le mani: le allungò davanti a sé, con il palmo
rivolto verso l’alto.
Le
mani che si era portato al volto, devastato dalle schegge di vetro. Mani
coperte di sangue, grondanti di rosso.
Era
spaventato.
Era come se tutto il sangue di cui si era macchiato fosse lì davanti a lui.