Don’t
stop Believing
Hibari
Kyouya se ne stava tranquillamente
appoggiato alla ringhiera del tetto, unico limite che lo separava dal
cadere
nel vuoto, osservando il muto procedere della vita.
Si
sentiva come uno di quegli stranieri che
aspettavano, camminando
su
e giù per il viale,
alla ricerca di un’emozione
che si nascondeva, da qualche parte, nella notte1.
Solo che lui non era
uno straniero e, decisamente, non era
notte.
Quella era,
senza dubbio alcuno,
la scuola media Namimori e il sole battente che splendeva alto nel
cielo
indicava che erano da poco passate le ore più calde della
giornata.
Eppure lui
se ne stava lì,
incurante delle lezioni pomeridiane ancora in corso, ad osservare il
cortile
irrimediabilmente vuoto, come se, anche lui, fosse in attesa di
qualcosa, di qualcuno.
Il ragazzo
raddrizzò appena la
schiena e scosse leggermente la testa: che assurdità!
Lui non
stava proprio aspettando
nessuno.
Era solo per
abitudine che, ogni
giorno alla stessa ora, si ritrovava a fissare i cancelli aperti; solo
un modo
come un altro per rilassarsi, prima di passare all’ennesimo
compito che
spettava al Presidente del Comitato Disciplinare.
Tutto qui.
Il fatto che
avesse iniziato da
qualche mese a farlo non significava nulla.
Il
fatto che avesse iniziato a farlo da quando Dino
Cavallone si presentava, puntualmente, a
quell’ora per venirlo ad infastidire non significava proprio
nulla.
In fondo
quello era solo uno
stupido erbivoro come tanti altri.
Forte,
sì, ma nulla di più.
Hibird, che
fino a quel momento
era rimasto appollaiato sopra la sua testa, prese a volteggiare
nell’aria,
scandendo il suo nome come una litania intonata da una voce troppo
acuta.
-Sta zitto.-
Prendersela
con l’uccellino non
lo avrebbe portato da nessuna parte, questo Hibari lo sapeva
perfettamente, ma
in mancanza di altro materiale su cui sfogarsi non c’era
nulla da fare.
Eppure non
poteva fare a meno di
sentirsi irritato.
Con un gesto
stizzito estrasse il
cellulare dalla tasca.
Il quadrante
su cui spiccava l’orologio
digitale segnava le tre e un quarto di un pomeriggio troppo caldo.
Non vi era
nessuna chiamata,
nessun messaggio, niente.
Non che si
aspettasse di trovare
qualcosa, in realtà –quando l’unica
persona ad avere il tuo numero di telefono
era a poco più di una rampa di scale di distanza, era
abbastanza difficile
venire contattati in quel modo.
Solo che,
quel giorno, l’erbivoro
era in ritardo.
Distrattamente,
senza davvero
darci importanza, Kyouya si chiese cosa potesse essere così
importante da farlo
tardare al loro appuntamento.
Quando
sarebbe arrivato avrebbe morso
a morte lo stupido cavallo più forte del solito.
“Se”
sarebbe arrivato.
Velocemente
scacciò quel pensiero
dalla testa: Dino sarebbe arrivato come tutti i gironi a rompere le
scatole al
prossimo e lui avrebbe potuto tornare ad ignorare il mondo in santa
pace.
Sbuffò
nuovamente, spazientito,
quanto si rese conto del tipo di pensieri che stava formulando.
Sembrava
quasi che lui stesse seriamente
aspettando il biondo, quando, naturalmente, non era così.
Improvvisamente,il
piccolo
uccellino che ancora seguitava a ripetere il suo nome decise che era
giunto il
momento di cambiare ritornello e, quasi a volerlo prendere in giro,
cominciò a
scandire il nome dell’ultima persona che aveva in mente in
quel momento.
-Dino! Dino!-
Per un
istante Hibari ponderò
seriamente l’idea di liberarsi del pulcino.
Poi il suo
sguardo si focalizzò
su una figura che era apparsa quasi all’improvviso nel centro
del cortile sottostante:
un ragazzo dall’inconfondibile zazzera bionda avanzava
svelto, come se fosse in
ritardo, seguito dal suo fedele braccio destro, cercando in tutti i
modi di non
inciampare in se stesso.
Senza che il
loro proprietario se
ne accorgesse, le labbra di Hibari si incurvarono in un sorriso.
Tuttavia,
nonostante il tremito
di gioia che lo aveva pervaso –Kyouya era sicurissimo fosse
dovuto solo ed
esclusivamente dalla prospettiva di un ottimo combattimento, di
lì a poco- il
ragazzo rimase fermo nella sua posizione, in attesa.
Dopo pochi
minuti percepì
chiaramente la porta che collegava il tetto al resto della scuola
aprirsi, ma
non si voltò.
-Sei in
ritardo, erbivoro.-
-Lo so, mi
sono perso…mi
dispiace.- le patetiche scuse del giovane Boss si interruppero
bruscamente
quando realizzò il significato recondito delle parole
dell’altro.
-Mi stavi
aspettando, Kyouya?-
Un movimento
rapido del ragazzo e
un tonfa troppo vicino al suo volto fecero indietreggiare Dino che,
svelto,
estrasse la sua frusta, pronto a combattere anche per quel giorno.
-Ti prometto
che domani sarò
puntuale, Kyou-chan...-
Un secondo tonfa
andò a fare compagnia al
primo, in un attacco a due mani diretto contro l’irritante
figura che,
sorridendo, continuava a schivare.
In quel
momento Hibari Kyouya
decise che no, non si sarebbe più sottoposto alla tortura
della presenza di
Dino Cavallone un’altra volta.
Poi ci fu
tempo solo per pensare
al combattimento.
*****
Il giorno
seguente, alle tre del
pomeriggio, Hibari si trovava ancora sul tetto, a fissare
l’orizzonte, in
attesa, ancora una volta, di quell’emozione che solo uno
stupido erbivoro
biondo sapeva accendere.
Il resto non
importava.
°Blaterazioni
varie°
1Questa frase
è un riadattamento
della traduzione di una delle strofe della canzone che dà il
titolo alla
storia, Don’t stop Believing dei Journey (vi metterei il link
ma le mie
capacità tecnologiche non arrivano a tanto : D)
Ok ho finito con le cose serie,
passiamo alla storia.
Hibari tsundere è l’ammmmmore!
Ho messo la dicitura ooc perché non
tutti, forse, condividono il mio punto di vista
(smentitemi!)…ma a mio parere
Kyouya è uno tsunderello fatto e finito.
E poi volevo provare a scrivere
qualcosa con tsundhibari a caso <3 Poco importa se il resto non
ha senso! Non
picchiatemi!
Come ormai tutto quello che
scrivo (?) anche questa schifezzina è per la Challenge
Multifandom del gruppo
fb Fanfiction Challenges e blablablalosapete.
Alla prossima!
Un bacio, Seki