Seduto a gambe incrociate si scaldava le mani intorno ad una tazza di te bollente. Il gatto spelcchiato acciambellato tra le sue gambe soffiava smorfioso, seguendo con gli occhi le mani del padrone - gesticolava senza interruzione, a continuo soccorso della parola, come se questa da sola non bastasse - Stava raccontando al bambino disteso nell'angolo le sue gesta di giovane, quando, cacciatore di aquiloni, collezionista di sorrisi, amatore e viaggiatore, si perse in una foresta al confine tra realtą e fantasia. Narrava di fiumi che defluivano nel cielo, di alberi parlanti e frutti proibiti, di un sottobosco traboccante di colori. La soffitta in cui si trovavano era immersa in un grigio puliviscolo ed avvolgeva i tre nella sua fitta trama di ragnatele riducendo la luce delle candele in un lieve bagliore sferico. Panni erano appesi ad asciugare su di una trave del soffito e la lampada accesa sotto di questi faceva evaporare l'acqua - il vapore si era dipreso nella piccola mansarda, appiccicando le palpebre del bambino - attraverso la fitta nebbiolina gli occhi del gatto luccicavano maliziosi - depositari d'esperienze, antichi misteri archiviati - rilucevano di un bagliore giallastro. Le mani nodose del vecchio, solcate da pieghe ed amari ricordi, disegnavano cerchi nell'aria, itineres in mente eius. Ecco che l'immobile quiete dell'aria venne per un attimo spezzata, uno spicchio di tenebra reciso - una figura sinuosa giunta con il vento - Apparve - stagliata come un abete appena al di fuori della porta. Tra i capelli arruffati e lunghi, corvini e ribelli, sorrise un volto allungato e sereno - un' inverno agli scoggioli quando la primavera č alle porte.