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Autore: Rurue    04/08/2013    1 recensioni
Akemi è un'infermiera giovane, ma sveglia. Resa tale da una famiglia di maghi purosangue che la disprezza per il suo essere Maganò e da una società in piena Seconda Guerra Mondiale che la evita per la sua lontana, ma abbastanza evidente, discendenza giapponese.
La ragazza si incontrerà con un Tom Riddle giovane, ma già prepotente. Instaurerà con lui un rapporto particolare; visto da fuori parrebbe solo astioso ma, per lei, è molto profondo.
Che ruolo potrebbe avere una semplice maganò nel passato del Signore Oscuro?
Akemi, grazie al suo lavoro, incontrerà anche i fratelli Pevensie, che riusciranno a sconvolgerle completamente la vita scaraventandola affettuosamente ma con prepotenza nella loro famiglia particolare e mostrandole un mondo diverso da quello a cui è abituata.
Attenzione: la storia seguirà, in gran parte, il filo della storia presente nei libri di Lewis, per questo potrebbero esserci possibli spoiler per chi ha visto solo i film.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom O. Riddle, Tom Riddle/Voldermort
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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                                                                      Capitolo Primo



Salve,

il mio nome è Akemi Aramaki, detta “Em” perché gli inglesi finiscono sempre per storpiare il mio nome completo. Non sono mai riuscita a capire perché i miei genitori mi abbiano dato un nome giapponese come il mio cognome se tanto avrei poi vissuto in Inghilterra, ma non lo chiesi mai: il rapporto che avevo con mia madre e mio padre non era dei migliori; loro erano brillanti maghi e mia madre, Josephine Hole lavorava come bibliotecaria alla scuola di magia e stregoneria “Hogwarts”. Invece mio padre, Daisuke Aramaki, era un semplice impiegato al ministero della magia. Anche a lui toccò un nome orientale, nonostante fosse da quasi quattro generazioni che la famiglia Aramaki si era spostata in Gran Bretagna.

Vivevo circondata dalla magia e ovviamente i miei genitori stravedevano per la mia carriera da strega.. però gli giocai un brutto scherzo, e nacqui senza poteri. La cosa non piacque molto ai due ma fecero lo sforzo di continuare la loro “carriera” di genitori umani, anche se lo sforzo fu minimo, quindi iniziarono a ricordarsi della mia esistenza solo se strettamente necessario. Infatti non dissero assolutamente nulla quando lasciai la scuola e iniziai a lavorare un po' ovunque; a dodici anni mi presero come tirocinante al Saint Thomas Hospital un po’ perché ero abbastanza soddisfacente nel lavoro e un po’ per disperazione poiché all’alba di una guerra un’infermiera in più fa solo che comodo e l’età passa in secondo piano. Non che fossi l'unica, era pieno di ragazzine della mia età che facevano l'apprendistato.

 

Era il 15 gennaio del 1938 un giorno freddo, pioveva. La mia migliore amica, Roxanne, era nella mensa riservata al personale dell’ospedale, accovacciata sulla panchina sotto la finestra, osservando il cortile interno bagnarsi sotto la pioggia  e si torturava la solita ciocca ribelle di capelli castano scuro-rossiccio che le cadeva sempre davanti al viso. Mi vide arrivare e i suoi occhi si illuminarono.

<< Em! >> mi chiamò. Mi avvicinai facendole un cenno con la testa per incentivarla a parlare. Lei si alzò e mi porse una lettera << è arrivata poco fa, Carl mi ha chiesto di dartela. Era un po’ innervosito perché il gufo che la portava gli ha distrutto il dito prima di lasciargliela. >> disse ridacchiando. Carl era uno degli inservienti, scorbutico e rude, ma benvoluto da tutti. Mi ricordava in modo particolare come “quella dei gufi” o “Miss Owl”, perché i miei le poche volte che mi scrivevano lo facevano via gufo.

Ringraziai e girai la lettera domandandomi mentalmente come diavolo facesse ad essere asciutta. Come immaginavo il mittente era mia madre che mi scriveva per dirmi che anche quell’anno la sua scuola aveva autorizzato la mia entrata nell’edificio in quanto “maganò” e figlia della bibliotecaria. Il permesso andava rinnovato alla fine di ogni anno e mia madre mi inviava sempre la risposta del ministero, come a dire “sono una brava madre che cerca di privilegiare la figlia”.

Balle.

Le uniche volte in cui andavo a Hogwarts erano le vacanze di Natale e qualche altro raro giorno sparso durante l’anno, ma avere quel permesso faceva comunque comodo poiché così avevo libero accesso al mondo magico nonostante fossi una senza poteri (o per dirla come loro una “babbana”) e solamente perché facevo pena al ministero della magia almeno quanto tutti gli altri magonò.

Sbuffai seccata e mi misi la lettera in tasca << Hai già mangiato? >> domandai a Roxanne.

<< No, ti stavo aspettando. E poi a dir la verità non sono molto affamata, l’idea di uova strapazzate col bacon mi disturba e basta. >> fece una smorfia infastidita << Almeno speriamo che la capoinfermiera Ruthwick sia di buonumore. >>

La capoinfermiera era un po’ il nostro incubo: era sempre arrabbiata e almeno tre giorni a settimana di cattivo umore, quindi quando era solo arrabbiata la consideravamo “di buon umore”. Non sapevamo bene perché fosse sempre così spaventosa, soprattutto con quelle nuove.

Sghignazzai, ritenendo le speranze della mia amica vane, e presi da mangiare mentre Roxanne si limitò a un succo d’arancia. Ci sistemammo in una delle dieci lunghe tavolate della sala pentagonale.

<< Ciao Shirley, Briony. >> salutai le due ragazze sedute vicino a me, che ricambiarono il saluto sorridendo e cercando di integrarci nella loro conversazione.

<< Dicono che oggi ci sarà un grandissimo temporale qui a Londra e nei dintorni. Speriamo che si sbaglino, odio la pioggia. >> ci informò Briony sistemandosi il suo ormai caratteristico  fiocco azzurro che portava sui biondi capelli a caschetto.

<< A me invece piace tanto quando piove. >> biascicai ingoiando il mio uovo quasi intero.

Roxanne rise e mi prese in giro << Tranquilla Em, già sapevamo che sei un po’ strana. >>

Le risposi con una linguaccia, suscitando il divertimento di tutte e tre le ragazze.

Arrivammo in tempo alla riunione mattutina delle infermiere della nostra ala e subito dopo mi ritrovai per strada, tremando nel mio inseparabile cappotto scozzese e tenendo in una mano congelata la valigetta da infermiera.

Sorpassai un triste cancello grigio che riportava la scritta “Wool’s Orphanage” e mi avvicinai al campanello consunto e logoro. Lo suonai con riluttanza.

Mi fecero attendere un’eternità ma alla fine mi aprì una signora dai capelli grigi e corti con una pelle pallida e rugosa.

<< è lei la signora Cole? >> mi informai immediatamente. Lei assottigliò lo sguardo, poi mi rispose con aria sospettosa << è esatto, signorina. Lei invece è..? >> domandò a sua volta. Io le mostrai la mia spilla da crocerossina per poi classificarmi << Akemi Aramaki, infermiera del Saint Thomas Hospital. Sono stata inviata per fare un controllo sanitario. >> le porsi il permesso scritto poi aggiunsi << se non le dispiace, posso entrare? Qui fuori si congela. >>

La signora annuì senza staccare gli occhi dal permesso che stava leggendo  si fece da parte << D’accordo, cosa posso fare per aiutarla? >> domandò restituendomi il documento e chiudendo la porta.

Mi tolsi il cappotto e lo appesi all’attaccapanni accanto all’uscio.

<< Mi trovi un posto dove possa visitare i ragazzi e li riunisca tutti fuori dalla porta della stanza. Li chiamerò io stessa, dopodiché passerò per tutte le stanze dell’edificio. >>

Lei assentì di nuovo e mi condusse in una stanza vuota, con qualche scaffale pieno di cianfrusaglie varie. Al centro della stanza c’era un tavolo e qualche sedia. Mi sistemai su una di queste e aprii la valigetta contenente gli strumenti necessari. Sbuffai svogliatamente e quando sentii un vociare fuori dalla porta scorsi con lo sguardo la lista di nomi. Aprii la porta e chiamai: << Annie Benson >> si avvicinò una bambina e poi ne seguirono altri quattro. Fu proprio il quarto ad attirare la mia attenzione, "Tom Riddle" c'era anche una O puntata tra nome e cognome ma la ignorai, considerandola irrilevante. Entrò nella stanza lentamente, e con un leggero fare altezzoso; sorrise, o forse ghignò, osservandomi con scetticismo.

<< Non pensavo che la tanto temuta "infermiera" fosse una semplice dodicenne, hai solo un anno in più di me. Sei una ragazzina >> marcò sul "ragazzina" << Gli altri fanno sempre così, si esaltano con niente. >> borbottò, probabilmente riferendosi al fatto che si aspettava un po' di più di una semplice visita medica.

Lo guardai irritata << Intanto la ragazzina è più grande di te, anche se di solo un anno. Ed ha un titolo, per quanto infimo, quindi vedi di misurare le tue parole e di portarmi rispetto. >>

Non cambiò espressione, cosa che mi infastidì ancora di più soprattutto quando decise di voler aprire la bocca una seconda volta.

<< Vedo che ti piace giocare a fare l'adulta. >> disse sedendosi, io invece mi alzai e mi avvicinai a lui

<< Dov’è il tuo problema? Io non ti conosco e tu non conosci me, qual è il motivo per essere così acido nei miei confronti? >> Non ero mai stata una persona paziente, ma tentai di non infastidirmi troppo: dopotutto quei ragazzi erano cresciuti in una situazione difficile, se odiavano tutti era comprensibile.

<< Oltre a infermiera sei anche psicologa? >> Chiese sprezzante. Repressi l’improvviso desiderio di affogarlo e lo visitai. Fortunatamente non disse altro.

Mentre facevo il giro dell'edificio il tempo peggiorò, cominciando a piovere a dirotto e quando uscii la pioggia e la nebbia erano così fitte che si vedeva a malapena a due palmi di distanza.

La signora Cole mi costrinse a rientrare, così guadagnai un riparo, in compenso mi ero bagnata completamente. Chiamai l'ospedale usando il telefono dell'orfanatrofio (non senza qualche difficoltà poiché i telefoni li avevo solo visti usare da Roxanne) e avvisai che sarei rimasta lì finché non si fosse calmato il temporale. Feci un bagno caldo e mi procurarono dei vestiti asciutti, poi mi diedero il permesso di andare ovunque avessi voluto e ovviamente mi nascosi nella biblioteca dell’edificio. Ero cresciuta tra i libri di mia madre e le librerie e biblioteche erano un po’ il mio luogo sacro, ovviamente dopo la chiesa.

Vagai un po' per la stanza, scorrendo con gli occhi il dorso dei libri per coglierne il nome e giocherellando distrattamente con la semplice croce d’argento che pendeva dal mio collo da ormai sei anni. Era un gesto che facevo sempre quando ero sovrappensiero o concentrata.

<< Che ci fai qui? >> chiese qualcuno dietro di me.

Sussultai spaventata e mi voltai di scatto. Di fronte a me c'era il ragazzino insopportabile coi capelli neri, in quel momento mi sfuggiva il nome.

<< Che domanda è? Che si fa in una biblioteca secondo te? >>

Lui alzò gli occhi al cielo e quindi non potei fare a meno di notare i suoi occhi verde smeraldo. Quel colore mi colpì, non avevo mai visto degli occhi del genere; in quel momento mi osservavano con astio, ma sembravano voler esprimere mille altre cose.

<< Il senso della domanda era che tu non dovresti essere qui. >> spiegò sibilando.

Corrucciai la fronte << è una luogo pubblico, io sto dove mi pare. Anzi, credo che ci rimarrò anche un bel po’! >> esclamai indispettita prendendo un libro a caso dalla libreria al mio fianco e mi sedetti. Lui mi osservò e appena aprii il libro mi disse

<< Alla fine si suicidano tutti e due. >>

Lo guardai attonita, poi scoppiai a ridere, piegando leggermente la testa all'indietro, rendendomi conto che mi aveva rivelato il finale per rovinarmi la lettura.

<< Chiunque sa come finisce Romeo e Giulietta. >> gli dissi. Lui fece una smorfia scocciata << Se preferisci ti dico il finale di tutti il libri presenti qui dentro così non avrai alcun motivo per rimanere. >> mi sfidò

<< Un libro non si legge solo per il finale, altrimenti si farebbe prima a scrivere il prologo e l'ultima pagina, non credi? >> rimisi a posto il libro. "Romeo e Giulietta" l'avevo letto già quattro volte e non mi era neanche piaciuto troppo.

Il ragazzo assottigliò lo sguardo poi però si sedette sbuffando che non mi voleva in mezzo alle scatole. Sorrisi scuotendo leggermente la testa, poi gli domandai << Com'è che ti chiami? Non mi ricordo >>

All'inizio sembrò non voler rispondere, poi grugnì << Tom. >> sbuffò di nuovo e poi mi chiese con aria indifferente << Tu, infermiera, ce l'hai un nome? >>

Mi avvicinai e gli tesi la mano << Akemi, ma puoi chiamarmi Em, è più facile. >> Tom guardò la mia mano tesa verso di lui e decise di ignorarla. Corrucciai la fronte, leggermente offesa.

<< Vestita così sembri una semplice orfanella, come stanno i tuoi genitori? >> non capii bene se la domanda fosse stata posta innocentemente o con disprezzo. Comunque scrollai le spalle << Non ne ho idea, ma chissene importa. >> risposi sinceramente ricordandomi della fredda lettera di quella mattina inviatami da mia madre, in cui non compariva nessuna informazione personale.

Tom distolse lo sguardo poggiando i gomiti sui braccioli della seggiola.

<< Se vuoi te li regalo, tanto per me come se non li avessi. >> mi riferii ai miei genitori.

Il suo sguardo si posò su di me di scatto, sorpreso e infastidito per la improvvisa confessione << Non mi servono  dei genitori scassa-palle, sto benissimo così. >>

Mi risedetti di fronte a lui. Mi irritava, quel ragazzino, però mi incuriosiva allo stesso tempo.

<< Ma voi ci andate a scuola? >> chiesi.

<< A volte viene un'istitutrice. Ma tanto io dal prossimo anno comincio una scuola per quelli come me. >>

Chiesi il nome, ma lo avevo capito anche da sola. O era una scuola per geni oppure.. << Scommetto che si chiama Hogwarts. >> mi risposi ad alta voce. Mi trovai osservata come se fossi stata un alieno.

<< Come fai a saperlo? >> la sua voce era allarmata. Ridacchiai dicendogli di tranquillizzarsi.

<< Mia madre è la bibliotecaria della scuola >> lui mi guardò stupito

<< Cioè tua madre è.. >>

<< Si, una strega e anche mio padre. >>

Lo sguardo di Tom si illuminò lievemente << Quindi anche tu sei una strega! >>

Feci una smorfia << Mi spiace deluderti, Tom. Non è così. >> mi guardò confuso << Sono nata senza alcun potere. Però ho l'accesso al mondo magico, come tutti i magonò. >>

<< I che? >>

<< Magonò. Quelli di famiglia purosangue ma nati senza poteri. >> spiegai, poi risi da sola ad un pensiero che mi passò per la mente << Credo che se Hitler fosse un mago sbatterebbe anche noi nei campi di lavoro. >>

Tom mi fissò inorridito << Come se foste storpi. >>

<< Grazie mille per la schiettezza. >> risposi ironica. Poi mi alzai e mi diressi verso la porta ma la sua voce mi chiamò, facendomi voltare << quanta gente conosce il mondo magico? >> domandò

<< Tutti i maghi, i genitori dei maghi, i figli e spesso anche i coniugi. Ti basta come risposta?

Tom fece cenno di si con la testa e io uscii dalla stanza.

  
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