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Autore: _eco    05/08/2013    8 recensioni
[Mrs.Everdeen/Maysilee Donner/Mr.Mellark]
- Ho portato il pane, May. Per le occasioni speciali. – mormora appena Dan, sforzandosi di mantenere ferma la voce, perché, se crolla lui, crollano anche loro.
[Partecipa alla Challenge Multifandom e Originali con il prompt #99 Pane]
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Maysilee Donner, Mr. Mellark, Mrs. Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Okay, io dovevo scriverla. Va bene? Va bene.
Perché adoro Maysilee, e mi piace troppo pensare all'amicizia tra lei e la signora Everdeen, che nella mia testa si chiama Helen, e poi c'è ache il papà di Peeta, che era innamorato della mamma di Katniss. E tutti e tre sono troppo belli per non essere shippati insieme, e quindi, ho scritto questa cosa. Fatemi morire affogata nel fluff, vi prego. Li adoro. Okay, ho finito.
La shot si articola in due parti: la prima risale a quando tutti e tre hanno più o meno dieci anni; la seconda è ambientata subito dopo la Mietitura in cui Maysilee viene scelta come tributo. Sigh.
Buona lettura, e non mi tirare troppi pomodori in faccia, che non ho dei riflessi proprio eccezionali! XD
S.


Di cartone e vecchie stoffe
 

Maysilee è accucciata sui gradini in pietra grezza del retro della panetteria. Il caschetto di capelli biondi mette in risalto i lineamenti delicati e morbidi del viso.
- Un rifugio? – chiede Dan, sorpreso e confuso, facendosi posto tra un sacco di farina e un altro.
- Sì. Un posto. Tutto nostro. – replica la ragazzina, decisa.
- E come lo facciamo, un rifugio? –
Questa volta è la bambina dalle lunghe trecce dorate a parlare, mentre intreccia con le dita una collanina di fili d’erba.
- Non lo so. Con qualsiasi cosa. Scatole di cartone, per esempio. Mia madre ne ha un bel po’, in casa. E magari possiamo prendere qualcuna di queste. – propone Maysilee, indicando una pila di cassette di legno.
- Quelle non si toccano. – borbotta Dan. – Ci mettiamo il pane, lì dentro. –
Maysilee assottiglia gli occhi, indispettita, al che Helen smette di giocherellare con l’erba, e inizia a guardare ad alternanza prima uno e poi l’altra. Questo scambio di sguardi sembra placare Dan, che sospira rassegnato e abbassa le spalle.
- Magari qualcuna di quelle più vecchie… - concede.
- Perfetto. – esulta Maysilee, con un largo sorriso. – Hel? Qualche idea? – chiede poi, guardando la ragazzina seduta a gambe incrociate per terra.
Helen ci riflette su per un minuto buono. A casa ci sono diversi stracci logori al punto che sua madre non riuscirebbe a cavarne fuori nemmeno una tovaglia per la cucina. Potrebbero usarli come…
- Pavimenti. Possiamo usare dei vecchi stracci per metterli a terra e fare una sorta di pavimento. – esclama, fiera della sua idea.
Idea che viene approvata calorosamente sia da Maysilee che da Dan.
- Possiamo dipingere le scatole di cartone con un po’ dei colori di mia sorella. – dice May.
- Sicura che non si arrabbia? – domanda Helen, timorosa.
- Naa. – risponde May, che, comunque, sa che sua sorella andrà su tutte le furie, quando scoprirà che lei ha usato le sue tempere.
- E tu potresti portare del pane, Dan. Per le occasioni speciali. – dice Maysilee.
Daniel annuisce senza replicare.
 

***

Aleggia un silenzio che non è mai appartenuto a loro due. Non a Maysilee, per lo meno. Lo stanzino del Palazzo di Giustizia è più angusto e inospitale di quanto Helen abbia mai immaginato, trattandosi comunque dell’edificio più importante del distretto. L’umidità ha scolpito crepe lungo le pareti, il pavimento è sconnesso, ed Helen si ritrova a pensare che il loro, di pavimento, fatto di sacchi di iuta e vecchia stoffa, fosse molto più bello.
- Hai visto Dan? – chiede May, in un tono insolitamente cauto e sottile.
Vi si avverte ansia e preoccupazione. Entrambe cose che non le sono mai appartenute.
Helen scuote la testa. Quando la tizia dai capelli giallo limone aveva chiamato il nome di May, Dan era già sparito tra la folla. Helen lo aveva intravisto mentre correva via, veloce come un fulmine, capitombolando per strada e rialzandosi nel giro di pochi secondi. E poi di nuovo sfrecciare via.
- Verrà, May. – le assicura, sfiorandole il dorso della mano.
E poi, visto che Maysilee non sembra intenzionata ad aprir bocca, è Helen a parlare, nel vano tentativo di distrarla.
- Guarda un po’ questo pavimento. Il nostro era molto meglio, ti pare? –
Maysilee annuisce debolmente, ma l’ombra di un sorriso fa capolino sul suo volto, che è una maschera di dolore e incredulità.
Il rifugio. Niente più di una montagnola di scatoli, cassette di legno e vecchie stoffe stese per terra. La tempesta che venne giù sei o sette anni fa lo distrusse. Helen se lo ricorda bene. E ricorda anche della polmonite che Dan si beccò per la bravata che combinò. Uscì di casa di corsa, nell’inutile tentativo di portare in salvo il rifugio. Gli scatoloni erano già ridotti in una poltiglia molle e marroncina, le cassette di legno, già vecchie, erano marcite. I colori a tempera si sciolsero.
Helen getta uno sguardo all’orologio a muro. Il tempo sta per scadere, e adesso è seriamente preoccupata, perché Dan non si è ancora fatto vivo.
La porta si spalanca all’improvviso, con un rumore secco, e Dan quasi ruzzola dentro lo stanzino. Qualcuno deve averlo spinto con forza. Deve anche aver corso parecchio, vista la posizione scombinata dei suoi riccioli biondo cenere.
- Sono qui. – dice, ansimando.
May scatta in piedi e gli allaccia le braccia al collo. Si sente un rumore di carta stropicciata, e il puzzo di umidità cede il posto ad un aroma di limone e mirtilli, accompagnato dalla fragranza di pane appena sfornato.
- Non potevo non venire a… - dice Dan, sciogliendosi dall’abbraccio – salutarti. – conclude in un sussurro.
- O a dirmi addio. – mormora Maysilee, chiudendo gli occhi e lasciando scivolare una lacrima lungo le guance, mentre un sorriso amaro le si dipinge in viso.
Helen deglutisce rumorosamente, mentre Dan diventa una sagoma sfocata tra la cortina salata che le offusca la vista.
Ce l’hai fatta, sembra dire il suo sguardo. Ce l’hai fatta, Danny.
- Ho portato il pane, May. Per le occasioni speciali. – mormora appena Dan, sforzandosi di mantenere ferma la voce, perché, se crolla lui, crollano anche loro.
Helen si alza e li raggiunge. Il loro abbraccio è silenzioso. Non un gemito, non un singhiozzo. Solo il peso di tutti quegli anni trascorsi insieme, delle risate, dei litigi, delle corse nel Prato, del loro rifugio, della polmonite che costrinse Dan a letto per un mese, delle collanine che Helen aveva intrecciato con l’erba e che regalava loro almeno una volta alla settimana, della punizione che May si era beccata per aver preso di nascosto le tempere di sua sorella. E la consapevolezza che non servono scatole di cartone o cassette di legno o sacchi di iuta per costruire un rifugio. Bastano le braccia forti di Dan, ben salde intorno alle spalle di Helen e May. Bastano i morbidi capelli dorati di Helen, e gli occhi color mare di Maysilee.
La porta si apre. La tempesta. I Pacificatori li portano via a forza. E Maysilee stringe l’aria, fredda, vuota. Il sacchetto del pane è rotolato per terra. Maysilee lo scarta freneticamente, come nella speranza di trovare qualcosa che possa salvarla.
La tortina di mele di Dan. La focaccina ai mirtilli che piace tanto ad Helen. La pagnotta aromatizzata al limone.
La sua preferita. Dan non l’ha dimenticato.

  
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