Cap. XIV°
Noi
La
casa alla periferia di Tokio era più malandata rispetto a quella di Rei, ma
apparteneva all’Angelo e si trovava sulla strada per la città.
Il
temporale infuriava, con tuoni, lampi e un vento che sembrava sul punto di
sollevare l’abitazione.
Hilary
odiava i temporali: ne aveva sempre avuto paura e ogni tuono la faceva saltare,
impedendole di prendere sonno. Alla fine, dato che di dormire non se ne
parlava, decise di alzarsi a bere un bicchiere d’acqua.
Scese
le scale in punta di piedi, intenzionata a non svegliare Kei. Si era appena
rimesso dopo la ferita alla spalla e aveva assolutamente bisogno di riposare:
in quelle settimane aveva fatto di tutto per proteggerla e lasciarlo dormire
era il minimo che lei potesse dargli come ringraziamento.
Passò
nel salotto, ma un nuovo tuono la fece sobbalzare. La lampada sul tavolino si
accese e il ragazzo si volse.
-Hilary, cosa c’è?- Non c’era rimprovero nella
sua voce solo stupore.
-Niente…
Kei
la osservò attentamente: tremava come una foglia e non soltanto a causa del
freddo.
-Non
dirmi che hai paura del temporale…
La
brunetta si mise immediatamente sulla difensiva.
-E
anche se fosse?!
-Non
c’è niente di male- ribatté, alzando le mani in segno di resa. –La paura è un
sentimento normale. Bisogna preoccuparsi solo se non la si prova.
-Posso…posso
restare qui un attimo?- chiese titubante. Si sentiva una bambina di tre anni.
-Certo.
Hilary
si sedette vicino a lui sul divano e la sua presenza la rese più tranquilla.
-Tu
hai mai avuto paura?
-Non
sono immune alla paura: le varie situazioni in cui mi sono trovato coinvolto
hanno avuto un certo effetto su di me- rispose sinceramente, poggiandole una
coperta sulle spalle. –Ma ho avuto paura soprattutto al ristorante e
all’albergo…paura che tu potessi restare uccisa.
-Non
hai paura di morire?
-Io
e la morte conviviamo da tredici anni. Ha perso molto del suo mistero. Sebbene
il fatto di darla ad altri non mi renda ansioso di provarla sulla mia pelle.
-Tu
non sei malvagio…
-Per
essere un buon killer una parte di te deve essere necessariamente malvagia.
-Perché
sei diventato un killer? Per soldi, forse?
-No,
per trovare l’assassino di mio padre- replicò deciso.
Lei
gli chiese com’era accaduto e Kei le raccontò la storia dall’inizio.
-Quando
Jack mi ordinò di ucciderti, ero intenzionato a portare a termine il lavoro.
-Cosa
ti ha fatto cambiare idea?
-Ho
scoperto che è stato Spyro ad uccidere mio padre. Così ho deciso di rovinarlo,
ma avrò pace solo quando lo avrò ucciso.
-Ma
le prove che…
L’Angelo
negò lievemente con il capo.
-La
polizia, i giudici…Spyro ha contaminato tutto.
-Allora
perché mandi tutto al tenente Kinomiya?
-Perché
so che lui è una persona onesta.
La
fanciulla assentì: aveva conosciuto il tenente e i suoi collaboratori e le
erano sembrati a posto, uomini e donne rispettabili. Ma l’apparenza inganna: a
prima vista anche suo padre pareva onesto. In realtà era dentro fino al collo
negli affari sporchi dell’Organizzazione.
-Hilary…grazie
per tutto ciò che hai fatto. Ti sei trovata a lavorare con l’assassino peggiore
di Tokio, fra rapine, omicidi, sparatorie…e nonostante questo sei ancora qui.
-È
un velato tentativo di licenziamento?- ironizzò la giovane.
-No,
mai.
Fu
solo un attimo, i loro sguardi si incontrarono in modo diverso dal solito. I
loro visi si trovarono vicini. Terribilmente vicini.
Anche
se entrambi si rifiutavano di ammetterlo, agognavano a quel momento come si
insegue una chimera. Bastava un secondo a rompere quell’incanto.
Kei
stava per baciarla, quando improvvisamente abbassò il viso.
-Non
posso…noi…
Hilary
gli portò una mano sulla guancia, costringendolo a rialzare il volto. Lei gli
stava sorridendo amorevolmente.
-Noi-
disse soltanto, prima di baciarlo.
Lo
sentì lasciarsi andare lentamente, mentre scivolava con lei lungo il divano. E
persero la cognizione di ogni cosa, tempo, luogo, doveri.
Esistevano solo loro, avvinghiati l’uno all’altra, a divorarsi in quella passione bruciante e devastante a cui non potevano sottrarsi.