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Autore: okioki    05/08/2013    0 recensioni
Guevsse, nella parte bassa della città si enala un tanfo che rende la vita impossibile. Il tempo passa ma il puzzo ristagna nell'aria, sempiterno, a ricordare il passato a un certo Signore dei Mari i cui occhi non sono più abituati a realtà del genere...
« Qual è il tuo più grande sogno? Raggiungere la città alta? È quello che vogliono tutti i miei figli, sebbene non capisco cosa ci troviate: non è poi tanto dissimile da quella bassa.»
2^ classificata al contest "A strange Fantasy" indetto da scrapheap_sama sul forum di EFP.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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_RAGGIUNGERE LA CITTÀ ALTA_



Lo portarono da un dottore. O almeno, un tipo che amava definirsi tale. Operava in un antro nelle parti più basse della città bassa, fu tutto ciò che gli fu dato sapere. Esmera, che non si chiamava Esmira, aveva insistito sul fatto che doveva essere bendato per arrivare lì, e Lyandro era talmente frastornato che non aveva replicato.
Stava davanti a una grata aperta. Pioveva. Il dottore spalancò le imposte di legno e le blocco con un pezzo di lamiera, contro il vento. Lyandro provava un senso di claustrofobia, le dita contratte sulla stoffa sudicia della sua tunica inzuppata di sangue.
«Ho finito» annunciò il dottore a voce alta.
«Di già?» domandò con sospetto Esmera, che si avvicinò alla branda dove era stato deposto. «Fammi vedere.»
Lyandro sollevò lo sguardo su di lei. Sul tavolo che aveva accanto c'era un vassoio con sopra diversi vasi, barattoli e bottiglie piene di erbe e intrugli; il dottore aveva preso uno di questi e glielo aveva spalmato sulle ferite. Lui non aveva sentito dolore, merito forse delle erbe che stava masticando ma che al contempo lo rendevano poco lucido. Lasciò che Esmera vedesse gli impasti che gli erano stati applicati. «Ha la pelle dura» disse la ragazza ridendo. «Sopravviverà?»
Il dottore alzò le spalle. Stava pestando dei frutti simili a peperoncini, aggiungendo acqua per ottenere la consistenza simile a quella di una minestra.
«Mi sorprende che sia ancora vivo» ribatté. «Tu, piuttosto, stai attento a giocare con quell'arnese, che è arrugginito e potresti prenderti il tetano» si rivolse a Rael, che in un angolo più oscuro degli altri continuava a rigirarsi fra le mani il coltellino di Spaquosa.
«Ho già avuto il tetano, ne sono immune» gracchiò Lyandro. L'aveva preso quando ancora viveva con suo padre, ferendosi contro una lamiera arrugginita.
«I pazienti non devono parlare» obiettò Esmera e con un verso gli impose di stare zitto. «Sopratutto nel caso in cui potrebbero sputare sangue.»
Il dottore gli si avvicinò dicendogli di bere l'impasto dentro la ciotola a cui prima stavo lavorando.
Lyandro che aveva ancora le foglie in bocca, stette ben attento a mandare giù l'intruglio senza rischiare di ingoiare anche le foglie.
«Ti fa male? Scuoti la testa se è no» gli disse allora il dottore.
Lyandro fece no con il capo.
«Molto bene. Credevo che avessi un'emorragia interna, ma non penso che il coltello ti abbia colpito gli organi vitali. A quanto pare devo solo estirpare tutto quel sangue ormai morto senza farti morire di dissanguamento...»
«La fai lunga te, quanto dobbiamo sborsare?» lo interruppe Esmera, lanciandogli qualche moneta di metallo basso.
Lyandro brontolò in segno di protesta, lui voleva sapere cosa aveva. Ma poi, facendo più attenzione, capì che la ragazza voleva pagare per lui e si sentì diviso tra il sospetto e l'incertezza. Perché l'aiutava?
«Credo che basterà che mi procurate altre di quelle erbe, per compensare.» Il dottore indicò un barattolo sul tavolo.
«E quando pensi che potrà reggersi sulle proprie gambe?»
«Tre o quattro lune. Ci sarebbe voluto molto di meno se non fosse così denutrito.»
Esmera con fare sornione baciò la fronte di Lyandro, e poi accostò le labbra alle sue orecchie. «Tieni un po' di questo, per ristorarti...» gli disse, mentre gli metteva in mano un pacchetto delle foglie essiccate che gli aveva dato da masticare.
Lyandro sentì il rossore che gli saliva alle guance, e il suo corpo farsi all'improvviso più inquieto. Era una bella ragazza Esmera: aveva la carnagione tipica dei meticci, come quasi tutti a Guevsse, il naso aquilino e forse un po' troppo pronunciato, gli occhi dal taglio sottile che contenevano due pupille scure dal colore indefinito, le labbra gonfie e marroni a disegnarle il sorriso, ricci soffici e corti che gli ricoprivano il cranio. Il petto era piatto come quello di un uomo, era alta, sottile ed esile come un giunco.
«Tornerete?» domandò il dottore mentre Esmera e Rael s'allontanavano.
«Certo che torneremo, abbiamo interesse...»
Lyandro sentì i loro passi farsi sempre più lontani, fino a che non furono più udibili e capì che se ne furono andati.
Ancor prima di decifrare le frasi enigmatiche di Esmera, si disse che la sua priorità era scoprire dove era. Per condurlo lì avevano fatto molti giri, e quando i suoi due soccorritori se ne erano andati non aveva intravisto alcun fascio di luce, né aveva udito il rumore della pioggia. Quindi doveva trovarsi in un antro interno. Eppure, c'era una grata che dava sull'esterno, dove adesso pioveva. Dove diavolo era finito? Non si fidava di quel “dottore”, aveva una faccia tutt'altro che raccomandabile... cosa gli garantiva che durante la notte, o magari anche in pieno giorno visto che era infermo, non cercasse di approfittarsi di lui?
Ho evitato un guaio per finire nella stessa merda?”.
Con un sospiro Lyandro tornò a masticare le erbe, borbottando fra sé e sé.
«Che c'è ragazzino?» domandò il dottore.
«Niente.»
«A sentirlo non sembra niente. Sputa l'osso.»
Lyandro gli domandò, anche se sapeva già la risposta che sarebbe pervenuta: «Dove siamo?»
«Non puoi saperlo» gli rispose seccamente il dottore. « Visto che per almeno un paio di giorni ti avrò qui, è il momento che impari un paio di cosette sulla convivenza. Già mi tocca sopportare quell'odore di fogna che emani...Smettila di ruminare, cosa sei, una mucca valtahiriana?»
«Sto masticando» replicò Lyandro offeso. Lui era vissuto per molto tempo sulla parte più alta della città bassa, quindi sapeva già da sé come ci si comportava, e inoltre per la puzza non poteva farci niente: in quell'ultimo periodo aveva avuto un' altro paio di cosette a cui pensare oltre che al lavarsi.
A quelle parole il dottore lo fulminò. «Cosa? Stai masticando delle erbe? E quando cazzo pensavi di dirmelo, dopo che ti davo del sano come un pesce? Apri quella bocca!» Con fare burbero gli si avvicinò, aprendogli la mascella con le grandi mani.
«Ci credo che non sentivi niente! Queste erbe annientano la percezione del dolore... cosa credi di star masticando?» sbraitò l'uomo, richiudendogli la mascella con un tonfo.
«Assenzio» replicò Lyandro. Tutta quell'impotenza cominciava ad irritarlo; era questo che aveva permesso ad Esmera d'affidarlo nelle mani di quell'individuo poco raccomandabile, era questo che permetteva ora al dottore di muovere parti del suo corpo come voleva. Se fosse stato abbastanza in forze se ne sarebbe andato il momento dopo che Rael aveva allontanato Spaquosa, ma Esmera l'aveva fermato adducendo come scusa un qualche rimborso.
L'uomo si allontanò scocciato. «Assenzio? L'assenzio si beve, non si mastica, e lo bevono i grandi sapienti e i Signori. Quello che stai masticando è assenzio dei poveri, erbe allucinogene che fanno parte dello stesso ramo ma che sono doppiamente dannose.» Con la mano guardava e esaminava i liquidi dei suoi vari contenitori. «Bene, adesso che so che tutti gli esami che ti ho fatto sono vani, devo rifare quell'impasto. Visto che anche se tu stessi morendo non te ne accorgeresti. Adesso cerca di dormire...»
Lyandro non rispose. L'ultima cosa che aveva intenzione di fare era dormire, con quel tipo nei paraggi. Sarebbe rimasto sveglio il più possibile per assicurarsi che non venisse toccato. Avrebbe resistito, lui non si sarebbe addormentato.
Invece dormì, e quando si risvegliò non sapeva quanto tempo era passato. Vide che fuori splendeva il sole, e quindi non poteva essere che mattina. Richiuse gli occhi cercando di concentrarsi sulle sue sensazioni corporali, ma non sentiva niente di anomalo a parte delle fitte lancinanti allo stomaco. Bene, era rimasto intoccato. Con le mani ancora intorpidite andò a cercare il sacchetto di erbe che Esmera gli aveva dato, portandosi due foglie alla bocca. Questo gli avrebbe impedito di percepire il dolore per un poco, sembrava che gli stessero sciogliendo dell'olio bollente nell'intestino. Masticò piano e già gli sembrò meno vomitevole il sapore dolciastro delle foglie, finché il dolore alla pancia non si attutì diventando come un leggero prurito.
«Quelle erbe che ti mastichi come se bevessi un bicchiere d'acqua finisce che t'ammazzano» si lamentò il dottore.
Lyandro sussultò impercettibilmente sul letto, non s'era accorto della sua presenza e questo non gli piaceva. In realtà gli piaceva ben poco di tutto quello che era successo in quei due giorni.
Il dottore si avvicinò a lui, con una ciotola di riso bianco.
«Me le ha date Esmera, per il dolore.» Lyandro provò ad alzare il busto, e riuscendoci prese la ciotola dalle mani del dottore. Sentiva la salivazione alle stelle, era passato tanto tempo dell'ultimo pasto decente che aveva fatto, che quasi non si ricordava il sapore del cibo.
«Quella tua amica Esmera a me sembra niente più che un poco di buono» l'avvertì il dottore, alzandogli la tunica.
Lyandro s'irrigidì di scatto. Esmera non era sua amica, la conosceva a malapena, ma l'unica cosa che riuscì a ribattere stizzito fu: «Non più di te.» Voleva essere una frecciata, ma l'unico risultato fu che il dottore gettò indietro la testa e scoppiò a ridere.
«Allora tu devi essere il capo di tutti i malavitosi, visto che ti fidi a farti aiutare da gente come noi.» Il dottore esaminò con i polpastrelli delle dita gli impasti applicati il giorno prima ai tagli, e annuì compiaciuto.
Malgrado la crescente irritazione perfino Lyandro si ritrovò a sorridere.
«Credevo che Esmera fosse tua amica, dal modo in cui parlavate sembrava» costatò, mentre con un cucchiaio di legno s'imboccava.
Il dottore andò al tavolo, prendendo delle foglie fresche e un impasto verdognolo. «Con gente del genere è sempre meglio intrattenere un rapporto non personale. Esmera, e più che altri Rael, sembrano quelle persone che ti fottono quando meno te lo aspetti e senza rimorso. Non ti è già capitato?»
Lyandro annuì impercettibilmente. In effetti Esmera l'aveva letteralmente costretto a mangiare le foglie d'assenzio, approfittando della sua debolezza, per poi rinfacciargli che doveva trovare un modo per pagargliele.
Osservò il dottore che rimuoveva l'impasto ormai essiccato dalle sue ferite, per poi spalmare nuovamente l'unguento. Dava una sensazione di fresco.
«Da quant'è che fai il dottore?» domandò Lyandro all'uomo. Era curioso, ora che ci pensava, al contrario dei molti dottori che giravano tra i vicoli di Guevsse quell'uomo sembrava sapere il fatto suo. Lui fino a quel momento di veri dottori ne aveva visto soltanto pochi, e questi stavano negli antri che più si avvicinavano alla città alta.
«Da un po'» brontolò l'uomo.
Lyandro sbuffo, quella risposta non lo soddisfaceva per niente.
«E come fai a sopravvivere con i pochi spicci che di sicuro ricevi? E perché hai chiesto così poco ad Esmera?» Nonostante si fosse accertato ormai delle intenzioni dell'uomo, il sospetto continuava a lacerarlo. Poteva anche darsi che volesse vendere uno dei suoi organi nei mercati o a qualche pirata che attraccavano al porto della Baia.
Il dottore aggrottò la fronte, continuando a trattare i suoi tagli. «Perché... » la domanda sembrava averlo deconcentrato. « Stammi a sentire: tu fai troppe domande per essere uno di qui. Semplicemente sono stanco di vedere ragazzini che s'ammazzano a vicenda. Perché? Ci devo per forza guadagnare qualcosa? Io dico di no. E adesso tappati quella bocca e dammi una delle tue foglie.»
«Credevo non le masticassi.»
Il dottore si fece su una risata. «E perché? Perché ti ho detto che fa male? Anche gli spiccioli che mi ha dato Esmera penso che siano cattivi, però me li tengo lo stesso? Caro il mio...»
«Lyandro.»
«... Lyandro, il mondo è strano. Dammi queste foglie.»
Lyandro gliene offrì qualcuna, decidendo che quell'uomo non gli piaceva ma che alla fine sarebbe potuto stare tranquillo. Passò il resto del tempo della convalescenza in pace, mangiando abbondantemente del riso bianco, facendosi cambiare gli impasti dal dottore, masticando l'assenzio dei poveri, dormendo, e seppe che era ormai fuori pericolo quando Esmera e Rael tornarono a trovarlo.
«Sembra proprio che ti sei rimesso, ragazzino. Sei pure più in carne. Ora vieni con noi» gli disse Esmera la mattina del quarto giorno.
Lyandro annuì, non ce la faceva più a stare rinchiuso in quell'antro e costretto a letto. S'alzo, ma aveva un po' le vertigini, e fu costretto a farsi aiutare dalla ragazza. Tutto questo ostacolava il suo piano, aveva deciso che appena sarebbero stati fuori di lì se la sarebbe svignata con qualche scusa, andando a cercare Spaquosa per regolare i conti: non gli piaceva essere in debito con quei due.
Stranamente si dimenticarono di bendarlo.
«Sta attento» lo avvertì il dottore. Nel viso aveva scritto a chiare lettere il messaggio di guardarsi bene dai suoi accompagnatori. Lyandro rise e ringraziò il dottore con fare grazioso prima di andare, tanto per dimostragli che lui le maniere educate le aveva.


Erano seduti su di una panchina dietro la baracca abusiva di Carlos il Jaqioh, a meno di mezzo metro dal ripido balzo di una quindicina di metri che precipitava nella palude sottostante. Alla loro sinistra un sole gettava riflessi pigri sull'acqua fangosa che scendeva a piccoli rivoli giù per la strada. Esmera e Rael l'avevano portato nella parte più bassa della città montagna, da lì, oltre gli etti di natura si poteva vedere il porto, e ancora più lontano il mare blu intenso. Lyandro guardava il mare mentre Esmera berciava una canzone, seduta sulla panca a gambe incrociate. Rael invece si teneva appoggiato alla parete precaria ricoperta di calce della baracca di Jaqioh, facendo intravedere ogni tanto il suo coltellino. Lyandro, prima d'allora, non si era mai soffermato a guardarlo per molto tempo in quanto era certo del fatto che Rael non avrebbe gradito. Era un peccato che la bellezza di quel ragazzo venisse guastata da un così effimero particolare, perché era senz'altro uno dei pochi ragazzi belli che si potevano vedere nei bassifondi di Guevsse. Aveva il viso affilato, che trasmetteva una sensazione vertiginosa, non c'era niente di rotondo nei lineamenti del suo volto, e questo perché sia lui che Esmera dovevano avere qualche anno in più di lui. Gli occhi, anch'essi affilati, dal taglio femmineo seguivano la stessa pendenza del viso donandogli risolutezza anche quando l'espressione era vacua, le pupille nere e guizzanti, quasi liquide. Il naso era adunco, e non schiacciato come nella maggior parte dei roicani della baia, le labbra erano sottili e piene, solo leggermente più scure del colore dell'incarnato. La pelle era lucida, di un colore simile al fango ma leggermente più scuro. Nel complesso era relativamente bello, ma la mancanza delle orecchie lasciava quando lo si osservava la sensazione di guardare qualcosa di difettoso. Era alto come Esmera, e sebbene anche lui nel corpo fosse abbastanza esile, gli s'intravedevano nelle braccia coperte dalle maniche il profilo dei muscoli sottili. Aveva notato come sia lui che la ragazza portassero vestiti che gli ricoprivano tutto il corpo, nonostante il caldo afoso della città.
«Io sono Esmera» disse la ragazza, poi indicò il compagno. «Lui è mio fratello Rael.»
«Lo so» disse Lyandro. “È davvero suo fratello?”.
Esmera sorrise, come se gli avesse letto nel pensiero. « Il tuo nome ragazzino?»
«Lyandro.»
«Lyandro, sai che ti abbiamo salvato il culo vero? Sai di dovermi pagare anche l'assenzio che ti ho fornito durante la convalescenza. Sai che dovremmo pagare anche la tua convalescenza, al dottore. Come credi di riuscire a procurateli tutti questi soldi?» gli domandò Esmera, assottigliando gli occhi. «Perché quelle erbe che ti ho dato sono molte preziose.»
Lyandro si trattenne dal lanciarle un'occhiataccia. Stavano cercando di fregarlo, quelle erbe erano robaccia. “Assenzio dei poveri” l'aveva definito il dottore; scarso comune e doppiamente dannoso del vero assenzio, anche se purtroppo lui durante quei quattro giorni ne era diventato praticamente dipendente.
«Troverò un modo per ridarveli» disse, teso come una fune tirata. «È giusto.»
Esmera sembrò trovare molto divertente quell'ultima costatazione, e rivolse un'occhiata sardonica a suo fratello. «È giusto? Saresti davvero un portento se riuscissi in contemporanea a sfuggire a Spaquosa e ai suoi scagnozzi, cercare di mangiare e racimolare i soldi che mi devi» fece notare.
«Non credo che dovresti preoccuparti, anche se sei molto gentile a domandare. Basta che tu abbia indietro i soldi.» Lyandro, al contrario, non era per nulla divertito. Capiva dove voleva arrivare Esmera, l'avevano aiutato – anche se era più giusto dire che Rael l'aveva aiutato – e volevano indietro i loro soldi, ma pretendevano anche qualcosa in più da lui.
« È vero. Però ti chiedo una cosa ora – visto che tu mi sembri un ragazzino giusto che sa di sicuro che mentire ai salvatori è una grave offesa – che conti stavi regolando con Spaquosa?»
Lyandro rimase in silenzio. Era interdetto, forse avrebbe dovuto dirglielo per il debito che aveva nei loro confronti, ma non gli pareva che fossero poi tanto affari loro. Si leccò le labbra, cercando di non lasciar trapelare l'imbarazzo, odiava il fatto che quella ragazza, Esmera, si approfittasse della situazione in cui l'aveva messo; ma pensandoci alla fine non era colpa sua, era lui che lasciandosi battere da Quan aveva commesso il primo errore, a cui ne erano seguiti molti altri.
« Un 'offesa, di questo si trattava» borbottò cupo, il solo ripensarci gli faceva ribollire il sangue. « Un'offesa che dovevo rendergli assolutamente... »
Esmera lo guardava con aspettativa, voleva sapere di più.
«Il giorno prima stavo nei pressi della Fontana Vecchia, vicino alla discarica, e c'erano dei ragazzini che si stavano facendo il bagno insieme. Sapete com'è, se non si va in gruppo non si sa mai cosa può succedere. Rimasi a guardarli, perché quella notte mi sentivo parecchio di buon umore, e nell'acqua quei ragazzini si stavano spruzzando l'acqua l'uno contro l'altro. Ma quando si stavano rivestendo, a qualcuno erano stati rubati i vestiti... è una burla che quegli stronzi fanno spesso, per questo di solito io mi lavo mai. Due ragazzi rimasero senza vestiti, lì nudi come pesci, con gli sguardi dei pervertiti che li guardavano. Poi sentii vicino a me un gruppo di ragazzi, grandi quanto voi più o meno, ridere di gusto, e capii che erano stati loro. Mi arrabbiai molto, perché una cosa simile mi era successa la prima volta che ero nuovo a questi quartieri malavitosi, e quindi andai dai due ragazzini e gli dissi di guardarsi bene da quel gruppo che di sicuro erano mal intenzionati...»
«Continua. D'ora in avanti potrei rinominarti Lyandro il Giusto.» Il sorriso della ragazza era ferino.
Lyandro fu tentato di interrompersi, non gli piaceva ci si facesse gioco di lui. «Ma mentre ero lì, il gruppo si avvicinò a noi. Erano Spaquosa e i suoi scagnozzi. “Guarda che bel spettacolo” disse quando ci fu vicino uno di loro. Altri due coglioni, senza nemmeno proferire parola agguantarono i due ragazzi per i fianchi. I loro compagni, con cui un attimo prima stavano facendo il bagno, non fecero niente. Io per un mio compagno non l'avrei mai fatto... Non potevo rimanere lì a guardare, era una cosa infame, una di quelle cose che mi rialzano al naso il tanfo che ha questa città. Quindi cercai di avventarmi su quegli stronzi, perché se l'avessero fatto a me avrei preferito morire, ma mentre mi facevo avanti per colpirli uno dei ragazzini alzò il viso rigato di lacrime su di me. Da come mi guardavano sembravano dire “È già abbastanza umiliante senza che ti ci metti tu”, e io non me ne capacitavo. Non volevano il mio aiuto... è vero che li trovavo patetici, ma li avrei aiutati lo stesso» s'interruppe, sicuro di star quasi dicendo qualcosa che avrebbe fatto ridere Esmera di nuovo. «Ma Quan m'indicò – già lo conoscevo per fama – e disse una cosa sconcia, alludendo a me. Io non sono come quei ragazzini che lasciano correre, io non potrei mai permettere a qualcuno di usare simili parole con il mio nome! Non avevo nessun motivo di temerlo, quindi mi avvicinai a lui. Forse credeva che mi stessi offrendo di mia volontà, invece lo sfidai pubblicamente. Gli dissi che se non accettava la sfida pubblica sua madre era una troia e l'aveva generato con un aborto naturale, e gli diedi uno schiaffo tanto per rimarcare la sfida.»
Ci fu un lungo silenzio dopo. Forse Esmera pensava che avrebbe continuato con il racconto, ma Lyandro non aveva più niente da dirgli.
Quando la ragazza capì che non avrebbe aggiunto altro si alzò, stiracchiandosi le braccia. «Tutto questo cazzo di casino per una battuta sconcia, di sicuro avrà detto che t'avrebbe fatto volentieri la sua puttana. Dovresti aspettartele certe attenzioni, sei carino anche se hai quell'aria truce. Avresti fatto meglio a farti i fatti tuoi fin dall'inizio, infondo cos'erano questi tizi per te?»
«Niente» disse Lyandro preso in contropiede, non si aspettava una replica del genere.
Esmera annuì, gli si fece vicina e gli poggiò la mano sulla spalla con fare apprensivo. «Appunto, non erano assolutamente niente. So che di sicuro pensi di aver fatto una cosa giusta, ma la tua è stata soltanto una cazzata. Hai umiliato ancora di più quei ragazzini e hai attirato su di te l'attenzione di Spaquosa. Quattro giorni fa quasi t'ammazzava, non c'è da scherzare con tipi del genere, sopratutto per un piccoletto come te che fa il solitario.»
«Non mi avrebbe ucciso, stavamo in Piazza della Scala, gli occhi di mezza città puntati contro e le sentinelle del portale appena più in alto. Mi avrebbe fatto molto male, e forse sarei morto alla fine, ma non mi avrebbe ucciso.»
« Ti sbagli. Anche se è solo una testa di cazzo Spaquosa lavora per lo Smaltitore e certi sdegni li ripagano solo con la morte. Per fortuna c'ero io.»
«Sono sfuggito da un guaio solo per finire in uno più grosso» costatò Lyandro.
Esmera parve offesa ma poi ci meditò sopra. «Meglio io dello Smaltitore.» Rise di cuore della sua stessa battuta.
Lyandro si scrollò la mano della ragazza dalle spalle. «Allora anche tu saresti come loro no?»
Esmera continuò a ridere, alzando le mani in segno di resa e facendosi indietro. «Ma lo vedi? Qualcuno contesta le tue azioni “giustissime” e già t'incazzi. Datti una calmata idiota, le cose giuste non sempre sono da fare, facendo così rischi solo di finire ammazzato. Non sono come loro, per niente... tu non sai com'è fatto lo Smaltitore.»
Lyandro la guardò cupo. «Allora spiegamelo tu, come è fatto lo Smaltitore.»
Esmera lo fulminò, lanciando un'occhiata fugace alla baracca.
Si avvicinò a Lyandro e gli spiegò che lo Smaltitore aveva il compito di “smaltire” i rifiuti che pullulavano la città, e che tutte le forze d'ordine della città bassa erano sotto suo controllo e lavoravano per i suoi interessi, legali o meno; era in pratica il capo della città bassa, non di molto diverso dagli altri malavitosi che avevano una qualche “società”, faceva ammazzare chiunque gli si opponeva, e aveva anche qualche affare nel campo della prostituzione dei ragazzini, non solo nella città bassa ma anche nella città alta. C'era lui dietro la maggior parte delle scomparse improvvise che avvenivano in città.
Lyandro quando finì non era per niente soddisfatto, Esmera gli aveva detto cose che già sapeva benissimo, ma gli sembravano sole voci alquanto ingigantite. Lei e Rael non potevano essere obbiettivi, già quando l'avevano aiutato aveva notato che portavano a quell'uomo un gran rancore.
«E Spaquosa sta con lui, capisci? Dicono che lo Smaltitore assiste a tutte le torture di coloro che gli capitano tra le mani.»
«Chi lo dice?» chiese Lyandro.
«Gente senza nome. Mi sembri uno di quei cavalieri bianchi in quelle ballate occidentali: invece di farsi i cazzi loro e passare avanti, stanno lì a domandare e a fare gli eroi.» Era stato Rael a parlare, mentre limava il suo nuovo pugnale sul calce. «E poi magari crepano pure.»
Lyandro lo guardò attentamente. Lui era intervenuto solo quando si era messa in mezzo Esmera, ora ricordava, se la sorella non si fosse mossa avrebbe lasciato che Quan lo ammazzasse. Ridacchiò sfacciatamente: se sperava d'intimorirlo con quelle frasi vagamente minacciose aveva capito male. Era infastidito da tutta quella superiorità che i due fratelli sembravano dimostrargli, anche lui sapeva come andavano le cose a Guevsse e non aveva bisogno che loro si prodigassero in consigli e in avvertimenti. Avrebbe voluto fare altre domande a Esmera, ma vide che la ragazza guardava titubante il fratello, come a chiedergli se poteva parlare e dire altro.
Si rivolse a Rael direttamente, allora. «Alla fine chi sarà mai questo Smaltitore? Credi davvero che Spaquosa mi avrebbe ucciso solo perché aveva la sua protezione, con le guardie dei battenti appena lì sopra?»
Rael non gli rispose, accennando a Esmera. «Ma dove l'hai trovato questo? Meglio che lo riporti lì alla svelta.»
La ragazza rise. «Credo d'essermene innamorata» disse scandendo lentamente le parole, come se stesse alludendo al fratello qualcosa. Lyandro aggrottò la fronte.
« È molto agile e abbastanza forte: denutrito com'era è riuscito a reggere uno scontro con Spoquosa che è dieci volte lui. Se lo riportassi dove l'ho trovato finirebbe morto nel giro di qualche giorno, e se non fosse Spoquosa sarebbe per qualcun altro, visto che ha questo vizio di fare il “giusto” della situazione...»
«Non c'è alcun bisogno che ti preoccupi per me, come ti ho detto» la interruppe Lyandro, stavano parlando come se lui non esistesse e inoltre aveva il sospetto che tutto ciò che avevano fatto era una messinscena per incastrarlo. «Ti ridarò i soldi a breve» fece un cenno di saluto ad Esmera, cercando di andarsene ma la ragazza lo agguantò al braccio.
«Non così in fretta, chi ti ha detto che voglio che mi ripaghi in monete? Sei in debito con me, ricorda, e sono io a scegliere il pagamento. E quello che scelgo è in servizio.»
Lyandro sentì il rossore salirgli alle guance, si era aspettato di tutto, ma non certamente che volesse una cosa del genere. «Servizio in natura?» sussurrò.
Esmera gli rifilò un'occhiata sconcertata quanto la sua, prima di scoppiare nuovamente a ridere.
«Oh... sei stato avventato: una novità tanto per cambiare. Sai, né a me né a mio fratello fa impazzire la gente che s'atteggia a giustiziere del mondo. Ma hai dimostrato un certo orgoglio, e questo mi piace molto. Rael,» si rivolse al fratello dopo aver sorriso dolcemente a Lyandro, «allora lo portiamo con noi?»
Rael annuì, esaminando la magra figura di Lyandro. «Va bene, portiamolo da nostra madre» disse infine, staccandosi dalla parete a cui era appoggiato. Dal tono che aveva usato sembrava star concedendo un nuovo giocattolo alla sorella.




Dopo essersi lasciato convincere da Esmera a seguirli, insieme al fratello erano usciti dalla città, molto presto il sentiero contorto che aveva preso si era addentrato nel fitto della palude e avevano incrociato vari fiumiciattoli inquinati e territori di sabbie mobili, ma Rael sembrava saper come muoversi bene e velocemente, e senza tentennamenti li aveva condotti più in là e avevano ritrovato un sentiero più ampio di quello in precedenza; in lontananza la vegetazione si era fatta meno fitta e lasciava intravedere il mare, e alcune delle vele delle galee attraccate al porto. “Lasciare Guevsse sembra quasi impossibile,” aveva pensato Lyandro, “senza Rael a farci da guida sarei sicuramente finito inghiottito una o più volte dalle sabbie mobile”. Il terreno era stato ostile, incerto, e gli animali sconosciuti si nascondevano trai i meandri della palude. Lyandro si era domandato molte volte quanto fosse possibile andarsene da Guevsse: di tutta la gente che aveva conosciuto, dagli abitanti per bene di Piazza della Scala ai più infidi malavitosi dei vicoli, nessuno, tranne suo padre, era mai stato interessato a lasciarla.
Esmera gli aveva poi indicato sul fondo, sulla sommità di quella che sembrava una scogliera, una vasta costruzione bassa e irregolare, e gli aveva detto: «Quella è la Baia». Quando l'avevano intravista, Lyandro si era rallegrato. Gli impacchi applicati alle ferite all'addome erano venuti a contatto con il sudore e cominciavano a pizzicargli. Pian piano che arrancavano per la salita aveva visto alcuni bambini correre incontro a Rael e a Esmera, ma appena questi avevano intravisto lui si erano irrigiditi ed erano corsi dentro alla staccionata della Baia e questo l'aveva turbato non poco.
«Ragazzini idioti» aveva sentito dire, piattamente, da Rael.
Poco dopo, ad accoglierli era stata una donna alta e imponente, li aveva fatti entrare dentro la Baia, che si estendeva su un terreno piuttosto ampio divisa in diversi cortili da vari recinti e staccionate, non aveva nulla in comune con le costruzioni o le altre abitazioni di Guevsse o de La Roica orientale, sembrava piuttosto avere uno stile architettonico simile a quello dei paesi oltre il mare.
Perfino la donna era strana, appena l'aveva vista Lyandro era inorridito cercando poi di darsi un contegno sotto lo sguardo malizioso di Esmera, portava i pantaloni ma aveva il busto scoperto, dal petto gli cadevano mosci i seni con i grossi capezzoli marroni. Aveva un viso che non avrebbe saputo definire, né giovane né vecchio, la pelle beige e gli occhi color nocciola, e portava i capelli corti alla nuca come Esmera.
«Bene, figli... chi mi avete portato?» La donna si fermò di fronte alla porta dell'edificio, massaggiandosi il seno.
«Lui è Lyandro e vuole entrare a far parte della nostra famiglia» rispose Esmera, ne lei ne suo fratello sembravano turbati da l'immagine che dava di sé quella donna.
«Davvero? Bene, Liiandro non hai voce in capitolo tu? Perché questa non mi sembra altra che una bricconata di Rael ben mascherata da questa sciocca figlia.» La donna guardò torvo il ragazzo senza orecchie.
Lyandro si inumidì le labbra cercando di non far cadere gli occhi su i seni scoperti della donna; aveva vissuto per due anni nei vicoli malavitosi di Guevsse ma nonostante questo la situazione in cui si trovava gli sembrava abbastanza inquietante. Sembrava che l'avessero portato in un bordello: ragazzini e ragazzine di tutti le età tenuti a bada da una donna scostumata che si faceva chiamare in modo ridicolo.
«E tu vorresti farmi credere di essere loro madre?» domandò bruscamente.
«Non solo madre di loro due, ma di tutti coloro che vedi qui: io sono la “Madre”» ribatté la donna. «E se vuoi vivere qui dovrai abituarti all'idea di essere figlio mio ed obbedirmi.»
«E cosa cazzo dovrei fare? Soddisfare le perversioni di qualche marinaio o pirata pederasta? O le tue? E prima di tutto non ho nemmeno detto di voler vivere qui.» La Madre si era tenuta su un tono di voce piatto e anche Lyandro avrebbe voluto fare lo stesso, ma l'irritazione mischia al sospetto gli faceva vedere rosso. Sentiva di essere stato imbrogliato, come gli aveva predetto il dottore; e lo stupido era stato lui, nessuno a Guevsse faceva niente per niente. Esmera scoppiò a ridere.
«Non alzare la voce con me ragazzino» disse la donna, cercando di schiaffeggiarlo. Lyandro scattò all'indietro per evitare il colpo e andò a sbattere contro Rael, accorgendosene si tirò subito in piedi.
«Sta calmo, non ti uccido mica» disse Rael, rivolgendogli un'occhiata pigra. Aveva lo stesso tono calmo con cui si era rivolto a Spaquosa mentre lo lapidava «E l'idea che ti sei fatto di questo posto è completamente sbagliata. Più avanti dovrai fare alcune cose, ma non di certo soddisfare le perversioni di qualcuno. Hai una mentalità davvero interessante e sospettosa, l'ho notato da prima.»
«E si dia il caso che quando riterrò giusto punirti, non dovrai sottrarti ragazzino» terminò la Madre.
Lyandro guardò l'uno e poi l'altra sorpreso, non si fidava, non era convinto: era tutto troppo vago e ambiguo.
«Perché mi aiuti?» chiese alla Madre, toccandosi il ventre con la mano sinistra.
«Perché nessuno aiuta me» rispose la donna sospirando. «E in ogni caso Liiandro non è un aiuto che puoi rifiutare. Il solo fatto che tu sia arrivato fino a qua solo per mancarmi di rispetto ti rende colpevole...»
«Ma sono stati i tuoi figli a condurmi fino a qui! E con l'inganno!» gli fece notare Lyandro, ricevendo un'occhiata ammonitrice in cambio.
«Ne ho abbastanza: sono stufa di avere a che fare con ragazzini di città ingrati e maleducati. Sarai liquidato... si dice così a Guevsse? Quando un ragazzo dei miei viene preso lo ammazzano, non vede il perché non dovrei lo stesso quando prendo un ragazzino dei loro. Quindi decidi, sei mio o no? Sei mio figlio?»
Provate ad ammazzarmi...” Lyandro avrebbe voluto rispondergli a quel modo, ma purtroppo era ancora provato dallo scontro con Spaquosa. Anche se si era ripromesso che non avrebbe chinato il capo di fronte a nessuno e che avrebbe preferito morire di fronte a una simile evenienza sentiva una voragine nelle stomaco, in quel momento venir ammazzato in quel modo e solo per una questione di principio gli sembrava molto sciocco, ma non disse niente.
«Oh, ma Lyandro ricordati che tu hai un debito con me..» Di fronte al suo mutismo Esmera cercò di farlo ragionare. “Sempre lei, dannata” pensò Lyandro infastidito, ne aveva abbastanza di farsi salvare da una femmina così irritante, ma fece ugualmente un cenno d'assenso.
La Madre se lo fece bastare. «Beh, quando hai un debito devi per forza ripagarlo. Adesso che ne dici di seguirmi nel mio studio per imprimerti il marchio?»
«Quale marchio?» domandò arcigno Lyandro, subito preso in contropiede.
«Si vede proprio che vieni dalla città. Non ti sto imprimendo il marchio degli schiavi come fanno i roicani del tempio. Ti è più familiare se dico il marchio degli Orfani?»
Annuì.
Esmera lo agguantò per il braccio prima che seguisse la loro genitrice. «Gli altri cercheranno di farti prepotenza, ma hai già dimostrato di essere abbastanza forte. Mi raccomando: se t'infastidiscono fagli il culo. E se hai bisogno di qualche favore – che si sommerà agli altri naturalmente – vieni da me e Rael» gli disse Esmera.
Lyandro la guardò di sbieco senza rispondere,staccandosi dalla sua presa.
«Oh, ma devi molto più a Rael che a me. Dimentichi che lui ti ha salvato?»
Lyandro ritenne più saggio non rispondere alla domanda e s'inoltro insieme alla madre all'interno dell'orfanotrofio. L'atmosfera interna era simile a quello delle baracche di Guevsse, pareti chiazzate dal nero della muffa, con crepe, e decadenti. La Madre lo guidò oltre vari corridori stretti con decine di porte, da dove ogni tanto usciva qualche bambino urlante e giocoso. Si sentivano risa, rumori, grida provenienti dalle stanze interne o dai vari cortili mentre camminavano. Quando arrivarono allo studio della Madre, la donna si coprì il busto con una cappa usurata.
L'ambiente era spoglio ma a Lyandro piacque molto, c'erano tutti quei mobili occidentali con cui aveva convissuto quando stava ancora con suo padre, una dozzina di libri sparsi sul pavimento. La finestra dava sul mare aperto e sorridendo Lyandro ci si avvicinò.
«Allora sei in grado di sorridere» costatò la Madre, mettendosi a sedere sul letto.
Veloce il sorriso morì dalle labbra del giovane. «Potrei dire la stessa cosa di te» ribatté, per tutto il tempo che avevano parlato quella donna aveva avuto l'espressività di una pietra. Poi visto che il silenzio si protendeva e la Madre non accennava a smettere di scrutarlo domandò leggermente a disagio: «Cosa dovrei fare, mentre starò qui?»
La madre glielo spiegò con molta calma. Gli disse che per tutto il tempo in cui sarebbe stato in quella casa avrebbe dovuto compiere piccoli furti in città per i suoi interessi, in cambio avrebbe avuto un tetto su cui dormire, del cibo, e la sua protezione e si avrebbe potuto ottenere anche qualche spicciolo.
Lyandro era scettico. «La tua protezione? E chi saresti tu per proteggere tutti quelli che stanno qui?»
« Sì, la mia e di coloro che stanno sopra di me» rispose la Madre. «Sei troppo curioso per essere un ragazzino senza genitori, ma non chiedere altro perché non risponderò. Quello che devi fare è obbedire, e se mi servirai bene potrei perfino fare qualcosa per te. Qual è il tuo più grande sogno? Raggiungere la città alta? È quello che vogliono tutti i miei figli, sebbene non capisco cosa ci troviate: non è poi tanto dissimile da quella bassa. »
«È impossibile... come fai a saperlo? Ci sei stata?» domandò Lyandro dimenticandosi per un momento i toni burberi e altezzosi, non aveva mai conosciuto qualcuno che fosse stato lì sopra.
«Certo, ma farai bene a scordarti di questo è noto a tutti che è impossibile. In compenso potrei piazzarti in una parte abbastanza elevata della città bassa, se mi servirai bene durante la tua giovinezza, o a lavorare al porto. Cosa preferisci?»
«Ma io non ho detto che voglio andare nella città alta. E se volessi altro?» sfidò Lyandro.
La Madre corrugò la fronte, probabilmente indispettita. «Non tutti otteniamo ciò che vogliamo, e non tutti otteniamo qualcosa dopo aver faticato. Comunque vada, tu lavorerai per me con o senza ricompensa. Ma sentiamo figliolo, sono paziente, cosa vorresti?»
«Salpare per mari» le rivelò Lyandro, guardando con intensità il panorama oceanico dalla finestra.
«Solo questo? E sia. In effetti, ora che noto, hai gli occhi di un ragazzo in cerca di mutamento... uno sguardo fatto di oceani. Quando riterrò giusto, e se mi servirai in tutto quello che ti chiedo, sarò io stessa a raccomandarti in una delle galee che attraccano al porto se è solo questo che vuoi...» gli disse la Madre. «Ma dimmi, ho notato da prima che continui a toccarti lo stomaco di frequenza con quella mano. Hai qualche strana devianza per caso o ti sei solo fatto male, figlio?»
Lyandro rabbrividì al sentir pronunciare quel “figlio”, lo rendeva nervoso, era passati due anni da quando qualcuno si era rivolto a lui a quel modo. ,
«Mi sono soltanto fatto male» le disse mentendo in parte, ma poi capì dal modo in cui lo guardava la donna che anche lui avrebbe dovuto aggiungere altro. «... M- madre.» Forse alla fine i bassifondi di quella città erano riuscito a corromperlo.



Questa storia partecipa al contest A strange Fantasy indetto da scrapheap_sama.

  
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