Come
Pinocchio
“Padre”
Un signore di
mezza età si voltò verso la bambina che lo aveva chiamato con uno sguardo strano
tra il sorpreso e l’irritato.
“Perché mi
hai chiamato padre?” domandò allora l’uomo, spezzando quel pesante silenzio
instauratosi tra i due. Sebbene in apparenza nessuna emozione trapelasse dalla
maschera d’avorio che l’uomo sembrava avere al posto del viso, innumerevoli
erano le sensazioni che, in quel momento, dentro il suo stanco petto andavano
muovendosi frenetiche, quasi spiritate.
La bambina
osservò allora impaurita le iridi di colui che aveva di fronte; iridi di un
azzurro intenso e cupo, fredde come solo il ghiaccio sa essere e, nel contempo,
aride come il deserto più profondo. Abbassando istintivamente il capo e
scuotendo i lunghi capelli bruni raccolti in una coda sbarazzina, la piccola
congiunse in grembo le manine paffute a mo’ di protezione, fissando di
conseguenza con ostinazione le punte delle proprie scarpette di nera
vernice.
"Ho sentito
chiamare in questo modo una bambina il proprio costruttore" disse allora, quasi
sollevata.
L’altro,
infastidito da quel suo comportamento che sembrava essere veramente spontaneo e
autentico, sembrò spazientirsi, così corrucciò malamente le sopracciglia chiare
“lui non è il costruttore della bambina”
rispose dopo pochi secondi con voce rabbiosa e roca.
La bambina
alzò di scatto il viso, agitando le ciocche di capelli che le ricaddero
malamente sugli occhi; poi aprì le bocca, indecisa se domandare o meno il
significato di quella fredda risposta.
“Perché?”
rispose risoluta la fanciulla, decisa ad ottenere una spiegazione che non fosse
solamente uno sbuffo o un qualsiasi altro rimprovero.
Il dottore,
non vedendo alcun segno di cedimento negli occhi di quell’infante che tutti
avrebbero giurato essere una semplice umana, colto da un’accecante ira, si
avvicinò di un passo alla creatura curiosa che, con aria supplichevole, sembrava
pendere dalle sue labbra.
“Perché
quella bambina è umana”
Il professore
sospirò pesantemente e voltò il capo, quel tanto da eliminare dal suo campo
visivo la figura di quel piccolo essere diabolico da lui stesso creato. Cosa
avrebbe fatto per tornare indietro nel tempo e fermare quel progetto che,
successivamente, avrebbe portato al capolinea la sua morale e la sua stessa
sanità mentale.
“E io?”
sussurrò la creatura sottovoce, indecisa se voler sapere o meno la realtà dei
fatti.
L’uomo
indietreggiò di un passo, osservando con ostinazione i frutti dei suoi sforzi in
tutta la sua totale bellezza. Non c’era nulla da dire, quella era sicuramente la
più grandiosa delle sue invenzioni. Tuttavia, sebbene il risultato finale fosse
più che soddisfacente, non poteva che provare odio nei confronti di quel diavolo
travestito che aveva proprio sotto gli occhi. Se soltanto fosse stato più
forte.. se solo avesse trovato la forza di ribellarsi.. avrebbe più che
volentieri cancellato quell’insulso errore. Perché quella bambina non poteva che
essere il frutto di un errore, figlio di un peccato imperdonabile quale poteva
essere l’ambizione.. l’ambizione di volersi sostituire a Dio. Con la mente
affollata da turpi pensieri, studiò con insistenza il suo sguardo perso, o molto
più semplicemente, vuoto. In particolare, notò la sua manina rosea appoggiata al
tavolino di cristallo, sistemato nell’angolo della stanza. Cosa provava lei in
quel momento? Si dette dello scemo per quello stupido pensiero. Cosa poteva
provare un robot se non il vuoto?
“ Tu sei
artificiale.. capisci? Non sei umana, né ora né mai!” rispose allora duro,
rabbioso e forse, anche un poco malinconico. La bambina abbassò nuovamente lo
sguardo, amareggiata e nostalgica. Tutto ciò che riusciva a percepire era la
presenza di quell’uomo così freddo nei suoi confronti da apparire totalmente
estraneo alle emozioni. Si, senza ombra di dubbio il dottore era molto meno
umano di lei, un robot artificiale. Perché, sebbene quel pazzo costruttore lo
ignorasse del tutto, lei era molto di più di una macchina. Ne era sicura, non
poteva sbagliarsi. Ne era la prova il fatto che il freddo del suo sguardo le
provocava un dolore acuto nella cassa toracica contenete il fulcro dei suoi
movimenti; perché il freddo del tavolino di vetro era fin troppo vero sotto i
suoi polpastrelli. E l’odore dell’olio degli ingranaggi alle volte era così
tanto aspro e metallico da assomigliare al sangue di qualsiasi umano. Lei
odorava di sangue. Ne era sicura. Per questo non poteva essere una macchina.
Rassicurata da quei pensieri, osò rivolgere nuovamente la parola a quel mostro
che si ritrovava per parente. “Ma padre rimanete poiché voi solo mi avete
costruita” rispose con apparente calma, voltandosi di conseguenza per dirigersi
in cucina.
Lui le
osservò le spalle, piccole come quelle di una normale bambina di dodici anni..
come quelle della sua stessa bambina. Se solo non fosse scomparsa, sarebbe stata
identica a lei. Ma troppo tardi si era reso conto che in realtà, quel che aveva
così abilmente creato, altri non era che un fantoccio, o meglio, un sostituto.
Sarebbe stato decisamente più intelligente prendere un animale da compagnia
piuttosto che ambire ad una bambola meccanica. Era per questo motivo che la
odiava… lei, che era così simile alla su piccola Samantha.. lei, che in realtà
era così diversa. Quella bambola era decisamente il suo più grande fallimento
morale.
Spinto da una
forza che non sapeva neanche di possedere, seguì il piccolo mostro in cucina.
Allungò il braccio fino a sfiorare con la mano destra i capelli ondulati e mori
che ricadevano, naturali, sulle piccole spalle infantili, fasciate da una
camicia bianca immacolata. Così diversa ma così simile.. lo faceva stare
male.
Trascorsero
il resto della serata in completa solitudine, ognuno con i propri pensieri, o
quasi.
“Io non posso
pensare, non sono capace” mormorò sottovoce il piccolo robot accucciato
all’angolo della propria camera da letto.
“Bugiarda” si
corresse poi “Se questi non sono pensieri, allora cosa sono?” sbottò
all’improvviso alzandosi. Ne era cosciente, lei non poteva essere solamente una
macchina.. c’era qualche cosa che non tornava.
Sbatté il
piedino a terra, spazientita e frustata da quella situazione. Stringendo forte i
pugni si face coraggio e si avvicinò all’uomo che, pigramente, stava abbandonato
sul divano con gli occhi chiusi.
“Papà, io
sono una bambina vera sai? ”
Il vecchio
sbarrò di colpo gli occhi, come se tornato in superficie dopo una lunga apnea
sott’acqua. Si strofinò gli occhi con la mano, prima che il volto diventasse
rosso di rabbia. Gli occhi allora si assottigliarono in due fessure furiose, le
mani tremarono violente e incontrollate. Si alzò di colpo, slanciandosi contro
quel piccolo demonio ai piedi del divano. L’afferrò per la gola, stringendo i
palmi sul suo collo. Muori. La
bambina aprì la bocca urlando, implorando a quella bestia di lasciarla
andare.
“Perché?”
continuava a ripetere lei, piccola e indifesa. Lui sembrò non ascoltarla,
mettendo ancora più entusiasmo in quel che stava facendo. La voleva far finita;
lui che aveva dato un inizio a tutto, ora doveva porre fine a quell’incubo.
Vedeva la piccola contorcersi, urlare come se stesse soffrendo. Impossibile, i mostri non
soffrono.
“Ti prego,
papà.. mi fai male!” urlò ancora più insistentemente la giovane creatura. Il
costruttore vacillò per un secondo; un guizzo di incertezza colpì il suo sguardo
non più furioso, ma triste.
“Lo vorrei
tanto anche io.. ” sussurrò con voce flebile il dottore, tornando a stringere il
collo minuto di lei non più con rabbia ma solo con amarezza e profonda
solitudine.
Allora la
bambina sembrò perdere poco a poco le forze; abbassò le braccine a terra, ormai
esausta e priva di volontà.
“Se questo ti
renderà più felice fa pure” disse allora con un flebile sussurro mentre, il suo
viso, andava ad assumere un colorito sempre più pallido, proprio come se fosse
viva.
“Però sappi
papà che io.. non sono come Pinocchio” disse infine, con voce strozzata e roca
per lo sforzo. Chiuse gli occhi, omai in fin di vita. Uno strano rumore
proveniva dall’interno del suo corpo; i circuiti in tilt a causa delle mani del
dottore che impedivano il flusso dei liquidi all’interno del piccolo
robot.
Allora lui si
alzò, sfinito, senza distogliere per un solo secondo gli occhi dal volto di lei.
“No, non sei come Pinocchio.. perché lui alla fine della favola diventava un
bambino vero” sussurrò, passando una mano tremante sul suo visino addormentato.
Delineò con l’indice destro il suo profilo, l’arco delle sue fine sopracciglia e
poi la bocca. Infine, avvicinò il dito ai suoi occhi ormai chiusi, per sempre..
se solo avesse voluto, avrebbe potuto ripararla quando preferiva.. ma non era
tanto sicuro se, in effetti, lo voleva. Allora sfiorò il taglio dell’occhio
destro, venendo a contatto con un liquido caldo che lo raggelò e lo sconvolse
all’inverosimile. Si chinò sul corpo sdraiato innaturalmente a terra,
accostandosi al viso di lei. Le aprì gli occhi, li studiò.. e vide una lacrima.
Una lacrima vera, reale. Si portò il dito alla bocca, assaggiò quella che
sembrava una comune goccia e scoprì che era salata. Un dubbio lo scosse dal
torpore nella quale era caduto. Si diresse in cucina, prese un coltello, e tornò
ai piedi della sua creatura. Le prese un palmo ancora caldo e liscio, tagliando
quindi la pelle con la lama in mano. Un liquido denso e rosso fuoriuscì dal
taglio che lui stesso le aveva procurato.
“Impossibile..” sussurrò
con voce roca “IMPOSSSIBILE!” urlò allora con tutta la forza che aveva in corpo,
talmente tanta da ferirsi la gola.
“Ma come..
come può essere lacrime e sangue questo? Sangue reale..” osservò la sua bambina
a terra “..una vita reale..” indietreggiò, fino a raggiungere il muro della
stanza “Proprio come Pinocchio..una bambina vera..”sbiascicò con le lacrime agli
occhi “ Mia figlia ” urlò infine. Il dottore, ormai perso nella follia nella
quale era piombato, rimase accucciato a terra tutta la notte, a formulare frasi
incompiute ed insensate. La notte, testimone di quanto era avvenuto, accolse il
suo pianto e la sua più estrema follia, cullandolo nel suo ventre e portandolo
con sé nella tomba.
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Perdonate, ho
dovuto modificare perchè mi sono resa conto che, tempo fa, avevo pubblicato la
versine sbagliata di questa storia non del tutto completa e con dei pezzi
mancanti. Mi scuso ancora per l’equivoco!!!