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Autore: Berenike_Talia    05/08/2013    0 recensioni
[STORIA RIEDITATA]
E' nato tutto come un sogno che poi si è sviluppato nel tempo e mi sono sentita di ambientare la storia in questa serie tv piuttosto che in un contesto originale, per questo non ci sono riferimenti alla trama e vari personaggi non sono presenti.
"Anima, vita.
Sorella di un cavaliere, coraggiosa combattente.
Incubi a occhi aperti, coraggio che scompare.
Amore incompreso. Vendetta e occhi di fuoco.
Anima, vita: Enid."
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Galvano, Nuovo personaggio, Parsifal, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Anima, vita, Enid
 
La foresta era scura e la poca luce filtrata dagli alberi sembrava essere sporca. Il gruppo aveva lasciato i cavalli poco prima, dove la vegetazione da rada era divenuta più fitta, per essere più veloci nella foresta in cui stavano viaggiando. Dopo un’altra ora di cammino arrivarono alla radura in cui accamparsi e passare la notte. Aveva una forma circolare ed era delimitata da enormi alberi centenari le cui grandi chiome coprivano e mettevano in ombra la zona centrale, un tappeto di foglie poco esteso, così da rendere sicura la zona dell’accampamento dai banditi e dai mercanti di schiavi che vagavano in quei boschi. Tra i vari cavalieri facenti parte della pattuglia c’era una donna, anzi, una giovane donna, persona che usualmente non partecipava a spedizioni di alcun tipo, se non quelle di caccia; ma tutto ha un suo perché. Si da il caso che la giovane donna fosse sorella di uno dei cavalieri che accompagnavano il principe Artù Pendragon, figlio di Uther Pendragon, re di Camelot.
Il principe, i cavalieri e la giovane donna si accamparono nella radura e accesero un fuoco. Dopo un’ora il buio era già calato.
“Milady, serviteci la cena”, disse Artù. Forse sperava di attirare la giovane a sé con quella battuta o, forse, credeva di poter sdrammatizzare la situazione tesa che stavano vivendo. Purtroppo, l’unica risposta che ricevette fu gelida e acida.
“Non sono la vostra serva, altezza. Non preparerò la cena né per voi, né per nessun altro cavaliere. Ho già servito abbastanza altri padroni.”
Il principe non rispose a quella frecciatina e la cena venne preparata da Sir Maximilian, amico fidato del fratello della giovane. Di solito, durante le spedizioni del principe Artù, era Merlino a preparare la cena e a fare tutto ciò di cui usualmente non si occupavano i cavalieri, ma il servitore e amico fidato del principe non era potuto partire con loro per via di un brutto malanno che aveva contratto durante la spedizione nelle terre selvagge dell’ovest. Era in quelle terre che avevano aiutato e salvato la giovane donna durante la sua fuga dalle prigioni dei mercanti di schiavi.
La risposta Enid, così si chiamava la giovane donna, aveva ricordato al principe tutto ciò che era successo qualche settimana prima e Artù si pentì di aver pronunciato quelle parole, dette con leggerezza e superficialità, senza pensare a ciò che significavano per Enid: la schiavitù e la violenza che aveva dovuto affrontare, ma anche la fuga dal villaggio e l’abbandono della famiglia l’avevano ferita e segnata, nessuno sapeva ancora fino a che punto. Da quando l’aveva conosciuta, aveva nutrito un interesse particolare per lei.
“Nessun sentimento,” si ritrovò a pensare il principe, “un semplice interesse dovuto a ciò che rappresenta, insomma, non se ne vedono tutti i giorni di ragazze coraggiose e fiere come lei. Nonostante tutto quello che ha dovuto affrontare, ha sempre amato la vita e mantenuto accesa l’anima... Enid.” Questo era ciò Artù si ritrovava a pensare in certi momenti, ma solo per semplice interesse personale, sia chiaro; nessun sentimento, a suo dire. Dal primo momento in cui la vide, forse anche in modo troppo scontato, era rimasto colpito dalla bellezza della ragazza. Aveva un fisico non troppo sviluppato, ma nemmeno muscoloso e tozzo; era snella e agile come una cerbiatta. La bellezza, certo, era una caratteristica di famiglia, sia Enid che il fratello Parsifal erano belli e avvenenti, ma in due modi diversi. Parsifal era alto, muscoloso, statuario; “armadio”, così lo chiamavano al villaggio, ma c’è da dire che questo suo aspetto attraeva molte donne; inoltre, i tratti del viso erano armoniosi ed equilibrati e dolci, quando serviva. Anche il viso della giovane Enid dava le stesse sensazioni: il suo grande sorriso aveva il potere, quasi magico, di rasserenare chi lo guardava, il viso era limpido e puro, cornice di due occhi speciali; erano soprattutto essi ad attirare Artù verso Enid. Occhi del colore degli alberi e dalla forma di foglie. Gli occhi di Enid erano luminosi e brillanti sotto i raggi del sole, quasi iridescenti, Artù sentiva che c’era qualcosa in più, di più profondo, che si annidava in quegli occhi da lui imperscrutabili. Anche il carattere non le mancava. Sapeva essere dolce e comprensiva con chi amava, ma gelida con chi non le andava a genio, come con Artù, che considerava non solo superbo e arrogante come si vociferava, ma anche superficiale e maleducato. Queste non erano semplici conclusioni affrettate tratte da Enid, ma frutto di quella che pensava fosse un’acuta osservazione: aveva visto come si comportava il principe e aveva anche notato gli inutili tentativi di instaurare un rapporto con lei.
“Un principe attratto della sorella di un suo cavaliere, nemmeno nelle storie delle anziane del villaggio se ne sentono di così assurde”, pensava Enid, “lo trovo comico. Il grande principe Artù Pendragon, futuro re di Camelot, che attratto da me”.
Non era la prima volta che le attenzioni di un uomo ricadessero sulla ragazza. Enid era a conoscenza della propria bellezza e dell’effetto che faceva sugli uomini, ma non vedeva la sua bellezza né come qualità da sfruttare, né come uno svantaggio. “Sono nata così ed è così che morirò. Chi si innamora di me non sa a cosa va incontro. L’amore non fa per me, è solo un gioco per cortigiane."
Enid era una guerriera, che al contrario di tutte le altre ragazze del villaggio, aveva deciso di imparare l’arte delle armi da suo padre e, in seguito, da suo fratello. Si sentiva portata per i duelli e per l’uso della spada, ma nonostante fosse così sicura delle sue qualità di combattente, non era altrettanto sicura sull’amore, sentimento troppo complicato per essere compreso da chi non l’ha mai provato e troppo complicato per essere spiegato da chi lo prova.

***

Calò la notte e Parsifal ed Enid si sistemarono acconto a un tronco, per poter stare comodi durante il loro turno di guardia, mentre gli altri si coricavano sulle tele. I cavalieri si sarebbero dati il cambio durante la notte, per permettere a ognuno di riposarsi e recuperare le forze. La foresta era buia e impenetrabile, l’unico punto di illuminazione era il fuoco acceso davanti ai due fratelli. Ingrid non era mai stata una persona paurosa, ma dopo il rapimento aveva cominciato a temere tutto ciò che aveva dovuto vivere durante quei giorni bui. Il buio e i suoni inquietanti della foresta erano presagio, secondo la sua mente, di qualcosa di terribile, inoltre aveva il terrore di dover incontrare ed affrontare di nuovo l’uomo che l’aveva torturata per tutto il tempo della sua prigionia, un giovane di cui non conosceva il nome ma che l’aveva tormentata e distrutta, annerendo una parte di lei. Tutti questi incubi tormentavano le sue notti, senza lasciarla riposare adeguatamente, rendendola stanca ed irritata durante il dì.
“Enid, vado a cercare un po’ di legna per il fuoco. Vuoi venire con me o restare qua?”, Parsifal non voleva lasciare la sorella da sola al buio, non voleva che avesse paura e ricominciasse a tormentarsi.
“Resto, altrimenti che turno di guardia è se non rimane nessuno?”.
Il fratello si allontanò, lasciando Enid sola nella notte, ma rincuorata dal fuoco e dalla presenza degli altri cavalieri, poco distanti dalla zona di guardia. Ma poco dopo che Parsifal si fu allontanato, udì un fischio perforare la coltre nera degli alberi nella foresta. Sussultò. Il fischio si fece sempre più vicino e inquietante. Un rumore del genere poteva presagire qualsiasi cosa: mostri, bestie feroci, uomini armati, rapitori... Gli incubi le tornarono alla mente e la paura si impossessò di lei. Sola, nella notte, sapeva che sarebbe successo qualcosa di terribile. Enid si avvicinò le ginocchia al petto e le strinse più forte che poté, cercando di farsi coraggio e al contempo di far finta di essere in un altro luogo, al sicuro, protetta dalla luce del giorno. Le lacrime cominciarono a sgorgare dai suoi occhi di bosco.
“Non ho paura, io non ho paura. Non c’è niente da temere, Parsifal sta tornando. Io non ho paura”. Ripeté la frase più volte, fino a farla diventare una canzone, cantata sussurrando. Nel frattempo il suono aveva svegliato Artù, il quale si era accorto dei singhiozzi di Enid. Si avvicinò alla ragazza cercando di tranquillizzarla e al contempo di capire cosa stesse succedendo e perché fosse così terrorizzata.
“Enid, dimmi cosa succede, posso aiutarti!”, le parole di Artù erano dolci e delicate, come Enid non ne aveva mai sentite pronunciare da quella bocca. Era un tono che il principe usava raramente, solo con le persone a lui più vicine. Questo Enid non lo sapeva, ma la voce di Artù in quel momento esprimeva tutto il valore e il rispetto che le rivolgeva in segreto, nonostante la ragazza fosse così fredda con lui. In quel momento tornò Parsifal, che riconobbe i segni della crisi nella sorella e subito le si avvicinò per farla calmare. Le posò le grandi mani sulle spalle, le fermò il busto e fece in modo che Enid lo guardasse dritto negli occhi. Le parlò con tono calmo ma deciso: “Enid, guardami. Qui ci sono nove cavalieri, non rischi nulla ora. Era solo il verso di un uccello notturno, l’ho visto mentre raccoglievo la legna. Non preoccuparti, calmati”. Gli occhi di Parsifal, mentre parlava alla sorella, erano dolci e fermi in un espressione che trasmetteva sicurezza. Quando Enid si fu calmata la abbracciò e fu in quel momento che l’espressione del viso di Parsifal cambiò completamente: si fece preoccupata, si vedeva dagli occhi che non era affatto tranquillo, era preoccupato per sua sorella.
Passò un’altra ora e il turno di guardia di Enid e Parsifal finì, Leon e Galvano presero il loro posto e i due fratelli si sdraiarono sulle loro tele, pronti ad addormentarsi in vista della dura giornata che li aspettava. Enid passò una notte tranquilla al bivacco, unico modo per lei per dormire in modo sereno. Quando la natura era tranquilla e senza suoni cupi o inquietanti, era l’unica cosa che riusciva a cullare il sonno di Enid. Il fruscio degli alberi e il fluire delle acque e dei venti cullava la ragazza, che in quei momenti riusciva a ritornare esattamente la stessa bambina che correva per il villaggio a gridare che i primi fiori della primavera erano sbocciati. Era sempre stata un tutt’uno con la natura, pronta a passare intere giornate a cercare uova di uccelli da cucinare per la famiglia o a pescare e contemporaneamente giocare e vivere serena e felice. La brezza naturale che soffiava dal mare era ciò che più amava delle sue terre natali, la lasciava respirare e vivere appieno ogni sensazione. Anche Camelot era dotata di paesaggi stupefacenti, ma niente a che vedere con le terre dell’Ovest in cui abitava. Le grandi scogliere di Kernow erano ciò che più amava, la sensazione che aveva nel trovarsi a capofitto sul mare con il vento che l’abbracciava era ciò che più le mancava della sua terra. Prima di addormentarsi, l’ultimo pensiero fu la serenità che aveva vissuto per tanto tempo, ma che sembrava essere scomparsa. Così si addormentò.
Si svegliò che il sole era già alto nel cielo. I cavalieri stavano sistemando le ultime cose prima di tornare ai cavalli e ripartire alla volta di Camelot.
“Buongiorno”, Artù aveva visto la ragazza aprire gli occhi ed era rimasto estasiato da quei colori illuminati dal sole giovane. Risplendevano e brillavano sotto i suoi raggi, in una luce che li rendeva così simili alle gemme delle regine. Rimase ad ammirarla per qualche istante, prima che la ragazza si rendesse conto di essere osservata e gli rivolgesse uno sguardo vago, ma per la prima volta non freddo. Gli occhi di Enid si rispecchiavano in quelli di Artù. Il principe aveva sperato in uno scambio di emozioni e di sguardi speciale e unico, ma ricevette solo uno sguardo semplice e privo di significato, che tramutò il tutto in un momento imbarazzante. Enid guardò Artù con aria interrogativa, mentre il principe cercava di rimediare alla situazione creatasi con un altro “buongiorno”. Sarebbe dovuto sembrare naturale, ma di naturale non aveva proprio niente. Sarà stato per il riposo o per l’ilarità della situazione, ma Enid rispose con un “salve” solare e allegro, regalando ad Artù un sorriso, che al contrario di quello del principe era davvero naturale.
“Oh...”, fu l’unica cosa che riuscì a pensare Artù, guardando quel sorriso, “Che erbe strane ci sono in questa foresta? Forse ne ha presa qualcuna”. L’unico pensiero di Enid riguardo a quella situazione era semplice, ma rivelatorio: “Sarà stupido e superbo, ma almeno è dolce, quando vuole”. Si alzò anche Enid e andò subito a schioccare un bacio sulla guancia al fratello.
“Chi ha fame?”, chiese Enid e i cavalieri risposero con un “io” generale,
“Bene, allora preparo la colazione”. La tranquillità che stavano vivendo in quel momento non avrebbe fatto presagire niente di negativo. ma fu interrotta da un suono di rami spezzati. Poi un sussuro e il suono delle armi, infine di nuovo il silenzio. Enid avvertì i compagni: “Sono qui, ma non sono silenziosi. Sono buoni combattenti mimetizzati nella foresta, state in guardia. Preparatevi, sarà una dura battaglia.”
Tutti si misero in posizione di guardia, compresa Enid, che da guerriera qual’era era pronta ad affrontare i pericoli di un combattimento. Poi disse sussurrando al fratello: “Comprimi le spalle, arriveranno da questo lato” e indicò la zona della foresta di fronte a lei, “se riesco un minimo rallentarli nella carica, posso atterrarne qualcuno, così avrete tempo di girarvi e contrattaccare”. Parsifal era spaventato all’idea di Enid sola contro chissà quanti uomini, solo lei a rallentare la loro corsa. La sorella capì ciò che il fratello stava pensando, tanto era stretto il loro legame.
“Non preoccuparti, lo sai che posso farcela, devo solo schivare e ferire, quel po’ che serve per darvi del tempo”, ma Parsifal non si sentiva per niente più tranquillo.
Stavano per attaccare e quello era il momento di rimanere lucidi.
“Cerca solo di non uccidere, se non è necessario”, le disse il fratello, “so che poi ti sentiresti in colpa. Sei troppo buona”.
Il padre le aveva sempre insegnato ad avere pietà, sia dentro che fuori la battaglia, ma da quando era stata sfruttata e schiavizzata la rabbia era cresciuta in lei e lì si era sedimentata.
Ma Enid era rimasta immobile e pronta per la battaglia. Allora il grido di un uomo squarciò il silenzio che si era creato nella radura, dando così inizio allo scontro. Una ventina di uomini stavano ora correndo incontro a Enid, che si mise in posizione, con le gambe pronte a scattare. Schivò i colpi dei guerrieri e roteando il busto riuscì a ferirne qualcuno. Cadde un uomo sotto la sua spada e ne ferì altri tre. Poi con un grido chiamò i cavalieri che nel frattempo si erano nascosti, arretrò per lasciare dello spazio tra lei e i nemici, che confusi non capivano cosa stava succedendo nella radura. Con i cavalieri, pronta per il contrattacco, caricò il resto dei guerrieri con la spada ritta davanti a sé. Era pronta a difendere il fratello, i cavalieri e il principe. Ma qualche istante prima dello scontro con i nemici, si sentì scaraventare dall’altra parte della piccola radura, in una zona nascosta da quello che era diventato un campo di battaglia. Enid sentì una fitta trafiggerle la schiena. Tentò di mettere a fuoco ciò che stava succedendo e vide la sagoma di un uomo avvicinarsi e farsi sempre più nitida. Poi lo riconobbe. Era l’uomo che aveva tradito suo padre, che l’aveva rapita e che voleva vendicarsi: durante la sua fuga dalle prigioni dei mercanti di schiavi da cui era stata catturata, Enid aveva incontrato l’uomo, che però era stato atterrato facilmente, colpito al viso dal pugnale che lei stessa aveva sottratto a una guardia. L’uomo avvicinò il viso a quello di Enid, che riconobbe la cicatrice della ferita che aveva lasciato al’uomo prima di scappare dalle prigioni dei mercanti di schiavi. Era Torcall.
“Ora non scappi più”. La bocca dell’uomo si incurvò in uno sorriso malefico, che invogliò ancora di più Enid a ucciderlo e vendicare tutte le persone a cui aveva distrutto la vita: lei, suo padre e tutto il suo villaggio. Cercò l’arma con gli occhi e per sua fortuna la trovò poco lontano da dove si trovava lei, “posso prenderla facilmente, devo solo essere veloce”. Così scattò nella direzione della spada e riuscì a recuperarla e a rimettersi in piedi in pochi secondi. Tené l’arma stretta nelle proprie mani e si parò davanti a Torcall, gli occhi le si erano accesi in uno sguardo d’odio e il leggero vestito turchese che portava oscillò ai suoi movimenti lesti.
“Brava, uccidimi, così nessuno conoscerà mai il tuo segreto. Eh, bastarda magica? Non hai il coraggio di uccidermi, sei debole come tuo padre”.
A quelle parole lo trapassò con la spada, quando la sfilò dal corpo morto dell’uomo era rossa di sangue. Era stato tutto così veloce, senza sentimentalismi o parole. Lo uccise senza alcuna pietà, senza scuse. Lo uccise per non permettergli mai più di fare del male. Enid non se ne pentì mai, poiché Torcall era il capo dei mercanti dei marcanti di schiavi e fu lui a volerla vendere come “strega tuttofare”, quando in realtà strega non era. Enid di magico non aveva proprio niente. L’unica traccia di magia in lei era una voglia tipica della stirpe dei druidi del sud di Kernow da cui proveniva sua madre, ma la voglia non era accompagnata da nessun potere, per questo Torcall usava chiamarla bastarda magica, “Sei un meticcio di magia”, questo era quello che le ripeteva sempre. Nonostante fosse stato lui a catturarla e a tradire l’amicizia con suo padre, non era stato Torcall ad averla maltrattata, torturata e costretta alla schiavitù. Era stato un ragazzo suo coetaneo, bello come un angelo, ma malvagio come il peggiore dei demoni, che aveva l’incarico di addestrare le nuove arrivate ai lavori di casa che avrebbero dovuto fare presso i loro futuri padroni. Quel ragazzo era una delle poche persone a spaventarla veramente, davanti a lui tutte le sue capacità nel combattimento e il suo spirito di guerriera si bloccavano, tutto il suo corpo si bloccava, e l’unica cosa che riusciva a fare era pregarlo di non farle del male. “Sono sempre stata forte e coraggiosa, con uno spirito unico, e cosa faccio davanti a un solo uomo? Smetto di muovermi. Mi terrorizza. Quante volte avrei potuto ucciderlo e mettere fine alle sofferenze di decine di schiave? Perché non l’ho mai fatto?”.Troppe volte Enid si era ritrovata ad accusarsi di non essere coraggiosa abbastanza, o di essere una stupida. Mentre correva ritornando al campo di battaglia, Enid realizzava che se quell’attacco era stato realizzato da Torcall, allora anche l’uomo che la terrorizzava doveva trovarsi lì. “Sa che sono qui, è venuto per prendermi e uccidermi. Questa volta però non mi arrendo e non mi blocco. Questa volta vinco io”. Era stato un caso che durante la sua fuga dalle prigioni dei mercanti Enid non avesse incontrato il suo incubo, se l’avesse vista, di sicuro non l’avrebbe lasciata scappare. Nella radura la battaglia era solo all’inizio, in effetti, era passato solo qualche minuto da quando si era allontanata.
“Dov’eri?”, le chiese il principe Artù.
“Dalla parte della radura nascosta dagli alberi, ho appena ucciso il capo che controlla il commercio di schiavi nella zona di Camelot e nella penisola di Kernow. Si sta espandendo in tutto il Sud”. Mentre cercava di comunicare con Artù un uomo nemico la riconobbe e le si scagliò addosso, senza però ottenere alcun risultato, poiché la ragazza lo evitò e con un movimento veloce lo feri all’altezza della spalla, per poi tramortirlo con un pugno dritto alla testa. Alla vista dell’agilità e della forza di Enid, Artù rimase a bocca aperta, strappando un sorriso alla ragazza.
Ormai erano rimasti pochi uomini nel campo di battaglia: Leon, Parsifal, Artù e Galvano erano riusciti a dimezzare la truppa nemica, riducendo il numero dei combattenti a dieci.
La ragazza era pronta per riprendere la battaglia, ma appena prima di lanciarsi a combattere, Enid vide quell’uomo che tanto aveva tormentato i suoi sogni. Anche lui l’aveva vista e le si stava avvicinando. Il panico si impossessò della ragazza, che cercò disperatamente il fratello con gli occhi, trovandolo nel bel mezzo di un combattimento contro due uomini armati fino ai denti. Cercò ovunque un aiuto, mentre tentava di immettersi nella battaglia per evitare quel ragazzo. Si ritrovò accanto ad Artù, che vide lo sguardo di terrore negli occhi di Enid.
“Enid, Enid, che cosa succede, cosa hai visto?”
“E’ lui, è venuto a prendermi”.
“Lui chi? Enid, LUI CHI?”, la voce di Artù si era alzata. Il principe vide le lacrime solcare gli occhi di Enid e le gambe cominciare a tremarle e capì che non poteva lasciarla lì. Abbandonò il campo di battaglia, correndo con Enid verso una zona più riparata. Quando raggiunsero un punto coperto da degli arbusti, Enid spiegò al principe cosa stava succedendo.
“E’ l’uomo che mi ha tenuta in prigione. E’ qui per uccidermi, ma io non riesco a fare nulla, mi sento bloccata”.
“Tu resta qui, vado io”.
Ma Enid era una ragazza fortemente orgogliosa, anche se lo dava poco a vedere, e non poteva permettersi di farsi aiutare da Artù per combattere quell’uomo. Così, nel giro di pochi secondi cambiò completamente atteggiamento, facendola diventare una persona completamente diversa.
“Artù, lui è mio”, lo sguardo d’odio si ripresentò nei suoi occhi e il terrore lasciò posto alla determinazione, “questa volta non scappo”.
Il principe non era per niente d’accordo, ma come poteva fermarla?
“Non puoi lottare contro un uomo che non solo ti terrorizza, ma che con uno sguardo riesce a bloccarti tutto il corpo”.
Enid non ascoltò le parole di Artù e corse veloce nella direzione di quell’uomo che la stava cercando. Il principe non riusciva a capire appieno il perché di quel cambiamento, ma la battaglia stava finendo e i cavalieri avevano bisogno di lui e dovette per forza andare dai suoi uomini. “Che si faccia ammazzare, stupida orgogliosa”, pensò prima di tornare nel campo di battaglia.
Così Enid trovò il ragazzo che stava cercando, parandoglisi davanti, pronta a combattere per la prima e ultima volta contro il suo incubo. Teneva la spada stretta in un pugno, e con l’altra mano si bilanciava pronta ad andare contro il nemico. Così balzò verso quell’uomo, che però la prese al volo e le tolse la spada dalle mani, sferrandole un colpo alla nuca. La vista di Enid si offuscò, ma non si arrese e provò a colpire l’uomo, che però schivò il colpo e derise la ragazza.
“Sei una stupida”.
La vista di Enid era ancora offuscata. La ragazza capì che in quelle condizioni non poteva combattere contro un uomo armato, così scappò verso il folto della foresta, cercando di utilizzare al massimo la sua velocità. Mentre correva riacquistò una vista nitida, ma sentiva il ragazzo avvicinarsi sempre di più. Si fece sempre più vicino fino a raggiungerla da dietro, allora le cinse le spalle e la schiena con le braccia, pronto ad ucciderla.
“Non scappi più ora”, le disse, “non preoccuparti, ci sarà del tempo prima che tu muoia, del tempo che però sarà doloroso”.
Enid tentava di dimenarsi, ma il suo incubo la teneva stretta senza lasciarla andare, era terrorizzata, sapeva di non poter far più niente. Teneva gli occhi chiusi per non vedere quel viso, altrimenti si sarebbe completamente immobilizzata. Il ragazzo la scagliò sul suolo ed Enid cercò di scappare, ma lui la afferrò per i capelli e le sferrò un colpo al viso, facendole guizzare del sangue dalla bocca. Enid era completamente atterrata, troppo dolorante per provare a reagire. Il ragazzo continuò e le sbatté il cranio conto il tronco di un albero e dopo averla lasciata cadere a terra prese a colpirla ripetutamente sull’addome, all’altezza dello stomaco. Per ogni calcio che le sferrava, Enid sentiva una lamina di ferro tagliarle in due il corpo. Mentre continuava a sentire colpi arrivare da ogni parte e infrangersi contro ogni centimetro del suo corpo, pensava. Si dice che è nei momenti vicini alla morte che ci si rende conto di chi si è realmente e di quali siano i veri pensieri del proprio inconscio. Enid pensava alla sua vita e a quella del fratello, pensava al passato e al futuro. Pensava e si pentiva di aver detto no all’ultima scelta che il fato le aveva concesso di prendere. I suoi pensieri erano confusi e tristi.
“Sto morendo. Mi sta uccidendo. Perché ho rifiutato l’aiuto di Artù? Non solo, ho anche rifiutato la sua amicizia e il suo conforto, sono stata stupida nell’aver avuto pregiudizi nei suoi confronti. Perché l’ho sempre odiato? In fondo, lui non è suo padre. E’comico che l’ultimo mio pensiero prima di morire sia rimpianto nei confronti di quel principe altezzoso”. Enid non aveva mai amato e mai aveva pensato all’amore, per lei l’idea di potersi innamorare di un principe come Artù era insulsa. “Le guerriere non s’innamorano, tantomeno dei principi”.
Mentre l’uomo sferrava gli ultimi colpi, Enid sentì delle voci provenienti dalla foresta chiamarla, ma non riuscì a rispondere o a emettere alcun suono, se non un gorgoglio, tanto era il sangue che le si era riversato nella gola. L’ultimo colpo le arrivò alla testa e non vide più niente, sentì solo rumore delle armi e di passi del fratello, il grido del fratello e poi il suono di una spada che trafigge un corpo. Nel mentre, sentì qualcuno sollevarla da terra. Riuscì solo a vedere il viso di Artù in ansia e agitato.
“Per cosa?”, fu l’ultimo pensiero di Enid.






 
   
 
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