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Autore: Cocchi    05/08/2013    3 recensioni
Una parte di lei continuava a ripeterle che non stava facendo la cosa giusta e che doveva tornare indietro, rientrare a casa, spogliarsi ed infilarsi a letto. Magari nel letto di suo figlio, così non sarebbe stata tentata ad alzarsi di nuovo per paura di svegliarlo.
Forse avrebbe passato la notte a fissare il soffitto della stanza di Henry, ma almeno non si sarebbe mossa.
[...]
Si guardò intorno prima di posare il piede sul primo scalino della rampa di accesso alla nave e si fermò, sorridendo. Ricordando.
Si schiarì la voce.
«Ho il permesso di salire a bordo?»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una parte di lei continuava a ripeterle che non stava facendo la cosa giusta e che doveva tornare indietro, rientrare a casa, spogliarsi ed infilarsi a letto. Magari nel letto di suo figlio, così non sarebbe stata tentata ad alzarsi di nuovo per paura di svegliarlo.

Forse avrebbe passato la notte a fissare il soffitto della stanza di Henry, ma almeno non si sarebbe mossa. Quando sarebbe stata mattina, avrebbe messo su un sorriso, avrebbe fatto finta di niente e tutto sarebbe finito senza problemi per nessuno, eccetto che per lei.

Invece continuava a camminare.

Continuava a dare ascolto all’altra parte del suo cervello – O era il cuore? – e ad ignorare la sua coscienza. Se avesse incontrato il Dr. Hopper lungo la strada sarebbe tornata indietro. Lo aveva promesso a sé stessa quando aveva deciso di indossare la giacca rossa di pelle, piuttosto di mettersi il pigiama, ed era uscita di casa.

Il fatto che poi avesse volutamente preso la strada più lunga per evitare il parco dove l’uomo portava a spasso il suo cane Pongo, era solo una stupida coincidenza.

Un minuscolo insignificante dettaglio.

Proprio come la bottiglia che teneva fra le mani.

Se i suoi genitori l’avessero vista…Oddio, da quando in qua faceva pensieri del genere?

Scosse la testa allontanando quelle riflessioni e accelerò il passo fino a che non raggiunse la sua meta.

Il molo.

Era ancora in tempo per tornare indietro.

Sapeva benissimo dove avevano attraccato. Avevano…

Quel semplice verbo al plurale la fece sorridere.

Puah, stava sul serio regredendo allo stato adolescenziale? Il tempo passato a Neverland l’aveva influita in questo modo?

O era il ritrovato rapporto con Neal che la faceva sentire come se avesse ancora diciassette anni?

Respirò a fondo l’aria salmastra, socchiudendo gli occhi e ascoltando solo il rumore delle onde e delle imbarcazioni ormeggiate.

Era davvero sicura di quello che stava per fare?

E soprattutto cosa stava facendo in primo luogo? Cosa cercava di dimostrare?

Riaprì gli occhi e riprese a camminare con passo sicuro lungo il molo fino a che non la vide. La Jolly Roger si ergeva maestosa contro il buio della notte, la luce della cabina era spenta.

Delle cabine. Tutte le cabine.

Non ne aveva osservata una in particolare e basta.

Si guardò intorno prima di posare il piede sul primo scalino della rampa di accesso alla nave e si fermò, sorridendo. Ricordando.

Si schiarì la voce.

«Ho il permesso di salire a bordo?»

 

La voce di Emma lo fece sussultare nonostante fosse sdraiato sul ponte della sua nave. Sollevò rapido il volto per vedere se era già a bordo o se invece, finalmente, aveva capito che doveva aspettare il suo permesso.

A quanto pare era quella seconda opzione. Ritornò con la testa contro le assi di legno e lo sguardo verso il cielo.

Che diavolo era venuta a fare?

Come se in realtà non gli facesse piacere quella visita inaspettata, ponderò sul risponderle o meno passando con lo sguardo da una stella all’altra, come se potessero dargli loro una risposta.

«Lo sai che tanto salgo comunque, vero?»

Non poté fare a meno di fare una smorfia.

«E tu sai che potrei buttarti a mare per insubordinazione.» Rispose spostando lo sguardo dalla volta stellata solo quando la sentì posare i piedi sulle stesse assi di legno su cui adesso era seduto.

«Non sei più il mio capitano.» Rispose lei guardandosi intorno.

«Perché sono stato tuo?»

Questa gli era uscita proprio male, quasi cattiva. Ma non poteva farci niente, era il suo ego ferito a parlare. Lei lo guardò, per un attimo sembrò sul serio dispiaciuta per quella domanda, poi la sua espressione tornò a farsi dura.

La osservò scuotere la testa e mordersi le labbra, si stava maledicendo per essere andata lì. La capiva. Non era la cosa più sensata da fare, in effetti.

Ma quando mai lei – o anche lui – avevano fatto qualcosa di sensato?

Tutta la loro storia era basata sul non fare quello che gli altri si aspettavano che facessero, quindi perché anche stavolta sarebbe dovuto essere diverso?

Poi il suo sguardo si posò su quello che lei teneva fra le mani.

«Hai portato da bere?»

Emma si riscosse e guardò prima lui poi la bottiglia che teneva fra le mani, come se si rendesse conto solo in quel momento che era lì. Fece qualche passo e allungò la mano che afferrava il fiasco, porgendoglielo.

«Regalo.» Disse cercando di fare un sorriso. «Per la partenza.» Aggiunse quando lui la afferrò.

Rimasero in silenzio per qualche istante, prima che lei si sedesse accanto a lui.

«Osservavi le stelle?» Chiese interrompendo il silenzio puntando il volto verso il cielo. Lui si voltò verso di lei.

Perdendosi nel suo profilo, nei suoi capelli lunghi e soffici, proprio come la sua pelle. La prima volta che l’aveva sfiorata era rimasto colpito da quanto fosse delicata e fragile in confronto alla durezza che si sforzava di mostrare a tutti.

«Cercavo una rotta.» Le rispose senza spostare lo sguardo dal suo profilo. Catturato come ogni volta.

«E l’hai trovata?»

«Non proprio…» Fu solo allora che lei si voltò a guardarlo. Non aveva bisogno di spiegarle, perché lei lo sapeva già. Emma fece per dire qualcosa, ma la precedette. Incapace di poter sopportare quello che stava per dirgli. «Ma sono cose che capitano. Troverò una via, sono un pirata dopotutto.»

Emma annuì e fra loro cadde di nuovo il silenzio.

Aveva amato i silenzi che avevano condiviso a Neverland, sull’isola o anche sulla sua nave. Erano ricchi di significati e di promesse che lui avrebbe mantenuto, che lei poi aveva infranto.

Non che le facesse una colpa, ma adesso i silenzi che condividevano erano ricchi di parole che lui non aveva voglia di sentire.

«Vuoi berlo ora?»

 

Non ci aveva pensato. O forse invece lo aveva fatto, ma aveva accantonato la cosa, convinta che sarebbe stato solo un suo capriccio. O desiderio.

Ed invece lui le aveva chiesto se voleva bere. Ora. In quel momento. Con lui. Come allora.

Rimase un attimo di più in silenzio del dovuto portando lui a sospirare e a mettersi in piedi. Il suo braccio sinistro si sollevò di scatto a quel movimento, afferrando la fine della manica della sua giacca.

Come una bambina capricciosa, si ripeté, quando senti il suo sguardo addosso.

La pelle della sua mano sfiorò leggermente quella di lui, avrebbe dovuto ritirarla a quel contatto, alzarsi, inventare una scusa e tornare a casa.

Invece l’aveva spostata solo per chiuderla intorno a quella di lui, aveva sollevato il volto e solo quando lui aveva spostato lo sguardo sui loro palmi uniti, aveva trovato il coraggio di rispondergli.

«Sì.»

Lui sorrise. C’era qualcosa in quel modo di sorriderle che le faceva perdere un battito ogni volta. A volte aveva pensato di amare quel sorriso.

A volte aveva pensato di amare lui.

Lo scrutò mentre tornava a sedersi e afferrava il tappo con i denti per aprire la bottiglia.

Un sorriso si affacciò sulle sue labbra mentre lo osservava, lui sollevò un sopracciglio nella sua direzione prima di sputare il tappo al di là del parapetto.

«Non ti azzardare a dire che avrei potuto usare l’uncino come cavatappi.»

Lei scoppiò a ridere. Per niente sorpresa che fosse riuscito a capire anche quello stupido pensiero.

«Però avresti potuto.» Cercò di protestare mentre tornava ad essere calma.

«Ma non lo avresti trovato altrettanto sexy, tesoro.»

La zittì portandosi la bottiglia alla bocca, soddisfatto.

Era fastidioso quanto riuscisse a leggerla quando voleva, ma mai tanto irritante quanto quando decideva che aveva capito tutto senza neanche chiederle cosa le passasse davvero per la testa.

«Già, osservarti sputare tappi di sughero nell’oceano è tremendamente sexy.» Affermò ironicamente.

Lui fece schioccare la lingua contro il palato porgendole la bottiglia.

«Beh, tesoro, io sono sempre tremendamente sexy e lo sai.»

«Quello che so è che il tuo ego è spropositato.» Rispose prima di posare le labbra sulla superficie di vetro dove poco prima si trovavano quelle di lui.

«E non è l’unica cosa spropositata che posseggo.»

Emma per poco non si soffocò con il vino che aveva portato. Allontanò la bottiglia dalla bocca per cominciare a tossire aiutata dalle pacche sulle schiena che lui aveva iniziato a darle.

«Tutto bene?» Le chiese quando si fu ripresa, la mano ancora sulla sua schiena.

La gola le bruciava. Gli occhi lacrimavano. La bottiglia si era capovolta e aveva versato il liquido rosso sulle assi di legno.

Non andava affatto bene.

E per la prima volta da quando erano tornati era disposta a rispondere sinceramente a quella domanda.

«No.»

 

Come al solito aveva parlato a sproposito. Non riusciva a non fare allusioni.

Era davvero così bambino da non riuscire ad avere una conversazione seria con lei?

L’aveva quasi fatta soffocare. Se ci ripensava gli scappava da ridere.

Non perché lei non riusciva a respirare, ma per l’effetto che le aveva fatto. Se non avesse temuto per lei, le avrebbe chiesto a che cosa aveva pensato.

Come se non lo sapesse. Doveva pur alimentare il suo ego in qualche modo.

Invece le aveva chiesto se stava bene. Il capitano dei doppi sensi e delle battutine era stato nuovamente messo da parte dallo smidollato Killian che provava qualcosa per lei, ma non veniva ricambiato.

Si faceva pena da solo. Centinaia d’anni senza pensare alle donne.

Senza pensare all’amore.

E adesso stava ancora peggio di prima.

«No.» Il suo sguardo si spostò nuovamente sul profilo di lei per accertarsi della situazione. Non gli era sembrato un incidente così grave.

Forse si era tagliata con un vetro? La bottiglia si era rotta? I suoi occhi la cercarono rovesciata sul ponte, ormai era mezza vuota, ma integra.

Tornò a guardare Emma, pronto a chiederle cosa fosse successo, ma lei lo precedette.

«Non va affatto bene.» Sollevò il volto verso di lui, i suoi occhi erano arrossati, pieni di lacrime che lei non voleva fare uscire e per questo sapeva che non erano dovute al vino. «State tutti decidendo per me. Nessuno che mi chieda cosa è che io voglia veramente.»

Che cosa stava succedendo?

Perché adesso era fragile come l’aveva vista solo un paio di volte da quando la conosceva? Perché non faceva la dura?

Perché non rendeva tutto più semplice?

«Cos’è che vuoi?» Ed eccolo di nuovo che la accontentava. Che si illudeva.

Che le chiedeva di decidere per lui.

«Che tu torni come prima.»

La determinazione con cui lo guardava lo faceva quasi sperare. Tornava a fargli battere il cuore.

Ma non poteva.

«Credevo che tenessi alla vita del nonno di tuo figlio…»

Optò per concentrarsi su quell’unico dettaglio di quello che era una volta. Prima di Neverland.

Prima di lei.

Afferrò la bottiglia sbuffando per la scarsità di liquido rimasto, ma non si lamentò, preferendo annegare le parole che gli giravano per la mente.

«Sai che non mi riferisco a quello.»

Lasciò che il vino scorresse lungo la sua gola e allontanò la bocca dalla bottiglia per guardare Emma negli occhi.

Fiera. Anche se riusciva a vedere la sua incertezza in fondo ad i suoi occhi.

«Sono un pirata. Non mi sono mai fermato troppo in un posto, tolto Neverland, ma là ero bloccato.»

Un’altra scusa, un’altra bugia.

 

 

Lo sapeva. Lo capiva anche in quel frangente.

Anche lei non era mai rimasta ferma in un luogo fino a che Henry non era tornato nella sua vita dandole tutto quello che aveva sempre desiderato. Una famiglia.

La sua famiglia.

Eppure quello non le bastava più.

Non si era nemmeno sforzata di provare a ricostruire qualcosa con Neal, era stata chiara con lui.

Poteva fare quello che voleva, stare a Storybrooke, frequentare suo figlio, ma non sarebbero mai tornati insieme.

Sarebbe stato giusto ricreare una famiglia con lui. Per Henry.

Ma semplicemente non poteva. Non voleva.

Ed era quello che desiderava lui capisse.

Lui che si vantava di essere così percettivo, di leggerla come un libro aperto. Lui che si ostinava a non vedere.

Non aveva la forza di dirgli quanto era diventato importante. Quanto la facesse sentire fragile, ma allo stesso tempo protetta.

Quanto l’idea di non vederlo più la tormentava.

Perché lui aveva deciso di andare via. Di abbandonarla, come lei aveva fatto con lui quando Neal era riapparso.

Ricordava il giorno. Il momento esatto in cui lui era spuntato fuori dal nulla. Nello stesso modo in cui era sparito.

Ricordava che il suo braccio stretto intorno a quello di Killian si era staccato di colpo quando i suoi occhi avevano incontrato quelli di Neal.

Rammentava di essere corsa ad abbracciarlo e di essere stata abbracciata a sua volta da lui.

Ricordava lo sguardo che le aveva rivolto Killian quando si era voltata sorridente verso di lui.

Era allora, che era finito tutto.

Lui onorava un codice che lei non capiva, ma forse si era solo illusa di quello che c’era stato fra loro.

Avrebbe voluto sbattergli quella testa dura contro l’albero maestro della sua nave e farlo ragionare, ma una parte di lei aveva ancora tremendamente paura che lui non la volesse.

«Quindi te ne andrai e basta.»

Ci credeva veramente. Se ne sarebbe andato. Almeno questa volta era preparata a vederlo sparire, non sarebbe accaduto tutto all’improvviso.

Stranamente questa consapevolezza non le risollevava il morale. Quando aveva capito la sua decisione pochi giorni prima si era arrabbiata.

Adesso invece era bloccata fra la voglia di fargli cambiare idea e quella di accettare il fatto che, alla fine, anche lui la stava abbandonando.

Come tutti gli altri.

 

«Non posso restare e vederti con lui.»

Si sforzò di interrompere il silenzio fra loro. Ammettere la sua debolezza ad alta voce lo deprimeva ancora di più. Non si riconosceva affatto in quelle parole.

La osservò mentre inspirava ed espirava lentamente ad occhi chiusi. In attesa che dicesse qualcosa.

«Tu sei incorreggibile. Secondo te sarei così egoista da chiederti di restare mentre io…»

Non riuscì a finire la frase. Anzi non la volle finire. Scosse la testa e si alzò.

«Sai cosa? Non importa. Pensavo tu fossi diverso, ma mi sbagliavo.»

«Diverso in cosa?» La fermò con la mano prima che potesse allontanarsi troppo. «Emma, sai benissimo chi sono. Quale è la mia storia. Non sono esattamente la persona più indicata…»

«Fai discorsi senza senso.» Sussurrò le parole con lo sguardo rivolto verso il basso. «Credevo che tu lottassi per le cose che vuoi ed invece…»

«Non se le cose che voglio non vogliono me in primo luogo.» Spostò la mano dalla sua, ma puntò gli occhi dentro quelli di lei. «Sarò anche la peggior persona nei dintorni, ma non obbligo le persone a stare con me, se non lo vogliono.»

«È questo quello che pensi?» Lo stava guardando con gli occhi sgranati, sorpresa dalle sue parole. Poteva capire che si stava irritando.

«La felicità con cui hai accolto Bealfire in città ed in casa tua dicono proprio questo.»

«È il padre di mio figlio!» Esclamò. «Che altro avrei dovuto fare?»

«Niente.» Scosse la testa e raccolse la bottiglia prima di incamminarsi verso la sua cabina. «Hai fatto la cosa giusta. Adesso se non ti spiace…» Indicò la scaletta di accesso alla nave. «Devo prepararmi ad un viaggio.»

«No. Non me ne andrò di qui così facilmente.» Incrociò le braccia al petto, risoluta.

«Ti stai arruolando?» La guardo con un sopracciglio alzato. «Viaggio da solo, Swan

 

Dio, quanto la irritava quando la chiamava per cognome. Specie adesso, dopo mesi che l’aveva chiamata per nome e l’aveva fatta sentire parte di qualcosa.

«Visto che capisci sempre tutto, ascoltami bene.»

Lui la guardò con un atteggiamento fra lo spazientito e l’interessato, lei mosse qualche passo nella sua direzione puntandogli il dito indice al petto.

«Io voglio che resti. Io non voglio che tu vada via, ma voglio che resti e che affronti con me questa cosa, chiaro?»

La risolutezza con cui aveva detto quelle parole l’aveva sorpresa. Anche lui era confuso, lo vedeva nei suoi occhi.

Il cuore le rimbombava nel petto ad un ritmo talmente accelerato che aveva paura che sfondasse la cassa toracica. Gli aveva chiesto di restare con lei.

Avrebbe preferito affrontare un altro drago piuttosto che aspettare la sua risposta o di guardarlo negli occhi.

«Baelfire mi odierà.» Fu la prima cosa che giunse alle sue orecchie, le sembrò una risposta talmente assurda che sollevò il voltò verso quello di lui per vederlo coprirsi la faccia con la mano.

Nonostante tutto poteva capire che stava sorridendo.

«E tuo padre lo aiuterà ad uccidermi.» Aggiunse quando i suoi occhi celesti incontrarono i suoi. «Ti rendi conto della situazione in cui stai chiedendo di infilarmi?»

«Hai una scelta, puoi sempre partire domattina e non vedermi mai più. Era questa la tua idea.» Rispose pronta, improvvisamente sicura di sé. Iniziava a temere l’effetto di quel sorriso su di lei.

«La mia idea principale veramente era un’altra ancora…»

Non poteva crederci.

Scosse la testa affranta, ma in realtà quello che provava era esattamente l’opposto, sotto il suo sguardo malizioso.

Lui allungò il braccio sinistro verso di lei, lasciando che la punta dell’uncino scendesse lentamente senza farle male, lungo il braccio scoperto di lei.

Fino a che Emma non decise di annullare la distanza fra loro, permettendogli di incrociare le braccia dietro la sua schiena mentre le dita di lui iniziavano a giocare con i suoi capelli. Gli occhi di lui non si staccavano dalle labbra di lei, aspettando un segno, qualsiasi cosa, per annullare definitivamente la distanza che le separava dalle sue.

«Resterai allora?»

«Se proprio non riesci a fare a meno di me…» Sogghignò.

«Sei un def…» La fine dell’insultò morì sulle labbra di lui.

Le erano mancate.

Gli era mancato tutto di lui in quei giorni di silenzio e distanza. Era stata sopraffatta dal vuoto che aveva lasciato al suo fianco, spaventata dalle conseguenze che quella presa di coscienza avrebbero avuto su tutto. Eppure non si era sentita mai così bene come in quel momento, fra le sue braccia ed i suoi baci.

Killian si allontanò da lei guardandola negli occhi, baciandole la fronte, sorridendo.

«Inoltre voglio vedere la faccia di tuo padre quando gli dirai di noi…» Emma scosse la testa cercando di non farsi vedere troppo divertita dalla sua affermazione.

«Guarda che lo sa già….

«E ti ha fatta venire qui ugualmente?» La curiosità lo fece fermare per un attimo mentre le mani di lei giocavano con la chiusura della sua giacca.

«In realtà sono sgattaiolata di nascosto.» Ammise mordendosi la lingua e guardandolo divertita.

«L’ho sempre detto che saresti un’ ottima piratessa.» Affermò prima di prenderla in braccio e condurla in cabina con lui.

 

 

 

****

 

Salve.

Son tornata con questa shottina.

Non sono molto convinta (strano) di quello che ne è venuto fuori.

Come forse la maggior parte dei coraggiosi che sono arrivati a leggere quaggiù hanno già dedotto, mi sono ispirata alla dichiarazione di Jen al Comic Con “We’ve just shared a drink…” sperando che fosse di riferimento ad una scena che ci sarà nella terza serie.

Ovviamente per fare la diversa ho posticipato il tutto a post Neverland.

Spero con tutto il cuore di non aver fatto un Killian OOC…Gongolo al pensiero che il fatto che lui provi dei sentimenti per Emma sia totalmente IC, ma non so se il suo affetto per Bae lo farebbe vacillare o meno. Qui ho deciso di sì, ma vedremo che decideranno Adam & Eddy.

Bon, credo di essermi dilungata anche troppo con le note.

Ovviamente mi ero dimenticata di Neal...Ehm. Allora Il fatto che Emma vada ad abbracciarlo, io (purtroppo) la vedo una cosa molto probabile. Credo che Emma vorrà sempre bene a Neal, per tutto quello che è significato per lei. Quindi l'abbraccio è inteso in quel senso, ecco.

Se vorrete farmi sapere che ne pensate mi farete felice. :)

Un abbraccio

Cos

 

  
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