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Autore: Mary P_Stark    05/08/2013    5 recensioni
La Ricerca di Brie e Duncan ha inizio. Non è più tempo degli indugi, i berserkir vanno trovati prima che si riversino sul loro branco per distruggerli tutti. La verità deve infine venire a galla, perché la faida venga fermata sul nascere. Nuove avventure aspettano i nostri eroi, e nuovi amici si uniranno ai vecchi per questo nuovo viaggio tra le lande della Norvegia, dove il culto dell'uomo-orso ha avuto il suo massimo fulgore. Sarà possibile, però, fermarli in tempo? E il nemico è rappresentato solo da loro? O le maglie di Loki sono più intricate di quanto essi non immaginano? TERZA PARTE DELLA TRILOGIA DELLA LUNA. (riferimenti alla storia presenti nei 2 racconti precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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Le voci della terra

(Cheyenne)

Ascolto le voci
che parlano nel vento
e cantano nell' acqua del torrente.
Dicono:
Ecco, è arrivato il giorno
in cui sarai falco e serpente,
oggi è quel giorno
in cui i tuoi avi
grideranno di gioia,
guardando il tuo cuore.

 

 

 

 

 

Preghiera di pace

 (indiana)

"Oh grande spirito che regna nel cielo,

Guidaci al sentiero di pace e comprensione,

Fa in modo che possiamo vivere tutti insieme come Fratelli"

 

 

Capitolo 1

 

 

 

 

Emain Macha.

D’accordo, come inizio non era il massimo, ma almeno era un nome.

Non che mi dicesse qualcosa ma, grazie alla moderna tecnologia – Dio benedica Google Maps – ,  sapevamo che quel luogo esisteva veramente e non faceva parte soltanto della mitologia classica nordica.

Il punto era un altro.

Neanche a dirlo, Emain Macha o Armagh, il nome attuale della vecchia dimora dei re dell’Ulster, si trovava nel bel mezzo del territorio appartenente a uno dei Fenrir della Libera Irlanda.1

E, ovviamente, noi non potevamo mettere piede lì senza il suo consenso.

A volte, ammettevo di rimpiangere la mia vecchia vita.

Da umana, mi sarebbe bastato prendere un aereo per raggiungere quel luogo e controllare ciò che restava dell’antica capitale dell’Ulster, dove aveva dimorato il suo più famoso guerriero; Setanta, il Mastino di Chulainn.

La ricerca dei berserkir doveva pur cominciare da qualche parte e, grazie alla soffiata di Gordon, eravamo approdati a Cu Chulainn, il Mastino dell’Ulster.

Il mito parlava della sua forza sovrumana e dell’aspetto animalesco che assumeva in battaglia.

Grazie a queste leggende, eravamo approdati a quel misterioso quanto impronunciabile paesino da cui procedere per tentare di capire dove si trovassero gli uomini-orso.

L’idea era di partire quanto prima, onde evitare che i berserkir si riversassero come uno sciame di cavallette sul mio branco per distruggere ogni cosa, e al solo scopo di uccidermi.

Il punto però era un altro; non potevamo entrare in un territorio controllato da un Fenrir senza averne preventivamente chiesto il consenso.

Quindi, la cosa più urgente rimaneva trovarli prima che loro scoprissero ciò che era accaduto a Lot, i suoi compagni e Loki, e decidessero di scatenare l’inferno su Matlock.

Speravo solo che la risposta del Consiglio dei Fenrir irlandesi non tardasse troppo a giungere.

La legge dei licantropi parlava chiaro, e io avevo sperimentato sulla pelle cosa significasse passarvi sopra, per cui era vitale stare calmi – come, dovevo ancora scoprirlo – e aspettare notizie da Erin, Fenrir di Belfast.

Non sapevo molto di lei, tranne che era una donna e che era al potere da poco meno di un anno.  

L’unica cosa veramente chiara era che, grazie ai buoni uffici di Sebastian, ci era stato vietato di mettere piede su suolo irlandese previo permesso di tutti e sette i clan presenti sull’isola.

Cosa avesse combinato di così tremendo non lo sapevo – Duncan era reticente, su questo punto – ma di sicuro, conoscendo il tipo e i suoi modi strafottenti, non faticavo a immaginarmelo mentre insultava qualche Fenrir solo perché aveva la luna storta.

Anche senza essere fisicamente presente, Sebastian era riuscito in un solo colpo a rovinarmi l’intera giornata, non appena ero venuta a sapere di quel piccolo, insignificante, tremendo particolare.

A complicare il tutto – neanche Loki, dall’oltretomba, si stesse divertendo a macchinare contro di me – Alec aveva telefonato dicendo che, volente o nolente, lui avrebbe intrapreso la Cerca assieme a noi.

Essendosi reso disponibile per venirmi a salvare dall’orrenda fine che Loki aveva deciso di propinarmi, e con la quale aveva avuto intenzione di far esplodere il mondo, non voleva essere lasciato fuori dalla questione quando realmente poteva vederne la fine.

E niente di quello che avremmo potuto dire per farlo desistere l’avrebbe convinto a non seguirci.

Così, oltre a dover aspettare il benestare di tutti i clan irlandesi prima di poter mettere piede a Belfast, dovevo anche prepararmi psicologicamente all’idea di viaggiare assieme ad Alec.

Ciliegina sulla torta, quel pazzo scatenato di Gordon mi aveva detto, a pochi giorni dalla mia liberazione, di voler diventare un licantropo come me.

E come se non fosse bastato tutto questo a rendermi acida come uno yogurt andato a male, dovevo tentare di risolvere tutti questi annosi problemi prima dell’inizio dell’università, prevista per ottobre.

La vita è bella.

“Sai di avere una faccia da spavento, sorellina?” celiò Gordon facendo il suo ingresso in salotto, dove me ne stavo seduta con il mio portatile posato sulle cosce.

Lo salutai con uno sbuffo e un’occhiataccia – la sua richiesta mi aveva talmente sconvolto che, tutte le volte che lo vedevo, avevo un tuffo al cuore – e lui, sedendosi accanto a me e sbirciando in direzione dello schermo, sollevò divertito un sopracciglio. “Uhm, ti stai erudendo sul mito di Cu Chulainn?”

“Sei tu l’esperto di ‘sta roba, non io” brontolai, chiudendo il portatile per dedicarmi completamente a lui. “Ho anche chiesto a Elspeth di mandarmi qualcosa tramite mail e, da quel che ho visto nella casella di posta, avrò di che divertirmi, nei prossimi giorni. Sembra che mi abbia mandato la Bibbia dei Mostri. Sono più di ottocento pagine!”

Gordon fischiò divertito e, dandomi una pacca sulla spalla, decretò con falsa commiserazione: “Auguri, ragazza; non ti invidio.”

“Come sei comprensivo” ironizzai acida.

Ridacchiando, il mio fratellino intrecciò le mani dietro la nuca e mi prese bonariamente in giro. “Se continui così, potrei decidere di usarti per scrostare i rubinetti.”

“Ah ah. Davvero divertente” sbottai, prima passarmi nervosamente le mani tra i capelli rilasciati sulle spalle. “Scusa, Gordon, ma questa faccenda mi sta snervando. Non fosse che dobbiamo muoverci come se dovessimo camminare sulle uova, avrei già preso un aereo per Belfast senza neppure lasciar dire ‘bah’  a Duncan.”

“Cose da lupi” ciangottò Gordon, gioviale.

Lo fissai malissimo – si divertiva un mondo quando le regole dei lupi mi complicavano la vita – e brontolai: “Perché hai quel sorriso idiota stampato sulla faccia? Cosa c’è di tanto divertente? Non puoi essere solo sadicamente soddisfatto per il mio malumore. E poi, se proprio vogliamo essere precisi, di queste cose dovrai occuparti anche tu, casomai io decidessi di accontentarti!”

Il suo buonumore scemò di colpo tramutandosi in ansia ed io, calmandomi subito, sospirai pesantemente.

A volte, me le andavo proprio a cercare. “Ti ho chiesto un po’ di tempo, Gordon. Concedimelo senza farmi apparire una strega cattiva. Non ho davvero né il tempo né la maniera di pensare a ciò che mi hai chiesto.”

“Potrei chiedere a…” tentennò lui, prima di venire bloccato da un gesto della mia mano.

“Non puoi chiedere a nessuno del branco. Ho detto a tutti di non mutarti prima di una decisione mia e di Duncan in merito” replicai lesta, guadagnandomi per diretta conseguenza un’occhiata gelida da parte sua.

“Non hai il potere di dirmi ciò che devo fare della mia vita!” protestò vibratamente, alterandosi e stringendo i pugni.

“Tutto bene, lì?” mi chiese all’improvviso Duncan, entrando nella mia mente come un fruscio di brezza.

“Tutto regolare. Stiamo discutendo come al solito, niente di nuovo” replicai serafica, continuando a fissare gelida mio fratello.

“Ho sentito tuo fratello perdere le staffe fin qui dalla clinica. Deve essere davvero frustrato, stavolta, per alzare così tanto la voce” mi spiegò Duncan, mettendo comprensione nel suo tono di voce.

“Gli ho detto della mia decisione di vietargli la mutazione fino a nuovo ordine e, a quanto pare, non l’ha presa bene” lo aggiornai stancamente.

“E’ maturato molto in questo anno passato qui da noi, perciò si sente in dovere di prendere decisioni indipendenti dalle tue, o da quelle di Mary Beth. Cerca di capirlo.”

“Mai detto di non volerlo capire. Ma deve attenersi a ciò che dico visto che, se muterà, io sarò anche la sua Prima Lupa, oltre a essere sua sorella.”

“Vero. Lo lascio nelle tue sagge mani, allora.”

“Fifone” brontolai, prima di dedicarmi a Gordon.

“Ho il potere di dirtelo, invece, visto che hai deciso di voler diventare un mio lupo” precisai a quel punto, assottigliando gli occhi fino a renderli due esili fessure d’oro brunito.

Imitandomi, Gordon continuò a fissarmi malamente prima di esclamare: “Non è giusto che, per una cosa del genere, io debba essere condizionato dalla tua decisione!”

“La mia mutazione è avvenuta per un caso fortuito, Gordon. Diversamente, chi sceglie di mutare viene messo davanti a tutti i pro e i contro dell’essere licantropo. Tu, questo passaggio l’hai voluto saltare a piè pari rivolgendoti direttamente a me perché sono tua sorella, sperando così di passarla liscia. Ma così non è. Ne parlerai in primis con Duncan, e solo dopo con me. Non ammetto repliche di sorta. Lui è Fenrir, e io la sua Prima Lupa. Lui è primo in gerarchia, non io. Se invece ti vorrai rivolgere alla wicca del branco, vieni pure da me quando avrai le idee veramente chiare, ma anche in questo caso, dopo parlerai con Duncan. In un modo o nell’altro, ci affronterai entrambi” gli rammentai con voce abbastanza dura da apparire quasi metallica anche alle mie orecchie.

Imprecando tra i denti, lui si levò in piedi e, muovendo nervosamente le braccia come per sfogare l’energia repressa che sfrigolava dentro di lui, inveì contro di me sibilando a denti stretti: “Lo fai solo perché ti sei sempre divertita a comandarmi a bacchetta, fin da piccola!”

Lo imitai, alzandomi con la grazia ferina propria dei licantropi e, sfidandolo con lo sguardo nonostante fossi ben più bassa di lui, mormorai gelida: “Non osare accusarmi di una cosa simile, Gordon. E presta orecchio, perché ti si imprima bene nella mente. Dovrai sottostare a molti ordini e obblighi, all’interno del branco, poiché io sono la Signora di questo clan e ne sono anche la guida spirituale. Non ci saranno più silenzi di fronte alle tue intemperanze, una volta divenuto lupo, come invece avviene ora. Ti sarà richiesta obbedienza e devozione e, più di tutto, ti sarà chiesto di accettare ogni regola del branco, anche quelle che tu ritieni più assurde o inutili. Sarai l’ultimo tra i lupi finché non risalirai la gerarchia all’interno del branco mediante sfide al primo sangue, quindi dovrai adattarti a subire, i primi mesi, quando ti verranno chiesti i compiti più umili. Sei in grado di accettarlo?”

Di fronte a quella mia arringa si azzittì, lo sguardo ora percorso da un’ira profonda, mescolata all’indecisione e alla paura, paura che io avevo contribuito a far affiorare.

Mi spiaceva tremendamente essere così dura con lui, specialmente pensando a quanto era stato in ansia per me durante il mio rapimento, ma non potevo comportarmi diversamente.

Non se volevo che comprendesse appieno cosa volesse dire essere un licantropo.

Non c’erano solo la forza, la velocità, l’eleganza e la scaltrezza nei movimenti. C’erano anche obblighi e doveri molto più pressanti di quelli che si potevano avere nella comune vita degli esseri umani.

Le leggi di un branco di licantropi somigliavano per molti versi a quelle vigenti in un vero branco di lupi, e questo era difficile da accettare per chi non vi era nato e cresciuto.

Persino dopo esserne divenuta la guida, faticavo a comprendere, ed accettare, determinate regole.

Insistere perché capisse era mio dovere.

Doveva comprendere ogni fardello e ogni onore di questa nuova vita prima di chiedere di diventare un licantropo, perché non ci sarebbe stata una scappatoia una volta che il mio sangue e il suo si fossero mescolati assieme.

Sembrò volermi dire qualcosa di veramente brutto, almeno a giudicare dal suo sguardo livido ma, come una candela spenta da un colpo di vento, si chetò nel giro di pochi attimi e tornò a sedersi.

Le uniche tracce di tutta la sua frustrazione furono il profondo e lungo sospiro che emise, e le palpebre tremanti calate sui chiari occhi cristallini.

Le spalle reclinate in avanti e gli avambracci posati sulle cosce, Gordon mi promise: “Vedrò di calmarmi e di parlarne con Duncan, okay?”

“Bene” annuii, liberandomi a mia volta in un sospiro.

Non mi ero accorta di aver trattenuto il respiro, né di essermi irrigidita al punto di avere le braccia informicolate per la tensione.

Cristo! Dovevo darmi una calmata, o le mie coronarie sarebbero esplose come una pentola a pressione con la valvola otturata.

Inginocchiandomi dinanzi a lui dopo aver preso un bel respiro liberatorio, poggiai le mani sulle sue, gli sorrisi e chiesi: “Eri venuto solo per intavolare una lite con me, oppure c’era dell’altro?”

“Non arrivo a tanto neppure io” mi ritorse contro lui, sollevando le palpebre per scoccarmi un’occhiata in tralice. Non era ancora calmo, ma ci si avvicinava molto. “Volevo solo dirti che Mary B non ha dormito a casa, ieri notte.”

Immaginai senza tanti problemi come la mia faccia apparisse allibita ai suoi occhi, perciò non me la presi quando Gordon cominciò a ridacchiare, cancellando di fatto la sua aria ombrosa per sostituirla con il suo consueto sorrisino ironico.

Oh, bella! Questa sì che era una notizia!

Sbattendo più volte le palpebre, come per essere certa di non stare dormendo davanti al computer, riuscii in qualche modo a dire: “E dove… cioè, posso immaginarlo, però…”

Gordon venne in mio soccorso e mi confessò: “Sono usciti a cena e poi, da quel che so, sono andati a vedere un film. Ma, da quel che le mie orecchie hanno captato, o non captato in questo caso, la nostra Mary B non è rientrata a dormire ed è sgattaiolata in casa poco prima delle sei del mattino, giusto per cambiarsi d’abito e andare al lavoro.”

Storsi il naso, indecisa se essere irritata per la spiata di Gordon o felice per la ritrovata serenità di Mary B ma, alla fine, la gioia ebbe il sopravvento e, sorridendo, dichiarai: “Sono davvero contenta per lei. Sono convinta che Lance le restituirà la serenità che aveva perduto con il tradimento di Patrick.”

Gordon tornò serio a quell’accenno, e mormorò irritato: “E’ stato tremendo, i primi mesi, vederla piangere di nascosto quando pensava che non la guardassi, e sentirla lamentarsi con Sarah per la sua stupidità. Ho visto piangere Erika più di una volta, dopo aver sentito Mary B parlare di ciò che le aveva fatto Patrick nel corso degli anni, di come avesse ucciso un po’ per volta l’amore che provava per lui.”

Sospirai, scuotendo il capo con rassegnazione.

Niente avrebbe cancellato quell’amore divorato dalle bugie e dalla freddezza perpetrate da Patrick negli anni, ma Lance poteva essere la speranza di un nuovo avvenire, per lei. “Mary B è buona e generosa e, di certo, le menzogne di Patrick non l’hanno aiutata. Ma è anche una donna forte, e ha saputo rialzare la testa e farsi coraggio. Inoltre, Lance è un uomo comprensivo e gentile, e saprà farla felice.”

“Anche perché, se non lo fa, Hati o non Hati, io lo ammazzo. Non permetterò più a nessuno di farla soffrire” poi, guardandomi con un mesto sorriso, aggiunse: “E’ l’unica mamma che abbiamo.”

Gli scompigliai i capelli – se lo avessi abbracciato, saremmo scoppiati a piangere come bambini o, paradossalmente, ci saremmo accapigliati – e annuii. “Lo so. Ma vedrai che Lance è il tipo giusto per lei.”

“Spero solo che non le faccia male… insomma, sai…” a quel punto arrossì ed io, ridacchiando, gli tappai la bocca con la mano per evitare che proseguisse.

“Saranno affari loro, fratellino” gli rammentai, prima di avvertire il potere morbido e avvolgente di Jerome raggiungermi come una carezza di velluto.

Un attimo dopo, la porta di casa si aprì e, in neppure un paio di secondi, entrambi scrutammo Jerome entrare con una borsa enorme in mano e un sorriso stampato sul volto affascinante.

“Ehi, ciao, quasi cognato. Come te la passi?” esordì Jerome, facendo arrossire ancora di più Gordon.

Era un asso nel mettere a disagio la gente quando voleva fare il pestifero ma, in quel caso, lo ringraziai mentalmente. Il suo intervento aveva cancellato del tutto la possibilità di tornare sull’argomento mutazione. Per un po’, ero salva.

Mi alzai, dando una pacca sulla spalla a Gordon mentre lui grugniva un saluto e, con aria pacifica, chiesi al mio Sköll: “Ti hanno messo a fare il fattorino? Cosa c’è lì dentro a parte, a quanto pare, il pranzo di oggi?”

Jerome ridacchiò, posando la borsa sul tavolino del salotto e, sedendosi sul bracciolo di una poltrona, mi confidò: “Mamma è convinta che non ti nutri a sufficienza, così ti ha mandato una scorta di cibo degna di un esercito, mentre Erika ha infilato in borsa alcuni CD che ha fatto lei. Dice che è tutta musica che ti aiuterà a rilassarti.”

Rimuginando sui suoi gruppi preferiti – Metallica, Linkin Park e Nirvana – tremai al pensiero di cosa potessero contenere quei CD ma, non volendo apparire pignola, sorrisi e feci buon viso a cattivo gioco. “Ringraziala da parte mia.”

“Porterò il messaggio” annuì Jerome, prima di chiedermi: “Ancora nessuna novità dai nostri fratelli d’Irlanda?”

“No, ancora nulla” esalai con tono petulante, lanciando un’occhiata raggelante all’incolpevole telefono. “Anzi, penso che comincerò subito a dare fondo alla scorta di cibo di tua madre. Ho i nervi a fior di pelle.”

“Povero papino” ridacchiò Jerome, ghignando al mio indirizzo.

Da quando aveva scoperto che dentro di me risiedeva l’anima di Fenrir, mentre lui aveva ereditato quella del figlio Sköll, non era più stato possibile fermarlo.

Ogni volta che gliene capitava l’occasione, mi chiamava pomposamente ‘papino’ mentre, con Duncan, si esibiva in mielosi quanto irritanti ‘mammina cara’.

Non ero sicura che io o Duncan l’avremmo sopportato ancora per molto ma conoscevamo Jerome perciò, se avessimo continuato a fare finta di niente, prima o poi – forse tra mille anni – avrebbe smesso di stressarci.

In ogni caso, potevo sopportare le sue battute, specialmente quando mi servivano come via di fuga da argomenti che, in quel momento, non avevo nessunissima voglia di affrontare.

***

La riunione svoltasi durante il plenilunio d’agosto non aveva portato con sé solo buoni frutti, ma anche ulteriori attriti.

Pochi giorni prima di quella riunione straordinaria, Duncan si era messo nuovamente in contatto con Erin, esponendole i motivi della nostra fretta e chiedendole di parlare in nostro favore al Consiglio dei Clan Irlandesi.

Lei si era limitata a prendere nota senza promettere nulla dichiarando che, entro la fine di agosto, avrebbe saputo darci una risposta.

Avevo sperato fin dal nostro primo contatto che non intendessero aspettare la luna piena come noi, prima di affrontare il problema.

Io mi ero vista praticamente costretta ad attendere più di due settimane dal mio ritorno dalle Svalbard, prima di incontrare tutti.

Non avrei mai potuto affrontare degnamente tutti gli alfa invitati al nostro Vigrond, conciata com’ero, ed era vitale che mi vedessero ancora forte e presente, o sarebbe stato il caos.

Gli irlandesi, invece, non avevano avuto nessun motivo per tardare così tanto, eppure ancora nessuna nuova era giunta dalla terra del trifoglio, e noi ci eravamo dovuti presentare al Vigrond senza una risposta.

I nostri confratelli irlandesi ancora non hanno risposto?

La voce della quercia sacra irruppe nei miei pensieri, distogliendomi dall’apatia in cui ero caduta subito dopo aver messo piede nel Vigrond.

In quel luogo potevo ancora percepire i residui energetici delle auree degli alfa che, solo pochi giorni prima, si erano trovati lì per discutere su come agire per il meglio ed evitare una carneficina.

“Erin non si è ancora fatta sentire” ammisi, sedendomi a terra e poggiando la schiena contro il tronco ruvido della pianta.

La brezza si levò lieve come una fresca e delicata carezza sulla pelle, portando con sé i profumi dei fiori boschivi, delle creature viventi che dimoravano in quei meandri sicuri e dell’azione incessante di morte e rigenerazione che il sottosuolo compiva ad ogni mio battito cardiaco.

Chiusi gli occhi, ascoltando e percependo ogni movimento, ogni respiro, ogni fruscio, ogni schiocco, facendo miei il canto dell’allodola, lo stormire delle piante, il picchiettare delle formiche sulle foglie, il veloce risalire della linfa lungo i tronchi degli alberi.

Sebastian si è mostrato caparbio come al solito.

Il commento della quercia mi fece sorridere. Era raro che esprimesse dei giudizi ma, con Sebastian, si era dichiarata fin da subito sconcertata dal suo agire.

Avevo ancora ben chiara in mente la sua accusa per nulla velata, e neppure venire a sapere della verità che le mie carni celavano lo aveva fatto desistere dal comportarsi in maniera assurda.

Per poter chiarire al meglio il problema ai vari capoclan, avevo dovuto spiegare chi fosse rinato in me e perché fosse così importante trovare i berserkir prima che ci attaccassero in massa.

La notizia che Fenrir, il primo Fenrir, era rinato nel mio corpo conferendomi i poteri che tanto, in passato, li avevano confusi e preoccupati, era stata accompagnata da un coro di ‘ah’ sorpresi e ammirati.

Ma, soprattutto, dal riottoso dissenso di Sebastian che, non appena terminata l’esposizione dei fatti, aveva subito cominciato ad attaccarmi verbalmente.

A quel punto, fermare la discussione tra capiclan era stato impossibile.

Cecily si era imbestialita al punto di rizzare il pelo sulla schiena e ringhiare prepotentemente contro Sebastian, mentre Pascal e Duncan l’avevano trattenuta dall’affondare le zanne nelle carni dell’altro Fenrir.

Alec aveva riso di fronte alla presa di posizione di Sebastian, dandogli dell’idiota e scatenando così le ire dell’Hati del capoclan dell’Isola di Man, che aveva per diretta conseguenza aggredito a male parole l’irrispettoso Fenrir di Bradford.

Bright, Fred e Joshua erano rimasti ai margini delle due discussioni, cercando nel contempo di capire quali fossero le intenzioni di Eric, Gilbert e Bryan, basiti di fronte alla confusione che si era venuta a creare nel Vigrond.

Io e Kate Alexander - la wicca di Aberdeen - infine, ci eravamo accomodate ai piedi della quercia finché essa, stanca di tutte le male parole scagliate al vento, non aveva scaricato sul Vigrond una ventata di energia così potente da stordire i sensi di tutti i lupi presenti.

Questo aveva zittito ogni licantropo, permettendomi così di chiedere a ciascuno dei Fenrir presenti cosa avesse intenzione di fare in merito a ciò che avevo loro esposto.

Quasi tutti avevano dichiarato di essere dalla mia parte, e Cecily e Joshua avevano messo a disposizione parte delle loro sentinelle per rinforzare i nostri confini nell’eventualità di un attacco fortuito da parte dei berserkir.

L’unico ad allontanarsi stizzito e offeso dal Vigrond era stato Sebastian che, con parole di fiele e sguardo adamantino, mi aveva accusato di portare solo sventura.

Detto ciò, se n’era andato con l’orgoglio offeso e la promessa di non rivolgere più la parola a Duncan che, con un mezzo sorriso e un sopracciglio levato con ironia, mi aveva detto: “Perché, pensa che la cosa possa spiacermi?”

Io avevo riso e, con me, molti altri lupi. Cecily se n’era uscita con una battutaccia e Joshua, nel passarsi  una mano tra i cortissimi capelli – ora di un bel color rosso ciliegia – aveva asserito che Sebastian si sarebbe fatto venire un ictus, con tutte quelle incazzature.

Ma la faccenda rimaneva.

Sebastian ci aveva voltato le spalle e, pur essendo il capoclan di un piccolo branco, poteva fare più danni di un’inondazione su un terreno arido, con i suoi modi di fare così maleducati.

Riaprendo gli occhi, scrutai in lontananza le mie guardie del corpo – immerse nel bosco e ad una distanza che, a loro modo di vedere, era sufficiente per darmi una parvenza di privacy – e, sorridendo appena, celiai: “Forse, se avessi lasciato che i miei lupi ammazzassero Sebastian, ora starebbero più tranquilli.”

Pensi che il pericolo possa giungere anche da lui?

“Siamo lupi, in parte, e il predominio sugli altri fa parte della nostra natura animale…” ammisi, scrollando le spalle. “…per cui non mi stupirei di veder comparire i suoi lupacchiotti al confine con il nostro territorio. Ma no, non penso che lo farebbe. Can che abbaia non morde, no? Lui sa solo fare lo strafottente, ma non ha il coraggio di attaccare la coalizione che si è venuta a formare tra noi tutti. Inoltre, non vuole inimicarsi Joshua, che è apertamente nostro amico, per cui farà l’ombroso e poco altro. E’ stato l’unico ad andarsene senza accettare il patto di mutuo soccorso e, se non vuole rogne da parte degli altri, farà come la Svizzera; rimarrà neutrale.”

Quindi, eliminare Sebastian a cosa sarebbe servito?

Sogghignando, dissi semplicemente: “A farli divertire. Dopotutto, un po’ di svago serve a tutti.”

La quercia, ovviamente, non mi rispose. Non era famosa per il suo umorismo.

Alzatami in piedi prima di spazzolarmi i pantaloni da foglie e terriccio, dissi alla quercia con rinnovata serietà: “Quando Erin si deciderà a chiamare, desidero tu faccia una cosa per me.”

Se è in mio potere, ne sarò lieta, Signora dei Lupi.

Sorridendo appena nell’udire quel titolo – di cui mi aveva omaggiata da quando ero tornata dal mio rapimento – le esposi la mia richiesta. “Desidero che tu avvolga il Vigrond di energia. La mia gente dovrà avere un luogo sicuro dove rifugiarsi, qualora i berserkir decidessero di attaccare e le sentinelle non bastassero a proteggerli. Se tu innalzerai uno scudo di puro potere, neppure loro potranno entrare. Sono legati alla Madre non meno di noi, e non potranno spezzare la tua barriera. Se avessi pensato prima a fartela erigere, nulla di tutto ciò sarebbe successo, ma a che pro rivangare il passato? Ora posso solo chiedere il tuo appoggio, se vorrai darmelo.”

Sarò onorata di proteggere la tua gente in vece della coppia reale. Consideralo già fatto.

“Grazie” le sussurrai, avvolgendo per quanto mi fu possibile il tronco della quercia. “Ti voglio bene, sai?”

Mi onori.

Mi limitai a sorridere, prima di rizzare le orecchie non appena udii distintamente la suoneria del mio cellulare.

Afferrandolo in fretta, lo aprii e dissi telegrafica: “Ebbene?”

“Erin ha chiamato” mormorò Duncan, serio non meno di me.

“Quindi?”

“Si parte.”

 

 

 

 

 

 

__________________________

1 Libera Irlanda: Ho  preferito usare questo termine perché identifica l’Irlanda tutta, e non fa distinzioni tra Eire e Irlanda del Nord. Tra licantropi, queste distinzioni territoriali non esistono.

N.d.A.: E da qui parte la terza parte della storia di Brie e Duncan! Di certo, almeno per il momento, non hanno una vita tranquilla.
  
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