Ambientazione:
2°
stagione. Episodio 10.
La
seguente OneShot
partecipa ad un Contest non competitivo, “Forever”,
sul forum ufficiale della
fiction “Terapia d’urgenza”.
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- Io le
credo.
I suoi
genitori la
guardarono come se fosse matta. Emma aveva appena ascoltato
ciò che Regina
aveva da dire riguardo alla morte di Archie, della quale era
sospettata; ed era
sicura che ciò che lei sosteneva fosse la verità.
(...farò finta di essermelo
dimenticato...)
Ne era
convinta. Al cento
per cento. Non solo perché aveva guardato in fondo ai suoi
occhi e non aveva
visto menzogne. Ma anche perché Emma poteva benissimo
fornirle un alibi.
(farò finta di essermelo dimenticato...
fino alla
prossima volta)
E Regina,
a sua volta,
sapeva che la Salvatrice le credeva.
Non
avrebbe mai potuto
non crederle. Non dopo quello che era accaduto...
La sera prima...
Regina aveva sorpreso
persino se stessa.
Non solo
perché aveva
accettato l’invito di Emma ed era andata alla festa, ma anche
perché l’aveva
ringraziata.
Due volte.
Aveva
detto ‘grazie’
proprio ad Emma, alla Salvatrice, alla persona che aveva detestato con
tutte le
sue forze. Aveva detto ‘grazie’ e si era scusata
per averla aggredita in quel
modo.
E quando
quelle parole
erano uscite dalla sua bocca, si era sentita invadere da uno strano,
inspiegabile calore.
Sorrise,
mentre camminava
lentamente verso casa.
- Regina!
Si
voltò, trovandosi al
cospetto di Emma. Di nuovo.
-
Sì? - Regina aggrottò
la fronte.
- Posso
accompagnarti?
- Come?
- A casa,
intendo.
- Per
quale motivo?
Già, per quale motivo?, si chiese Emma, costernata. E non avrebbe saputo
dire nemmeno per quale motivo stesse correndo per raggiungerla. Non era
mica
così lontana. Avrebbe potuto chiamarla per nome e poi
avvicinarsi con calma.
Molta calma.
Quando,
dopo aver
salutato Regina, si era girata, le mani affondate nelle tasche, per
rientrare e
tornare dagli altri, si era ritrovata a pensare a quella breve
conversazione. E
a battagliare con se stessa.
Beh?, aveva
iniziato la sua testa.
Beh, cosa?
Dove credi di andare?
Torno dentro. C’è una festa.
Neanche per idea. Seguila. Vai con lei.
Cosa? No!
Sì. Tanto tu vuoi andare con lei. Allora
vai. Non
comportarti da idiota.
No, io non voglio andare con lei.
Swan, anche Regina vuole che
l’accompagni.
Davvero?
È tanto semplice, Swan.
Gli occhi
di Regina. Quel
sorriso. L’ombra di sorriso che le aveva rivolto,
andandosene.
Forse
Regina desiderava
sul serio essere fermata, essere accompagnata.
Un passo.
Due, tre,
quattro.
No, alt.
Dietrofront.
- Posso
accompagnarti? -
ripeté, adesso, rivolgendo un sorriso alla donna che la
guardava, ammutolita.
Regina
spostò lo sguardo
altrove. - D’accordo.
Oh, era
incredibile, lo
sguardo di Regina. La sera aveva reso i suoi occhi più scuri
di quanto non
fossero. Ed erano occhi profondi. Erano laghi
d’oscurità.
Come
marchi a fuoco sulla
pelle. Risucchianti.
Camminavano,
vicine, in
silenzio, ma senza toccarsi.
Regina
avrebbe tanto
voluto dire qualcosa per riempire quel silenzio, ma i suoi sforzi
furono vanificati
dalla purezza cristallina degli occhi di Emma.
Cos’erano?
Verdi?
Azzurri?
Ma perché dovrebbe importarmi qualcosa
dei suoi
occhi?
Ma le
importava, invece.
In quel momento, era importante.
Verdazzurri.
Sì.
Erano un miscuglio di
verde e azzurro.
Niente a
che vedere con i
suoi. Scuri. Eppure erano specchi, gli occhi di Emma. Per questo li
evitava.
Erano specchi e se guardava in quegli specchi vedeva se stessa. E
più vedeva se
stessa, più voleva fuggire. E più ne aveva paura,
più l’idea di affondare nel
suo sguardo di cristallo l’attirava.
Ecco
perché l’aveva
odiata. Anche per quei suoi occhi di cristallo. Occhi che le
restituivano
un’immagine che Regina non avrebbe mai voluto vedere, non
così chiaramente.
Ed ora la
sua casa.
La sua
enorme casa vuota.
Bianca. Numero 108.
Non
avevano detto una
parola.
- Grazie.
- biascicò
Regina.
Oh, no. L’ho detto di nuovo.
- Un
altro grazie. Non
riesco ad abituarmi. - rispose Emma, le mani di nuovo nelle tasche.
Sorridendo.
- Nemmeno
io.
Pausa.
Ancora. Molto
lunga. Pochi passi che le separavano.
- Bene.
Sarà meglio che
lei... ritorni alla sua festa. - disse Regina, rialzando le barriere e
cercando
di aumentare la distanza fra loro, usando la solita forma di cortesia.
Iniziò a
voltarsi per aprire la porta, anche se l’idea di entrare in
casa la opprimeva.
Sì, sarà meglio
perché si staranno domandando dove
mi sono cacciata, pensò
Emma.
NO, DOVE VAI, SWAN?!
-
Regina...
- Che
cosa...? -
cominciò.
Ma non
ebbe il tempo di
finire la frase. Emma coprì la distanza venutasi a creare e
si prese ciò che
voleva. La sua bocca.
Emma
appoggiò le labbra
contro le sue, le dischiuse appena e rimase così, ferma,
respirando.
Semplicemente respirando il suo fiato, che sentiva, tiepido, sulla
lingua.
Aspettando. Aspettando che Regina la respingesse, che
l’allontanasse da sé, che
la prendesse a pugni per aver osato fare una cosa simile. Aspettando
una
reazione qualsiasi.
Ti prego, respingimi, perché questa
è una follia.
È una cazzata. Non potrei, non dovrei nemmeno essere qua.
...Ti prego, non respingermi. Fammi restare
così.
Oppure lasciami entrare.
Sentì
Regina muovere la
bocca. Sulla sua. Prendere il suo labbro superiore, succhiarlo
brevemente. Una
cosa che le spedì un brivido lungo la schiena, mentre una
fitta di piacere le
contorceva il basso ventre.
Emma
reagì, baciandola a
sua volta. Afferrò tra le labbra il labbro inferiore di
Regina, lo morse
leggermente, lo succhiò proprio come aveva fatto lei un
attimo prima.
Sentendola gemere, ripeté il gesto. Lo succhiò di
nuovo, più forte, più a
lungo. Vi passò la punta della lingua, che poi
andò a seguire quel segno,
quella piccola cicatrice che Regina aveva sul labbro superiore.
- Ah...
Cosa stai
facendo? - chiese ad Emma, ancora sconvolta, sbarrando gli occhi,
respirando
affannosamente.
- Ti sto
baciando.
- Questo
lo vedo...
- Era da
un po’ che
volevo farlo... - Anche il respiro di Emma era un affanno.
- Cosa?
Baciarmi?
-
Succhiarti le labbra.
- Non hai
un minimo di
decenza.
-
E’ colpa tua.
- Oh...
sì?
- Posso
farlo di nuovo?
- No.
Emma la
baciò ancora.
Brevemente. Poi i denti mordicchiarono le labbra. Tutte e due.
Succhiò un’altra
volta. Con vigore. Forse le fece male, ma quell’attimo di
dolore si confuse con
il piacere.
Regina
era stordita. Inebriata.
Furiosa perché Emma l’aveva baciata anche se le
aveva detto di non farlo. Presa
dalla frenesia, le offrì la lingua, spinse la sua bocca ad
aprirsi per lei, vi
affondò dentro, accompagnando l’atto con un gemito
soffocato. In un attimo, la
lingua di Emma si intrecciò alla sua, la seguì. A
lungo.
Staccandosi,
Emma le
strappò un rantolo di protesta.
Regina si
rese conto che
erano fuori, all’aperto e anche se non c’era
nessuno in giro, non aveva la
minima intenzione di restare davanti alla porta di casa a baciare lo
sceriffo
di Storybrooke, nonché figlia di Biancaneve e di
quell’idiota del Principe
Azzurro.
La
trascinò in casa.
Nel
toglierle i vestiti,
non aveva usato alcuna delicatezza.
Ma ora
che erano sotto le
lenzuola, con i corpi che si lambivano, Emma sentiva il bisogno di
dirle qualcosa.
- Sei
dannatamente bella.
Regina
spalancò gli
occhi, incredula. Non ricordava più quand’era
stata l’ultima volta che qualcuno
si era rivolto a lei con quel tono.
Così
intenso.
Non
rispose, ma colmò lo
spazio che le separava e toccò il corpo di Emma con il suo.
Chiuse subito gli
occhi, aggrappandosi alle sue spalle con un braccio, e premette il
volto
nell’incavo del suo collo. Iniziò a baciarglielo,
a morderlo leggermente. La sua
bocca tracciò una scia rovente fino alla clavicola, poi
giù lungo il braccio,
fino all’incavo del gomito. Poi risalì e
baciò la gola, il punto in cui essa si
congiungeva col petto. Soddisfatta di sentirla gemere.
-
Regina... - mormorò
Emma.
- Ssh.
Questo è quello
che ho sempre voluto fare io.
- Avermi
nel tuo letto?
- Vederti
soccombere.
- Oh...
Soccombere?
Davvero?
-
Sì...
- Stai
soccombendo anche
tu, Regina.
-
Silenzio.
Emma fece
silenzio, ma le
mise una mano in mezzo alle gambe, una carezza improvvisa, decisa e
pressante.
Regina si inarcò, incapace di controllare il grido strozzato
che fuoriuscì
dalla sua bocca. Emma catturò le sue labbra, mentre con le
dita si prendeva
cura della sua intimità; la baciò per qualche
istante e poi sorrise, spostando
la mano sul suo fianco.
Regina ne
voleva ancora.
Voleva tutto. Doveva essere tutto suo.
Si
avvicinò di nuovo a
lei, affondò il viso nei capelli biondi, inspirò
per assorbirne il profumo.
- Emma...
- La bocca tra
collo e spalla, ancora sulla clavicola, una mano tra le scapole. -
Emma...
- Ti
piace il mio nome,
allora.
- E il
tuo profumo.
- Ti
piace il mio profumo?
-
Sì. Non so che profumo
sia, ma mi piace. Credo che tu debba usarlo più spesso.
- Oh,
grazie del
consiglio, Maestà.
-
E’ un piacere.
- No... -
Emma fece
scivolare una mano sulla schiena di Regina, fino all’osso
sacro, attirandosela
di più addosso. Respirando a fatica. E con il cuore che
accelerava brutalmente
nel petto. - Ecco cosa intendo io per ‘piacere’.
Si
strusciò contro di lei,
mosse i fianchi contro il suo bacino, tenendola ferma, incuneando il
viso nel
suo collo. Regina pensò che sarebbe diventata pazza se Emma
non avesse saziato
la sua voglia adesso, immediatamente.
Ma Emma
continuò a
torturarla. Continuò a strusciarsi ancora per un
po’, poi si sistemò sopra di
lei, facendo in modo che i corpi aderissero bene. La baciò,
con passione, con
una determinazione che la lasciò quasi senza fiato e infine
si sollevò,
mettendosi a cavalcioni, quelle onde bionde che le ricadevano sul viso,
scompostamente.
Regina
l’ammirò in tutta
la sua interezza. Le posò una mano sul ventre e
risalì, arrivando in mezzo ai
seni, in una carezza che Emma trovò bruciante. Le mani di
Regina si chiusero
sui seni, strinsero, sentì i capezzoli duri sotto i palmi.
Si sollevò a sua
volta e la prese tra le braccia, appoggiando il volto sul suo petto,
chiudendo
gli occhi, ignorando una vocina interiore che le diceva che doveva
fermarsi,
che doveva farlo ora, prima che fosse troppo tardi.
Non
poteva più fermarsi.
Era troppo oltre.
Emma le
infilò le dita
nei capelli, tenendola stretta.
Fu il
dopo a spaventarla.
Erano
anni che Regina non
provava un piacere così intenso. Erano anni che non provava
un’attrazione così
forte per qualcuno.
Dio, i
suoi occhi, la
bocca sulla sua, la lingua affondata dentro di lei, il suo corpo
premuto tra
lei e il materasso, le gambe di Emma che si muovevano tra le sue,
attorcigliandosi, le sue mani ovunque... un vuoto improvviso che si
spalancava
nello stomaco e qualcosa di ardente che scavava i lombi.
Ma
adesso, vedendo Emma
che si rivestiva, un indumento dopo l’altro, ebbe paura: ebbe
paura che lei
volesse andarsene e lasciarla da sola in quella casa. Di nuovo. Ed ebbe
paura
che lei volesse restare.
Non
poteva restare.
Doveva mandarla via.
E non
voleva rimanere
sola. Sola come sempre.
- Emma.
- Mh?
- Stai...
andando via?
- Devo
tornare a casa. Si
staranno chiedendo che fine ho fatto.
Già.
Giusto. La festa.
- Emma.
- Non ti
ho mai sentita
pronunciare il mio nome così tante volte in una sola sera. -
La vide sorridere.
Si voltò.
Regina
era tesa. La sua
espressione tradiva la sua ansia. - Devi promettermi una cosa.
- Che
cosa?
- Che te
lo
dimenticherai.
L’aveva
detto. E aveva
sentito il suo cuore stringersi in una terribile, gelida morsa.
- No -
rispose Emma.
- Cosa?
- No.
Dimenticarlo no.
Posso prometterti... che farò finta di essermelo dimenticato
quando saremo in
pubblico. Farò finta di essermelo dimenticato... fino alla
prossima volta.
- La...
prossima volta?
- La
prossima volta.
Si
alzò dal letto, la
Salvatrice. Si ravviò i capelli, passandoci le dita.
Regina
rimase in
silenzio, a pensare per qualche momento, il volto abbassato, gli occhi
scuriti
dalle ciglia e da una ciocca di capelli.
Emma la
trovò...
naturalmente bella.
- Tu mi
appartieni. - le
disse Regina.
- Prego?
- Tu sei
mia, Emma. Mi
appartieni, ormai.
Sì,
anche se non poteva
sperare in un lieto fine (non lei, non dopo tutto quello che aveva
fatto),
soprattutto con una come Emma Swan, almeno considerava un dato di fatto
che lei
le appartenesse. Dopo quello che era successo in quel letto, Emma le
apparteneva. E non avrebbe concesso a nessuno di toccare qualcosa di
suo.
-
Appartenere? - Sorrise,
di nuovo. Sembrava si prendesse gioco di lei.
-
Sì.
Tornò
seria. I suoi occhi
verdazzurri scavarono in fondo ai suoi. - Fino a quando?
- Fino a
quando vorrò.
Emma
allungò una mano.
Regina la prese.
- Anche
tu, Regina.
- Cosa?
- Anche
tu. Mi
appartieni.
Regina
provò rabbia per
quella replica. Provò rabbia perché sentiva che
era vero. Poco prima le era
appartenuta totalmente.
- Fino a
quando? –
replicò Regina.
Emma si
protese ad
afferrarle il mento, per poterle succhiare il labbro superiore. Quello
con la
cicatrice. La dannata cicatrice terribilmente sexy.
Regina
mugolò di piacere.
- Per
sempre? – E
sembrava una domanda, quella di Emma. Ma lei sorrideva.
- Per
sempre.