Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: JeanGenie    14/02/2008    7 recensioni
"Lei attende. Vestita di nero. Attende di poter sollevare di nuovo quel sipario a lutto. Attende un volto in cui potersi specchiare."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chigusa Tsukikage
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vanità di vanità

 

“Se ora guardi allo specchio il tuo volto sereno
Non immagini certo quel che un giorno sarà della tua vanità”

(Angelo Branduardi)

 

Il suo mestiere non è altro che una metafora. Metafore per viverlo, metafore per parlarne ad altri.
E sono pochi quelli che comprendono, quelli che riescono a capire quanto la maschera possa essere fragile, con quanta cura volto e mani debbano maneggiarla perché non vada in frantumi.
La maschera è una sola. Ed è dolorosa da portare. Perché non si piega, non si piega per quanti sforzi si possano fare.
La maschera è menzogna. Deforma ciò che filtra oltre la sua superficie trasparente. E accetta di sottostare alla volontà di chi la indossa solo al prezzo più alto.
Per questo lei considera coloro che portano la maschera senza esserne annientati, coloro che l’hanno resa parte di loro stessi, degli eletti. Un circolo di iniziati. Una conventicola di burattini in carne ed ossa, capaci di creare l’illusione.
Qualcuno… molti la definiscono arte.
Quella parola non le piace. Egoismo, vanità sono i termini più adatti a chi si sottomette alla maschera.
Ego che implode. Ego che plasma una vita fittizia.
Vanità nel riuscire. Vanità che si nutre di quegli occhi. Occhi su di te. Solo su di te.
Guardatemi. Ascoltatemi. La mia voce è perfetta. I miei gesti vi catturano. Il mio volto è di vetro.
Sono bella? Rispondimi, sono bella?
E la maschera risponde. Sì, sei bella. Che tu sia una stracciona o una dea, una serva o una regina.
Vanità. Conoscerla. Viverla. Elisir sublime. Ne ha bevuto per anni. Era dolce. E non poteva farne a meno.
Guardatemi. Sono leggera come un petalo, non ho sostanza, chi altro potrebbe mai rendere il vetro simile all’aria? Io posso.
Ombra. Ombra di quell’elisir. C’è chi pensa che il nero significhi negazione. Nulla di più falso. Il nero è una tela immacolata. E lei attende. Vestita di nero. Attende di poter sollevare di nuovo quel sipario a lutto. Attende un volto in cui potersi specchiare.
E quel volto apparterrà ad una nuova vanità leggera come un petalo, priva di sostanza, in grado di rendere il vetro simile all’aria.
La maschera non le farà male, chiunque lei sia. Il vetro non ferirà la sua vanità. Niente dolore per lei e per il suo egoismo.
Ti attendo. Vieni da me. Brucia. È caldo. È rosso. Scivola via dalla mia faccia. È vetro. E ride di me.
Vanità? In pezzi. Tu che porti la maschera, tu che pensi di poterla dominare. La maschera non ti protegge più. La maschera pretende di riscuotere adesso. Cala il sipario su di te. Fa male? Brucia? Perdi i sensi e dimentica. Fa male? È scarlatto e ti marchierà per sempre.
Lei attende. E attende ancora. Di rado si sfiora il volto con le dita. Ma non dimentica e aspetta di potersi guardare di nuovo.
Nel viso dell’altra. Negli occhi dell’altra. Nella sua maschera. La maschera che un tempo le apparteneva.
Prendila. È tua. Esisto? Non lo so. Tu me lo dirai. Quando ti osserverò e vedrò me stessa. È l’unico modo. L’unico modo per esserne certa. Per avere la conferma di non essere un’ombra. L’immagine andata in frantumi trent’anni fa.
Lei attende. Attende che l’altra le regali il suo riflesso.
Nella casa di Chigusa Tsukikage non ci sono specchi.

   
 
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