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Autore: Delamy    06/08/2013    1 recensioni
"Ci sono tre uccellini su un ramo. Uno vola via. Quanti ne restano?"
Nessuna risposta.
"Matteo, quanti?" chiese Kellin cercando in tutti i modi di farsi capire.
Ancora nessun suono.
"Matteo, ci sono tre uccellini. Uno vola via. Quanti ne restano?"
"Pecchè vola via?"
"Matteo, ti ho chiesto quanti ne restano, non perchè uno vola via!"
Ma la verità è che lui sapeva.
Sapeva che il suo papà si sarebbe allontanato da loro.
E lo sapeva prima di babbo, Blaine. E prima di sua sorella, Alice.
Il suo papà stava per volare via.
Sarebbe mai ritornato per loro?
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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                                             ALICE- L’importante è mantenere i nervi saldi.
 
Quando mi hanno detto che saresti arrivato, mi è preso un colpo.
Non avevo nessuna voglia di un intruso per casa. Io, papà e babbo andavamo alla grande.
Ricordo che quando sei nato io sono entrata nella stanza e mi sono appoggiata alla porta.
E poi ti ho guardato. Stringevi così forte la mano di papà che credevi fosse tuo.
 Liberarmi di te non sarebbe stato facile.
Non ho detto una parola fin quando babbo si è voltato verso di me facendomi cenno di avvicinarmi.
Quando ero vicino a loro papà Kurt si è voltato a sua volta carezzandomi una spalla.
“Ali, questo è tuo fratello, Matteo. Sarai molto importante per lui.”
E mentre babbo scattava centinaia di fotografie, io continuavo a guardarti.
E credo sia iniziato tutto lì, con un “c’era un volta” come nelle migliori favole.
 
 
 
Tutti si ostinavano a ripetere che eri bellissimo. Ma papà aggiungeva sempre che eri anche bravo, perché facevi dormire tutti sette ore di fila e mangiavi regolarmente.
A me non sembrava una cosa così lodevole, io lo facevo da otto anni e nessuno si sprecava mai nel sottolineare la mia efficienza.
Vicini, parenti e vari amici facevano la processione fuori casa nostra per conoscerti.
Una sera papà ha persino invitato tutti i suoi colleghi e la sua famosa segretaria Greta.
Qualche mese dopo, qualcosa è cambiato.
Babbo era nervoso e piangeva spesso e papà sembrava smarrito.
D’un tratto nessuno è venuto a farti più visita e tutte le lodi sul tuo conto sono scomparse.
Tutti ti trattavano in modo strano e continuavano a chiedersi se saresti mai stato come gli altri.
Ma la cosa buffa è che a me sembravi sempre lo stesso, così un giorno mi sono avvicinata alla tua culla e ho iniziato ad ispezionarti.
Ho controllato le dita delle mani e dei piedi, poi mi sono accostata al tuo petto per confermare che respirassi bene e infine ti ho spogliato controllandoti ovunque. Poi ti ho fatto il solletico e tu mi guardavi e scoppiavi a ridere ogni due secondi.
Così sono corsa in cucina e ho detto: “Ho controllato benissimo, Matteo ha tutto al suo posto, ride se gli faccio il solletico ed è anche meglio del fratello del mio compagno di scuola che urla in continuazione. Quindi propongo di tenerlo così com’è!”
Gli occhi di babbo si sono riempiti d’acqua. Brillavano sotto la luce del sole. Si è avvicinato e mi ha abbracciata senza dire una sola parola, mentre papà mi spiegava che il problema era dentro le tue orecchie e  che io dovevo sempre starti accanto per proteggerti, ma che tu avresti comunque avuto una vita felice, e io gli ho creduto.
 
 
Quando sei cresciuto hai iniziato a fare la logopedia ogni pomeriggio.
Un giorno sono dovuta venire anch’io, perché babbo era al lavoro e nonna non poteva occuparsi di me.
Papà mi ha comprato un album di disegni da colorare, perché mi disse che la tua seduta sarebbe stata lunga.
Nella stanza in cui siamo entrati il silenzio era interrotto solo dalle domande che Kellin, la logopedista, ti ripeteva all’infinito.
“Matteo, allora. Guarda, ci sono tre uccellini su un ramo. Uno vola via. Quanti ne restano?”
Due, pensai io. Era semplice, ma tu non rispondevi.
“Matteo, allora. Ci sono tre uccellini su un ramo. Uno vola via. Quanti ne restano?”
Di nuovo nessuna risposta. Babbo ha iniziato ad irrigidirsi perché il tono di Kellin stava diventando più acuto, come se volesse sgridarti.
“Perché Matteo non risponde?” ho chiesto alzando la testa dal mio disegno, mentre tu, candido e con voce flebile hai detto: “Ma pecchè vola via?”
Kellin si è messa ad urlare. “Non ti ho chiesto perché vola, ma quanti ne restano, Matteo!”
Babbo ha trattenuto il respiro e con voce tremante ha detto: “Ma perché lo sgrida? Matteo sta ragionando!”
Ed è stato proprio lì, in quella piccola stanza che babbo si è inginocchiato davanti a me e asciugandosi le lacrime mi ha chiesto: “Alice, qualunque cosa accada tu lo terrai sempre per mano. Me lo prometti?”
Io ho annuito e gli ho accarezzato una guancia.
Ancora oggi, quando non riesco a starti lontana più di qualche giorno, spontaneamente ripeto che è tutta colpa degli uccellini e babbo se la ride di gusto.
 
Non è quello che accade a essere importante ma quello che sarai in grado di fare dopo e quanto questo ti sarà utile per diventare grande, perché ogni tua più solida sicurezza ha trovato sempre inizio da un dolore, una mancanza o un brutale errore.
 
C’è sola una cosa che voglio correggere di questa storia.
Sei tu ad essere stato molto importante per me.
 
 
 
 
                                                                            KURT
                                                               PRIMA REGOLA:
                                                           PROTEGGI IL TUO RE

 
 
Mettere in ordine, ecco cosa ci viene insegnato.
Prima i giocattoli, poi la nostra stanza, prima fuori, poi dentro.
Incolonniamo i numeri per far tornare i bilanci, siamo rigorosi nel sistemare la scrivania e maniacali nel posizionare i calzini secondo il colore.
Mettiamo a posto ricevute, contratti, la lavatrice, il motore se picchia in testa e le persone prepotenti.
Lo facciamo perché ne siamo capaci, è scritto nel nostro DNA ed è impossibile sottrarci.
Ma quando si tratta della nostra vita ecco che arriva il caos, perché mettere in ordine significa trovare una logica, fare una selezione, quindi perdere qualcosa. O qualcuno.


“Kurt, Alice è sparita!” La voce di Blaine ha rimbombato nella mia testa.
“Cosa?”
“Ha il cellulare staccato e non è andata a tennis.”
“Stai calmo, si sarà dimenticata del tennis, sai che non le piace e magari era stufa di andarci. Vedrai che stasera ci darà una spiegazione.”
“Cosa stai dicendo? Non ti avrei mica chiamato se fosse così semplice. Alice non c’è! Ed ho paura che le sia successo qualcosa.”
“Qualcosa le è successo”,  avrei voluto rispondere.
“Hai chiamato le sue amiche?” le ho chiesto, cercando di dargli l’attenzione giusta per non destare sospetti.
Se Alice era scappata senza dire nulla, avevo qualche possibilità di cavarmela: avrei potuto dirle che fosse stato solo uno stupido equivoco o una leggerezza.
“Certo che le ho chiamate. Nessuno ha sue notizie dall’una. Kurt, io chiamo la polizia.”
“La polizia? Dai, addirittura? Vedrai che non è nulla, avrà solo voglia di stare un po’ da sola.”
“Kurt, ha solo sedici anni! Come ragione? Può aver avuto un incidente o magari è stata rapita, come fai a stare calmo con tutto ciò che si sente nei telegiornali?”
“Arrivo subito a casa, okay? Tu cerca di stare calmo e pensa a tutti i posti in cui può essere andata. E se per quando arrivo non è ancora rientrata allora avvisiamo la polizia.”
“Va bene.”
Sapevo si sarebbe messo a piangere appena avesse riattaccato.
 
Andò così.
Io e Sebastian chiudemmo il portone della palazzina in cui aveva abitato per il tempo della nostra relazione.
Sebastian mise la testa fuori. “Via libera!” sussurrò con un pizzico di triste ironia, e io lo seguii.
D’un tratto si voltò di scatto e me lo ritrovai tra le braccia.
Le sue labbra arrivarono a pochi millimetri da me, insieme al suo profumo che così tante volte mi aveva avvolto come la cosa più naturale del mondo.
Lo strinsi tra le braccia e gli mangiai le labbra sottili e delicate.
Mi sentivo un adolescente spensierato, e per un secondo tutti i dubbi e le preoccupazione si dissolsero nell’aria.
“Papà!” Due sillabe mi trasformarono in un blocco di pietra.
Io e Sebastian, ancora abbracciati, ci voltammo e guardammo quella  che per il mio amante doveva essere solo una ragazzina troppo truccata per la sua età.
Alice, mia figlia, era a pochi metri da me, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati. Un cono gelato le cadde di mano e iniziò ad indietreggiare scuotendo la testa impaurita: “No, no, no”, e in un attimo, che non mi permise neanche di sciogliermi da quell’abbraccio, fuggì così velocemente che per un attimo sperai di essermela solo immaginata.
 
 
 
Arrecare un danno, ferire, provocare dolore, ecco di cosa siamo capaci.
E dopo, per quanto cerchiamo di stare attenti, per quanta sia la cautela che ci imponiamo di usare, ci aspetta sempre un’unica via: trovare un modo per riparare alle ferite che abbiamo inferto.

 
Provai a rincorrerla senza riuscire a raggiungerla.
Bastarono pochi passi per mostrarmi la differenza tra un ultraquarantenne e una sedicenne intenta a fuggire dai cocci rotti delle sue certezze.
Salii in ufficio, sperando di trovarla lì, ma Greta mi confermò ciò che più temevo.
“Dottore, è passata sua figlia a cercarlo.”
“E cosa le ha detto?”
“Che era andato dal dentista. Cosa avrei dovuto dirle?”
“Le ha chiesto cosa voleva?”
“No, però l’ha aspettata un po’ e poi è scesa a comprarsi un gelato.” Disse avviandosi verso la fotocopiatrice.
Presi il cellulare e composi il numero di mia figlia. E come prevedevo, subito scattò la segreteria.
“Alice, sono papà. Chiamami appena senti il messaggio, dobbiamo parlare di quello che è successo.  Troveremo una soluzione, te lo prometto.”
Mi sedetti alla scrivania e pregai sottovoce che il telefono si mettesse a squillare.

E non so quanto tempo fosse trascorso mentre continuavo a rimbalzare tra lo schermo del cellulare e ogni più scusa impensabile, quando finalmente il mio telefono squillò.
Provai un brivido quando vidi lampeggiare il nome di mio marito sullo schermo davanti ai miei occhi.
 
Come si fa a fare la cosa sbagliata nel modo giusto?
Ci penso da una vita ma non sono mai arrivato ad una conclusione certa, così tutto il mio orgoglio di uomo e di padre si frantuma contro questo mio sogno a metà, e mi sento uno schifo.
Poi ecco che arriva il tuo pensiero e di nuovo mi intenerisco, oggi come allora.

 
 
 
Ho chiamato e richiamato Alice con una regolarità quasi maniacale. Riuscire a parlarle era la mia priorità. Sapevo che qualcosa si era spezzato.
Ma alla fine ho preso la giacca e sono andato a casa. Il viaggio in auto sembrava non finire mai.
Mi chiedevo cosa mi aspettasse dietro la porta. Alice e suo padre abbracciati in una specie di coalizione contro il bastardo che ero?
Il telefono ha squillato.
“Alice non è rientrata. Tu dove sei? Sto per impazzire!”
“Sto arrivando.”
“Dovresti essere già qui, Kurt. Cosa diavolo hai fatto?”
“C’è traffico.” , ho detto. E mi sono sentito indifendibile.
“Chi se ne frega del traffico. Sono quasi le sette, è troppo buio e Ali..” La sua voce si stava spezzando.
“Blaine, ascoltami. Stai calmo. Pensa a Matteo, non voglio che si spaventi”, e ho sperato che i suoi problemi di udito lo proteggessero.
 
Quando sono entrato in casa, Blaine mi è corso in contro.
Aveva in mano il cellulare e un fazzoletto di carta.
“Dov’è Matteo?”
“Di là con mia madre. Ha chiesto di sua sorella e io..io non so cosa dirgli. Meno male che non può sentire tutto.”
Mi sono avvicinato e l’ho abbracciato. “Andrà tutto bene”, ho detto. “Vedrai che è solo una bravata.”
“Stiamo parlando di nostra figlia. Lei non fa bravate. Ha un fratello sordo, già da tempo ha imparato ad essere responsabile e a rispettare gli orari. Solo tu sai come fai a rimanere così calmo.”
 
Alice che impara la lingua dei segni insieme a noi, che si ostina a usarla insieme alla scansione delle parole perché suo fratello impari ad esprimersi in entrambi modi.
Alice che guarda i cartoni animati di Matteo senza audio sforzandosi di leggere i sottotitoli, che passa ore a fargli ripetere le lettere dell’alfabeto come ci ha insegnato la logopedista.
Alice che chiama i suoi apparecchi endoauricolari “stelline”, Alice, Alice, Alice..ma quando ho dimenticato quanto sei importante?
 
“Calmo? Uno dei due deve esserlo”, ho risposto.
“Sono le sei..e..non abbiamo notizie di Alice dall’una. Le è successo qualcosa e io..” La sua voce è sottile e ha ricominciato a piangere.
Io l’ho stretto accarezzandogli i capelli. Avrei voluto dirgli che l’avevo vista verso le tre e mezza, ma sono rimasto zitto.
Scostandosi da me poi ha detto: “Chiamo la polizia! E’ minorenne, devono obbligatoriamente fare qualcosa.”
E mente lui componeva il numero, io ho provato a richiamare mia figlia sperando che la sua voce mi togliesse dall’angoscia.
Nessuna risposta.
 
 
 
“Potrebbe essere solo una bravata. Capita, con gli adolescenti, e solitamente rientrano tutti entro le dodici ore”, ci ha detto il poliziotto che si era precipitato a casa nostra dopo la chiamata.
“Basta! Se sento ancora questa frase..” Mio marito si è avventato sull’uomo in divisa urlando: “Mia figlia non fa queste cose, ma è possibile che nessuno muova un dito?”
Le parole dell’agente non potevano convincerlo. Non Blaine.


 
Era un padre a cui sette anni prima avevano detto una crudele verità: “Suo figlio è affetto da ipoacusia bilaterale grave”, e , pur non sapendo nemmeno cosa significasse, non si era dato per vinta decidendo di scoprire tutto il possibile su quel mondo.
Alice aveva già sette anni, io e Blaine non eravamo più due ragazzini, ma era come se ci mancasse qualcosa.
Così decidemmo di avere Matteo. Non fu una gravidanza facile per Rach, ma la sua nascita fu da subito la cosa giusta e noi eravamo pronti a dargli ogni opportunità possibile.
Matteo era sano, bello e forte e avevamo riposto in lui tutte le nostre aspettative.
Lo stimolavamo con giochi didattici, suoni, incastri, manipolazioni.
Volevamo che avesse tutto da subito, così sarebbe stato facilitato.
Avevamo grandi progetti: la scuola internazionale perché fosse bilingue e un giorno sentirsi cittadino del  mondo, la musica, lo sport.
Tantissime idee che, se per Alice avevamo solo considerato con calma, per Matteo erano già possibilità.
Eravamo più grandi, più esperti, economicamente stabili e potevamo fare delle scelte.
Un giorno Blaine rientrò allarmato con Matteo di poco più di sei mesi in braccio.
Io avevo appena recuperato Alice dalla nonna, ed ero seduto sul divano a guardare un cartone con lei.
Mi ha raccontato che una bambina della stessa età di Matteo si era girata verso la mamma quando questa l’aveva chiamata, mentre nostro figlio sembrava non riconoscere il suo nome.
“E’ un maschio, Blaine. Tu lo confronti con le femmine..noi, invece, siamo più lenti e meno svegli, è ciò di cui le donne si lamentano per tutta la vita, e Matteo  non sarà diverso dagli altri.
Vedrai che un giorno, quando meno ce lo aspetteremo, correrà dietro a un pallone dribblando gli avversari, segnerà un goal fantastico e volterà eccome verso la curva che urla il suo nome!”
Passarono alcune settimane e Blaine iniziò ad essere sempre più nervoso.
“Sa aprire i cassetti e impilare i cubi di legno, ma non dice una parola.”
“L’hai portato dal pediatra?”
“Si, Kurt. Gli ha fatto sentire il suono di un campanello e lui si è mosso, quindi dice che è tutto nella norma, ma mi ha consigliato di consultare un neurologo. Sai, per essere più tranquilli.”
“Un neurologo, Blaine? Non credi di stare esagerando? Nostro figlio è perfetto. Lasciagli godere gli undici anni della sua vita in cui non deve niente a nessuno. Non sai quanto vorrei io avere la sua età e pensare solo a mangiare e dormire!”
Poi gli carezzai le guance, lo baciai perché non volevo sembrare troppo rigido e sussurrai: “E’ tutto a posto, e Matteo ha bisogno che il suo babbo stia tranquillo.”
Matteo era intendo a succhiarsi il pollice con l’aria di chi si sta per assopire.
Blaine lo adagiò nella culla e lui tranquillo si addormentò.
“Vuoi che ti prepari un bagno? Guardo io Matteo, così tu ti rilassi un po’!”
“Non ho voglia di rilassarmi, Kurt. Non riesco a togliermi dalla testa che qualcosa non va. Con Alice era diverso..”
“Alice chi? Nostra figlia? Quella che ha tutti dieci in pagella da quando ha sei anni?” dissi con tono volutamente ironico.
Poi gli afferrai le mani e continuai: “Alice è come te, fantastica! E Matteo ha preso da me. Mi dispiace per te ma quando lui crescerà avrai a che fare con una specie di mini-Kurt!” Speravo di farlo sorridere.
Lui sospirò senza sforzarsi di sembrare convinto, così decisi di passare all’azione.
“Non odiarmi, tesoro. Il test lo facciamo qui così vedrai che ti passa l’ansia.”
“Cosa vuoi fare?”
Andai in camera di Alice, presi il registratore e lo adagiai accanto alla culla.
“Kurt, sta dormendo!”
Schiacciai il tasto PLAY e alzai il volume al massimo.
Improvvisamente un suono acuto rimbalzò tra le pareti, Blaine si irrigidì portando le mani verso  la culla pronta a sollevare il bambino, e io strizzai gli occhi.
Poi guardammo Matteo che dormiva sereno.
Non era questo ciò che volevo dimostrare.
 
 
 
“Signore, so quello che dico. Ora mi faccia un elenco di posti in cui sua figlia potrebbe essere andata.”
Il poliziotto cercava di essere collaborativo per cercare di calmare Blaine.
“Ma se sapessi dov’è, crede che vi avrei chiamati?”
“Si calmi, la prego. Ha un ragazzo con cui può essere scappato o da cui in seguito ad un litigio si è allontanata?”
“No, nessun ragazzo.”
“Mi  perdoni, signore..ma spesso i genitori sono gli ultimi a sapere queste cose.
Potrebbe essere il figlio di un conoscente o magari un compagno di scuola.”
Blaine continuava a scuotere il capo.
“Potrebbe essere qualcosa di diverso, qualcosa che potrebbe averla turbata?”
Il mio cuore è precipitato nello stomaco.
“No, è andata regolarmente a scuola..poi ha saltato la lezione di tennis ed è sparita.” Blaine aveva gli occhi di chi sta per scoppiare a piangere.
“Il tennis non le piace..” mi sono inserito io per smorzare la tensione.
“Bene, vuol dire che potrebbe non esserci andata di proposito e..”
“E cosa?” Blaine adesso era arrabbiato. “Sono le otto di sera, anche se fosse andata a fare un giro sarebbe già tornata. Sa che suo fratello si spaventa se non è in casa quando deve, lo avrebbe avvertito!”
“Avrebbe avvertito il fratello? Dov’è e quanti anni ha?”
“Matteo ha otto anni ed è audioleso, la routine per lui è fondamentale, fa parte di tutte le sue sicurezze. Alice sa che è importante cenare tutti insieme alla stessa ora.”
Poi, come un piccolo palloncino sgonfio, si è rannicchiato sul divano e ha ripreso a piangere.
“Il numero di vostra figlia a chi è intestato?”
“A me”, ha riposto Blaine.”
“Questo accelera le cose. Possiamo ascoltare la sua segreteria telefonica. Signore, ha il codice?”
Blaine è rimasto interdetto. Non aveva mai pensato di ascoltare i messaggi di Alice e in quel momento sembrava impreparata.
“Non lo so a memoria, ma penso sia scritto nel contratto. O nella scatola del cellulare.” Ed è andato a prenderla.
Ho iniziato ad agitarmi.
Blaine è ricomparso. “Ci saranno tutti i nostri messaggi di oggi, l’avremo chiamata mille volte.”
Poi ha consegnato la scatola all’agente, che si è messo a cercare.
“Eccolo” l’ho sentito esclamare, e ho sperato che qualsiasi cosa li distraesse.
“Codice errato. Purtroppo credo che sua figlia abbia personalizzato il codice d’accesso alla segreteria. Ha idea di quale possa essere?”
“Forse la sua data di nascita, 0906”, sibilò piano.
“No, un’altra?
“Provi con 1207!
“Ci  siamo, è giusta!” ha sorriso l’agente come se fosse un gioco.
Blaine ha trattenuto il respiro. Io ho avvertito un dolore lancinante allo stomaco.
“E’ la data di nascita di Matteo”, ha sussurrato mio marito allungando la mano gelida verso di me.
  
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