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Autore: Mikayla    14/02/2008    4 recensioni
Hotaru è poggiata ad un muro.
Attende, semplicemente.
Ma cos'aspetta? [ Della serie Tales of True Life. ]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hotaru/Ottavia, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
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Note doverose di inizio Fic
Cosa fondamentale da dire prima che voi leggiate questa fic è la seguente: questo è uno spin-of di Stagioni, da collocare prima di essa. Non è necessario averla letta, ma chi l'ha fatto trova più semplice la comprensione dell'ambiente della fic.
Ordunque, essendosi l’autrice appassionata alla coppia Hotaru/Takashi (di sua invenzione, of course) non ha resistito: ha dovuto scrivere di nuovo su di loro.
Per questo è nata questa semplice, semplicissima one-shot che ha solo la pretesa di essere dolce e carina, nulla di più.
Vi lascio alla fic, e ci ri-sentiamo alla fine per alcune precisazioni! ^_^

Valentine’s Day


Hotaru Tomoe se ne stava mollemente poggiata al muro di mattoni dietro di sé.
Se suo padre Haruka l’avesse vista avrebbe malignamente ghignato soffiando piano un «Guarda che non ha bisogno che tu lo sorregga, sai Hota-chan?»
Eppure il genitore non era lì, e la ragazza sosteneva il muro -o si faceva sostenere da lui?- ignorando gli sguardi dei ragazzi che camminavano tranquillamente davanti a lei.
Il suo sguardo era fisso in avanti, triste e melanconico; escludeva tutto il mondo da lei.
Tra le mani, nascosto dal cappotto invernale, teneva un pacchetto incartato di rosso e legato con un nastrino violetto.
Le dita affusolate e pallide tormentavano senza sosta quel piccolo raso che aveva annodato con tanta cura solo la sera prima.
Era mattina, ed Hotaru era estremamente agitata.
Ma tutte le ragazze, il giorno di San Valentino, erano particolarmente eccitate.
Però Hotaru non era tutte le ragazze: lei era sempre fresca e posata, tranquilla e seria.
Nessuno dei suoi compagni di corso l’aveva mai vista né sorridere né accigliarsi, lei non mostrava mai agli altri ciò che provava.

[Sorride]
[Ma vorrebbe solo piangere]

Se la guardavi sentivi in te un enorme senso di malinconia e di perdita, eppure ti trovavi impotente davanti al muro che Hotaru si era creata attorno.
Una parete invalicabile, cementata ed irta di pericoli, era costellata da filo spinato: un vero e proprio ostacolo. Nulla a che vedere con le gentili pietre rosate su cui lei si posava pigramente agitata.
All’università -la sua università, quella che portava il nome dato da suo padre, la Mugen- veniva cordialmente evitata, più per suggestione che per vero e proprio sgarbo nei suoi confronti.
Poche ragazze avevano osato avvicinarsi a lei, ed avevano ricevuto in risposta un sorriso dolcissimo -era capace di sorridere!- e due occhi ametista così tristi da spezzare il cuore.
Poi un diniego alla loro proposta d’amicizia ed un saluto cordiale quanto freddo.
Hotaru Tomoe sembrava desiderare di restarsene da sola per l’eternità, avvolta in quel silenzio che la circondava ovunque andasse.
La Principessa del Silenzio, Mugon-Hime.
Tutti erano consapevoli che lei fosse di più, ma non sapevano come far emergere quel di più.
Tutti l’avevano vista assieme ai tre genitori, ed avevano ammirato l’aura dolce ed allegra che la avvolgeva con le amiche, ma sapevano anche che Hotaru Tomoe non era tutta , in un sorriso che copriva le lacrime vermiglie del suo cuore.

[Hotaru-san… usciresti con me?]
[No, mi spiace]

In pausa pranzo od in un’ora buca Mugon-Hime si sedeva senza fare troppi complimenti sull’erba fresca e bagnata di rugiada.
Non era schizzinosa, non le importava di sporcarsi o bagnarsi, o di sgualcirsi l’uniforme: desiderava solo sedersi sotto il grande ciliegio e stare da sola.
Anche se preferiva farlo quando questo era carico di splendidi fiori rosa pallido.
I compagni assecondavano il suo desiderio di solitudine e non la importunavano.
Solo una volta, una ragazza la raggiunse sotto quel grande albero.
Doveva avere due o tre anni in meno di Hotaru, all’apparenza.

«Tomoe-san?»
«Sì?»
«Mi posso sedere qui con te?»

Lei l’aveva guardata sorpresa per un istante, poi aveva indicato con la mano l’erba accanto a sé.
Aveva sorriso, appena un grazioso alzarsi dell’angolino sinistro del labbro, ma aveva sorriso sinceramente.

«C’è quanto posto vuoi».

Aveva detto proprio questo, come se lei non avesse mai fatto nulla per allontanare da sé le persone.
La ragazza dai morbidi capelli castani era arrossita, ed aveva seguito il suo consiglio.
Impacciatamene si era seduta accanto a lei, stringendo con le braccia la gonna scozzese della divisa alle proprie gambe.
Non sapeva cosa dire, forse.

«Come ti chiami?»

Fu strano, per la ragazza, sentire Hotaru parlare così tanto.
Era soprannominata Mugon-Hime non solo perché c’era il silenzio attorno a lei: i compagni raramente la sentivano parlare se non interrogata dai professori.
Era sempre stato così, semplicemente.

«Sakura».

Lo balbettò, quasi.
E quasi si scordò d’aver risposto solo a metà della domanda rivoltole.

«Myokatono Sakura Karen».

Si corresse in fretta, abbassando lo sguardo sulle proprie ginocchia.
Mentalmente si maledisse per la propria incapacità: era davvero maldestra.
Quando sarebbe tornata a casa ne avrebbe dette quattro a quello stupido di Taka-nii-san!

«Hai proprio un bel nome…»
«Anche il tuo lo è, Hotaru-san!»

Subito si morse la lingua, Sakura.
Mancare di rispetto a colei che, nell’arco di un mese, sarebbe diventata una sua senpai non era proprio la cosa migliore da fare.
Rimase allibita, poi, quando Hotaru si portò una mano davanti alle labbra e ridacchiò. Una risata vera.
La ragazza si fece contagiare da quella insperata allegria e la accompagnò con la propria risata argentina e pura, sincera.

«Sei davvero un dolce fiore di ciliegio».

Sakura arrossì.

«E tu sei una lucciola».

Ma prima che le ametista mostrassero tutto lo stupore di Hotaru e facesse qualche gesto per impedirle di parlare, Sakura continuò a parlare.

«Taka-nii-san ha ragione quando dice che brilli».

Era un’osservazione dolce e smaliziata.
Innocente.
Ma ebbe il potere di arrossare le gote della Principessa del Silenzio.

«Taka-nii-san?»
«Mio fratello maggiore, Takashi Myokatono. Frequenta questo istituto, ha due anni più di te, e cinque più di me. Forse l’hai visto aggirarsi per i corridoi: è un tipo che tende a farsi notare. È sul metro e settantacinque. Fisico schifosamente scolpito e perfetto, capelli brizzolati di un marrone scurissimo e due occhi color lampone che gli invidio da morire. Ah, e sorride sempre, è un ottimista nato».

Quando smise di parlare Sakura ammutolì: aveva parlato a ruota libera senza neppure rendersene conto.
Abbassò lo sguardo per la seconda volta nell’arco di pochi minuti, le gote in fiamme.
Sua madre aveva ragione a dirle che aveva la lingua troppo lunga.
Ma aveva trovato in Hotaru un’ottima ascoltatrice, e si era dimenticata improvvisamente di tutto, tutto ciò che aveva imparato o le avevano detto.
Si sarebbe sotterrata, se solo non avesse fatto l’ennesima brutta figura.
Rimase in silenzio, attendendo la reazione della compagna di chiacchierata -ma poteva davvero definirla così?
Passarono lentissimi quei trenta secondi che Hotaru si prese per riflettere sulle parole della ragazza.

«Temo di conoscerlo».

Era un sospiro affranto.
Dunque era vero che Mugon-Hime non era sempre e solo distaccata.
Sakura alzò lo sguardo su di lei, ma non incontrò i suoi occhi: le ametista erano rivolte ai petali di ciliegio.

«Temo che sia il ragazzo che mi fa una corte spietata da… due San Valentino fa?»
«Hem… Se lo conosco bene -e lo conosco bene, credimi- direi di sì».
«Lo supponevo».
«…»
«Perché sei qui, Sakura-san?»

Deglutì.

«Hem… Tomoe-san…»
«Chiamami pure Hotaru, non mi dispiace».

Ammutolì.

«Hotaru-san… A dire la verità mi ha… ehm… mandata qui proprio Takashi…»

Sakura piegò le labbra in una smorfia buffa, mentre Hotaru incontrava i suoi occhi.
Era stata davvero così sciocca da spingersi fin lì per assecondare quel Takashi-baka?
…ma forse era stata la curiosità a spingerla a caldeggiare quella pazzia.
Non trovava altra soluzione.

«Mi dispiace farti fare da tramite, Sakura-san, ma puoi dire a Myokatono-san che non intendo accettare?»

La ragazza sospirò.
Almeno Hotaru non se l’era presa con lei.
La sbirciò con la coda dell’occhio e la vide sorridere dolcemente.
Ma, a differenza di prima, nei suoi occhi erano tornate la tristezza e la malinconia.
Sakura annuì e si alzò.
Come richiamata da quel gesto, la campana che segnalava la fine della pausa trillò.

«È stato un piacere, Sakura-san».
«Anche per me… Hotaru-san».

[Hotaru-hime, posso chiederti un appuntamento?]
[Non ti arrendi proprio mai?]

Quella era stata la prima ed ultima volta che qualcuno aveva osato rompere quei momenti di solitudine di Mugon-Hime.
Sakura tornò a parlare con lei, ma mai più sotto quel bel ciliegio.
Hotaru non rifiutò quella pallida imitazione di amicizia, però non fece mai nulla per alimentare quel tenero fuoco appena nato.
Mugon-Hime rimase identica a se stessa, benché ormai fosse più evidente che pure lei poteva provare sentimenti umani.
Infatti, il giorno di San Valentino, quasi un anno dopo aver conosciuto Sakura, Hotaru Tomoe se ne stava mollemente poggiata al muro di mattoni dietro di sé.
Tra le mani, nascosto dal cappotto invernale, teneva un pacchetto incartato di rosso e legato con un nastrino violetto.
Le dita affusolate e pallide tormentavano senza sosta quel piccolo raso che aveva annodato con tanta cura solo la sera prima.
Era mattina, ed Hotaru era estremamente agitata.
Attendeva, puntellata lì con le proprie gambe affusolate, che la porta alla sua destra si aprisse.
Non sapeva davvero cosa fare, ma darsene pensiero ed indugiare ancora non avrebbe risolto nulla.

[Hotaru-chan!]
[No. Myokatono-san, no]
[Ma non sai nemmeno cosa voglio chiederti!]
[Vuoi uscire con me?]
[Sì!]
[Ma io non voglio farlo, Myokatono-san]

Finalmente la campanella squillò allegramente spargendo velocemente un brusio e la porta si aprì.
Un marasma di studenti confluì fuori da quell’uscio, persi nelle loro chiacchiere.
Nessuno di loro badava a Mugon-Hime, benché più di qualche occhio curioso si posò distrattamente e di sfuggita sulla sua figura solitaria e melanconica.
Quando non rimase più nessuno Hotaru sospirò.
Si diede una spinta con le dita sul muro e si rizzò.
Nascose velocemente il pacchetto nella tasca del cappotto e si voltò.

«Myoka-»
«Hotaru-chan! Ciao!»

La figura slanciata di Takashi si presentò all’improvviso davanti alla ragazza.
I capelli brizzolati di un colore castano davvero scurissimo si mossero con la brezza invernale mentre gli occhi color lampone si posavano con dolcezza sulla snella e piccola figura di Hotaru.
Lei non si era accorta di lui, mentre questi la fissava dal lato opposto del fiume di studenti; e lui l’aveva bloccata prima che potesse odiosamente chiamarlo per cognome.
Mugon-Hime arrossì, per un istante.

«Takashi-san»

Ed il suo nome pronunciato da lei gli parve un sogno.

«questo è»

Ed Hotaru estrasse dalla tasca il piccolo pacchetto rosso avvolto nel raso violetto.

«per te».

Finì la frase porgendoglielo.

[Hotaru-saaan! Dai, usciamo assieme!]
[Mi dispiace, Myokatono, ma non succederà mai]
[Mai dire mai!]

Takashi la guardò sorridendo.
Anche se, a dire la verità, che lui sorridesse non era un evento di straordinario scalpore.
Sakura le aveva detto che il fratello era un ottimista, dal sorriso facile.
Eppure quel sorriso sembrava diverso.

«Sì».
«Ma… ma io non ti ho chiesto nulla!»
«Non serve parlare, Hotaru-chan. Almeno non per queste cose, non con me».

Hotaru arrossì di nuovo.
Takashi prese il pacchetto dalle sue mani con delicatezza e si abbassò su di lei per posare le sue labbra sulle gote rosate.

«Grazie, Hota-chan. Buon San Valentino».

Tutte le ragazze, il giorno di San Valentino, sono particolarmente eccitate.
Però Hotaru non era tutte le ragazze: lei era sempre fresca e posata, tranquilla e seria.
Nessuno dei suoi compagni di corso l’aveva mai vista né sorridere né accigliarsi, lei non mostrava mai agli altri ciò che provava.

[Piange]
[Ma vorrebbe solo ridere]

Eppure tutti coloro che la videro piangere, impacciatamene abbracciata a Takashi Myokatono, sapevano che non era quello ciò che Hotaru Tomoe davvero sentiva.
Se la felicità che la stava avvolgendo non fosse stata pressoché completa avrebbe sorriso.
Avrebbe regalato al ragazzo che amava un sorriso così dolce e così pago che avrebbe fatto sciogliere qualunque cuore.



Note di fine Fic (doverose pure queste XD)
Cosa primaria e di vitale importanza è la dedica: ha dedicato questa fic a tutti gli innamorati, un regalino dolce e semplice per un buon San Valentino (in particolare alla sua coppia preferita Giulia/Alex, che trova taaaanto pucciosi insieme). ^.^
Poooooi… chi ha letto Stagioni si sarà accorto che ci sono stati dei richiami a quella fic, non solo richiami, effettivamente, ha giocato molto su antitesi e parallelismi, si diverte con queste cose, che volete farci!, lasciatela divertirsi così in mancanza di un fidanzato! XDD
Come avrete capito Takashi e Sakura sono personaggi di sua invenzione (e ci tiene a dirmi di ricordarvi che non potete usarli perché “sono miei, miei, miei e solo miei! >.<”), mentre Hotaru -la divina- è di Naoko e lei l’ha presa in prestito per le sue fic (come succede fin troppo spesso, effettivamente).
Ci tiene, inoltre, a far notare il gioco di parole tra la scuola Mugen e l’epiteto di Hotaru Mugon-Hime. Mentre il primo significa infinito, il secondo significa silenzio. Si è divertita troppo a cercare le parole in giapponese per non rivelarvelo! XD
Sempre per restare in tema di giapponese… quando Hotaru chiama Sakura “dolce fiore di ciliegio” non è che le stia facendo un complimento così tanto per fare: karen significa dolce, mentre sakura è il nome del fiore del ciliegio. D’altra parte quando lei le risponde dicendo che è una lucciola si intende non che è una battona (si mette a piangere se qualcuno chiama la sua Hota-chan battona, donna dai facili costumi et altre varie varianti) ma che il suo nome, hotaru, significa lucciola.
Altra precisazione da fare sarebbero gli onorifici utilizzati (san, chan, hime) però crede che li capiate, come anche il fatto che si chiamino per cognome e non per nome (tranne Taka-chan che, innamorato com’è, chiama Hota-chan per nome). Mi viene suggerito di ricordarvi perché Sakura dice che da lì ad un mese neanche Hotaru diventerà la sua senpai: in Giappone l’anno scolastico inizia in primavera (verso aprile) e i ciliegi fioriscono proprio tra la fine dell’anno e l’inizio di quello successivo. Inutile poi rammentarvi che tutti gli studenti più grandi vengono considerati senpai, anche se si utilizza più spesso per gli studenti dell’ultimo anno.
Per chi, poi, si chiedesse che fine abbia fatto Sakura nella fic “Stagioni” la risposta che vi fornisce è: Stagioni è incentrata sul rapporto Hotaru/Alter!Chibiusa, quindi non c’entra tutta la vita di Hotaru (anche perché altrimenti sarebbe ben triste, la sua vita, se fosse solo quella scritta).
Ultimissima nota da fare è una precisazione sullo stile: ha deciso di non scriverla in prima persona perché odia scrivere in prima persona dato che è semplicemente incapace, ci prova, ma le viene sempre uno schifo.
Altre note non ne ha (cioè, ne avrebbe da scriverci un saggio, ma ci ha poca voglia di farlo. Anche se bisogna ammettere che ne ha già dette abbastanza, di note!) e quindi cordialmente vi saluta. (_._)


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