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Autore: Gosa    07/08/2013    1 recensioni
Spaventata. Non c’erano altre parole per descrivere il mio stato d’animo in quel momento, mi sentivo frastornata e mentre cercavo di realizzare ciò che veramente era successo, lei parlò:”Lascia che ti racconti la mia storia…”
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Ella  è il fantasma del castello, per sempre bella  ed  eterna….
 
Acqua. Fu il suono dello sgocciolio dell’acqua a svegliarla. Quel semplice suono le rimbombò in testa e dolorante se la prese tra le mani. Aprì gli occhi e l’oscurità l’avvolse. L’unica cosa di cui si rendeva conto era che si trovava stesa su un pavimento di pietra, freddo, e che intorno a lei era tutto buio. Provò a mettersi a sedere ma subito le venne un giramento di testa e sentì un dolore lancinante al collo. Portò subito la mano dove sentiva il dolore, come se il semplice gesto di toccare la parte in questione potesse donarle un po’ di sollievo. Il rumore dell’acqua continuava a rimbombarle nella testa, ma caparbiamente riuscì a mettersi seduta. Il dolore al collo stava diminuendo e ritirò la mano sentendola subito umida: si guardò le dita e nell’oscurità riuscì a vedere solo un liquido scuro. Si portò un dito alle labbra e capì che era sangue. Si guardò intorno: la stanza era formata da quattro massicce pareti di pietra; era completamente buia ma guardando davanti a se scorse una piccola fiammella in fondo alla sala.

Cercò di mettersi in piedi, ma la testa le girava vorticosamente e riuscì ad alzarsi solo dopo non pochi tentativi reggendosi alla parete dietro di se. Non vi erano finestre e la sala sembrava spoglia. A tentoni e sempre tenendosi alla parete si avvicinò al punto dove vedeva brillare quella piccola fiamma; scorse una candela e vi si avvicinò. La candela era posta esattamente davanti alla porta; questa era di legno massiccio, intarsiata con vari e complicati disegni geometrici.

Lasciò la candela dov’era e provò a spingere la porta ma com'era prevedibile, questa era chiusa. Cercò la maniglia ma non la trovò: la porta sembrava un unico e massiccio pannello di legno. Si guardò di nuovo intorno, ma per quel che poteva vedere alla debole luce della candela, la stanza era vuota. Si sedette a ridosso della porta e, portandosi le dita a massaggiare la fronte, cercò di ricordare cosa fosse successo. Ma la testa le faceva malissimo e il rumore di quella goccia che, imperterrita, continuava a cadere, le trapassava il cranio. Spalancò gli occhi: l’acqua! Doveva trovare la fonte di quel rumore e forse avrebbe trovato anche la via d’uscita. Si alzò e sollevò la candela: appena l’ebbe presa sentì un rumore come di una molla che scatta e vide la porta cominciare a muoversi di lato.

Portò la candela innanzi a se e uscì dalla stanza. Si ritrovò in un corridoio: ”Destra o sinistra?” Da quel che poteva scorgere entrambi i corridoi portavano ad un luogo diverso. Seguì l’istinto e si voltò verso sinistra cominciando a camminare in quella direzione.

Le pareti erano spoglie e sembrava non ci fosse neanche una finestra, quel corridoio sembrava infinito. Camminò un bel po’ prima di riuscire a scorgere una finestra. Appena ne vide una corse verso di essa e schiacciò il viso contro il vetro. Poté scorgere un piccolo giardino illuminato dai raggi della luna, piena e mistica, sembrava non vi fossero stelle. Guardò il giardino: sembrava abbandonato, c’erano delle alte siepi e delle panchine di pietra. Tra queste le sembrò di scorgere una figura. Rimase lì per un po’ a osservare la strana figura fino a quando i raggi della luna la illuminarono e si accorse che era una statua di pietra, ma non era una statua qualunque: era un angelo, un angelo con le ali spezzate. Rimase con il viso schiacciato alla finestra finché la luna non fu alta nel cielo e quando capì che rimanere lì non l’avrebbe portata a nulla, prese di nuovo la candela e ricominciò a camminare. Per un attimo osservò la fiammella e si accorse che non si era consumata per niente.

Stupita si fermo e osservò la candela, piccole goccioline di cera la adornavano, ma la lunghezza era rimasta invariata. Passato l’attimo di stupore, riprese a camminare; incontrò altre finestre e tutte affacciavano sullo stesso giardino, pensò di star girando in tondo ma aveva percorso il corridoio sempre in maniera rettilinea, non aveva mai curvato e poi si accorse che la statua dell’angelo le rivolgeva sempre il viso. Continuò a camminare ma ormai una strana sensazione si stava impadronendo di lei: l’inquietudine. Poi la paura cominciò a impossessarsi di lei; temendo che quel corridoio fosse davvero senza fine cominciò a correre, la fiamma della candela cominciò a vacillare, ma non si spense nonostante lei corresse forte.

E alla fine scorse la fine del corridoio: una immensa porta di legno le si parò innanzi, intarsiata come la precedente, ma a differenza della prima questa aveva la maniglia. Ansante poggiò le mani sulle ginocchia ricoperte dal jeans e riprese fiato. Si fece coraggio e si avvicinò alla porta. Appena le fu più vicino la musica di un violino le giunse alle orecchie: si accostò ancor di più e sentì una melodia dolce e malinconica provenire da dietro la porta. Abbassò la maniglia e l’aprì: la stanza era illuminata dai soli raggi della luna che filtravano attraverso le molte finestre che adornavano la parete. Anche questa stanza era spoglia, se non fosse stato per una sedia che si trovava proprio al centro della sala. Sedia che in quel momento era occupata da una giovane violinista.

La ragazza, incantata da quella melodia, si avvicinò alla giovane e rimase incantata dalla sua eterea bellezza. Lunghi capelli neri come l’onice le incorniciavano il volto, occhi verdi come le foglie delle rose, screziati d’oro, labbra rosse come se avessero rubato il cuore della più vermiglia delle rose, pallida, indossava un leggero vestito nero sul quale i raggi della luna riflettevano sfumature blu e verdi, le maniche di merletto fine ornate da piccole perle. Un ciondolo rubino le racchiudeva il pallido collo, facendo risaltare ancor di più le sue labbra. La fanciulla guardò la sua ospite continuando a suonare il suo violino d’ebano: con leggiadria muoveva l’archetto sulle corde dello strumento, toccandole appena e sprigionando la più bella delle melodie. Quando finì di suonare la ragazza non poté fare a meno di farle i complimenti dimenticando del tutto la sua situazione, ammaliata totalmente da questa giovane fanciulla.

Ella fece un semplice sorriso, si alzò dalla sedia e fece segno alla ragazza di seguirla.
La ragazza la seguì fuori dalla stanza, lungo il corridoio: “Qual è il tuo nome? Io mi chiamo Martina. Potresti spiegarmi come sono finita qui? L’unica cosa che ricordo è che stavo camminando per strada…” Ma la fanciulla, voltatasi, le sorrise e proseguì lungo il corridoio.

Martina rimase per un momento smarrita ma non contenta di non ricevere risposta riprese a parlare: “Potresti almeno dirmi dove ci troviamo? Mi sembra un castello, ma vicino la mia città non ce ne sono. E’ un posto alquanto strano, per un bel tratto non ci sono neanche le finestre e da quel che ho potuto vedere da quelle che ho incontrato, ho pensato stessimo in campagna.” Ma la fanciulla ancora non parlava”il giardino sembra abbandonato, vivi da sola qui?”

La fanciulla continuava a tacere. La ragazza si arrese e cominciò a guardarsi intorno. Stavano percorrendo a ritroso la strada che aveva fatto lei prima, ma quando era passata lei, il corridoio era spoglio mentre ora c’erano armature e arazzi sulle pareti. Il tutto illuminato dalla luce della luna che filtrava attraverso le numerose finestre: “ che strano, eppure stiamo percorrendo il corridoio che ho percorso io prima. Ma cosa sta accadendo e soprattutto dove mi trovo?”

Mille dubbi cominciarono a vorticare nella testa di Martina. Non seppe dire per quanto tempo avessero camminato prima di arrivare a destinazione. Attraversarono corridoi e oltrepassarono porte prima di fermarsi finalmente davanti a una di queste. La fanciulla si voltò, le sorrise e aprì la porta facendole segni di entrare. Martina oltrepassò la porta con passo incerto e si ritrovò in una enorme camera da letto: alla sua destra c’erano tre grandi finestre da cui entravano i raggi della luna, sul lato opposto c’era un camino e le altre pareti erano ricoperte da arazzi e…specchi: c’erano specchi ovunque.

Ma l’attenzione della ragazza fu catturata dall’enorme letto a baldacchino che troneggiava al centro della stanza. Da quella distanza le sembrava che il letto fosse occupato da qualcuno ma non ebbe il coraggio di avvicinarsi finché la fanciulla non le fece cenno di seguirla accanto al letto. Titubante Martina si avvicinò e per un attimo rimase senza fiato. Il letto era occupato da una giovane ragazza dai capelli color miele, pallida, sembrava stesse dormendo; indossava dei jeans e una maglietta verde pallido. Martina guardò incredula la fanciulla e poi di nuovo portò lo sguardo sul letto: “Non può essere, quella sono io!” allungò una mano a toccare la sua stesa sul letto, era gelida. Martina ritirò la mano spaventata e d’un tratto chiuse gli occhi e cominciarono a susseguirsi delle immagini davanti ai suoi occhi.

Stava camminando per strada e le si era avvicinato un giovane per chiederle l’orario. Era un giovane molto attraente con gli occhi color del cielo e i capelli color rame. Lui l’aveva invitata, poi, a bere qualcosa e lei aveva accettato non vedendoci nulla di male. Avevano passato insieme un paio d’ore. Quando, poi, si era fatta l’ora di tornare a casa, il ragazzo aveva insistito per accompagnarla; era stato davvero molto gentile e Martina proprio non era riuscita a dirgli di no. Ma mentre stavano camminando, d’un tratto il ragazzo l’aveva spinta in un vicolo e le si era buttato addosso: l’ultima cosa che ricordava era un dolore lancinante al collo. Guardò il suo cadavere e scorse due piccoli fori all’altezza della giugulare. Riguardò la fanciulla e solo allora si accorse che gli specchi intorno a loro non le riflettevano.

Martina cominciò a guardare freneticamente in tutte le direzioni, ma nessuno specchio le restituiva il suo sguardo spaventato: “Sei morta.” Sentì d’improvviso. Guardò la giovane accanto a lei che in quel momento la guardava con sul viso un sorriso triste: “Lascia che ti racconti la mia storia…”
Spaventata. Non c’erano altre parole per descrivere il mio stato d’animo in quel momento, mi sentivo frastornata e mentre cercavo di realizzare ciò che veramente era successo, lei parlò:”Lascia che ti racconti la mia storia…” Caddi spossata sul letto e la guardai in un muto assenso. Quella con voce dolce e con un sorriso malinconico cominciò a narrarmi la sua storia:

Oriane; aveva solo sedici anni quando il destino decise di farla innamorare di un giovane signorotto della sua contea. La sua matrigna aveva insistito tanto per farli incontrare decantando le lodi del giovane, affermando che con la sua bellezza avrebbe potuto persino aspirare a sposarlo. Bello, aristocratico, colto, e quando lui cominciò ad interessarsi alla piccola Oriane, si pensava che ella non avrebbe potuto essere più fortunata. Oriane aveva un talento straordinario nel suonare il violino e lui insistette molto per poterla sentir suonare nella sua dimora un caldo pomeriggio d’autunno. La sua matrigna la convinse ad andare da sola, relegando in un angolo tutti i dubbi che la giovane aveva. Era andata da lui e il signorotto l’aveva accolta con un “suona per me” e la piccola Oriane aveva suonato, avvolgendo l’intero palazzo con una dolce melodia per tutto il pomeriggio. Quella sera il padre era occupato con affari di famiglia e solo a notte inoltrata si accorse che la sua principessa non era rientrata. Si era diretto a casa del giovane per cercare la figlia, ma egli aveva detto che la giovane era andata via prima di cena. Il padre disperato cercò la figlia per giorni. Nulla gli toglieva dalla testa che quel signorotto avesse rapito la sua bambina. Convinse gli uomini del villaggio ad accompagnarlo, ma quando arrivarono al suo palazzo, il giovane era già andato via. Dietro alla residenza c’era un cimitero e sotto un salice piangente giaceva il corpo della piccola Oriane ricoperta solo da una cascata di foglie secche, vegliata da un angelo di pietra posto poco più in là dell’albero. Il suo aspetto era rimasto immutato, intatta in tutta la sua bellezza. Due piccoli fori facevano la loro comparsa sul suo pallido collo.

Il suo racconto mi lasciò stordita, le uniche cose che riuscì a chiederle fu “Chi? Quando?”.

“ Il suo nome è Ezequiel. Nel 1223.” La guardai in tutta la sua eterea bellezza: “L’ha fatto per me, perché sapeva che mi sentivo sola.” L’unica spiegazione ad una morte prematura, inspiegabile.

Quanti anni sono passati da quando quel giorno mi sveglia in quella stanza buia? Ormai ne ho perso il conto. Troppi, o forse troppo pochi. Infondo cosa importa del passare degli anni quando hai innanzi a te l’eternità? E mentre cammino per quel giardino abbandonato scorgo Oriane che suona il violino dinnanzi all’angelo di pietra, unico testimone della sua morte, unico amico per oltre 900 anni. La melodia che si sprigiona dallo strumento è dolce e malinconica e mentre mi siedo su una panchina, poco lontano da lei, nella mia  testa cominciano a riecheggiare le parole che io stessa ho scritto per quella dolce fanciulla rimembrandola sua storia:

Oriane  adorava contemplare quegli occhi di pietra, sotto la fievole luce di una lucerna…dietro il ricordo di quelle malinconiche paludi, il cavaliere dall’aspetto emanciato, lasciò trascorrere gli anni perché scaturisse dalla sua mente il ricordo di Oriane, la principessa rumena dei suoi antenati. Da lei apprese il linguaggio dei violini, la fantasia sfociata in esplosioni d’ispirazione artistica e nell’amore per la vita. Lungo il suo incessante cammino d’animo idealista, dinnanzi a lei s’aprivano costantemente sentieri disseminati di lapidi: lo sguardo dei defunti dietro dimenticati epitaffi e il lamento della brezza nell’estrema seduzione degli alberi del bosco. Ezequiel immaginò di percorrere la grana rugosa della pietra con le sue dita e fu allora che comprese quella strana passione di Oriane per un idilliaco angelo di pietra. Comprese che quel sorriso abbozzato nella dolce commessura e quelle ali spezzate, col passar del tempo, tanto incantarono, fin dalla fanciullezza, la giovane principessa che condivise la sua innocenza con le ombre del cimitero. Tanto arrivò ad amare quell’inerte cherubino che, col passare del tempo nacque in lei l’artistica brama di scolpire espressioni a rilievo, di ricostruire le sue ali disposte in pezzi e di suonare musica per lui, con le ritmiche note d’ un violino color cremisi. Tutto per poter dar vita  all’essere di pietra che aveva ottenebrato il suo cuore. L’oscurò corteggiatore la spiò nei suoi deliri artistici per anni e una notte si palesò a lei, condividendo le sue aspirazioni, sotto il vigile sguardo dell’essere alato. Ezequiel prestò ascolto alla giovane dama, persa in quelle amorose fantasie e le chiese come pensava di dar vita ad un tale sublime angelo muto…ma rispettò la sua innocenza solo per poco…il vampiro volò via saziato per sempre, sbattendo le sue ali membranose e lasciando dietro di sé la moribonda fanciulla, mortalmente bella ai piedi dell’immobile scultura. Da allora e fino ad oggi, la dolce ragazza svela il suo volto al calar della sera e in un castello lontano attraversa centinaia di muri imponenti, intonando i suoi canti nel silenzio dei corridoi della grande fortezza. Fra le ragnatele del passato ricorda il  volto di tutte le dame ritratte con languidi sguardi, la freddezza incorniciata d’antichi cavalieri e il rifulgente splendore d’armature d’argento. Ezequiel sapeva da sempre che, dopo la morte, lei sarebbe tornata alle sue antiche passioni per ricreare i suoi omaggi musicali e passeggiare invisibile mentre tutti stanno dormendo. Sono secoli che il suo riposo è protetto dal bel cherubino marmoreo e le sue gelide ali le strappano il vestito quando si sveglia, contemplando lo scorrere delle stagioni. L’angelo sorridente bisbiglia il suo nome con un cadenzato tremore e lei finalmente si sente morta, proprio come lui. Sono uniti da anni e lei sugge dalla fredda giugulare dell’amato il sangue agognato, s’immerge nella sua sonnambula fantasia continuando ad amarlo con una sfrenata passione. Ezequiel osservò per alcuni istanti i gargoil dall’orrendo sguardo che s’innalzavano impetuosi vigilando sull’orizzonte. La cerea fanciulla portò i segni di quegli artigli di calce e di muffa, là dove un tempo si liberò del sudario che le copriva i seni e nel cui ruvido tessuto, anni prima, conficcò le unghie in cerca di vita; molto prima d’iniziare il cammino verso il sentiero del castello. Come un soprano senza memoria, continuerà a cantare melodie e canti pagani tra le mura di un polveroso salone laggiù fra corridoi stracarichi d’avi dimenticati e arrugginite armature. Giammai perderà la passione per il suo artistico estro. Eternamente danzerà tra l’edera col vecchio violino vermiglio, suonando per il suo amante di pietra. La principessa dei racconti di fate esiste, come fosse un fuoco fatuo nella realtà di quel camposanto. Ma nessun principe necrofago tornò mai a visitarla. Nessuno baciò più i suoi resti mortali per resuscitare il suo corpo disteso nel fogliame. Il suo oscuro padre non la dimentica…sua figlia sarà la luce che guiderà il cammino di tutte le fanciulle morte per mano malvagie matrigne e di tutte le streghe che per loro disgrazia arsero dopo essere state giudicate. Nell’armonia dei violini rimarrà impresso il suo sorriso, la sua immagine sibillina fra le nebbie e la brezza…
Ella è il fantasma del castello, per sempre bella ed eterna…

Note dell'autrice

Le parti in neretto sono tratte da Favole di Victoria Frances, io mi sono limitate a cambiare nome da Marquise ad Oriane. Spero vi sia piaciuta (l'immi è stata fatta da una mia carissima amica!) Lasciate un segno della vostra presenza!
  
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