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Autore: My Pride    07/08/2013    7 recensioni
Yo, ho, ho at the battle of bones, you sail the seven seas but you’re never getting home, well the sea answered back, “Old boy, where have you been?”
I’ve been waiting for a fight like this since time first began, so prepare yourself and get ready for your death ride, I’ll be taking you down to Davy Jones with your cargo and your pride.

«Temi tu la morte? Temi l'idea dell'oscuro abisso? Ogni tua azione scoperta, ogni tuo peccato punito? Io vi posso offrire una scelta: unitevi alla mia ciurma e proponete il giudizio finale. Cent'anni ancora sopra coperta. Vuoi arruolarti?»
Le leggende sono solo leggende. Leggenda o meno, però, ad attenderli fra le ombre c’era di sicuro qualcosa. Se lo sentiva sin dentro le viscere.
[ New World Arc ~ Spoiler dai capitoli 668 in poi ]
[ Terza classificata al contest «No words: multifandom contest» indetto da Audrey_24th ]
[ Prima classificata al contest «One Sentence» indetto da Reghina-chan e valutato da ZiaConnie ]
[ Prima classificata al contest «Don't be a drag, just be a Queen!» indetto da RoyMustungSeiUnoGnocco ]
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Mugiwara
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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Like Davy Jones_9
FOURTH SEASON › BEATING HEARTS
TO GET THE WINDWARD OF HIM, #01
 
    Quando riprese conoscenza, la prima cosa che Zoro mise immediatamente a fuoco fu la figura massiccia di Chopper, riconoscendo solo in un secondo momento il tono concitato della sua voce. Era riuscito a trovare gli altri? Erano forse tornati alla nave? E, soprattutto... era riuscito ad arrivare in tempo? Non ne aveva la benché minima idea, e fu proprio all’orribile pensiero di aver fallito che, con un gemito doloroso, tentò di sollevarsi a mezzo busto, avendo appena una fugace visione dell’infermeria prima di ripiombare a peso morto sulla brandina e sentire una fitta al braccio. Nel voltarsi vide distintamente una flebo, ma non era ancora certo di aver fatto del tutto mente locale. Merda... si sentiva completamente rintronato e aveva come la sensazione che qualcuno avesse poggiato un macigno sul suo petto e l’avesse abbandonato lì, per niente voglioso di tornare a riprenderselo per portarselo via. Che diavolo era successo?
    «Il cuoco», rantolò a mezza voce, dovendo tossire un paio di volte per schiarirsi la gola. Quanto tempo era passato da quando era svenuto? «Dov’è il cuoco?» chiese con tutta la fermezza che riuscì a trovare, sforzandosi ancora una volta di alzarsi da quel maledetto letto; ma la grossa mano pelosa di Chopper glielo impedì, schiacciandolo con la schiena contro la branda prima di scusarsi nel sentirlo imprecare per il dolore.
    «È meglio se resti sdraiato ancora un po’, Zoro», gli sussurrò in tono tremendamente comprensivo, serrandogli il cuore in una morsa. Ohi, ohi, un momento... perché Chopper gli parlava come se non volesse urtarlo in qualche modo? E perché diavolo non aveva ancora risposto alla sua domanda?
    Lo spadaccino trasse un lungo respiro e il solo farlo gli mandò i polmoni in fiamme, ma strinse i denti e tenne duro, alzando il viso per incontrare lo sguardo addolorato del dottore. Nay, andiamo... Chopper stava scherzando, vero? Lo stava semplicemente prendendo per il culo, no? «Chopper», cominciò, e sul suo viso, oltre alla sofferenza provocatagli dallo sforzo che gli costava parlare, si riusciva benissimo a leggere anche la rabbia che di lì a poco sarebbe esplosa. «Dove cazzo è quel fottuto cuoco di merda?» Pose quel quesito senza alterarsi e senza minimamente alzare la voce, certo, però fu proprio quella sua calma così sottile a freddare Chopper, che si sentì tremare dinanzi allo sguardo gelido del Vice Capitano. Allontanò  la mano dal suo petto e tornò alla sua forma originale, guardandolo dabbasso e torcendosi gli zoccoli.
    «Qui... non c’è molto spazio, ma abbiamo tolto il tavolo e sistemato un’altra branda per farlo riposare meglio
», rispose concitato. «Non è messo per niente bene, Zoro. Ho fatto il possibile per farlo riprendere, però...»
    «Cosa? Diavolo, no!» si alterò lo spadaccino, e, ignorando il dolore al costato, si strappò la flebo dal braccio con rinnovato vigore, mosso dall’orribile presentimento che quell’idiota potesse rimetterci le penne anche dopo tutta la fatica che aveva fatto per riportarlo a casa. Non avrebbe mai accettato di veder morire qualcun altro a lui caro senza poter far niente per impedirlo, dannazione. Men che meno uno dei suoi compagni. «Il tuo possibile non è abbastanza, Chopper». Cercò di riacquistare un minimo di razionalità, ma ormai, visti i nervi a fior di pelle, era più facile a dirsi che a farsi. «Quel fottuto idiota non può morire in questo modo». Si premette una mano su un fianco e, con un gemito, gettò i piedi oltre il bordo della brandina per provare ad alzarsi, venendo oscurato dall’ombra possente della renna, ritrasformatasi proprio per bloccarlo.
    «Non devi affaticarti, Zoro. Anche tu sei in pessime condizioni», lo redarguì, osservandolo in viso con un’espressione a dir poco severa. «Cerca di darti una calmata e dimmi cos’è successo».
    «Prima voglio vedere il cuoco», mise a condizione lo spadaccino, allungando il collo verso la seconda branda, e, per quanto Chopper avesse tentato di fargli cambiare idea, la sua decisione fu irremovibile. Il dottore, con un sospiro, dovette quindi acconsentire, capendo che Zoro non si sarebbe messo l’anima in pace fino a che non si fosse accertato con i suoi stessi occhi delle condizioni di Sanji. Lo aiutò lui stesso ad alzarsi in piedi, stando attento a non toccare nessuna ferita ricucita da poco o qualche contusione. Un’impresa piuttosto ardua, a ben vedere, poiché il Vice Capitano era tutto un livido. Ancora si chiedeva come avesse fatto a camminare conciato in quel modo, ma forse avrebbe dovuto smetterla di farsi quesiti così idioti, conoscendo Zoro.
    Chopper lo lasciò solo quando, raggiunta la branda del cuoco, gli impose di sedersi su uno sgabello che lui stesso aveva portato lì, prendendone poi un secondo per accomodarsi a sua volta non appena si ritrasformò. E non osò fiatare per tutto il tempo in cui lo spadaccino tenne gli occhi fissi sul viso di Sanji, come se lo vedesse per la prima volta.
    «Si riprenderà?» domandò infine Zoro in tono lieve, facendo vagare lo sguardo dal colorito cadaverico del viso del cuoco ai lividi violacei che gli segnavano il collo e lo scorcio di petto che riusciva ad intravedere al di sotto del lenzuolo. Il dottore si era premurato di lavargli via il sangue che gli aveva incrostato il volto e i capelli, e in parte era un bene, giacché avrebbe potuto credere che quello fosse stato tutto solo un fottuto incubo. Peccato che fosse la realtà, maledizione. E se pensava che quel Jones avrebbe anche potuto spezzargli il collo... cazzo, era stato fortunato ad essersela cavata solo con quelle contusioni.
    «Se reagisce bene alle medicine che gli ho dato, in un paio di giorni dovrebbe tornare cosciente», spiegò Chopper, a sua volta con lo sguardo puntato sul viso del biondo. «Sanji è forte... il suo organismo si riprende in fretta», aggiunse, forse nel tentativo di provare a convincere anche se stesso di quelle parole, ma si sforzò comunque di sorridere all’indirizzo di Zoro. «In fondo riesce a dare del filo da torcere anche a te, no?» Quel patetico tentativo di alleggerire la sgradevole situazione che si era venuta a creare parve funzionare, poiché anche lo spadaccino sollevò un angolo della bocca in una smorfia divertita.
    «Proprio per questo farà meglio a riaprire gli occhi», asserì, allungando fiaccamente un braccio verso Chopper per carezzargli la delicata peluria che aveva sulla testa. «E se non lo fa in fretta, ci penso io a spedirlo all’altro mondo».
    Rimasero in religioso silenzio, subito dopo, entrambi con lo sguardo fisso sul capezzale del cuoco. Chopper non aveva fatto altro che ripetersi mentalmente che sarebbe andato tutto bene e che Sanji si sarebbe presto svegliato, e, per quanto all’inizio si sarebbe potuto sentire un po’ confuso a causa dei farmaci che gli aveva somministrato, avrebbe riacquistato a poco a poco le forze e sarebbe tornato quello di un tempo, il cuoco attivo ventiquattr’ore su ventiquattro e con tutti gli arti funzionanti. Ecco. Doveva convincersi proprio di questo. Sanji avrebbe aperto gli occhi, la sua caviglia e il braccio sarebbero guariti con il tempo e tutti loro avrebbero potuto riprendere a viaggiare per realizzare i propri sogni.
    A quei suoi stessi pensieri, Chopper sollevò il viso verso lo spadaccino, osservandolo con attenzione. «Adesso puoi dirmi cos’è successo?» riuscì finalmente a chiedere, sicuro che quello che attraversò il compagno fosse un brivido. Lo vide poi scuotere il capo, ingobbendosi e abbandonando i gomiti sulle ginocchia.
    «Niente», replicò in tono schietto, ma il medico sospirò.
    «Mi avevi detto che me ne avresti parlato, se ti avessi lasciato vedere in che condizioni era Sanji».
    «Allora dammi la tua parola che resterà una cosa tra noi. Tra medico e paziente».
    Chopper si accigliò, incredulo. Perché tutta quella segretezza? Cos’era accaduto su quell’isola, se Zoro non voleva che gli altri lo sapessero? «Zoro... cos’è successo, esattamente?» domandò in un soffio, venendo folgorato da un orribile pensiero quando vide lo sguardo dello spadaccino indugiare sul viso del cuoco, come se si sentisse dannatamente in colpa per qualcosa. «Non... non sarai stato tu a ridurre Sanji in questo modo, vero?» pigolò, e bastarono quelle poche parole per far sì che Zoro si voltasse svelto verso di lui con la palpebra serrata.
    «Non dire stronzate, Chopper», sibilò, però, per quanto il tono apparisse scontroso e aggressivo, la renna trasse comunque un breve sospiro di sollievo. Non avrebbe dovuto nemmeno pensare una cosa del genere, certo, ma quel senso di colpa e quel suo voler tenere tutto nascosto avevano inculcato in lui il tarlo del dubbio. Dubbio che era stato velocemente dissipato dallo spadaccino, fortunatamente. Non avrebbe saputo come reagire, altrimenti. «Però... se fossi stato più forte, tutto questo non sarebbe successo».
    Chopper aggrottò la fronte e gli si avvicinò, battendogli delicatamente uno zoccolo su una spalla con fare comprensivo. Come aveva potuto dubitare in quel modo di Zoro, l’uomo che avrebbe dato la sua stessa vita per il bene comune della ciurma? Era stato un vero idiota. «Ci sono cose che non possono essere previste, Zoro. Non devi sentirti in colpa», provò a rassicurarlo, ma il Vice Capitano scosse immediatamente il capo.
    «Ero con lui, Chopper. Avrei dovuto fare tutto il possibile per evitarlo. Non mi sono allenato per due anni solo per veder morire i miei compagni davanti ai miei occhi».
    «Sei riuscito a portarlo alla nave nonostante tu fossi gravemente ferito, Zoro. Una persona normale sarebbe morta».
    Se fosse stato più lucido, probabilmente Zoro avrebbe di sicuro dato ragione al medico - ne aveva passate tante, era stato rattoppato alla bell’e meglio altrettante volte e nonostante tutto il sangue perduto non era mai crepato, cosa che un essere umano nella media avrebbe fatto prima ancora di raggiungere la Rotta Maggiore -, ma in quel momento non riusciva a fare a meno di pensare che avrebbe dovuto allenarsi più di quanto non avesse già fatto fino a quel momento, se non voleva rischiare di non possedere la forza necessaria per difendere i propri compagni. Dannazione, più di una volta aveva dimostrato a se stesso che sarebbe stato capace di sacrificare la sua stessa vita pur di mettere tutti loro al sicuro. «Davy Jones», dichiarò di punto in bianco, e Chopper lo osservò come se non avesse realmente compreso ciò che aveva appena detto.
    «Cosa?»
    «Me ne ha parlato il cuoco», spiegò senza mezzi termini. «L’ha chiamato così. Davy Jones. Un pirata maledetto, una leggenda vivente relegata sulla sua nave insieme alla sua ciurma, un demone del mare che reclama le anime dei marinai annegati... e quello stronzo era venuto a prendersi anche quella di questo dannato idiota». Il solo pensiero lo fece sorridere ironico, sebbene sapesse che non ci fosse assolutamente nulla di divertente, in quella maledetta storia. «Una fottuta leggenda si è presa il disturbo di attirarci su quest’isola come ha fatto con tante altre navi... ci crederesti?»
    Gli occhi di Chopper brillarono per un attimo alla sola idea che i due amici avessero incontrato un tipo del genere, tremando nell’immaginarselo come un uomo mostruoso munito dei tratti tipici di un Uomo Pesce, con tanto di occhi iniettati di sangue e incrostazioni sul carapace che componeva la sua schiena. Una figura oltremodo spaventosa, quella che si era affacciata nella sua giovane mente. Zoro e Sanji avevano rischiato grosso e si erano ritrovati ad affrontare un nemico simile, e il solo pensiero gli fece ammettere che erano stati decisamente fortunati a cavarsela; però, subito dopo, si lasciò sfuggire un sospiro accondiscendente. «Faresti bene a riposarti un po’, Zoro», provò a spronarlo, rimediandoci uno sguardo duro dallo spadaccino.
    «Non sto delirando, se pensi questo».
    «Non ho mai detto una cosa del genere», si affrettò a rassicurarlo, per quanto l’avesse davvero assalito il dubbio che i farmaci, uniti alle condizioni di Sanji e all’esperienza vissuta su quell’isola fatta di misteri ed illusioni, avessero alterato in qualche modo la fantasia dello spadaccino. A quei suoi stessi pensieri scosse il capo e afferrò il camice. «Devo cambiare le bende a Sanji, tu sdraiati lì e non muoverti», gli ordinò, indicandogli la branda con uno zoccolo. «E non provare nemmeno a toglierti le fasciature come tuo solito, capito?» lo freddò immediatamente, giacché lo spadaccino aveva portato prontamente una mano al petto per cominciare a disfarsi proprio delle bende che gli fasciavano il torace. Accidenti a Chopper. Non gli sfuggiva mai nulla.
    «Lo sai che non ne ho bisogno», borbottò Zoro per avere l’ultima parola, ma all’occhiataccia del medico fece come gli era stato detto, anche perché, e purtroppo doveva ammetterlo a se stesso, si sentiva maledettamente stanco.
    Forse Chopper aveva ragione. Un po’ di riposo avrebbe fatto bene anche a lui
.


    «Come stanno?»
    Non appena Chopper aveva aperto la porta dell’infermeria, il resto della ciurma non aveva perso un attimo a porgli in simultanea quella domanda, preoccupati a dir poco per i loro amici. Il dottore si era infatti chiuso lì dentro per oltre un’ora e mezza e, ormai divorati dall’angoscia, i ragazzi non erano più riusciti a resistere dal togliersi quel peso dallo stomaco, senza dare al medico nemmeno un attimo per respirare o fare il punto della situazione.
    Chopper si richiuse silenziosamente la porta alle spalle, zampettando verso il ponte con un lungo sospiro. «Zoro si è ripreso, ora sta riposando», informò, sfiorando con lo zoccolo la punta del naso per grattarselo distrattamente. «Chi mi preoccupa di più è Sanji... adesso si è stabilizzato, ma aveva il battito debole e respirava a fatica. Se Zoro non fosse riuscito a portarlo subito da me, a quest’ora sarebbe...» non continuò, lasciando la frase in sospeso. Sembrava che il solo pensiero lo atterrisse, e come dargli torto? Già una volta, a causa delle sue emorragie, gli aveva fatto prendere un colpo del genere e aveva rischiato di rimetterci la pelle, quello scemo di Sanji. Per non parlare di Zoro, poi. A volte aveva come l’impressione che ad entrambi facesse schifo la vita, visti i guai in cui si cacciavano in continuazione.
    «Ma adesso cook-san sta bene?» gli domandò accorato Brook, sorreggendo con due dita la tazzina ricolma di the che Robin era stata così gentile da preparare. Erano stati tutti agitati fino a quel momento, dunque l’idea di quella bevanda era sembrata la migliore che sarebbe potuta venire in mente all’archeologa.
    «Fortunatamente sono intervenuto in tempo, ma è ancora troppo presto per essere sicuro che non ci siano state conseguenze», rispose il medico, lasciandosi cadere seduto sul sostegno di legno circolare fissato all’albero maestro. «Erano entrambi pieni di ferite e contusioni... Zoro mi ha vagamente raccontato qualcosa», e si guardò bene dal dire cosa, avendo promesso che non ne avrebbe parlato con nessuno, «ma ho paura che le medicine che gli ho somministrato gli abbiano provocato qualche allucinazione», asserì, non riuscendo del tutto a credere alle parole dello spadaccino. Un demone del mare di nome Davy Jones? Anche se all’inizio era diventato euforico al solo pensiero, aveva poi attribuito il tutto ad un effetto collaterale dovuto ai farmaci. A ben rifletterci, però, da quando erano entrati nel Nuovo Mondo di cose bizzarre ne avevano viste, ma indagare oltre, ora come ora, sarebbe stato inutile.
    «Avranno incontrato quei mostri spaventosi, illusioni o meno che fossero. In fin dei conti abbiamo appurato noi stessi quanto fossero pericolosi». La costatazione di Robin lo distrasse dai suoi pensieri, e, proprio come gli altri - per quanto riluttanti a loro volta alla sola idea di quella prospettiva -, annuì. Le cose non potevano essere andata in nessun altro modo, d’altronde. Quei due se ne davano continuamente di santa ragione, era vero, ma da qui ad ammazzarsi a vicenda... beh, ne correva di acqua sotto i ponti, dunque non si erano di certo feriti combattendo fra loro. In fin dei conti, per quanto non l’avessero mai ammesso né a se stessi né al resto del gruppo, si rispettavano e si volevano bene come amici, se non come fratelli in eterna competizione.
    La ciurma passò poi i successivi due giorni a riprendere le normali attività, lasciando riposare i due compagni com’era stato raccomandato loro da Chopper, per quanto Rufy e Usopp andassero di tanto in tanto a controllare come stessero passando dall’infermeria alla cabina per tener d’occhio l’uno e l’altro. Sanji non aveva ancora ripreso conoscenza e se ne stava praticamente immobile nella branda dell’infermeria, mentre Zoro, di tanto in tanto, si girava su un fianco e imprecava chissà cosa fra sé e sé ogni qual volta sbatteva contro la cuccetta o le ferite strusciavano contro il materasso, per quanto avesse ancora la fronte sudata e sembrasse persino delirante.
    Sotto diretto ordine di Nami, inoltre, avevano tirato su l’ancora e, innalzato il vessillo sull’albero maestro, avevano sciolto i legacci e le cime delle vele, lasciando che il vento proveniente dall’oceano le gonfiasse per allontanarsi il più possibile da quella maledetta isola. Non avevano dovuto affrontare il temporale che li aveva improvvisamente colti all’inizio, fortunatamente, per quanto il mare ingrossato avesse reso comunque difficile e faticoso navigare in quelle acque e riuscire a manovrare il timone. Avevano potuto trarre un sospiro di sollievo solo quando la nebbia si era del tutto diradata e il sole li aveva quasi accecati, bagnando loro stessi e la Sunny con i suoi caldi e confortevoli raggi. E tuttora splendeva alto nel cielo, segnando mezzogiorno.
    «Uffa, quando si sveglia Sanji».
    Afflosciato sulla polena della nave, Rufy non faceva altro che guardare il prato che ricopriva il ponte e  sbuffare, provando inutilmente ad ignorare gli insistenti brontolii del suo stomaco. Si stava avvicinando l’ora di pranzo e lui non metteva qualcosa sotto i denti da più di un giorno, e bisognava ammettere che, conoscendolo, era decisamente un record. L’ansia per i suoi amici gli aveva persino chiuso lo stomaco, ma adesso che sembrava andare quasi tutto per il meglio aveva ricominciato ad aver fame.
    Robin, che in quel momento si trovava sul castello di prua ad innaffiare i fiori, gettò lui una rapida occhiata e sorrise benevola, mormorando un «Dos Fleur» per far fiorire due mani proprio dinanzi al Capitano, che si riprese seduta stante nel vedere i pasticcini ordinatamente riposti sui palmi. «Non saranno molto, ma spero che ti piacciano, Capitano», gli disse. «Li aveva preparati cook-san per me, ma posso cederteli tranquillamente, se hai fame. C’è anche del the», soggiunse, per quanto fosse sicura che il ragazzo avesse unicamente visto i pasticcini. E glielo dimostrarono i suoi occhi, che scintillarono come quelli di un bambino che aveva appena ricevuto un nuovo giocattolo.
    «Grazie, Robin!» esultò, tirandosi a sedere per afferrare i dolcetti nel momento stesso in cui le mani che li trasportavano sparirono; se li mise in bocca senza nemmeno gustarseli, troppo affamato per farci anche solo un pensiero, e, per quanto non avessero per niente placato la sua fame smisurata, erano pur sempre qualcosa. E mentre era intento a leccarsi le dita tutto contento per ripulirle dalla cioccolata rimasta, dabbasso vide con la coda dell’occhio la figura di Zoro, seguito a ruota dal piccolo Chopper.
    «Devi tornare a letto!» strepitò il dottore, venendo bellamente ignorato dallo spadaccino, che si limitò a voltare lo sguardo in direzione del Capitano nello scorgere il gesto di saluto e il sorriso che gli aveva appena rivolto.
    «Stai bene, Zoro?» gli venne chiesto con voce gioiosa e una mezza risata, e stavolta Zoro sorrise a sua volta, sollevando un angolo della bocca con fare sarcastico prima di alzare un pugno a scopo dimostrativo.
    «Mai stato meglio, Capitano».
    «Zoro!» lo richiamò all’ordine Chopper, aggrappandosi alla sua gamba destra. «Come medico ti ordino di tornare a letto!» sbottò, riuscendo finalmente a richiamare su di sé l’attenzione dello spadaccino, che si chinò verso di lui per afferrarlo sotto le braccia e allontanarlo delicatamente da sé.
    «Io sto bene, Chopper», gli fece notare poi, pur portandosi debolmente una mano al fianco che si era ferito in battaglia. Ah, accidenti... doveva andarci piano, con i movimenti. «Pensa piuttosto a quello scemo d’un cuoco».
    «Ma hai perso molto sangue!»
    «E dove sarebbe la novità?» tentò di sdrammatizzare, e Chopper non si risparmiò dal saltargli addosso per assestargli una zoccolata proprio in mezzo alla fronte, lasciando un bel segno rosso di quella forma.
    «Proprio per questo devi stare a letto», borbottò, senza dar peso al mezzo lamento sfuggito dalle labbra di Zoro. Secondo il suo parere di medico, stavolta se l’era proprio cercata. «Vado a prendere le erbe per Sanji, se quando torno non ti trovo in cabina ti somministro un sedativo per cavalli e ti ci porto io trascinandoti per i piedi», soggiunse scontroso, riuscendo comunque a strappare al Vice Capitano un sorrisetto; lo vide poi trotterellare svelto verso il castello di prua, dove metteva spesso ad essiccare le sue erbe medicinali, e scosse il capo, venendo ben richiamato da un’altra risatina di Rufy, che scese dalla sua postazione per annullare la distanza che li separava.
    «Forse dovresti ascoltarlo», gli disse con un gran sorriso, e Zoro sbuffò ilare, adocchiandolo di sfuggita.
    «Ma sentilo... non sei forse tu il primo a fare l’esatto contrario di ciò che ti si dice?»
    «Io sono il Capitano, posso permettermelo», affermò divertito, dandogli una poderosa pacca su una spalla; lo spadaccino si accasciò in avanti e imprecò a denti stretti nel faticare a ricomporsi, tanto che Rufy allontanò immediatamente la mano e si grattò dietro il capo, facendo praticamente finta di niente. «Scusa, Zoro! Ti fa male?»
    «Nah, sto alla grande», ironizzò, per quanto non ci fosse nulla di divertente in quella situazione. Merda... si sentiva praticamente a pezzi, peggio di quella volta a Thriller Bark. Ma si sarebbe squarciato il ventre piuttosto che ammettere una cosa del genere. «Piuttosto, uhm... prova a tenere occupato Chopper».
    «Vai a trovare Sanji?» Zoro, a quella domanda posta così a bruciapelo, si accigliò. Accidenti, quando voleva sapeva essere davvero perspicace, quello scemo di un Capitano. Oppure era lui ad essere letteralmente un libro aperto e ciò che aveva intenzione di fare gli si leggeva in faccia. Scosse il capo, adocchiando Rufy.
    «Tu provaci e basta... ti rimedio qualcosa da mangiare», se la sbrogliò, sortendo l’effetto sperato. Rufy difatti allargò il sorriso e si lasciò sfuggire una grossa risata, facendogli un cenno sbrigativo con una mano come a dargli via libera; lo spadaccino non se lo fece ripetere due volte, e, dopo aver gettato una rapida occhiata verso le piante di mandarini di Nami - dove si scorgeva solo vagamente il cappello di Chopper, chino a raccogliere le sue erbe -, si affrettò a salire le scale per aggirare dal basso il castello di prua e raggiungere una volta per tutte l’infermeria, aprendo la porta il più silenziosamente possibile. Se tanto gli dava tanto, prima del ritorno di Chopper aveva una decina di minuti o poco più. Potevano bastargli.
    Non appena entrò fu accolto dal lieve russare del cuoco, disteso sulla branda con una coperta che gli arrivava fin sotto al mento. Il viso era ancora un po’ pallido - più di quanto non lo fosse la sua carnagione normalmente, appuntò nella sua mente lo spadaccino - e aveva dei segni viola che gli contornavano gli occhi, ma tutto sommato sembrava star bene. Più di quando se l
era ricaricato in spalla sicuramente. «Brutto idiota», sussurrò alla sua figura dormiente, resistendo all’impulso di rifilargli un cazzotto sulla testa per vedere se riusciva a svegliarlo. «È la seconda volta che mi fai prendere colpi del genere, vedi di non farla diventare un’abitudine».
    Subito dopo, però, aggrottò la fronte nel soffermarsi attentamente sul viso del compagno, avendo avuto l’impressione che le sue labbra si fossero piegate in un breve sorriso. Scosse la testa e si diede dell’idiota, imputando quella stupida visione alla stanchezza che aveva accumulato in quel breve lasso di tempo. Secondo Chopper ci sarebbero voluti altri due o tre giorni prima che quello scemo d’un cuoco riprendesse del tutto conoscenza, dunque quel movimento delle labbra se l’era semplicemente sognato. Non poteva essere altrimenti. Si guardò comunque intorno con fare furtivo e, avvicinandosi piano al giaciglio di Sanji, gli sfiorò la fronte con due dita, in una lieve carezza rozza. «Cerca di riprenderti in fretta, ricciolo. Se lasciamo di nuovo i fornelli a Nami, finiremo tutti indebitati fino al collo», soggiunse in un soffio vagamente divertito.
    E mentre si allontanava in direzione della porta, lasciandosi alle spalle la branda del cuoco, le palpebre di quest’ultimo tremarono lievemente, sollevandosi per una manciata di secondi solo per catturare la fugace visione del pantalone nero di Zoro che spariva oltre la soglia
.









_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Sono schifosamente in ritardo, lo so. Volevo postarlo pian piano in attesa dell'arrivo dei risultati del contest a cui sta partecipando, ma la cosa andrà per le lunghe e far aspettare ancora per soli due capitoli mi sembrava un tremendo azzardo. Dunque eccolo qui.
Comunque metto subito le mani avanti: lo so che può sembrarlo, ma l'inizio di questo capitolo non è esattamente ZoSan. Cioè, insomma, l'intenzione è quella, ma volevo premere più sul fatto che Zoro sarebbe capace di fare ciò che ha fatto per qualunque dei suoi compagni, non solo per Sanji. Ecco il perché di tutto quel suo discorso sul non essere abbastanza forte e affini. Ehi, per quanto mi piaccia la coppia - e molti lo sanno fin troppo bene, in un certo senso -, anche io so capire il bromance e il nakamaship, su!
La seconda parte, invece, un pochino lo è. Ma soltanto un po', anche se persino Rufy ha subito capito che Zoro vuole andare da Sanji per vedere come sta. Non è così stupido come tutti credono, il buon vecchio Capitano u_u e chi meglio di lui riesce a capire quello zuccone dello spadaccino? Diciamo che si capiscono entrambi, ecco
Sproloqui miei a parte, la storia sta arrivando alla sua conclusione e il capitolo che posterò a breve - si spera - sarà l'ultimo
Al prossimo! ♥




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