Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: lolli_lollipop    08/08/2013    3 recensioni
-Promettimi che se ti innamorerai di qualcuno, di qualsiasi sesso, religione, stato sia, non troverai scuse.
Perché ricordati che “domani” può essere troppo tardi.
Bastava che mi decidessi un giorno prima.
Non fare il mio stesso errore.-
-Te lo prometto, mamma.-
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ebbene si, sono viva ancora.
Mi dispiace per chi seguiva My heart in your hands, ma non mi piaceva come l'avevo scritta.
La sto riscrivendo e ricomincerò a gennaio.
Intanto beccati questa cosuccia che è venuta fuori da un sogno mongolo che ho fatto :D

E' TUTTO INVENTATO, IO NON C'ENTRO E NON RIGUARDA ME.






2030

-Grazie per essere venuti.-
-Ancora tanti auguri!-
-Si, grazie. Buonanotte.-

Si buttò stancamente sul divano.

-Madre non voglio più feste di compleanno!-

-Lo dici ogni anno eppure . . . vado in cucina a bere, tu vuoi qualcosa, Renee?-

-Si grazie mamma, portami tanta, tanta acqua.- disse con una voce lamentosa, desiderando veramente un po’ d’acqua.

Rimasta solo in quell’enorme salotto, di quell’enorme casa situata in uno dei quartieri di ricconi a New York, Renee si alzò dal divano e prese quella foto, che era lì da prima ancora che lei nascesse.
Aveva deciso.
Oggi glie lo avrebbe chiesto, oggi avrebbe avuto le risposte che cercava.
Aveva guardato quella foto tante volte, di nascosto, chiedendosi chi fosse quella ragazza che le assomigliava veramente moltissimo, pur non avendo di fatto nessun legame con lei.
Una cosa la tormentava: quella ragazza era morta.
Doveva essere stata una persona importante, se la madre aveva deciso di darle il suo stesso nome.

-Ecco un bel bicchiere d’acqua con tanto ghiaccio, come piace a te.- disse la donna entrando nella stanza.

Renee si girò, tenendo il portafoto tutto decorato stretto tra le mani.
Questa volta non avrebbe lasciato perdere, non si sarebbe accontentata delle solite scuse.
Amy prese un bel respiro e si sedette sul divano.

-Voglio sapere tutto, mamma.-

-Oggi sarebbe anche il suo compleanno.-

-Mamma, per favore dal principio.-

-Vuoi davvero ascoltare la mia storia?-

-Non aspettavo altro-

Amy prese quella foto dalle mani della figlia e la guardò tristemente, poi prese l’ennesimo respiro profondo e capì che andava bene così.
 

Renee Moore
1996-2013

Quando la conobbi avevo 16 anni, lei 14.
Era appena arrivata nella mia scuola e non sapeva dove fosse la sua aula.
Ci incontrammo per caso in corridoio e mi chiese informazioni per trovare la sua classe, l’aula 42.
Il giorno dopo ebbi la brillante idea di andare quell’aula per sapere se l’avesse trovata.
Se avessi saputo tutto quello che ne sarebbe conseguito, non avrei mai messo piede in quella classe.
Comunque andare a trovarla per chiacchierare con lei dopo poco diventò un’abitudine, un’azione automatica.
Quando avevo qualche minuto libero o un’ora buca, quando c’era la ricreazione o l’ora di pranzo io camminavo automaticamente fino alla sua aula e aspettavo che uscisse.
Non riusciva a socializzare con nessuno, perfino con me faceva fatica a parlare, ma io ero una persona poco affidabile allora: i rasta, i piercing, i tatuaggi, tutto di me era “fuori dalle righe”.
Era sempre in silenzio.
I suoi occhi erano completamente spenti, ma stupendi: uno verde e l’altro azzurro.
Gli occhi più bizzarri chi avessi mai visto, ma decisamente i più belli.
Lei era bellissima.
Aveva questi occhi particolari, un nasino a dir poco perfetto, le labbra rosee, perfette anche loro, e dei capelli lunghissimi, fin sotto il fondoschiena, leggermente mossi e rossi come il fuoco.
Perfetta.
Mi chiedevo sempre dove fosse la sua scatola del pranzo, dove fossero gli spuntini.
Mi diceva che la mattina non aveva tempo per prepararseli e che mangiava a casa dopo la scuola e per un po’ ci credei.
Ma quando la conobbi era molto “piena”, e cominciai a sospettare qualcosa dopo aver notato che aveva almeno quindici chili in meno dopo appena sei, forse sette mesi.
Rimasi in silenzio per un anno.



Renee ascoltava in silenzio, avvertendo una strana sensazione allo stomaco nel vedere il volto della madre così triste.


Per me era diventata un’amica importante: avevamo molti interessi in comune, dalla musica, ai manga, ai videogiochi.
Non avrei mai rinunciato alla sua amicizia.
Eppure non cercai mai di scavare a fondo, non cercai mai di impedirle di farsi del male.
E ancora oggi mi chiedo il motivo.
Allora era che non volevo assolutamente entrare nelle sue questioni private, essere impicciona e moralista, non volevo che mi odiasse.
Dopo un anno capii che aveva un problema.
Spesso andavo a casa sua dopo la scuola e capitava che rimanessi a cena.
Lei era contraria, ma quello era l’ultimo disperato tentativo dei suoi genitori.
Pensavano che con me presente sarebbe stato diverso.
Invece no.
Ogni volta era uguale.
Urlava, piangeva, sputava, vomitava.
Non c’era verso di farle buttare giù qualcosa.
Quando mi decisi a parlarle era già tardi.
Dopo altri 6 mesi, al peso di trentasei chili, fu ricoverata.
Era irriconoscibile, senza forze, senza voce, piangeva sempre, da sola non stava in piedi.
Mi dispiaceva non sentirla più cantare, aveva una voce divina, voleva diventare una cantante.
Diceva sempre che la musica l’aveva aiutata a superare molte cose, e che anche lei voleva portare conforto tramite la musica.
Comunque non fu l’anoressia la causa della sua morte.
Fui io.


La figlia sgranò gli occhi.
Cosa poteva aver mai fatto di tanto grave la madre da far morire una persona?
Cosa era successo a quella ragazza?

 
Quando Renee uscì dalla clinica aveva ormai 16 anni e io 18.
Si era distanziata un po’ da me, ma io non l’avrei mai accettato.
Andai a casa sua e la supplicai di ritornare mia amica.
Ci sedemmo sul suo divano e parlammo per sei ore di fila.
Mi raccontò dei sei mesi in clinica, del fatto che mangiava solo l’indispensabile per stare bene, perché il suo rapporto col cibo non si sarebbe mai stabilizzato.
Mi disse che desiderava essere magra da quando aveva 10 anni, che in me aveva trovato conforto, e che adorava i miei rasta.
Non sapevo cosa c’entrasse.
Alla fine mi confessò che si era innamorata di me.
E dopo mi baciò.

 

Quello che le stava raccontando sua madre aveva dell’incredibile.
Non se lo sarebbe mai aspettato.
Non avrebbe mai e poi mai giudicato né la madre né la Renee della foto, vedeva il dolore scritto sul suo volto.


Io andai via sconvolta e non le parlai per settimane.
Ma non le avevo detto della mia bisessualità.
Questo rendeva la mia reazione ingiustificata.
Ma la verità è che avevo paura: paura di ammettere i miei sentimenti e di perdere la sua amicizia se qualcosa fosse andato storto.
Decisi di scusarmi con lei e tornare amiche, dicendole che però avrebbe dovuto accettare la mia relazione con James.
Lei acconsentì.
Mi disse “I miei sentimenti non intralceranno la nostra amicizia, te lo prometto.”
Certe illusioni non andrebbero mai create.
Andava tutto bene, finché io non decisi di buttarmi a capofitto nella relazione che avevo allora, sia dal punto di vista sentimentale sia sessuale.
Poi l’apice arrivò quando rimasi incinta.
Per i primi due o tre mesi non si vedeva nulla.
Io avevo sempre vestito largo, quindi nessuno sospettava niente.
Ero di buona famiglia e potevo avere tutta l’assistenza privata che volevo.
Feci l’errore di cambiarmi i vestiti davanti a lei.
Dovevamo uscire con degli amici in comune e lei venne a casa mia per decidere cosa metterci e prepararci assieme.
Se solo fossi stata più accorta . . .
Renee mi chiese se fossi incinta almeno dieci volte.
Intanto io sentivo che il nostro rapporto stava morendo, e lei con lui.
Quando mi decisi a dirle che ero incinta feci l’ennesima cazzata: parlai di aborto con lei.
Pochi mesi prima la madre aveva perso un secondo bambino nel giro di tre anni per un aborto spontaneo all’ottavo mese.
Dopo che le parlai di quello cominciò a stare male sul serio: piangeva, faceva incubi, aveva un forte dolore allo stomaco, cominciarono attacchi di panico.
Lei aveva desiderato quel bambino tanto quanto i suoi genitori e vederlo morto per la seconda volta l’aveva segnata profondamente.
Cercai di tranquillizzarla, perché io mi accorsi di tenerci davvero al mio bambino e che lo volevo a tutti i costi.
Sembrò calmarsi, ma in realtà era solo arrivata alla fine.


Le lacrime cominciarono a segnare il volto di Amy.
Aveva tenuto quel dolore al petto segregato per 17 anni e ora faceva dannatamente male parlarne.
 

Un giorno mi svegliai presto perché era arrivata una lettera per me.
Erano un paio di giorni che non dormivo, non facevo altro che pensare.
Ero arrivata alla conclusione a cui sarei dovuta arrivare mesi prima.
Decisi che dovevo andare da lei e parlare.
Dovevo dirle che James mi aveva lasciata perché per lui un figlio era “una responsabilità troppo grande”, dirle che per tutti quei mesi l’avevo segretamente ricambiata, che i miei occhi stavano morendo con i suoi, che l’avrei tenuta con me per sempre, che non mi importava di cosa sarebbe successo perché l’amavo, che quel bambino potevamo crescerlo assieme.
Avevo passato ore ad immaginarmi la nostra vita assieme, con un bambino.
Mi ero svegliata per la prima volta dopo mesi veramente felice e piena di buoni propositi.
Salutai amorevolmente i miei genitori, feci colazione con loro.
Non smettevo un secondo di sorridere.
Presi quella lettera e lessi che il mittente era proprio la mia Renee.
Immaginandomi chissà quali cose c’erano scritte, andai in camera mia tutta euforica e contenta.
Quel giorno avrei iniziato la mia vita con lei.
Ma non sapevo quanto mi stavo sbagliando.
Aprii la lettera e cominciai a leggere.
C’era tutto quello che non aveva il coraggio di dirmi a voce.
Quanto mi amava, quanto l’avevo fatta soffrire, quanto non reggesse più quella situazione.
Intanto io pensavo che non avrebbe più dovuto soffrire, perché io stavo per andare da lei e dirle quanto l’amavo in verità.
Tutta contenta cominciai a prepararmi, presi la collana che le avevo comprato e la impacchettai.
Poi strinsi la lettera tra le mie mani credendo che fosse tutto finito.
Lì mi accorsi che la lettera continuava sul retro del foglio.
C’era una sola frase.


“Quando leggerai questa lettera, probabilmente sarò già morta.
                                                                          Renee.”
 
Inizialmente pensai ad uno scherzo e così la chiamai sul cellulare, a casa.
Non rispondeva.
Cominciai a farmi prendere dal panico.
Urlavo, piangevo, non c’era modo di calmarmi.
Corsi fuori casa come una pazza e sempre correndo andai a casa sua.
Le finestre erano spalancate mentre la porta era chiusa.
La chiamai urlando ma non sentivo risposta.
Entrai da una finestra e la cercai in tutta la casa: in cucina, in salotto, in camera sua, in quella di sua sorella, infine in quella dei suoi genitori.
Poi vidi la porta del bagno leggermente aperta.
Presi un respiro profondo e spalancai la porta, entrando.
Quella che mi si presentò davanti fu una scena agghiacciante.
Ne conseguirono urla disperate e un pianto che non fui capace di fermare per molto tempo.
Lei era lì, distesa nella vasca, più pallida del solito, la bocca leggermente socchiusa e gli occhi aperti.
E poi sangue.
Sangue ovunque.
L’acqua era diventata scarlatta.
Il suo corpo era ricoperto di profondi tagli, quello più orribile alla gola.
Vicino alla vasca c’era il coltello insanguinato.
Camminai tremante in quel mare di sangue e le presi la mano.
Piansi, piansi tantissimo.
Chiamai la polizia, e rimasi vicino a lei per ore, a stringerle la mano.
Prima che portassero via il suo corpo le dissi quello che avrei sempre voluto dirle.
Ti amo.



Ormai le lacrime erano impossibili da fermare.
Madre e figlia erano colte da una terribile tristezza.
Renee abbracciò sua madre, capendo che doveva farle veramente male.

-Posso dormire con te mamma?-

-Certo che puoi tesoro.-

Le accarezzò leggermente la testa.

-Promettimi che se ti innamorerai di qualcuno, di qualsiasi sesso, religione, stato sia, non troverai scuse.
Perché ricordati che “domani” può essere troppo tardi.
Bastava che mi decidessi un giorno prima.
Non fare il mio stesso errore.-

-Te lo prometto, mamma.-

-Ora vai a metterti il pigiama, io metto a posto la foto e poi arrivo.-

Renee corse sopra a prepararsi per andare a dormire.
Intanto Amy rimase ancora qualche minuto a fissare la foto.
Accarezzò leggermente la foto.

-Ti amo.- disse in un sussurro.

E nel suo cuore poteva sentire la risposta.

-Anche io.-
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: lolli_lollipop