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Autore: Gosa    08/08/2013    0 recensioni
“Arcangel Belial”, quando sentì per la prima volta il suo nome tremai, ma non di paura, il mio corpo fu invaso da tantissimi brividi di piacere, ma non seppi mai spiegarmi il perché, avevo 16 anni.
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“Arcangel Belial”, quando sentì per la prima volta il suo nome tremai, ma non di paura, il mio corpo fu invaso da tantissimi brividi di piacere, ma non seppi mai spiegarmi il perché, avevo 16 anni.
Ero all’ennesimo ballo organizzato da uno dei facoltosi amici di mio padre. Gli uomini conversavano circa la politica mentre le donne si raccontavano le ultime chiacchiere di paese. Mi trovavo seduta tra mia madre e la duchessa di Balzoni e mentre mi lisciavo le pieghe del mio vestito turchese, distrattamente cominciai ad ascoltare il pettegolezzo del giorno che, alla fine, catturò tutta la mia attenzione. Riguardava la contessa di Monteforte, donna bellissima, dalla grande cultura e soprattutto ricchissima per la sua giovane età: infatti, ad appena 25 anni, si trovava ad essere la donna più potente del paese. Secondo queste voci la contessa aveva perso la testa per, meraviglie delle meraviglie, una giovane donna di 22 anni. Era arrivata da poco in questo sperduto paesino ma già era sulla bocca di tutti: si parlava dei suoi modi educati, della sua bellezza, da alcuni definita persino “innaturale”, e dei suoi magnetici occhi verdi. Sembra che la contessa l’abbia conosciuta ad un ballo e che si sia talmente invaghita della giovane, orfana che si trovava qui grazie ad un amico del defunto padre, tanto da prenderla sotto la sua ala protettiva e l’avesse persino convinta ad andare a vivere da lei.

“E’ talmente bella che la contessa di Vimini, quando l’ha incontrata, l’ha soprannominate Arcangel, perché la sua bellezza ricorda quella degli arcangeli!” Guardai la migliore amica di mia madre e chiesi con voce incerta: “Sapete qual è il nome della fanciulla?”

Lei dapprima mi guardò e poi socchiuse gli occhi come se stesse soppesando le parole:” In vero, mia cara, ha un nome davvero particolare: Belial.”  

Arcangel Belial… 

Rabbrividì ma cercai di non darlo a vedere. Non so perché ma quel nome mi sembrava quasi un tabù e ogni volta che lo sentivo pronunciare mi sembrava che si commettesse il più grave dei peccati. Non dovetti attendere molto per incontrare questa giovane donna che ormai era sulla bocca di tutti. Appena tre settimane dopo, per il mio diciassettesimo compleanno, i miei genitori organizzarono un ballo in pompa magna: loro utilizzavano la scusa della figlia unica per giustificare tanta magnificenza, ma in realtà volevano solo dimostrare che anche loro sapevano organizzare feste sontuose; fu invitata anche la contessa di Monteforte e la sua giovane ospite. Quando arrivarono e la vidi per la prima volta rimasi senza fiato.
Per la sua bellezza la contessa di Monteforte era paragonata alla dea Venere, ma per la bellezza di quella fanciulla non esistevano eguali. Mi si avvicinò elegantemente e mi augurò un “Buon compleanno” al quale io risposi con un balbettio decisamente poco elegante. La sua voce era dolcissima e i suoi occhi a dir poco stupefacenti. A ripensarci ora la sua bellezza e soprattutto i suoi occhi, quegli occhi verdi striati d’oro, erano inquietanti, ma a quel tempo vedevo solo una splendida donna. Passai tutta la serata a conversare con lei, era davvero insolito che una persona del suo rango, o almeno che mi superasse in età, si interessasse a me.
Lei fu la prima a considerarmi non più una bambina, ma per la giovane donna qual ero. Quella notte i miei sogni furono incentrati unicamente sulla sua persona e per la prima volta provai il desiderio di possedere una persona. Quando mi risveglia, all’alba, dopo l’ennesimo sogno che vedeva come protagonista il mio corpo e la sua bocca, sentì un fuoco bruciarmi dentro e un solo pensiero mi rimbombava in testa:

“La voglio!”

Mi alzai e cominciai a comminare avanti e indietro, misurando a falcate la mia stanza, non riuscivo a calmarmi, avevo il cuore che mi batteva a mille. Non riuscivo a fare altro che pensare alla sera precedente, ai suoi occhi che mi studiavano, al suo sussurrato “arrivederci” prima di andarsene. Quello stesso giorno convinsi mia madre a portarmi al Salone, un palazzo dove si riuniva l’alta società per chiacchierare davanti ad un tè o per giocare a carte. Vi andai con la speranza di vederla e non so quale dio, o diavolo, mi ascoltò, tant’è che la incontrai: era circondata dagli uomini più facoltosi e dalle donne più affascinanti del paese. Mi avvicinai e la salutai educatamente. Ancora non posso dimenticare il sorriso che mi rivolse e che fece di lei la mia ossessione.
Cominciò a diventare il mio pensiero fisso, avevo un vero e proprio bisogno fisico di vederla, di parlarle, di guardare quegli occhi che sapevano stregarmi. A mano a mano che passavano i giorni cominciai a diventare scontrosa con tutti, ero sempre di malumore, pian piano persi la vivacità che mi aveva sempre caratterizzata, il sorriso scomparve dal mio viso per ricomparire solo quando lei era nei paraggi. I miei sogni erano sempre e solo incentrati su di lei, sul suo corpo, le sue mani che mi toccavano, i suoi occhi che mi scrutavano e mi incantavano.
Passavo le giornate chiusa nella mia camera a ripensare ai momenti trascorsi con lei. Qualche mese dopo, mentre stavo suonando il pianoforte - unica attività a cui mi dedicavo da quando lei un giorno mi aveva ascoltato e sorridendo aveva sussurrato: “Sei veramente molto brava, starei ad ascoltarti per ore”- e mio padre si trovava davanti al camino a leggere il giornale, entrò mia madre di corsa, stravolta, non l’avevo mai vista così. Mai potrò dimenticare il suo sguardo quando disse: “Hanno trovato la contessa di Monteferro, si è impiccata.”
Era da un po’ che la contessa non si faceva vedere ma Belial aveva detto a tutti che lamentava alcuni disturbi allo stomaco e che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Appena realizzai la notizia corsi subito a casa della contessa infischiandomene persino dei miei genitori  che mi chiedevano dove stessi andando.
Corsi a perdifiato e quando arrivai c’era già un nugolo di persone accorse alla notizia. Vidi delle persone trasportare un corpo sotto un velo bianco e il mio arcangelo, come ormai ero solita chiamarla nella mia testa, che con sguardo e viso impassibili si trovava nel giardino guardando la barella che trasportava il corpo della giovane contessa. Mi avvicinai e istintivamente l’abbracciai.
Lei ricambiò subito l’abbraccio, ma non parlò. Non disse nulla neanche quando l’accompagnai in casa e le preparai una camomilla, ne quando la misi a letto sussurrandole parole di conforto. Tre giorni dopo ci furono i funerali. Solo allora lei parlò: eravamo sulla tomba coperta di fiori, il sole stava tramontando ed ormai vi eravamo solo noi due in tutto il cimitero:
“Sono sola.”
Due parole appena sussurrate ma che rimbombarono nella mia testa come il più straziante degli urli. L’abbracciai e urlai: “Non sei sola, ci sono io con te.” La guardai dritta negli occhi e la bacia: fu un lieve sfiorarsi, ma fu capace di accendere un incendio nel mio cuore. Lei sorrise: “Stai giocando con il fuoco, bambina.” La guardai dritta negli occhi: “Lasciami giocare”
“A tuo rischio e pericolo”, e mi baciò di nuovo mettendoci quasi possessione in quel gioco di lingue.
Qualche settimana dopo convinsi i miei genitori a lasciarmi andare a stare da le, che intanto aveva ereditato tutti i possedimenti della contessa. All’inizio erano riluttanti ma alla fine accettarono vista la mia insistenza. Il primo giorno che andai a vivere con lei fu l’inizio del mio inferno, un inferno dal quale non volevo più uscire. Pian piano cominciai letteralmente ad annullarmi per lei, vivevo solo per lei, di lei.

Passavamo tutte le notti a fare l’amore e i giorni cominciarono a susseguirsi tutti uguali, ero sempre con lei, la seguivo dappertutto, ero diventata la sua ombra; non potevo fare a meno di notare quante persone la circondavano, di ogni bellezza ed estrazione sociale e il dubbio che prima o poi si sarebbe stancata di me e mi avrebbe lasciato cominciò ad ossessionarmi. Mi stavo distruggendo ma nemmeno me ne accorgevo; vivevo con lei e tanto mi bastava. Una notte, un paio di mesi dopo l’inizio della convivenza, dopo aver fatto l’amore le confessai che l’amavo.
Lei scoppiò a ridere: “Il confine tra odio e amore è sottilissimo, ma quello tra amore e ossessione lo è ancor di più. Chi ti dice che in realtà la tua non sia ossessione scambiata per amore?”
La guardai: “L’ossessione ti fa battere il cuore all’impazzata? Ti fa sudare le mani quando ti trovi vicino alla persona in questione? Ti fa venire i brividi quando questa persona ti sfiora appena? Ti fa sorridere come una scema quando pensi a qualcosa che la riguarda? Se la risposta è si, allora significa che sono ossessionata da te.” Mi guardò con un accenno di sorriso: “Sei ancora in tempo per salvarti.”

La guardai stranita: “Salvarmi da cosa?” Cadde il silenzio, lei cominciò ad accarezzarmi i capelli e quando pensai che non avrebbe più risposto, parlò: “Sono stata io ad ucciderla. E’ impazzita esattamente come è successo a tutte le persone che mi sono state vicine; esattamente come succederà a te. Hai ancora il cuore puro, salvati finchè sei in tempo.” Le accarezzai la guancia: “Se salvarmi significa stare senza di te allora preferisco impazzire!”

“E’ l’amore che ti fa parlare così, o meglio l’ossessione che hai per me. Mandami via e ricomincia a vivere.”

“Mi ami?” le chiesi guardandola negli occhi, quegli occhi che riuscivano ancora ad incantarmi, nonostante fosse passato tanto tempo. Sorrise amaramente: “Non posso amare nessuno, il mio cuore e il mio amore sono maledetti. Le persone mi amano e io mi nutro del loro amore fino a svuotarle, fino a farle impazzire, fino a che non trovano la morte. Quello che provo io è solo piacere e soddisfazione nel vedere come loro si autodistruggono. Non è amore e se proprio vogliamo dargli questo nome allora lo definirei un amore perverso e autodistruttivo.”

“E allora perché vuoi salvarmi?” Aggrottò le sopracciglia soppesando la risposta:” Forse perché hai un cuore troppo puro, persino per me.”

Il giorno dopo cominciò a farmi conoscere molte persone, mi convinse persino a tornare per un paio di giorni dai miei genitori e pian piano cominciai a staccarmi da lei, ad uscire da quell’inferno in cui io stessa mi ero gettata, forse per ingenuità o forse perché, alla fine, io mi sono rivelata ai miei stessi occhi più perversa di lei. Quando seppi della morte della contessa sapevo che era stata lei a causarla, avevo visto quello che faceva alle persone che la circondavano; ovunque andasse attirava l’attenzione, tutti la cercavano, diventavano dei burattini quando lei parlava.
L’avevo visto, eppure mi ero gettata a capofitto in questa relazione perché l’amavo, l’amavo davvero e continuo tutt’ora ad amarla nonostante siano passati tanti anni e nonostante quello che continua a fare. Quattro mesi dopo lei si è trasferita in un altra città, ogni tanto ci scriviamo: lei mi racconta quello che fa, le persone che incontra e le città che visita e attraverso i giornali io apprendo il nome delle sue vittime, tutte persone importanti, infondo lei vuole solo il meglio. Sono l’unica che può vantare di essere stata con lei senza impazzire.

Perché mi ha salvata?

A me piace pensare che vedesse in me non solo una vittima, ma che dopo avermi conosciuta ed essere stata con me lei abbia voluto salvarmi perché provava qualcosa. Mi piace pensare che infondo, molto infondo, anche lei avesse un cuore e che provasse sentimenti. Non ho mai cercato una risposta a questa domanda, forse per paura; ho basato tutta la mia vita sull’idea che ho di lei e non voglio cambiarla.
Quando sarò pronta a rinunciare veramente a lei e a dimenticare - ma è davvero possibile? - quello che lei è stata per me allora glielo chiederò, chissà che la risposta non mi piaccia di più dell’idea che ho adesso…
Guardo il giornale che riporta la notizia del suicidio di un giovane magnate - era davvero un bel ragazzo - la sua ennesima vittima, e mi chiedo se forse non dovrei impedirle di mietere altre vittime innocenti; ma chi può fermare l’Arcangel Belial? Un angelo decaduto che ha fatto dell’amore la sua unica ragione di vita? Un amore che conduce alla morte…
Eros e Thanatos…
Ho sentito dire che si può vivere per amore ma che non si può morire a causa di esso, forse Belial è l’eccezione che conferma la regola…
  
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