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Autore: Lupus    16/02/2008    8 recensioni
Sakura passava così le sue giornate.
Stringeva a sé le gambe, cingendole con le braccia, e si lasciava cullare dal monotono e asfissiante cigolio della sedia a dondolo, perché quel movimento riusciva in qualche modo a calmarla.
Sakura si alzava da lì solo quando era costretta a farlo.
Mangiava, si dissetava, vomitava, fumava e poi vomitava ancora, nauseata dal riluttante aroma delle sigarette divorate che saturava l’aria intorno a lei.
Stava male. Sakura soffriva.
[Saku/Ita - Angst]
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Sakura Haruno
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: Contenuti forti
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Angels
 
 
Entrava ogni sera da quella finestra furtivo e silenzioso e la rapiva, trasportandola in una dimensione alternativa, diversa, fantastica, paradisiaca.
E lei lo seguiva – ah, se lo faceva! -, consapevole ed ignara al tempo stesso del pericolo che correva. Sempre.
Perché l’aveva rapita con le sue carezze, con i suoi baci. Aveva rapito il suo cuore, legandoselo al dito, costringendola, così, a non poter fare a meno di stargli accanto.
Viveva di lui, oramai, dei suoi difetti, di tutti quei piccoli momenti che le ricordavano di essere finalmente una ragazza normale, con una vita normale e una storia normale con un ragazzo normale.
Una ragazza che fingeva di essere normale.
Illusa, ma pur sempre felice.
La gente ama nascondersi dietro le cartacee mura della fantasia, perché non ci si può fidare di una realtà dove è Cappuccetto Rosso a divorare animalescamente i resti del povero e vecchio lupo.
 
 
Sakura passava così le sue giornate.
Stringeva a sé le gambe, cingendole con le braccia, e si lasciava cullare dal monotono e asfissiante cigolio della sedia a dondolo, perché quel movimento riusciva in qualche modo a calmarla.
Sakura si alzava da lì solo quando era costretta a farlo. Mangiava, si dissetava, vomitava, fumava e poi vomitava ancora, nauseata dal riluttante aroma delle sigarette divorate che saturava l’aria intorno a lei.
Stava male. Sakura soffriva.
Era arrabbiata con il mondo perché le aveva offerto una vita meschina che l’aveva tratta in inganno diverse volte, distruggendola. Togliendole tutto, anche l’unica ragione che avesse per vivere.
Desiderava Sasuke con tutta se stessa. Ma lui, meschino, l’aveva abbandonata.
Sasuke Uchiha era morto, ucciso dal suo stesso fratello.
E Sakura era andata in cerca di vendetta – ah, se lo aveva fatto! -, ma si era lasciata stregare da quegli occhi che somigliavano così tanto a quelli che sognava di avere per sé tutte le notti. E finalmente erano suoi, guardavano solo lei e nessun altro.
Gli occhi di un angelo.
Itachi Uchiha aveva sedotto Sakura, l’aveva illusa per poi abbandonarla sul ciglio di una strada di periferia a morire.
E lei si era fatta usare, pur sapendo che non c’era amore nei lascivi baci, nelle peccaminose carezze che si scambiavano ogni sera.
Eppure continuava a sperare, a pregare un Dio in cui non aveva mai creduto, senza neanche troppa convinzione.
Perché agli uomini non è mai interessato un mondo senza violenza, ma solo illudersi che ciò fosse possibile.
 
 
Appendersi alla vita. Era questo che, prevalentemente, Sakura faceva. Si appendeva alla vita e si faceva trascinare da essa perché non aveva più nulla in cui credere.
Era vuota: Itachi le aveva mentito.
Aveva visto in lui un’altra vita, nuovi sogni, dove lui era il principe e lei sua principessa, per cui vivere.
Credeva veramente di poter iniziare nuovamente tutto da capo perché aveva lui che la difendeva, lui che l’amava.
Lui che la tradiva.
Ma a Sakura non importava: era innamorata del suo sguardo, così simile a quello di Sasuke-kun. A lei non importava se Itachi era scontroso: le bastava poter contemplare in silenzio quegli stessi occhi che sembravano guardassero solo lei.
Perché per Itachi esisteva solo lei.
Lui era il suo angelo.
 
 
Mentre continuava a dondolarsi, Sakura ricordava. Ricordava il giorno in cui Itachi l’aveva rapita, trascinandola con sé nell’oblio.
Lei lo cercava, voleva vendicare la morte di Sasuke, la morte dell’unica persona che avesse mai amato in tutta la sua vita.
Naruto le aveva detto di non partire, di non lasciare la loro bambina sola, ma lei non aveva voluto sentire ragioni: non era più felice.
Così, dopo aver carezzato la diafana pelle della propria figlia, era fuggita, di soppiatto, in una notte d’inverno, mentre un’alligazione intrisa di pioggia e lacrime baciava con dolcezza le sue gote rossastre e finiva rovinosamente sul terriccio umido.
Sakura ricordava di aver trovato Itachi dopo giorni e giorni di lungo cammino. Era distrutta e infreddolita, ma bastò che lui posasse il suo sguardo (lo stesso identico sguardo di Sasuke-kun) su lei, per fare sciogliere tutto ciò che, fino a poco tempo prima, era cristallizzato.
Itachi la guardava come Sasuke non aveva mai fatto in tutta la sua breve vita. E Sakura, finalmente, si sentiva completa, si sentiva amata da qualcuno.
Gli occhi di Itachi erano fissi su lei. Lei e basta.
Lui era il suo angelo.
 
Sakura si era lasciata stregare da quello sguardo profondo che tanto le ricordava quello di Sasuke.
Si era lasciata rapire, aveva donato ad Itachi il suo corpo e la sua anima, abbandonando una figlia, un marito, degli amici. Perché a lei non piaceva la vita che faceva prima, non le era più piaciuta da quando Sasuke-kun li aveva abbandonati. Aveva preferito aggrapparsi spasmodicamente al primo appiglio che le era passato vicino. Ma, ora che finalmente il suo sogno era diventato realtà, ora che quegli stessi occhi, che tanto aveva desiderato di possedere, guardavano solo lei, Sakura aveva mollato tutto.
Si illudeva che la sua vita sarebbe cambiata perché era stato Itachi a comunicarglielo con un solo sguardo.
Lei lo aveva capito.
 
 
Sakura ricordava che Itachi, mellifluo, le si era avvicinato e aveva posato una mano sulla sua guancia, carezzandola come mai nessuno avesse fatto.
E lei era rimasta immobile, si era lasciata catturare dall’invisibile lenza che il ninja le aveva lanciato. Ci era cascata, come pure succede al pesce quando incontra, davanti ai suoi occhi, una mollica di pane appesa ad un filo: l’istinto prevale sulla ragione.
Perché l’uomo è sempre stato consapevole di sbagliare, ma non se ne è mai importato: si illude di poter rimediare a tutto con la sua scaltrezza, fino a quando, sul letto di morte, capisce di aver peccato, di non poter più rimediare, e, in quel preciso momento, preferisce appellarsi al giudizio di un Dio che, fino ad allora, non era mai esistito.
 
 
Sakura ricordava che Itachi l’aveva presa in braccio e l’aveva portata nel suo covo, dove, una volta soli, avevano fatto l’amore. Lei si era lasciata trasportare da quell’intenso flusso di emozioni, aveva risposto caldamente alle sue attenzioni, tradendo così suo marito, sua figlia e tutto quello in cui aveva creduto fino a quel momento.
Da quella volta, i respiri dei due ninja si erano scontrati in epiche battaglie altre dieci, cento, mille volte. Ogniqualvolta Sakura lo desiderasse, Itachi era lì, pronto ad amarla, a riempirla di attenzioni.
E lei adorava questi momenti, ma ancora di più adorava poter contemplare di nascosto gli occhi del suo amante, mentre dormiva. Gli stessi occhi che assomigliavano così tanto a quelli di Sasuke-kun erano finalmente suoi.
Sakura si era completamente venduta ad Itachi perché lui era il suo angelo e l’avrebbe protetta, fino alla morte.
 
 
Sakura arrestò per un solo secondo il lento e rassicurante dondolio della sedia su cui era comodamente seduta ed iniziò a piangere.
Le lacrime le solcavano le guance, ma lei non permetteva loro di scivolare meschinamente sul pavimento sporco. Aveva paura che potessero frantumarsi, che lei potesse ferirsi mentre raccoglieva i cocci di una realtà dolorosa, vile. Per questo motivo preferiva cancellarle.
Si portò le mani alla tempia e iniziò a massaggiarsi, come se potesse reprimere tutta la rabbia che serbava dentro. E questo sembrò funzionare: smise di piangere e tornò a farsi cullare dal monotono e asfissiante cigolio della sedia a dondolo.
 
Tremava, Sakura. Era letteralmente distrutta.
Soffriva perché si era lasciata incantare da Itachi, come una stolta.
Sapeva che, scappando, aveva abbandonato per sempre una vita costruita su un terreno instabile, con mattoni di plastica tenuti legati tra loro dall’ipocrisia che era in ogni suo piccolo movimento. Ma almeno era una vita (apparentemente) felice.
Alla fine, però, il rimpianto vinse sul rimorso, come l’istinto prevalse sulla ragione.
E Sakura decise di mollare tutto, di fidarsi di quello sguardo profondo e, all’apparenza, sincero, anche se sapeva, nel suo inconscio, che stava per vendere la sua vita ad un mercante fedifrago, ad una persona spregevole che avrebbe giocato con i suoi sentimenti: l’avrebbe fatta soffrire fino a quando non si fosse stancato e l’avrebbe abbandonata, in cerca di qualche altro divertimento.
Eppure lei continuava a credere, continuava a sperare che il tempo avrebbe cambiato le cose.
Illudendosi di potere, un giorno, trasformare radicalmente i comportamenti dell’amante, Sakura soffriva per l’infedeltà e per il cinismo del compagno. Aveva iniziato a bere e a fumare proprio per cercare un modo per reprimere la rabbia e l’insoddisfazione che serbava dentro.
Sakura si era lasciata logorare da una promessa falsa d’amore, si era lasciata uccidere da una speranza vana.
Il suo angelo l’aveva tradita, prima dentro, poi fuori. Aveva giocato con lei come se nulla fosse, senza preoccuparsi di averle rovinato la vita.
E Sakura, senza opporsi, si era lasciata usare perché a lei, inizialmente, importava solo poter contemplare le sue iridi così magnetiche, così incantevoli.
Lui aveva gli occhi di un angelo.
 
 
Continuando a dondolare, Sakura guardava il soffitto, senza preoccuparsi del forte senso di nausea che sentiva dentro. I suoi occhi erano cupi e tristi, il viso era sciupato. I capelli, sporchi, le arrivavano disordinatamente sotto le spalle. Non era rimasto nulla della vivace e solare ragazzina di un tempo: il veleno dell’odio le aveva risucchiato l’anima. I vestiti che indossava si erano ridotti a degli straccetti consumati dal tempo.
Sakura era diventata vuota, animata solamente dal pervertimento portatole dal dolore e dalla rabbia di essere stata irretita dall’uomo che amava.
Itachi non le aveva mostrato da subito le sue vere intenzioni perché, altrimenti, non avrebbe potuto divertirsi abbastanza.
L’aveva imbrogliata, illusa, e lei lo aveva lasciato fare.
Inizialmente si era mostrato premuroso, amorevole, quasi dolce, nei suoi confronti.
Sakura ricordava le prime volte che avevano fatto l’amore. Con le sue carezze, con i suoi abbracci dolci e sensuali era come se avesse voluto proteggerla sotto un involucro di vetro, come se avesse avuto paura di perderla.
Sakura godeva del suo sguardo, di quegli occhi così vividi e accesi che le ricordavano quando da piccola si soffermava, sola, ad osservare il sole che tramontava dietro il mare: avrebbe tanto voluto sparire via con esso e viaggiare, viaggiare, viaggiare e non tornare mai più indietro.
Lei si era innamorata di Itachi: lui era il suo sole, il suo angelo.
Ma, con il tempo, i suoi occhi avevano perso la lucentezza ed erano diventati, a poco a poco, sempre più vuoti, sempre più languidi.
E Sakura era riuscita ad accorgersi di questo quando oramai era troppo tardi per poter tornare indietro. Itachi l’aveva intrappolata a sé con un filo invisibile: non poteva più fuggire. E godeva – ah, se lo faceva! -, il bastardo godeva nel vederla soffrire, nel vederla spegnersi, giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto.
E Sakura, all’improvviso, aveva visto il mondo crollarle addosso. I sogni, le speranze che aveva costruito fino a quel momento erano tutti scomparsi, dileguati nel nulla creatosi dentro di lei.
Piangeva in silenzio, Sakura. Piangeva dentro. Era troppo orgogliosa per arrendersi così, ma, d’altra parte, era anche troppo stanca per continuare a lottare.
Itachi non la guardava più, non c’era amore nei suoi gesti, ma solo un istinto perverso e brutale. Sesso, e niente più.
Il suo angelo l’aveva tradita, prima dentro, poi fuori. Le aveva risucchiato l’anima per poi giocarci, spietatamente.
Gli occhi di Itachi si erano spenti, e con essi anche l’ultima speranza di Sakura di poter sopravvivere alla crudeltà meschina della vita.
Il suo angelo era morto, sotterrato da una montagna di ipocrisia e di odio.
 
 
 
Sakura smise di dondolare, scese dalla sedia e si incamminò verso il mobile, affianco al letto, per prendervi un oggetto metallico dalla punta acuminata.
Leccò via il sangue dal coltello, cercando di non vomitare a causa del disgustoso olezzo di fumo mescolato con quello della morte, e guardò con malcelato disprezzo il cadavere dell’uomo che aveva ucciso parecchi giorni prima.
Ricordava perfettamente l’espressione di Itachi, mentre, di soppiatto, si accingeva a trafiggerlo con il coltello. Il bastardo sogghignava, presuntuosamente.
Sakura non sapeva se Itachi l’avesse lasciata fare o meno, se, anche lui, non avendo più niente per cui vivere, si era lasciato andare. Non era neanche sicura che quello fosse il vero corpo dell’amante, viste le sue abilità ninja. Ma tutto questo non le importava più.
Era arrabbiata, ma più di ogni altra cosa Sakura era stanca.
Stanca della sua vita meschina, stanca di soffrire, di piangere. Stanca.
Il suo angelo l’aveva tradita, l’aveva usata come se niente fosse. Si era beffato dei suoi sentimenti, dell’amore che lei gli aveva regalato.
Non poteva sopportarlo. Sakura non poteva sopportare più niente, oramai.
Era distrutta, dentro e fuori.
Logorata dal dolore, dall’odio, dal disprezzo, dal rancore. Era morta, oramai, come erano morte tutte le speranze sulle quali aveva cercato di appendersi, senza riuscirvi.
La sua vita era diventata opaca.
Aveva creduto in troppe cose, quando era giovane, ed alla fine si era ritrovata con nulla in mano.
Il suo angelo, Itachi, l’aveva tradita, e a lei non era rimasto più niente per cui vivere.
Con lo sguardo perso verso il vuoto si girò il coltello tra le mani per qualche secondo, prima di infilarlo, con brutalità, nel suo stesso ventre.
I suoi ultimi, tristi, pensieri furono rivolti all’angelico viso della figlia, che, da qualche parte nel mondo, continuava imperturbabile a vivere la sua vita, senza una madre che la stringesse tra le sue braccia.
 
 
You took my heart
Deceived me right from the start
You showed me dreams
I wished they'd turn to real
You broke a promise
And made me realise
It was all just a lie
Could have been forever
Now we have reached the end
Così, cadendo, Sakura morì.
 
 
 
 
****
“Ce ne hai messo di tempo” – fu il laconico commento di un ombra celatasi tra le tenebre della notte.
“E’ stato più difficile e mellifluo di quanto pensassi” – rispose il compagno, ansimando per la fatica compiuta.
“Dovremmo proseguire verso il villaggio della Foglia. Vuoi che ci fermiamo così ti riposi?”
Silenzio.
Il solito interminabile silenzio che gravava su loro da sempre. L’assordante silenzio, interrotto solamente dal rumore della natura, di due anime che non avevano nulla da dirsi perché nulla avevano vissuto.
Lo sguardo dello shinobi affaticato si posò sul cadavere seminudo della giovane donna che giaceva sul terreno vicino a loro.
Per un attimo, un lunghissimo e interminabile attimo, l’immagine di una ragazza dagli stessi tratti somatici della donna morta ma con i lineamenti molto più giovani e l’espressione decisamente più felice si fece largo nella mente del ninja.
Nulla poté spiegare cosa fosse successo in quel preciso momento.
Itachi Uchiha, l’imperturbabile Itachi Uchiha, si sentì venire meno.
Un solo attimo di amore, quello vero, per distruggere le barriere della violenza, dell’odio.
“Sì, Kisame. Meglio riposarsi.”
 
 
 
 
 
 
 
 
N/A
 
La fanfiction ha partecipato al concorso di Suzako “Angels”, dall’omonima canzone dei WT (seppur ve la presento in una versione aggiornata, dal finale completamente diverso).
Quindi, le parole in corsivo e posizionate a destra non sono mie, ma di copyright del succitato gruppo musicale.
Neanche i personaggi sono di mia proprietà, in quanto l’ideatore è Masashi Kishimoto.
La trama della storia è puramente frutto della mia folle perversione e non ha nulla a che vedere con le reali vicende del manga.
Sakura è logorata dal dolore e dalla rabbia serbata nei confronti di una persona che lei amava, ma da cui ha ricevuto solamente forti schiaffi morali. Per questo motivo ho “accentuato” molto il suo carattere, rivelando un lato, forse, eccessivamente drammatico ed autodistruttivo del suo essere.
Ammetto, inoltre, che il rapporto spazio-temporale è alquanto confuso, ma proprio perché ho cercato di avvicinarmi anche con la narrazione a quello che era lo status psicologico della protagonista: dapprima felice, poi colta dai rimorsi (ma pur sempre confusa).
Infine, perdonatemi l’ooc, la trama romanzata, ma dovevo scriverla. Punto.
Saluti,
Lupus
   
 
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