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Autore: Will P    16/02/2008    10 recensioni
Se c’era una cosa, fra tante, che davvero non sopportava, era la costante presenza di rosa.
[Ryan/Chad]
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chad Danforth, Ryan Evans
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PINK

Disclaimer: Vi sembro il signor Disney? Ecco, appunto.

Notes: Banale e fluffoso fino all’ultima parola; ambientato in un momento non meglio precisato di HMS2 (indicativamente poco prima della partita di baseball).

 

 

PINK

 

Se c’era una cosa, fra tante, che davvero non sopportava, era la costante presenza di rosa.

 

Non bastava il caldo, non bastava il dover lavorare come schiavi alle dipendenze di una principessina modaiola ed egocentrica, e di certo non bastava nemmeno vedere uno dei suoi migliori amici fraternizzare con il nemico - no! Rosa, rosa, rosa ovunque per tenere alto l’umore della nevrotica principessina… e per far impazzire lui, chiaramente.

Chad non sapeva bene da dove arrivasse tutta questa repulsione per un semplice colore; forse poteva incolpare le sue cuginette, che da piccolo lo costringevano a giocare con loro in un trionfo di giocattoli fuxia, o magari era stata la sua prima fidanzatina delle elementari a traumatizzarlo con i suoi abitini confetto. Quale che fosse l’origine del trauma, l’unica cosa su cui si poteva star certi era che quel maledetto club non stava giovando alla sua intolleranza.

Insomma, va bene l’accostamento di colori e tutto, ma si stava rasentando la follia! Asciugamani, ombrelloni, poltrone, cocktails! Non aveva il permesso di accedere ai bagni dei soci, ma avrebbe scommesso la sua (futura) macchina sul colore della carta igienica.

 

Se ne stava giusto solo soletto a covare il suo cattivo umore mentre metteva a posto dei materassini in uno dei capanni nascosti dietro la piscina, quando una voce sfortunatamente ben nota arrivò flautata alle sue orecchie.

«Procede bene il lavoro, mr Danforth?»

Chad fece finta di non aver sentito e continuò imperterrito ad impilare gli attrezzi in un angolo della rimessa, con la speranza che il suo visitatore si stufasse di essere ignorato e se ne andasse da qualche altra parte. Ma, dopo un’occhiata da dietro una catasta di scatoloni, capì che i suoi desideri potevano tranquillamente andare a farsi una nuotata in piscina.

«Signorino Evans, desidera?» disse pigramente voltandosi verso l’altro. Trattenne a stento un urlo quando vide la graziosa mise che Ryan aveva scelto per l’occasione. Rosa shocking, tutto, totalmente e irrimediabilmente rosa shocking - cappello incluso.

Accecato dalla fosforescenza del vestito del ragazzo fece un passo indietro, sgranando platealmente gli occhi.

Ryan sbuffò divertito, «Sai, dovresti essere più… discreto, nel far capire cosa pensi del look dei soci.»

Chad aprì la bocca un paio di volte per rimediare alla figuraccia, ma quel concentrato di bagliore che era la t-shirt di Ryan sembrava avergli annichilito le capacità linguistiche. Dovrebbero essere illegali certe maglie, pensò mentre cercava qualcosa di sensato da dire.

…niente da fare, ancora troppo sconvolto.

«Chad, tutto okay?» Ryan sventolò una mano davanti al viso di Chad, iniziando a preoccuparsi per l’improvvisa immobilità del ragazzo. Non ottenendo alcuna reazione si avvicinò di qualche passo, chiamandolo con cautela.

«…Chad? Ti è venuto un ictus?» chiese sporgendosi in avanti per osservare meglio il suo viso. L’improvviso balenare di un cappello rosa a meno di un palmo dal suo naso riscosse Chad dallo shock; balzò nuovamente indietro con un urletto, come a voler mettere più spazio possibile tra sé stesso e lo sgargiante copricapo.

Ryan rimase un attimo stupito dallo scatto repentino, ma poi ridacchiò lievemente. Chad si accorse finalmente del ridicolo teatrino di cui era appena stato protagonista e tossicchiò, imbarazzato.

«Okay, insomma, che volevi?» chiese in un penoso tentativo di cambiare argomento.

Ryan scrollò le spalle, «Passavo di qui.»

«Certo, passavi per caso nell’angolo più remoto della tenuta e sei stato così premuroso da fermarti a salutare un amico che sgobbava.» ripeté scettico. Ryan rispose con un’altra alzata di spalle e uno sguardo annoiato che faceva ben capire quanto peso desse alle sue acide considerazioni.

Chad lo guardò per un po’, ma Ryan sembrava improvvisamente molto preso dall’osservazione della flora LavaSpringhiana, così decise di tornare al suo lavoro. Sussultò appena trovandosi a fronteggiare un’alta pila di asciugamani color confetto, che aveva quasi dimenticato per lo spavento di poco prima. Stava per rimboccarsi le maniche e spostare i minacciosi asciugamani quando Ryan ripeté in tono leggero.

«Comunque, non mi hai detto come va.»

Si voltò, perplesso, fissando Ryan per capire se fosse impazzito d’un tratto: sembrava essere in sé (per quanto un Evans possa “essere in sé”), e di sicuro non si era preso un colpo di sole, ben coperto com’era dal suo cappellino… quindi era serio.

«Uhm, tutto… tutto okay, credo…» rispose incerto. Ryan alzò un sopracciglio con fare canzonatorio, le labbra piegate in un accenno di ghigno.

«Oh, certamente, il tuo entusiasmo supera quello di Shar quando riesce a farsi dare la carta di credito da papà.»

«Sai, non è che correre in giro sotto il sole tutto il giorno e correre in giro carico di piatti tutta la sera sia il sogno di ogni ragazzo,» ribatté irritato «Soprattutto quando si è circondati da dannato rosa…» aggiunse poi a mezza voce.

Ryan ghignò, e Chad lo guardò confuso; l’insolazione era forse in agguato…?

«Stasera vorrai buttarti dalla finestra, allora…» proferì sibillino prima di andarsene senza un’ulteriore parola.

«Cos- stasera?» farfugliò Chad, ma si era già allontanato con la sua aggraziata camminata.

 

Ripensando alle parole di Ryan dopo essersi affacciato nel salone, Chad non poté che trovarsi d’accordo; rimpiangeva solo che la sala fosse al pian terreno, nonché del tutto priva di finestre.

La tavola a centro sala - la migliore, riservata ai signori Evans - era stata interamente apparecchiata in una sinfonia di pizzi, fiori e candele rosa che facevano sembrare il tutto una grande, ingombrante, pacchiana bomboniera. Non si aspettavano mica che lui lavorasse intorno a quel… coso, vero?

Alle sue spalle si sentì un gridolino deliziato e subito apparve Sharpay, praticamente piroettando estasiata verso il suo posto, seguita a breve distanza dai genitori compiaciuti e dal gemello, che sorrideva appena guardandola con dolcezza. Chad alla sua comparsa sentì una leggera stretta allo stomaco, che ricollegò prontamente al principio di nausea dovuto ai fronzoli rosa.

«È delizioso papy!» esclamò Sharpay alzandosi sulle punte per baciare il padre sulle guance. Il signor Evans rise condiscendente mentre l’intera famiglia si sedeva a tavola e un qualche cameriere correva ad accendere le candele (rosa) al centro della tavola.

«Mio Dio, mai visti tanti pizzi nemmeno in casa di mia nonna,» disse Troy apparendo al fianco di Chad; si voltò verso l’amico sorridendo complice «Tocca proprio a noi, eh?»

Chad roteò gli occhi e senza nemmeno rispondere partì alla volta dei tavoli e delle ordinazioni, mollando Troy da solo come un idiota. Decisamente, non era dell’umore per dare retta ai patetici tentativi di riconciliazione del suo migliore amico.

Nonostante i suoi sforzi non riuscì a tenersi lontano per tutta la serata dal Tavolo dell’Apocalisse (come l’aveva affettuosamente soprannominato), un po’ perchè gli altri clienti avevano già un cameriere di fiducia e un po’ perchè ogni volta che Troy si avvicinava agli Evans con le migliori intenzioni di prendere le ordinazioni veniva puntualmente distratto dall’adulazione di Sharpay o dai “discorsi importanti” del padre della ragazza.

«Cosa posso portarvi, signori?» domandò quindi atono, il capo chinato con aria afflitta e gli occhi bassi sul taccuino. Appuntò distrattamente i piatti senza sentire effettivamente una parola di quello che succedeva tutt’attorno, dalle chiacchiere del signor Evans con Troy che annuiva perplesso ma compiaciuto alla litigata di Sharpay con sua madre su un piatto che la ragazza voleva a tutti i costi, sebbene fosse stato escluso dal menù.

Mentre aspettava che si sbrigassero decidessero iniziò a scarabocchiare l’angolo della pagina del suo block-notes, facendo ogni tanto qualche vago cenno per dare l’impressione di stare attento. Concentrato com’era nell’esecuzione di un ghirigoro particolarmente ispirato non registrò subito il risolino all’altezza del suo gomito destro. Spostò sorpreso lo sguardo e incontrò gli occhi di Ryan, brillanti e divertiti, che lo fissavano intensamente.

Ricambiò interdetto la lunga occhiata, incapace per qualche strano motivo di interrompere il loro silenzioso scambio. Sentì un bizzarro calore intorno al collo.

«Danforth… insomma, Danforth!» strillò Sharpay «Di’ al cuoco che io pretendo il salmone, e non mi importa nulla se è finito, che vada a pescarselo da qualche parte! Chiaro?»

«Uh? Ah, certo Sha- signorina Evans, vado subito.» Chad sussultò, la sua attenzione ora interamente rivolta alle urla della ragazza. Ryan camuffò l’ennesimo risolino in un colpo di tosse, continuando ad osservarlo con la coda dell’occhio. Chad gli lanciò un’occhiata turbata prima di fuggire il più rapidamente possibile nelle cucine, per allontanarsi dall’ira della principessina e dall’improvviso sfarfallio allo stomaco.

 

Chad appoggiò la fronte contro il muro con un lamento afflitto. Alzò un polso a fatica e vide con gioia le lancette indicare le dieci e cinquanta; quasi si commosse pensando che sarebbe potuto andarsene da quell’inferno di rosa in appena dieci minuti. Nove e trentasette, anzi.

Ponderò l’opzione di tornare in sala in quegli ultimi nove minuti e ventinove per fare almeno finta di lavorare, ma il muro era terribilmente fresco contro il suo viso accaldato e anche solo l’idea di muoversi gli faceva dolere tutto. Che problema c’era se per altri otto minuti e cinquantanove se ne restava lì, nell’ombra del corridoio vuoto? Bastava che non passasse nessuno prima delle undici, doveva solo restare immobile per una manciata di minuti e nessuno avrebbe notato la sua assenza. Lui non veniva scoperto, il signor Fulton non l’avrebbe punito, e tutti sarebbero stati contenti.

Il filo dei suoi pensieri fu presto spezzato da dei passi leggeri che si muovevano proprio nella sua direzione, e le sue speranze di ozio crollarono a terra crudelmente infrante. Magari era Taylor, che l’avrebbe di sicuro lascito in pace…?

«Stanco?» domandò non un suo collega qualsiasi ma Ryan, sporgendosi da dietro un angolo del corridoio con espressione serena.

Chad emise un lamento che sarebbe stato più consono ad un cane ferito. «Tu - non - hai - idea. Ho le spalle talmente rigide che se mi spaccassi una sedia addosso non me ne accorgerei nemmeno.»

Sentì due piccole mani posarsi sulla sua schiena e premere in mezzo alle scapole, delicatamente, per poi salire alla base del collo. «Cavolo, sei tutto teso…» mormorò Ryan spostando le mani ai lati del suo collo, i pollici a sfiorargli la nuca.

Chad emise un mugolio soddisfatto e chiuse gli occhi, troppo stanco per protestare. Ci volle qualche secondo perché si rendesse conto di cosa stesse succedendo e si votasse di scatto, gli occhi sbarrati, scivolando contro il muro il più lontano possibile da Ryan.

«Cos… cha stavi facendo?!» sbottò in tono più acuto del necessario, soffocando la piccola parte di lui che protestava vivamente per l’allontanamento di quelle mani miracolose.

«Shiatsu.» rispose semplicemente Ryan «Non pratico solo lo yoga, sai. In più sembravi avere disperatamente bisogno di rilassarti.»

«Dio sì…» mormorò Chad passandosi una mano sul viso stanco. D’un tratto tenere le palpebre alzate sembrava un’impresa titanica. «Cioè, ho bisogno di andare a casa e dormire. Niente sciazzu o robe orientali, okay? E niente invasioni dello spazio personale, tipo, senza preavviso.» concluse gesticolando debolmente.

Ryan assottigliò lo sguardo, divertito, e fece un piccolo passo verso Chad, senza che questi desse segno di averlo notato. «Chiaro.»

«Bene, perfetto.» Chad abbandonò la schiena contro il muro, e sbuffò dopo che una rapida occhiata all’orologio da polso l’ebbe messo al corrente che il suo turno sarebbe finito in quattro minuti e sedici secondi. Ancora.

«Ti sei cambiato.» constatò senza motivo, accennando alla tenuta di Ryan, ora un discreto accostamento di pantaloni e t-shirt bianchi. L’altro annuì, più che per educazione che per altro, e Chad proseguì distrattamente «Stai meglio…»

Gli occhi di Ryan brillarono brevemente, e azzardò un altro passo. «Tu credi?»

Chad si strinse nella spalle «Non sembri più una bomboniera.»

Ennesimo passo.

«Davvero?»

Passetto.

«Ah-ah. Odio le bomboniere.»

Piccolo, impercettibile passettino…

«Buono a sapersi.»

Chad alzò gli occhi dall’orologio che stava fissando intensamente - nella vana speranza che le lancette scattassero direttamente sulle undici con la sua sola forza del pensiero - e si trovò ad osservare da una stretta vicinanza gli occhi del minore degli Evans. Troppo stretta vicinanza.

«Noi non… non avevamo fatto un discorso sugli spazi vitali?» biascicò, la gola chissà perchè d’un tratto seccatasi. Rimase imbambolato a contemplare quegli occhi, limpidi e magnetici, che sembravano risucchiare tutta la sua attenzione; non si accorse, infatti, del braccio che si posava ad un lato della sua testa, o del sorriso appena accennato su quelle labbra sottili.

«Ti sto dando fastidio?» sussurrò Ryan, esageratamente vicino al suo viso.

«No… cioè- sì, chiaro, spazio vitale…» farfugliò Chad con la mente annebbiata dalla stanchezza ma soprattutto dall’intenso sguardo dell’altro. Se solo avesse avuto meno sonno se ne sarebbe andato su due piedi, ovviamente, ma le sue gambe sembravano essersi disconnesse dal cervello. Non era mica colpa sua se non riusciva a muoversi né tanto meno respirare, cavolo.

«Scusa, non me ne ero accorto…» ghignò Ryan innocentemente «Però non mi sembra di essere così vicino,» proseguì precedendo le flebili proteste dell’altro «Voglio dire, potrei essere più vicino…»

E Chad si ritrovò a dargli ragione quando le loro bocche si sfiorarono, lentamente, timide nonostante tutto. Ryan poteva - no, doveva essere più vicino.

Passò le braccia intorno ai fianchi sottili del ragazzo, attirandolo in un contatto più deciso mentre le loro labbra si facevano più audaci e le mani di Ryan si intrecciavano ai suoi capelli.

Sospirò bruscamente sentendo la gamba dell’altro calda contro la propria, e Ryan non perse l’occasione di approfondì il bacio.

Chad iniziò a sentirsi stordito appena la lingua di Ryan sfiorò la sua, e fu preso dal bisogno di scoprire se la pelle dell’altro era morbida come la sua bocca. Ma non fece neanche in tempo ad afferrargli l’orlo della maglia che Ryan era sparito, lontano da lui di appena venti, infiniti centimetri.

«Scusa l’invasione,» disse Ryan reprimendo un sorriso esagerato, gli occhi semplicemente brillanti e le guance appena colorate. «Ora devo, ehm, andare.» Arrossì violentemente e fuggì, praticamente saltellando per il corridoio, dopo un frettoloso saluto con la mano.

Chad rimase immobile contro il muro, esibendo un’espressione da ebete di tutto rispetto. Spostò lo sguardo vacuo sull’orologio, ma non c’era cosa in quel momento che potesse importargli meno di distinguere i numeri sul quadrante. Non era neanche ben sicuro di ricordarseli tutti, i numeri.

Gli tornò prepotentemente in mente l’immagine di Ryan, radioso e con il respiro corto, che arrossiva. Era particolarmente bello con le guance tinte di rosa.

Si incamminò verso le cucine per timbrare il cartellino, decidendo di dover far arrossire Ryan più spesso.

 

Quella tonalità di rosa lo affascinava particolarmente.

 

 

 

 

---

Prima incursione nel fandom Disney - yay! :D

Non credo di dover spiegare il perché di questa coppia; la sola I Don’t Dance basterebbe, anche senza l’accecante gayezza di Ryan e tutto quel boy flirting.

La colpa di tutto ciò va alla mia dolce metà (che crede fermamente in uke!Chad ed è l’unica a darmi corda in questo mio malsano interesse XD Anche perché è stata lei a farmelo venire ù_ù) e al mio conflittuale rapporto con il rosa.

Will

   
 
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