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Autore: Claire Percy    09/08/2013    1 recensioni
Cambio del punto di vista, gli stessi avvenimenti di "La sua nicotina" ma visti dal punto di vista di Sherlock.
E se Sherlock finalmente si lasciasse andare -anche per una sola notte- all'amore, cosa ne imparerebbe? Come rivaluterebbe questo sentimento nuovo e sconosciuto?
[....Baci.
Sono sempre stato un mistero per me, come era possibile che si provasse piacere per il semplice contatto delle labbra? Ma poi, con lei, ho finalmente capito che nel bacio si trova la propria essenza, ci si mette in gioco, diventa una danza tra due persona che diventano una. È di un’intimità disarmante, ma allo stesso tempo non fa paura. ....]
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Una ciocca ribelle è finita davanti ai suoi occhi ancora congestionati dal sonno. La cosa mi irrita alquanto, così l’armonia del suo volto è persa. Allungo una mano e le libero il viso. Un viso non perfetto ma le cui imperfezioni per la prima volta non analizzo freddamente, bensì lo rendono semplicemente speciale, creano un legame unico che potrò avere solo con quel volto proprio per via di quelle imperfezioni.

“Ecco, così va meglio” dico con un sorriso.

Immediatamente il mio pensiero va a Molly, la sola e povera Molly dalla bocca troppo piccola, dalla bocca che mi muove solo critiche e non baci, Molly, che per la prima volta mi ha fatto aprire gli occhi, che mi ha fatto capire che talvolta anche essere Sherlock Holmes non è un alibi sufficiente per non essere ritenuto colpevole. Sherlock, il cui cinismo e mancanza di tatto si erano spinti troppo in là.

È da quella sera, la sera di Natale che le cose piano piano sono cambiate. Mentre analizzavo Molly, con la mia solita oggettività scientifica, non mi ero accorto del gelo che si era creato intorno a me, del silenzio delle persone che sapevano per chi Molly si fosse messa in tiro.
 

Solo io ero cieco.


Ma aperto il biglietto ho capito di aver fatto qualcosa di socialmente inappropriato. Se lì non avessi guardato Molly negli occhi, le avrei chiesto scusa di sfuggita, deluso da me stesso per il mio errore di deduzione –accidenti, non c’era un altro ragazzo come pensavo!-. Ma invece l’ho guardata e per la prima volta ho visto il vero dolore, no, mi correggo, di dolore ne vedo ogni giorno: ho visto la mia capacità di provocarlo e ne sono rimasto atterrito. Sherlock Holmes: l’uomo che rifugge da tutto e tutti non può fare a meno di ferire.

Il bacio che le ho dato non era sincero, non era da me, ma sapevo che le avrebbe fatto del bene, che dovevo pensare a lei e non a me. Qualcosa dentro di me ha detto, ha urlato, che era la cosa giusta da fare per lenire quelle ferite e addolcire quelle parole piene di risentimento che lei mi aveva rivolto.

Da quel giorno ho iniziato a tastare il mondo in cui camminavo, invece soltanto entrarci senza bussare. Sono stato più attento a John, pensavo prima di parlare, analizzavo l’umore delle persone prima di dire qualcosa. Sherlock Holmes è abituato a sentirsi dire di tutto, ma gli altri forse no.

Non che io sia diventato una persona sociale o empatica –le difficoltà sono veramente tante, e non so nemmeno se sono cose che fanno per me-, ma è stato un piccolo passo che mi ha permesso di consolare Ms Hudson dopo l’aggressione dell’americano e di finire ora dove sono adesso.



Lei si stiracchia sotto le coperte, poi mi fissa negli occhi con un sorriso infantile e mi dice “Com’è che sei ancora qui? Sono quasi le 9, a quest’ora di solito non sei già a sgambettare per tutta Londra alla ricerca di qualche cattivone?”

Mentre mi pone questa domanda le fisso il collo e paradossalmente è affondare il naso lì che mi sembra un’ottima cosa da fare alle 9 del mattino, non correre per Londra. Cosa sto diventando? Accenno una risata e punto dritto alla mia preda.
Con la voce che rimbomba nell’incavo del suo collo le rispondo.
“Mh. Sai, stupisco fin me stesso nel dirlo, ma non mi annoio. Sono fermo e non mi annoio.”
 
La noia. Il pensiero di quella vecchia maledetta mi trafigge immediatamente. Fino a questo momento sono vissuto in uno stato quasi di incoscienza, come se mi fossi preso una pausa involontaria del mondo e dall’essere me stesso. Ma la mia grande nemica è tornata a bussare sul mio cranio.
Sono turbato.
Mi tiro su a sedere lasciando quel caldo nido.

La consapevolezza mi si sta arrampicando addosso come un rampicante velenoso. Qualcosa non va, decisamente qualcosa non va.

“E non mi sto nemmeno arrovellando su alcun caso! Non sto pensando a niente! A niente!”

Non è normale, non sto bene, questo non sono io. Come posso permettermi di languire in un letto, quando il mondo è pieno zeppo di potenziali casi? E soprattutto com’è possibile che io mi sia lasciato andare a qualcuno? Io, Sherlock, l’uomo enigmatico, l’uomo che si è costruito una muraglia attorno a sé talmente spessa da non lasciar passare neanche uno spiraglio di luce. Quale arma letale ha aperto questa breccia?

Come al solito sono bravo a mascherare le emozioni –sono altrettanto bravo a costringermi a non viverle- e lei non ha notato la guerra che è scoppiata dentro di me, anzi sembra quasi divertita.

“Benvenuto nel mondo dei comuni mortali!”, mi dice.

No no no no no fermati, non dirmi una cosa del genere! Comuni? Non voglio, non voglio essere come nessun altro, non voglio, sono tutti banali, noiosi, stupidi, vuoti. Dove sto andando? Mi sto perdendo. Ho permesso a qualcuno di entrare in me e ora sto uscendo da me stesso. Maledetta breccia.
 
Ora ha capito. Si alza a sedere lentamente e poi, con altrettanta calma, posa le sue labbra sulla mia spalla –anche la tua bocca è troppo piccola! Ma dannazione, perché non mi sembra un difetto?-, facendo aderire lentamente ogni centimetro della sua bocca alla mia pelle. Il mio corpo mi tradisce, i recettori nervosi –dannata chimica, dovresti essere estremamente semplice e prevedibile- trasmettono al mio cervello una sensazione di calore e di piacere, mi lascio andare ad un piccolo fremito.

Mi sorride dolcemente.

“Vedi? Il tuo corpo ha apprezzato. Non tutte le cose belle devono essere complicate o raggiunte con fatica e sacrificio. Impara a lasciarti andare.”

Cosa mi stai chiedendo? Come pensi sia possibile una cosa così? Sai almeno cosa ho dovuto passare nella mia vita? Certo che no. Il mio passato è un mistero per tutti, anche se i suoi risultati sono posti di fronte a chiunque, ma se nessuno è stato ancora sensibile –o interessato- abbastanza da riuscire ad analizzarli e risalire alle loro origini. Sono io. Sono io il risultato della mia vita e non mi si può chiedere una cosa così. Ho conosciuto sempre solo le sfide, ho amato sempre e solo le sfide. Come posso lasciarmi andare a qualcosa di così semplice e così facilmente raggiungibile, qualcosa che mi è addirittura spontaneamente dato?

La fisso naufragando in questo mare, implorando che lei abbia una qualunque risposta. Di lei mi fido. Lei potrebbe arrivarci.

“Io non sono capace. E non voglio. E non è una cosa da me.”

Mi risponde col sorriso più materno che io abbia mai visto da più di vent’anni a questa parte –escludendo Ms Hudson, si intende- e sento che forse a lei potrei affidarmi, almeno un po’. Non sembra un sorriso che regala a chiunque. Sembra un sorriso per me. Qualcosa solo per Sherlock, il piccolo Sherlock.

Mi prende una mano e io non mi ritraggo, con le dita la accarezza e la saggia, sembra volersi ricordare ogni sua caratteristica per poi poterla riprodurre altrove. Nessuno ha mai guardo il mio corpo così. Non l’ho mai nemmeno permesso a nessuno, le uniche occhiate che ricevo per il mio corpo sono sguardi di donne per strada, ma sono sguardi lussuriosi, invasivi, mi producono immediatamente repulsione. Lei invece ha in mano il mio corpo, ma non sembra volerlo violare, soltanto viverlo il più possibile. Stai attenta, hai anche la mia anima tra le mani.

Sono passati diversi minuti quando poi apre la bocca, e quello che dice mi fa capire che ha, almeno in parte, centrato nel segno.

“Hai delle mani bellissime. Te l’aveva mai detto nessuno?”

No. Sei la prima.

“No. Solo John mi fa dei complimenti. Ma sono sulle mie capacità, non certo sul mio aspetto fisico.”

Il giorno in cui ho conosciuto John, lui non smetteva di riempirmi di complimenti, gliel’ho detto, in taxi, che ero abituato a ben altro. Era così strano per me sentirmi dire che tutto era fantastico: lo sapevo già, non pensavo di aver bisogno di sentirmelo dire, invece quelle affermazioni ammirate mi avevano riempito di orgoglio. È piacevole essere apprezzati, alla fine. Ma John è John. Lui può.

“Penso che sia questo il punto.”

Faccio finta di non aver capito, voglio vedere dove vuole arrivare.

“Le persone. Non sei abituato alle persone. O almeno, a lasciarti andare a loro. Passi la tua vita ad inseguirle, accusarle e dominarle.”

È praticamente l’unico modo che conosco di rapportami con le persone. Mi servono per far lavorare la mente, per non fermarmi. Ora dovrei iniziare ad andare in giro ad invitare gente a cena? Non riuscirei, non sono io. E poi, come sempre, le persone non mi piacciono.

“I criminali mi fanno giocare. Le altre persone sono noiose.”

“Non posso darti totalmente torto”

Alza un braccio nudo e indica la stanza, seguo le due dita: il letto, i nostri vestiti a terra –non ho nemmeno appeso il cappotto-, noi due nascosti da queste coperte sottili.

“Ma anche stare qui con me è noioso? Vedi, molte persone e molto di ciò che fanno è noioso, ma non bisogna arrendersi. Prendi John, non considerarlo un eccezione. Consideralo una porta, un esempio. Finirai per consumarti da solo altrimenti. Prenditi attimi senza pensieri, prenditi momenti di vuoto, permettiteli.”

Attimi senza pensieri? Io impazzisco se non penso. Io non posso non pensare, non posso fare qualcosa solo perché è piacevole. E questo John lo sa e lo rispetta. Capisci che mi è impossibile? Mi stai chiedendo di non essere Sherlock!

Al mio silenzio diventa terribilmente seria

“Sherlock, lo so che per te il vuoto è sempre e solo stato noia, ma ti assicuro che può essere molto meglio. Puoi fare mille cose senza arrovellarti troppo”

Mille cose? Dimmene almeno una!

Porca miseria.

Ne ho trovata una.
Tutti i miei pensieri si bloccano. Una, una sola, ma c’è, esiste davvero, anche per me, ed è ciò che sto vivendo ora. Un pensiero del genere dovrebbe terrorizzarmi invece mi infonde una calma inaspettata, una calma rilassata. Incredibile. Non sto cercando di risolvere nessun caso eppure sono qui, seduto su un letto a mattino inoltrato e senza preoccupazione alcuna. E sto bene. E non mi annoio.

È l’ora delle confessioni.

“Con te riesco a lasciarmi andare. Non mi annoio.”

Le persone sono ancora un mistero per me, ma l’abbraccio che lei mi regala non è troppo inaspettato. Ed è desiderato, molto. I nostri odori si mischiano, affondo il naso nei suoi capelli e le accarezzo la schiena, mentre lei mi stringe forte.

Il suo battito è accelerato, ma lo noto solamente perché il suo cuore sta battendo contro il mio petto, e sono sicuro che il mio segue lo stesso ritmo. È un abbraccio silenzioso ma pieno di significato. Quando ci allontaniamo le poso un bacio delicato sulle labbra.

Baci.

Sono sempre stato un mistero per me, come era possibile che si provasse piacere per il semplice contatto delle labbra? Ma poi, con lei, ho finalmente capito che nel bacio si trova la propria essenza, ci si mette in gioco, diventa una danza tra due persona che diventano una. È di un’intimità disarmante, ma allo stesso tempo non fa paura.

Mi fa sentire a casa.

Non è più una corsa, un inseguimento unidirezionale tra me e il cattivo di turno. Siamo due frecce che si incontrano creando qualcosa di bellissimo, una cosa nuova e unica, anche se essendo pura espressione del nostro sé più profondo ci rende estremamente vulnerabili.

Si è più nudi in un bacio che senza i propri vestiti.

“Prima di te non avevo nemmeno capito l’utilità dei baci.” Le dico semplicemente. Ancora non sono pronto per raccontare tutto ciò che mi passa per la testa, non saprei nemmeno da che parte incominciare. L’unica volta che l’ho fatto è stato quando mi sono sfogato con John per la storia del mastino e sono uscito sfinito da quel monologo.
 
Mentre ci stacchiamo lo sguardo mi cade sul mio braccio, ed è uno shock. È immacolato.

Un nuovo pensiero, più pesante di tutti, più terrificante e nuovo ma allo stesso tempo pieno di speranza mi invade la mente, ed è talmente grande che non posso non esprimerlo.

La dipendenza, la dipendenza, carogna maledetta, mi ha sempre perseguitato, perché in realtà non so stare in piedi da solo, in realtà sono il mio violino e i miei cerotti (nel migliore dei casi) la mia salvezza da me stesso.

Alla fine non ho mai fatto altro nella mia vita, sono io la mia più grande sfida, ho sempre combattuto con me stesso. In ogni criminale, in ogni crimine da risolvere c’ero io; risolvendoli sconfiggevo quella parte di me che mi perseguita e non mi dà tregua –quella che paradossalmente è l’essenza stessa del mio essere, dell’essere Sherlock-e il mio fuggire altrove con la mente, stimolarla perennemente con qualcosa serviva a non pensare a me, per non ricadere, accartocciato e sfiancato, ai miei stessi piedi e sentirmi senza via d’uscita.

E quando i casi difficili mi imponevano una stasi, ricorrevo sempre ad aiuti esterni. Stare fermi è rischioso, potrebbe farti imbatterti in te stesso.

Prendo fiato.


 E poi parlo.
“Le uniche volte in cui sono fermo senza annoiarmi sono quando penso, e se per pensare devo essere fermo vuol dire che si tratta di un caso davvero difficile, e se il caso è difficile non riesco a reggere tutti quei pensieri e quella stasi da solo, ho bisogno di miei cerotti. Due, tre, quattro. Non ce la faccio da solo.”
Spero di essere stato comprensibile ma non ne sono sicuro, e lo sguardo che lei mi rivolge mi dice, come volevasi dimostrare, che so parlare in modo estremamente chiaro quando devo descrivere la scena di un crimine, ma quando parlo della mie emozioni creo un flusso di coscienza affannato.

Ci riprovo, lentamente.

Sii chiaro Sherlock.

“Bene, sono qui da ore, è tutto nuovo e difficile per me, ma non ho nessun cerotto, né ho pensato un solo momento che ne avrei voluto uno.”

Le mie braccia sono candide e non mi sono mai sembrate così belle.

E tutto questo lo devo a lei, con la sua pazienza, la sua bocca troppo piccola e gli occhi traboccanti di amore. Sento che è possibile, che posso essere me stesso, posso non corrompermi ma allo stesso tempo amare, anzi, lasciarmi amare, che è la sfida più grande di tutte.

“Sei la mia nicotina, anzi no, sei meglio della mia nicotina, tu sei sana. Sei la mia colonna. Sei la mia sana nicotina.”

Ed ora finalmente capisco di cosa ho sempre avuto bisogno.


 




Era da un po' di giorni che mi frullava per la testa l'idea di riscrivere "La sua nicotina" dal punto di vista di Sherlock ,e mi sono scatenata parecchio, questo racconto è lungo almeno il doppio dell'altro. Ci sarebbero ancora mille cose da fargli dire e pensare e spero di averne l'occasione presto. Spero che questa fic vi piaccia!
C.
  
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