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Autore: Emera96    10/08/2013    4 recensioni
Due amiche che, nel cuore della notte, si scrivono dei messaggi.
Un messaggio sbrigativo, un messaggio sbagliato.
La voglia di abbracciarsi, di prendere il primo mezzo di trasporto e correre da lei.
Il coraggio di farlo davvero, non limitandosi alle parole.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Lei è lo spazio tra "per" e "sempre".



“Dai Elisa, vai a letto che è tardi.”
“Un attimo, sono al telefono!”
“Sempre con quel telefono in mano! Tanto domattina alle 6 ti sveglio.”
“A domani.”
 
Nel buio della mia camera, l’orologio segna le undici e mezzo. Come se fosse la prima volta che, come dice mio padre, sto “attaccata” al telefono fino a tardi. Quello che lui non capisce è che dall’altra parte di quel telefono c’è una persona che, ora come ora, ha solo bisogno di parlare con qualcuno che possa capirla. Qualcuno come me.
Qualcuno che sia capace di scavare nei suoi silenzi e che sappia leggere tra le righe qualcosa di più di quello che lei vorrebbe dirmi. Ma ho imparato ad amare quel suo carattere fatto di mille strati, fatti per nascondere una fragilità tutta da scoprire, che sa svelare solo a chi non si arrende ad una corazza superficiale.
“amore, devo andare a letto, mi dispiace.” le scrivo in fretta a furia.
“ah, va bene. Dai, non importa.”  risponde nel giro di qualche secondo.
“va tutto bene?”
“dai, non importa Eli. Ne parliamo domani. Buonanotte.”
Non insisto, perché so che non concluderei assolutamente niente mettendo su una parola dietro l’altra: in questo caso, anche le parole migliori del mondo sarebbero vane, servirebbero solo ad allargare un piccolo vuoto che si è creato tra di noi da qualche tempo.
Questo è uno di quei momenti in cui le parole sono solo l’anteprima dei fatti, come un buon antipasto prima di una cena perfetta.
Cerco di non pensare alle conseguenze quando mi svesto velocemente, accantonando in un angolo il pigiama, cercando di abbassare il volume di ogni mia azione, per non svegliare mio padre e il suo sonno fin troppo leggero per qualsiasi cosa, soprattutto adesso.
Questo è il momento di non sapere le conseguenze di quello che stai per fare, perché anche solo un pensiero razionale sarebbe capace di uccidere la tua idea e deluderebbe due persone in una volta sola.
L’orologio segna mezzanotte, so che devo sbrigarmi se voglio riuscire a trovare un autobus che mi porti fino a Firenze. Scendo i gradini a due a due, stando attenta a non emettere nemmeno un suono.
“Non puoi rischiare di svegliarlo. Ti chiederebbe che intenzioni hai e non riusciresti a spiegargli ciò che senti di dover fare.”  mi ripeto tra me e me, autoconvincendomi  di una verità amara da realizzare.
Mi convinco del fatto che non capirebbe neanche se lo spiegassi con le parole più semplici del mondo e non per una questione di intelligenza: nessuno, me compresa, sarebbe mai in grado di spiegare cosa siamo io e lei insieme.
Non saprei dire che mi manca anche se non ci vediamo da un’ora.
Non saprei dire che quando c’è qualcosa che non va, l’unica cosa che sono sempre sicura di poter fare è scriverle un messaggio. E la cosa più bella è quando lei mi risponde come se sapesse esattamente quello di cui ho bisogno, ma è bello anche quando si ritrova a consolarmi come se fossi una sorella piccola, e io sento che accanto a lei non ho paura.
Come puoi spiegare a tuo padre che se lei è triste lo sei anche tu?
“Anche se ci provassi non capirebbe mai.”  mi limito a pensare.
 
Vestita quanto basta per non sentire freddo, mi stringo nel cappotto e corro verso la fermata dell’autobus. Ormai è fatta.
Fortuna vuole che il penultimo autobus si sia appena materializzato davanti ai miei occhi, come se qualcuno dall’altro volesse darmi una mano nel mio intento già difficile di per sé.
Entro con cautela, come se qualcuno potessi fermarmi da un momento all’altro, anche se mi rendo conto che sto vaneggiando.
Ma noto quasi subito che non farò questo viaggio da sola.
Nell’angolo opposto al mio, seduto scompostamente, un ragazzo mi guarda con occhi attenti di chi non si lascia sfuggire nulla. Il cappello troppo grande copre a stento gli occhi verdi che non se ne stanno fermi un attimo ma rimanendo allo stesso tempo fissi su ogni mia mossa, sorridenti e curiosi come quelli di un bambino che ha molto da imparare.
“Dove devi andare?”  mi chiede, la voce bassa ma priva di malizia.
“Alla stazione. In ogni caso, non sono affari tuoi.”  rispondo sulla difensiva, ma anche attratta da quella strana curiosità.
“Ehi tranquilla, se preferisci farti 40 minuti di tragitto senza parlare e rimanendo completamente sola, fai pure.”
Beh, su questo non ha tutti i torti.
Allargandomi in un sorriso, mi siedo accanto a lui.
 
“Io sono Elisa.”
“Piacere.”
“Non ti presenti?”
“Non ce n’è bisogno. Perché vai a Firenze a quest’ora?”
“Non credo che capiresti. Se te lo dicessi, mi prenderesti per pazza.”
“E parli a me di pazzia? Stai parlando con un diciassettenne che ha preso il primo autobus che passava pur di non affrontare i suoi genitori. Volevo scappare. E adesso parlo con gli sconosciuti. Scusami, ma non credo che tu possa aver fatto di meglio.”
“Okay, come vuoi. C’è questa mia amica. Si chiama Erika.”
“Erika con la k?”  chiede scherzosamente.
“Sì. E’ da qualche tempo che non so cosa sta succedendo. Non riesce più a confidarsi con me ed è come se tra di noi ci fosse un muro altissimo dal quale lei non può separarsi. E quello stesso muro le impedisce di sentirmi e di vedermi. E’ come se lei sapesse che io ci sono, ma stesse cercando di convincersi del contrario.”
“Ti sta ignorando.”
“No, non è così. Ma sento che il nostro rapporto sta cambiando, e questo mi spaventa da morire.”
“Diverso non significa peggiore, sai?”
“Forse hai ragione. Dio, è assurdo raccontarlo ad un estraneo!”
“Forse è proprio per questo che me lo stai raccontando. Oh insomma, sono sicuro che a chi conosci non lo diresti mai.”
“E’ maledettamente vero. E sai perché? E’ difficile ammettere con qualcuno che un’amica a cui tieni tanto ti sta sfuggendo di mano. Ti senti impotente e cominciano a scorrerti tutti i momenti che avete passato insieme davanti, come milioni di diapositive che servono soltanto a farti sentire peggio.”
Mi accorgo solo dopo che sono scoppiata in lacrime.
“Parlami meglio di lei, dai.”
“Ci conosciamo da un paio d’anni, ma è come se fossimo cresciute insieme senza saperlo. Lei per me è la sorella che non ho mai avuto e che sa sempre farmi fare le cose giuste, anche se per aprirmi gli occhi a volte diventa troppo protettiva. Ma è bello, perché inconsapevolmente questo è il suo modo per proteggermi.
Crede in me più di quanto io abbia mai fatto in vita mia, e lo fa con le parole e i gesti più semplici e belli del mondo. Lei è lo sguardo attento di chi ti guarda e scopre subito che c’è qualcosa che non va, e riesce a capirlo anche se non mi sta guardando.
Lei è il messaggio della buonanotte che ti mette sicurezza e ti fa sorridere al pensiero che lei ci sarà. Lei è lo spazio tra “per” e “sempre”. Lei è un sacco di cose e tante altre di cui non sono nemmeno a conoscenza. Lei è la mia casa, è il mio posto preferito. Capisci che intendo?”
Con un cenno mi fa segno di continuare senza interrompermi.
“Stasera era strana e così sto andando da lei.”
“Perché proprio adesso? Insomma, perché devi farlo ora?”
“Perché sento che se aspettassi ancora la perderei davvero.”
“Beh, adesso saprai come andrà a finire: siamo arrivati.”
 
Ed è effettivamente vero. I quaranta minuti sono volati e adesso c’è spazio solo per un pensiero: devo trovarla il più presto possibile.
“Non mi hai ancora detto il tuo nome!” urlo al ragazzo misterioso che, a passo svelto, sta già scappando da me, in direzione di un treno qualsiasi e di una distanza nuova da coprire.
“Non ce n’è bisogno, Elisa. Non perdere tempo, vai da lei!” mi urla a sua volta.
Corro prima ancora di poter formulare una risposta adeguata e capisco il potere enorme che un ragazzo qualsiasi ha avuto su di me.
Riesco a prendere l’ennesimo autobus appena in tempo.
 
Il nervosismo si fa sentire e , come un mantra, mi ripeto sempre la stessa frase da quando parto: “e adesso, che devo fare?”
Scaccio di nuovo la mia insignificante parte razionale e finalmente, dopo più di un’ora, trovo la risposta che stavo cercando. Il viaggio si conclude in un soffio, così come la mia ansia.
Telefono alla mano, digito il messaggio più idiota che potessi arrivare a pensare.
“amore, sei sveglia?”
“I secondi che seguono sembrano non passare più, fino a quando il telefono non vibra, riempiendomi il cuore alla vista della sua risposta.
“sì. ma tu non dovevi dormire da un’ora e mezzo?”
“potresti scendere un attimo?”
“eh?!”
“scendi sotto casa tua.”
E mentre aspetto, quelle diapositive di cui parlavo prima con lo sconosciuto sull’autobus tornano a farsi vive, ma sotto una luce diversa.
La prima uscita, il momento in cui per la prima volta la chiamavo “amore” o “tesoro”. Le risate per argomenti che non so dimenticare. I pianti silenziosi sullo sfondo di messaggi prolungati fino a notte fonda.
 
La vedo arrivare, ancora in pantofole e pigiama, gli occhi rossi di chi no sa nascondere una nottata difficile. Lo sguardo sorpreso su di me, fisso nei miei occhi, come se si aspettasse di vedermi svanire da un momento all’altro. Quando non succede, si avvicina.
“E questo per cos’è?”  mi chiede, con un soffio di voce.
“Per tutte le volte in cui ho pensato di trascurarti e per quando lo hai fatto tu.
Per quando ti voglio bene e non mi basta scriverlo.”
 
Nell’abbraccio che segue, capisco quanto limitate possano essere le parole in certi casi.
Non esiste una parola che sappia descrivere il calore di questo abbraccio, il ritmo del suo cuore o i singhiozzi di entrambe che si alternano a vicenda.
In certi casi, non è giusto pensare alle conseguenze.
In certi casi, devi solo ascoltare il cuore e la tua parte irrazionale.
Certe volte, devi solo star zitto e goderti un abbraccio lunghissimo, che nessuno scrittore saprà mai descrivere. 
   
 
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