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Autore: _becks1725    10/08/2013    6 recensioni
La vita ha il brutto vizio di sbatterti in faccia i conti in sospeso più incasinati proprio quando meno te lo aspetti.
Lo sanno tutti, lo so io.
È una legge non scritta: proprio quando stai navigando in acque felici, la vita ti tira un pugno allo stomaco, lasciandoti senza fiato.
Eppure, quell’afoso sabato pomeriggio di metà luglio, quando entrai nel bar e cominciai a scrutare alla ricerca di un tavolo libero, mai mi sarei aspettata di trovarmi il conto in sospeso di un metro e ottanta in piedi vicino al bancone, mentre ordinava un caffè e una fetta di torta.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chocolate and Cold Coffee

La vita ha il brutto vizio di sbatterti in faccia i conti in sospeso più incasinati proprio quando meno te lo aspetti.
Lo sanno tutti, lo so io.
È una legge non scritta: proprio quando stai navigando in acque felici, la vita ti tira un pugno allo stomaco, lasciandoti senza fiato.
Eppure, quell’afoso sabato pomeriggio di metà luglio, quando entrai nel bar e cominciai a scrutare alla ricerca di un tavolo libero, mai mi sarei aspettata di trovarmi il conto in sospeso di un metro e ottanta in piedi vicino al bancone, mentre ordinava un caffè e una fetta di torta.
«Amy?», esordì lui, rimanendo senza fiato, mentre si piegava leggermente all’indietro per guardarmi meglio.
Mi portai una mano alla bocca. Non riuscivo a credere ai miei occhi. Sbattei le palpebre, con la bocca spalancata. Era il mio ex, Harry Styles.
Mi guardò, lo guardai. Fece una risata strozzata, mentre io mi sforzavo di non scoppiare a piangere. Ero rimasta letteralmente senza parole. Mi limitai a fissarlo con un’espressione da pesce lesso, sentendomi come se mi avessero risucchiato via tutta l’aria dai polmoni. Ma chi avrebbe potuto biasimarmi?
Erano passati tre anni da quando Harry aveva preso e se ne era andato senza dire nulla, scomparso dalla mia vita per finire chissà dove, come una stella cadente nel cielo notturno.
In quel momento era lì, e sembrava che le lancette dell’orologio stessero sferragliando all’indietro, riavvolgendo tutti i giorni, i mesi e gli anni trascorsi da quando lui era andato via.
Mi ricomposi, e cercai di spostarmi senza sfiorarlo, ma lui me lo impedì prendendomi per il braccio. Lo ammetto, non opposi molta resistenza. Feci un respiro profondo e mi voltai a guardarlo.
«Non ci posso credere», ripeté con gli occhi sbarrati. «Sono passati quasi tre anni».
Aggrottai la fronte, confusa e disorientata. A quanto pareva eravamo rimasti entrambi scioccati da quell’incontro inaspettato. Sentivo le guance bruciare. Scossi la testa, senza riuscire a dire nulla.
«Amy», disse.
«Harry», dissi.
«Non sapevo…», si schiarì la voce. «Non pensavo ti avrei rivisto. Mi sento come se stessi per avere un attacco di cuore. Forse dovrei andarmene».
Indicò la strada. Un taxi nero rallentò, ma Harry tornò a voltarsi. Mi fece segno di voler offrirmi un caffè, abbozzando un timido sorriso, come se stesse ricordando qualcosa di bello che c’era stato, tanto tempo prima, tra di noi.
«No», dissi. «Non andare».
E nonostante i campanelli d’allarme che mi tintinnavano in testa, feci ciò che non avrei dovuto fare: mi lasciai offrire un caffè.
 
Quando Harry se ne era andato, avevo fatto tutte le cose patetiche che fanno tutti i cuori infranti, come tingermi i capelli di rosso, ingozzarmi di cioccolato, rimanere incastrata con la testa nella porta di casa e vedermi costretta a chiamare i vigili del fuoco (una sera ero così ubriaca che avevo perso le chiavi e avevo cercato stupidamente di entrare attraverso la botola del gatto) e infine licenziarmi dal mio lavoro di operatore per la raccolta fondi di un’opera benefica a favore di una fauna selvatica. Improvvisamente non m'importava più che i rinoceronti bianchi fossero vicini all’estinzione.
Ma grazie all’aiuto di Sam, la mia migliore amica, ero riuscita a riprendermi da quei giorni di fitta depressione, e avevo trovato lavoro in un ristorante.
Harry s'intrufolava spesso nei miei pensieri, ed io facevo del mio meglio per ignorarlo. Credevo che facendo finta che mi mancasse, alla fine avrebbe smesso di mancarmi. La mia strategia funzionò, ma fino ad un certo punto.  A volte, se dovevo prendere la metropolitana in direzione di Holmes Chapel, doveva aveva abitato Harry, o sentivo una risata sonora e contagiosa, o vedevo un tizio in piedi fuori da un pub a fumarsi una sigaretta con l’aria di chi sa qualcosa che gli altri non sanno, provavo un forte desiderio fisico nei suoi confronti.  E sebbene di tanto in tanto sperassi con tutta me stessa di incrociarlo per caso, non mi era mai accaduto.
Fino a quel pomeriggio.

 
«Bè», stava dicendo Harry in quell’istante, mentre prendeva posto al tavolo. «Questo si che è imbarazzante».
Ero sollevata che avesse parlato lui. Io mi sentivo come se avessi perso la voce.
Lo guardai: i capelli castani, gli occhi verdi e la pelle chiara, quelle labbra rosee che tremavano leggermente. Lo osservavo mentre si passava in continuazione la mano tra i suoi ricci: era nervoso.
Si schiarì la voce diverse volte e capii che era scioccato di vedermi quanto lo ero io di vedere lui. Come subito avevo immaginato, non era cambiato per niente.
Frenai l’istinto che mi suggeriva di afferrarlo e premere le mie labbra contro le sue. Inghiottii il nodo che avevo alla gola.
«Sono…sono…», balbettai. «Sono…così scioccata di vederti, che non so cosa… Che diavolo ci fai qui, Harry?».
Mi passai la mano tra i capelli, ripetendo automaticamente il suo gesto. Harry scosse la testa e alzò le mani per poi farle ricadere.
«Credimi, per me è uno shock quanto lo è per te», disse con una certa enfasi. «In una città di nove milioni di abitanti, vengo in un bar e…wow…è davvero incredibile. Quindi tu vivi ancora qui?».
Visibilmente scossa, anzi tremante, guardai Harry e feci cenno di si con la testa.
Sembrava che avessimo perso entrambi la capacità di parlare in modo sensato.
Non potevo fare a meno di fissare Harry, mentre era lì, seduto, intento a consumare il suo caffè. La sua statura e le sue spalle larghe, mi avevano sempre fatto sentire piccolina e molto femminile, cosa che avevo sempre amato.
Sentii il calore divampare attraverso il collo fino al viso. Sollevai le mani e timidamente mi diedi degli schiaffetti sulle guance.
«Ti senti bene?», mi chiese. «Sembra che tu abbia caldo. Fa un caldo soffocante, non è così? Oddio, sto davvero parlando del tempo? Ti prego, sparami in questo istante».
Si portò le dita alla testa e imitò una pistola, sorridendo. Si stava riprendendo dallo shock e mi fissava. Sembrava quasi che stesse per mettersi a ridere. Era il suo meccanismo di difesa: ridere.
I capelli castani e ricci si erano allungati un po’, ma era bello che mai.
I suoi occhi, oggetto di discussione delirante tra la popolazione femminile, ti lasciavano senza fiato e, una volta che li avevi visti, non li dimenticavi più.
«Non posso…a dire il vero, devo…», gracidai. «Perché mi fissi??».
Harry non mi toglieva gli occhi di dosso. Ero nel panico più totale.
Avevo sempre immaginato che quando l’avrei rivisto, sarei stata così bella da lasciarlo a bocca aperta. Con un fisico da urlo, spigliata e felice. Ma, nella realtà, mi sentivo come se il sangue avesse abbandonato le mie guance, mentre un brivido freddo mi percorreva le ossa. I miei capelli erano lunghi e troppo rossi, il mio viso poco truccato.
Mi odiai, perché ci tenevo ancora, e mi vennero le lacrime agli occhi. Mi sforzai di non piangere, ma fu più forte di me. Mi morsi le labbra.
«Non piangere», disse con delicatezza. «Ti prego».
Mi coprii gli occhi con una mano e mi asciugai le lacrime, mentre tiravo su col naso.
«Non sto piangendo», dissi, con la bocca contratta in una smorfia. «Davvero, non sto piangendo».
Harry mi toccò il braccio, improvvisamente serio.
«Amy», sussurrò. «Mi dispiace».
Asciugai le lacrime stizzita.
«Sto bene», singhiozzai. «È solo che non pensavo…pensavo…che non ti avrei più rivisto. Sei sparito, così, nel nulla…».
Feci una pausa per schioccare le dita.
«Lo so», disse.
«In quel modo poi, mi…mi…mi hai lasciato quel patetico biglietto. E ancora non so che cosa abbia potuto fare di male o sia andato storto. Ma doveva essere qualcosa di dannatamente sbagliato se mi sono meritata tutto ciò, o altrimenti sei stato semplicemente un bastardo…».
Avevo la voce rotta dai singhiozzi. Smisi si parlare per un attimo, travolta dalla rabbia che sentivo nel petto.
Harry sembrava spiazzato, il viso pallido.
«In che senso non sai che cosa è andato storto?», mi chiese cauto.
Non faceva che strofinare i piedi sul pavimento. Inspirai a fondo e m'imposi di smettere di piangere.
«Non lo so, perché tu non me lo hai detto», iniziai, furiosa. «E non ti sei neanche preoccupato di darmi delle spiegazioni».
Harry guardò altrove e si mordicchiò il labbro.
«Ti sei limitato a scrivermi un biglietto. Poi se partito per New York ed è finita lì, sparito. Era come se fossi morto. Pensavo che…».
Mi amassi. Lasciai le parole in sospeso. Sembravano pesare troppo tra di noi, come vestiti fradici stesi su un filo per la biancheria.
Si accese una sigaretta. Mi guardò, poi distolse lo sguardo come se stesse pensando a che cosa dire.
«Avevo deciso di andarmene subito dopo che…», le parole gli morirono in gola. «Lo so che sarei dovuto rimanere e parlartene, ma viste le circostanze ho preferito andare via. Ho sbagliato, ma avevo bisogno di scappare. Non potevo essere quello che tu volevi che fossi».
«Quali circostanze?», chiesi. «Di che circostanze stai parlando, per l’amor di Dio. Era perché a volte ero gelosa? Non volevo cambiarti», continuai. «Cioè, non avrei dovuto essere così dispotica. Santo cielo, perché mi sto scusando? È sempre stato così. Sono sempre stata lì ad assecondarti e a cercare di accontentarti…».
Si coprì per un attimo il viso e si strofinò le guance.
Avevo passato mesi interi a cercare di capire cosa l’avesse fatto sparire in quel modo e mi ero autoconvinta che fosse stata tutta colpa mia. Avevo cercato di controllare qualcuno che non poteva essere controllato.
Lo fissai disperata, in attesa che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa.
«Non eri tu», iniziò lui esitante.«Io ho commesso un errore».
Lo fissai. Stavo quasi per mettermi a ridere.
«Oddio», sbottai. «Pensavo fosse tutto perché io…».
«No», mi interruppe, guardandomi dritto negli occhi. «Pensavo che saresti stata meglio senza di me. Non ero nello stato d’animo giusto per avere una relazione».
«Nello stato d’animo giusto?», ripetei, quasi ridendo. «In che stato eri allora?».
Harry si grattò la fronte. Domande sulla sua vita mi affollarono la mente. Aveva pensato a me quasi ogni giorno, come avevo fatto io, anche se molti di quei pensieri erano colmi di rabbia? Che cosa pensava di me adesso? E perché m'importava saperlo? Che diavolo aveva voluto dire con “ho commesso un errore”? E non era forse troppo tardi per dimostrarsi pentito?
Il flusso dei miei pensieri fu interrotto dallo squillare del cellulare.
«Cazzo», imprecai. «È tardi, io devo andare…».
Mi alzai, presi le mie cose e cominciai ad allontanarmi.
«Aspetta», disse. Mi voltai verso di lui. «Lo so che potrebbe sembrare stupido, ma da quando sono tornato a Londra, un paio di settimane fa, ho sempre avuto questo presentimento che ti avrei rivisto. È il destino, si, dev’essere così. Questo doveva succedere. Davvero, era già scritto da qualche parte». Harry parlava con un tal entusiasmo che per un attimo quasi gli credetti. «Hai pensato la stessa cosa?», mi chiese.
Scossi la testa con decisione.
«Harry», dissi. «Per quanto ne sapevo, avresti potuto benissimo essere sulle montagne del Tibet a fare il pastore. Ricordati che non avevo più tue notizie da tre anni, zero, per ben tre anni. Non sapevo nemmeno che fossi vivo, figuriamoci che eri a Londra».
Mi tremarono le labbra, ma mi trattenni dal piangere. Il cellulare squillò ancora.
Guardai prima Harry, poi il cellulare, con il cuore che stava per esplodermi nel petto.
«Quindi non hai ricevuto la mia lettera», disse in modo quasi impercettibile, poi abbassò lo sguardo. «Non avrei dovuto mandartela…».
«Che cosa?», gracchiai. «Mi hai spedito una lettera? Quando?».
M'immaginai una lettera, traboccante di scuse e dichiarazioni di amore eterno da parte di Harry, dimenticata sul pavimento di un ufficio postale, da qualche parte. Il telefono squillò ancora.
«Cazzo, è tardissimo», poi dissi. «Che cosa mi avevi scritto?».
«Non importa, a quanto pare non ti è arrivata», disse con uno di quei sorrisi abbaglianti che avevo archiviato in un angolo remoto del mio cuore. «Era una lettera di scuse per il modo in cui ero sparito, ma è del tutto irrilevante adesso. Posso farlo di persona ora, no? Dobbiamo parlare, ma non ora, non c’è tempo. So che sarà strano, ma cerchiamo di comportarci il più naturale possibile. Ricominciamo da capo. Mi sei mancata».
Scossi la testa. Quell’affare squillò ancora.
«Okay», risposi in modo vago. «Sono solo sorpresa di vederti. Ora devo andare, ciao».
Affrettai il passo e uscii da quel bar che iniziava a diventare claustrofobico. Sam continuava a chiamarmi. Dovevamo andare a fare shopping insieme quel pomeriggio, ma lo avrei saltato. Montai in macchina e sfrecciai velocemente verso casa. Aprii velocemente la porta e lasciai tutto sul tavolo della cucina.
I muri sembravano pulsare.
Mi diressi velocemente in bagno, aprii il rubinetto dell’acqua fredda e mi sciacquai il volto, stringendo gli occhi.
«Oh mio Dio», mormorai.
Ero rimasta sconvolta da ciò che Harry mi aveva detto al bar. In tutti quegli anni avevo pensato che si fosse dimenticato di me. Invece, gli ero mancata. Non riuscivo a capire se ciò mi facesse piacere o mi avesse lasciato completamente svuotata.
Mentre mi asciugavo, fui assalita dal panico. Pensavo troppo a Harry e poco a Sam, che chiamava da ore. Cercai di concentrarmi e calmarmi, e comincia a frugare nella dispensa della cucina alla ricerca di una barretta di cioccolato. Ma i miei pensieri tornarono al giorno in cui avevo conosciuto Harry.
 
«Mi piace quando ridi», erano state le sue prime parole.
Mi erano bastate per capire all’istante che eravamo fatti per stare insieme, come lo yin e lo yang, il sale e il pepe, l’anemone di mare e il pesce pagliaccio.
Era, finalmente, Quello Giusto.
Fino a quel momento non avevo fatto altro che attendere, vagando senza meta e chiedendomi quando sarebbe iniziato il film della mia vita. Poi, quando lo avevo conosciuto, tramite la mia migliore amica Sam, a un picnic a Greenwich Park, la vita era diventata un film a colori.
Sam e i suoi amici, ogni anno a dicembre, organizzavano un picnic. Imbacuccati in coperte termiche, cappelli, guanti e sciarpe, mangiavano tortine natalizie ricoperte di panna fresca, bevevano vino brulè dai thermos e giocavano a baseball e a calcio. Un modo per passare del tempo in compagnia.
Harry, era un amico di Sam. Quando ero arrivata, me lo aveva presentato facendomi l’occhiolino.
Sam, una manager immobiliare, incaricata di gestire ingenti somme di denaro e gruppi di persone, non faceva mai l’occhiolino.
Avevo riso nervosamente. Poi, la mia migliore amica, mi disse che doveva assentarsi per un attimo e sarebbe tornata presto.
Mentre le non c’era, io e Harry avevamo parlato solo tra di noi. Ci piacevano le stesse cose: le capesante fritte in olio abbondante, cucinare, i romanzi di Murakami, il ronzio instancabile di Londra, la musica di Jack Rose, i libri, le scampagnate di un giorno a base di patatine fritte sulla spiaggia di Brighton.
Per tutta la conversazione, Harry mi aveva fatto sentire come se fossi la più interessante al mondo. Nel giro di un’ora avevo già scelto l’abito da sposa, i nomi dei nostri sei figli e l’epitaffio da far incidere sulle nostre lapidi. Mentre giocavamo a baseball, con il sole invernale simile a una biglia rosa che scendeva lentamente nel cielo viola pallido e i nostri respiri come nuvolette di vapore nell’aria fredda, avevamo occhi solo l’uno per l’altra.
«Che ne dici di andare?», aveva detto poco dopo, piegandosi e appoggiandosi le mani sulle cosce per riprendere fiato, con il cappello di lana che gli copriva le orecchie. «Solo noi due».
Non me l’ero fatto ripetere due volte.
Uscire con lui era stato diverso da qualunque appuntamento avessi avuto fino ad allora. Socialmente parlando, Harry apparteneva ad un altro sistema solare. Aveva più energia, carisma e gioia di chiunque altro avessi conosciuto. Sembrava come se la sua vita fosse un lungo provino per il ruolo maschile principale. La sera del picnic mi aveva portato in un bar, dove conosceva tutti. Aveva fatto la sua solita verticale, così da guadagnarsi un giro di applausi, aveva pagato da bere a non so quante persone, dispensato aneddoti sul suo lavoro alla gastronomia di genitori e riempito gli altri di complimenti, per poi invitarli a casa sua a fine serata. Ben oltre l’orario di chiusura del locale, Harry aveva chiesto al proprietario di alzare la musica, poi non so come mi aveva convinto a ballare con i tacchi sul bancone, mentre cantavo Light my fire.
Ho solo un vago ricordo degli altri che mi battevano le mani e mi incitavano mentre facevo acrobazie alquanto pericolose vicino al bordo del bancone. Quando Harry mi avevo chiesto di saltargli in braccio, mi ero lanciata senza pensarci troppo. Avevo riso come una matta mentre gli piombavo addosso e lo facevo cadere. Vista da fuori, dovevo sembrare terribilmente ubriaca, poco femminile e volgare. Ma ero così incredibilmente su di giri e felice. Ero contenta di sentirmi viva.
E quando eravamo finiti a letto, ero rimasta sbalordita di quanto fosse bello il sesso. Era come nuotare in una scodella di cioccolato fuso e trovare, sul fondo, un arcobaleno liquido. Non potevamo fare a meno l’uno dell’altra. Non facevo altro che ridere. Non m'importava nulla se non di lui.

 
«Arrgghh!», mi lamentai mentre mi ficcavo un quadretto di cioccolato in bocca e le lacrime rigavano il mio viso. «Controllati, cazzo!».
Asciugai velocemente le lacrime e comincia a fare zapping con il telecomando. La mia mente era ancora affollata di ricordi. Ricordi, che credevo di aver sepolto per sempre.
Alla fine, decisi di guardare un film, ma mi resi conto solo dopo che avevo fatto la scelta sbagliata. Il film, raccontava la storia di una ragazza che, quando aveva sette anni, aveva messo un messaggio in una bottiglia e poi l’aveva lanciata in mare. Quell’estate aveva ricevuto una risposta da un ragazzino che l’aveva trovata. Non si erano mai incontrati e lei non gli aveva più scritto. Ma, trent’anni dopo, si erano conosciuti per caso ,o per destino, e si erano sposati. E fu solo dopo il matrimonio che trovarono la bottiglia con la cartolina e fecero vari collegamenti.
Sarebbe confortante credere nel destino”, pensai. “Perché in questo modo non dovresti assumere la responsabilità delle decisioni che prendi”.
Mi alzai dal divano, e mi affacciai alla finestra. Avevo bisogno di una boccata d’aria fresca. La situazione era così assurda.  Mi accorsi che si era fatto buio. Guardai il cielo. Era pieno zeppo di stelle. L’aria era fresca e la gente era in giro per le strade a divertirsi. Io, invece, me ne stavo in casa, e non facevo altro che pensare a chi non avrei dovuto.
Perché sei una cogliona” dissi tra me e me, e non avevo tutti i torti.
Il telefono vibrò. Era un messaggio da un numero che non conoscevo.
-Non avresti dovuto lasciarti offrire un caffè. Non faccio altro che pensare a te. Mi dispiace per tutto. È il destino? Un bacio. Haz
È il destino? Pensai alla ragazza e al ragazzo del messaggio nella bottiglia. Sentii le guance bruciare e mi morsi il labbro. Non potevo assolutamente rispondere a quel messaggio. Dovevo ignorarlo. Harry mi stava incasinando la testa. E non aveva alcun diritto di farlo. Ma feci clic su rispondi e comincia a digitare.
-Siamo noi gli artefici del nostro destino – e inviai il messaggio.
Poi m'infilai un pugno in bocca. Che cosa stavo facendo? Avrei voluto tornare indietro e non aver premuto inviato.
Il cellulare vibrò ancora. Era ancora lui. Non mi aspettavo che rispondesse.
-Incontriamoci domani, stesso bar, stessa ora. Voglio rivederti e voglio parlarti. Bacio-
Avrei accettato? Mi sarei presentata? Per quanto la mia testolina mi supplicasse di non farlo, io non la ascoltai. Quella era l’unica possibilità di scoprire la verità.
-D’accordo, buonanotte- risposi decisamente fredda.
Per tutta la notte non riuscii a chiudere occhio. Ero troppo agitata, perché forse , in quell’incontro tanto agognato, avrei finalmente capito il perché di tanta sofferenza.
 
Quel pomeriggio fui nettamente in anticipo. Occupai il tavolino del pomeriggio precedente. Ordinai un latte macchiato e una fetta di torta, nell’attesa dell’arrivo di Harry.
Avevo gli occhi puntati sulla porta del bar, che si apriva e si chiudeva di continuo.
E poi, eccolo lì, in tutto il suo splendore, stava varcando la porta del bar e si avvicinava al tavolo, con un sorriso a 32 denti stampato in faccia.
«Ciao Amy», esordii, sedendosi di fronte a me. Sembrava davvero felice di vedermi.
«Ciao Harry», risposi, cercando di ricambiare il suo sorriso.
Si portò una sigaretta alla bocca, e la accese. Rimanemmo in silenzio a lungo, e ci guardavamo dritti negli occhi. Lui non si decideva a parlare, così attaccai io.
«Senti», comincia, incrociando le braccia sul petto, mentre il mio cuore batteva all’impazzata. «È  tutto così strano, troppo strano. Non ci siamo quasi rivolti parola e tu non sembri minimamente turbato della cosa. Dobbiamo parlare».
«Lo so», disse, disegnando anelli di fumo nell’aria. «Mi dispiace Amy, non so cosa dire . Anche se non c’è poi molto. Insomma, tu sei andata avanti , no?»
Mi guardò negli occhi, con la sigaretta penzolante tra le dita e un sorriso triste sulle labbra. Per la prima volta in tutto il pomeriggio sembrava stesse per dire qualcosa di sincero e importante.
«Non so cosa dire», ripeté. «Dai, inizia tu».
«Ti è piaciuta New York?», chiesi.
Harry mi guardò stupito.               
«Sinceramente?», domandò. «Una città incredibile, con un’atmosfera così palpitante, per non parlare del cibo poi. Eppure, non ho fatto che odiarla.» Mi rivolse uno sguardo impacciato e mi sorrise. «Mi mancavi tu…», disse infine.
«Perché allora non mi hai mai cercato?» chiesi. «Non capisco. Se ti mancavo, perché non tornare? Dire che eri dispiaciuto? Perché partire?».
Harry scrollò le spalle, lasciò cadere il mozzicone e lo spense nel posa cenere, lo sguardo fisso sulla sigaretta finita.        
«Ti ho cercato», disse. «Ti ho scritto».
Scossi la testa ed espirai profondamente, titubante.
«Dico sul serio», mi assicurò. «Ma non ha importanza. Avrei dovuto chiamarti, ma non riuscivo mai a trovare l’occasione giusta per farlo. Ho sollevato la cornetta non so quante volte, ma non ho mai avuto le palle per farlo. Pensavo saresti andata su tutte le furie, che mi odiassi per essermene andato e poi…poi c’erano così tante cose che volevo raccontarti. Come quella volta che mi hanno aggredito e picchiato per rubarmi l’orologio, e pensavo che sarebbe finito tutto lì, che sarei morto, e l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era a quanto volessi parlarti…».
«Oh, Harreh», dissi, rabbrividendo al pensiero. All’improvviso mi venne voglia di toccarlo, stringerlo forte. «È terribile».
«Si, ma sono sopravvissuto», disse con un sorriso. «C’erano tutte queste cose che volevo condividere con te, come il posticino in cui andavo di solito a bere il caffè. Mi sedevo fuori e immaginavo di averti lì, con me, a ubriacarci di caffeina…».
«Ma», dissi con le lacrime agli occhi. «Sei stato tu a lasciarmi, non io. Sembra quasi che abbia deciso tutto io. Non capisco…».
Le parole mi si spensero in bocca. Rimasi in silenzio. Non volevo piangere. Mi avrebbe indebolito e volevo rimanere forte. Harry si fece pallido e si rattristò. Tenni lo sguardo fisso, non più su Harry, ma su una coppia d'innamorati che era appena entrata nel bar. Guardai altrove non appena iniziarono a baciarsi.
«Voglio sapere perché te ne sei andato», dissi sottovoce.
Lo guardai negli occhi in attesa di una risposta.
Quando mi aveva lasciato, avevo pensato che fosse scappato con un’altra donna, anche se in cuor mio ne dubitavo. In più, il suo coinquilino, nonché suo migliore amico, aveva insistito che non fosse così. Allora, mi ero autoconvinta che fosse stata la mia eccessiva gelosia ad allontanarlo, anche se lo ritenevo ingiusto.
«Non capisco ancora cosa io possa avere fatto. So che è passato tanto tempo, ma voglio capire», dissi. «Quel patetico biglietto non diceva nulla, e io trovo davvero offensivo doverti chiedere delle spiegazioni…».
Le lacrime mi scesero lente lungo le guance.
«Amy», disse lui in un sussurro. «Io…quel biglietto era stupido e non avevo alcun diritto di trattarti in quel modo, avevo perso completamente il controllo, invece ti amavo così tanto…».
Trattenevo il respiro, sconvolta da quelle parole.
«Sei davvero pronta e sicura di voler sapere la verità?», chiese quasi preoccupato.
Annuii. Dopo tre anni, era finalmente arrivato il momento di sapere.
«Ricordi l’ultima festa alla quale andai, prima di lasciarti?», chiese titubante.
Annuii nuovamente, perché sapevo bene di cosa stesse parlando.
«Beh, quella sera tu non mi accompagnasti perché tornasti tardi dal lavoro ed eri stanca. Allora ci andai con Sam ed altri amici. C’era un sacco di gente a quella festa, ma soprattutto c’era un sacco di alcool. Quella sera mi ubriacai, troppo. Non era una delle mie solite sbronze, lo sapevo, ma continuai a bere, fregandomene di tutto.
Andai a letto con Sam, ma non era mia intenzione. Fu solo una scopata insignificante, io amavo te. Avrei dovuto dirtelo il giorno seguente, ma lei me lo impedii, dicendomi che ci avrebbe pensato lei. Le cose si complicarono, perché dopo qualche settimana mi chiamò, in preda al panico, dicendomi di essere incita. Non era del tutto certa che il bambino fosse mio.
Non sapevo cosa fare. Non sapevo come dirtelo e…avevo paura. Un figlio, all’’epoca, era una responsabilità troppo grande per me. Decisi di andarmene, ma avrei mantenuto il bambino, anche a distanza.
Ti scrissi una lettera, dove ti confessavo tutto.
Quando sono tornato qualche settimana fa, ho incontrato Sam. Le ho chiesto di te e della tua reazione. Mi ha detto che aveva preso la lettera e l’aveva nascosta e quindi tu non sapevi nulla di tutto ciò, fino ad ora.
Quando spedii la lettera, tu ti eri trasferita da lei. Era l’unica che potesse aiutarti, ma ti aveva tradito e non te lo aveva detto. E nemmeno io.
Comunque, per essere sicuro, chiesi a Sam di fare il test di paternità, e ne uscì fuori che il padre del bambino era Sergay, l’imprenditore russo che Sam si era scopato qualche settimana prima. Era troppo tardi per tornare e dirti la verità. Avresti solo sofferto di più, perciò decisi di non tornare.
Ho provato a dimenticarti, ma non ci sono riuscito.
Ovviamente, non avrei mai potuto immaginare di rivederti, dopo tre anni, e confessarti tutto, così», concluse, per poi prendere una sigaretta, ma che non si accese.
Le lacrime cominciarono a scendere senza controllo, sempre più veloci.
Il mondo mi cadde addosso.
Il mio ex fidanzato e la mia migliore amica erano andati a letto insieme, e mi avevo nascosto tutto per ben tre anni!
Tre anni, porca troia!
Per di più, c’era la possibilità che il figlio di Sam fosse di Harry.
Rimasi scioccata, più scioccata del giorno precedente, quando lo rividi.
Non potevo credere a quello che avevo appena sentito!
«Amy», mi prese la mano, ma io la ritrassi immediatamente. «Dì qualcosa, ti prego».
«Come…come avete potuto?», fu l’unica cosa che riuscii a dire.
«Ti giuro, per me non è stato nulla di importante. Io amavo, anzi amo solo te. Insomma, dopo che ti ho lasciato, non sono più riuscito a interessarmi ad altre ragazze e non ci riesco nemmeno adesso. Non ho mai smesso di amarti, e non lo farò», disse cercando i miei occhi, ma che non trovò perché li avevo fissi, sul tavolo, colmi di lacrime.
«Credimi, è lo stesso per me, ma questo non cambia le cose. Sei stato a letto con la mia migliore amica, e mi ha tenuto nascosto tutto questo per tre anni. Cazzo, ma come si fa?», quasi urlai.
«Ma ero ubriaco. Senti Amy, questo ormai fa parte del passato, lasciamocelo alle spalle. Io…voglio ricominciare. Ora che ti ho trovato, non ho intenzione di perderti. Non di nuovo».
Spinse indietro la sedia per alzarsi. Mi fece alzare tirandomi a sé e passandomi le braccia intorno alla vita.
«Che stai facendo?», dissi, ma le sue labbra erano già sulle mie e mi zittirono.
Mi baciò.
Mi rilassai, e il mio corpo si fuse con il suo. Era più forte di me.
Saltai dallo strapiombo e mi costruii le ali mentre precipitavo.
Lo baciai. Sapeva di fumo e caffè.
Scoppiamo entrambi a ridere, poi ci baciammo di nuovo.
Eravamo inseparabili piccioncini.
Predestinati!

 
Archylee
Eccomi tornata con una nuova os!
Allora per me è una grande gioia, perché ho battuto il mio record personale scrivendo 4.709 parole lol
Ci ho messo giorni a scriverla! All’inizio scarabocchiavo solo il foglio, poi ho cominciato a scrivere davvero e ne è uscita fuori questa!
Avevo altre idee veramente, però boh a me piace com’è uscita!
È speciale per me questa os, perciò spero vi piaccia!
Sono un po’ delusa, perché non siete passati in that.
Forse il capitolo non vi è piaciuto, perciò prometto di rimediare con il prossimo!
Come state passando queste ultime settimane di vacanza?
Io, ormai lo sapete, solite cose!
Tatia mi ha preparato il banner, però sono incapace e lo metterò più avanti xD
Grazie a tutti <3
Much love xxxx

 
Becks <3
   
 
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