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Autore: elastjcheart    10/08/2013    1 recensioni
I miei demoni. Oh, i miei demoni. Non mi avrebbero mai lasciato, non mi avrebbero mai abbandonato, lo sapevo. Ma sapevo anche che Marie c'era.
Genere: Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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‘L’ebbrezza, e il desiderio, e il lasciarsi andare, e questo era la mia vita, era questo che l’acqua dei tuoi occhi portava’ – Pablo Neruda.

“Ciao Garrett”, mi disse lei sorridendo.
Guardai incuriosito quella ragazza davanti a me. Era bellissima. La pelle bianchissima, opaca, quasi di porcellana, splendeva alla luce della Luna come se fosse fatta di Luna. Gli occhi, grandi e azzurrissimi, ti avrebbero potuto inghiottire in un oceano. Le labbra a cuore erano di un rosa acceso e spiccavano in quel viso pallido. I lineamenti delicati del suo volto facevano chiaramente capire che si stava trasformando in una donna, ma era ancora una bambina. Era esile, ma molto alta. Le gambe lunghe e le mani affusolate la rendevano ancora più graziosa, un misto tra fanciulla e splendida signora. Non l’avevo mai vista prima, me ne sarei di certo ricordato. Eppure lei sembrava conoscermi da una vita.
“Ciao”, ricambiai il sorriso.
Continuavo ad osservarla. Era vestita tutta di bianco: un vestitino di soffice chiffon le arrivava sopra il ginocchio, allungando ancora di più la sua figura, e una fascia a fiori, probabilmente margherite, le stringeva delicatamente la vita. Ai piedi aveva un paio di ballerine, anche queste bianche. I capelli erano legati con una coda sul lato e i boccoli color cioccolato le ricadevano delicatamente sulla spalla. Sembrava scesa dal cielo, chissà forse era un angelo.
“Da quanto tempo non ci vediamo.”
Mi sforzavo di capire chi fosse. Ho sempre avuto una grande memoria per riconoscere le facce e le persone. I dettagli, i modi di fare, i particolari del loro aspetto, del loro abbigliamento. E mi è sempre piaciuto capire chi fossero, chi fingessero di essere, la loro storia o quella che volessero raccontare. Ma con la ragazza dalla pelle di Luna era quasi impossibile. Se ne stava lì, in piedi, di fronte a me, immobile, che mi guardava e mi sorrideva. All’improvviso il suo volto si scurì e i suoi occhi si fecero di ghiaccio. Rabbrividii.
“Non ti ricordi di me Garrett?”
Il suo tono di voce era scuro e deciso, quasi spaventoso. Sembrava che potesse trasformarsi da un momento all’altro in un demone…
Quando la osservai più attentamente. I lineamenti, i suoi occhi azzurri e così profondi, la sua figura esile e slanciata. Tutto mi ricordava una persona ed una sola soltanto, la mia mamma. I miei muscoli si irrigidirono, il mio cuore si fermò per un istante e trattenni il respiro. Ero terrorizzato, pietrificato. Sentivo le mani pesanti, il corpo che avrebbe voluto accasciarsi al suolo, ma tutto quello che feci fu sussurrare: “Bonnie…”
“Allora ti ricordi di me, fratellino.”
Non riuscivo a respirare. Le parole erano bloccate in gola e non volevano uscire. Restavano lì, incastrate, paralizzate, e mi soffocavano. Bonnie continuava a fissarmi con i suoi occhi di ghiaccio e io mi sentivo congelare. Non era un angelo, oh no. Era un morto e dal mondo dei morti era venuta per portarmi via con lei.
“Perché mi hai fatto del male Garrett?”
Il mio nome pronunciato da lei mi spiazzava. Era freddo, senza emozione, senza sentimento, pieno di odio, di disgusto nei miei confronti… E di un temibile senso di vendetta. Avrei voluto risponderle che mi dispiaceva, che non avevo voluto ucciderla e che se avessi potuto avrei preso il suo posto e le avrei dato la mia vita, perché era giusto così. L’avevo ammazzata e l’unico modo in cui potevo ripagarla era consegnandole la mia vita. Ma tutto quello che uscì fu un sussurro strozzato dalla mia gola. I suoi occhi allora divennero di fuoco, non congelavano ora, ardevano. Feci un passo indietro, ma non riuscii a farlo. Il mio corpo non si muoveva. Mi guardai attorno. Il paesaggio intorno a noi bruciava come gli occhi di Bonnie. La Luna era scomparsa, il cielo blu e buio della notte era diventato rosso, rosso come il fuoco dell’inferno. Gli alberi, che al chiaro di luna si mostravano rigogliosi e con le loro foglie verdi e vive, ora le avevano perse tutte e i rami cadevano giù, morti, staccati, spezzati dal quel tronco che li faceva fiorire, dalla loro vita. Come io avevo fatto con Bonnie. Il vento, prima caldo e delicato che lasciava una leggera brezza sulla pelle, ora spirava e fischiava, portando con sè foglie nere e secche e alzando un turbine di polvere. Bonnie iniziò a camminare verso di me. I capelli, non più legati nella coda, ora ricadevano sulle sue spalle neri come il buio e la paura. Il delicato vestito di chiffon bianco si era bruciato come tutto il paesaggio e dei piccoli brandelli di stoffa che si staccavano fluttuavano nell’aria trasportati da quel vento violento. Le margherite sulla sua vita si erano seccate e tutta la linfa dentro di loro era stata succhiata da quel corpo senza vita che le indossava. Così come io avevo succhiato la sua.
“Perché mi hai fatto del male Garrett!?”
La sua voce tuonava, rimbombava come un fulmine illumina all’improvviso il cielo che sta per piovere. Era di fronte a me e mi guardava, quando iniziò a piangere. Piangeva lacrime amare, straziate, addolorate, piangeva lacrime di sangue. Poi mi prese la mano e il suo corpo era freddo. Il contatto mi fece trasalire e sentii il cuore indurirsi e diventare di pietra. Ai nostri piedi comparve un buco nero. La guardai un’ultima volta, sperando che mi lasciasse andare, ma i suoi occhi azzurri come l’oceano mi sorrisero. Il buco si aprì e io precipitai al suo interno…

Mi svegliai di soprassalto, con il cuore che saltava nel petto e la fronte bagnata dal sudore. Passai una mano, sudata anche quella, tra i capelli. Aprii gli occhi e mi ritrovai a fissare il soffitto. Dalla finestra della camera la luna passava attraverso le fessure e illuminava con una luce tenue ed estiva la mia stanza. Fuori c’era il buio della notte, un buio che non spaventa, ma pur sempre buio. Il silenzio di casa mia fu interrotto dal tossire di mio padre. Girai la testa verso il comodino e guardai la sveglia. 4:48. Mi tirai su e mi misi a sedere sul letto mentre guardavo attorno a me. La luce faceva intravedere appena gli oggetti nella mia stanza e lanciava ombre sul muro. Sentii qualcosa di appiccicoso sulla mia pelle. Ero sudato e quel caldo delle notti estive, fastidioso, mi entrava dentro come l’acqua nella spugna. Uno sbuffo di vento entrò dalla finestra aperta e accarezzò il mio torace nudo, facendomi provare un leggero sollievo. Mi alzai dal letto, ancora un po’ traballante per l’improvviso risveglio e andai verso il bagno. Non cercai l’interruttore. Mi feci strada con la mano, facendo attenzione a non sbattere contro il muro o qualche altro mobile. Entrai e mi avvicinai al lavandino. Aprii il rubinetto e misi le mani sotto l’acqua fresca. Un’altra sensazione di sollievo attraversò il mio corpo e ne fui felice. Chiusi gli occhi e mi sciacquai il viso, poi alzai la testa verso lo specchio e guardai il mio riflesso. L’acqua aveva rimosso ogni traccia di sudore dalla mia pelle e le goccioline scendevano lentamente lungo tutto il volto fino a cadere sulle mie braccia e sul mio petto. Presi l’asciugamano, che stava accanto a quello di mamma, e mi asciugai. Poi, senza rimetterlo a posto, tornai in camera. Il mio sonno era stato rovinato, ma tutto sommato, non era poi così presto. Non era la prima volta che sognavo Bonnie e di certo non sarebbe stata l’ultima. David Herbert Lawrence ha detto “Non serve a niente scacciare i nostri demoni: essi fanno parte di noi; dobbiamo accettarli e vivere in pace con essi”.
Peccato che io, con i miei demoni, ho davvero un pessimo rapporto.





Ciao a tutti. Questa è la mia prima fanfiction.. Se recensite e mi fate sapere che ne pensate ve ne sarò grata. :) Grazie mille in anticipo, Bi 
  
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