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Autore: _Hikari    11/08/2013    4 recensioni
«Prego?» domanda l’uomo, senza scomporsi.
«Il bambino» inizia a spiegare, ed è soddisfatta, orgogliosa, nel constatare che adesso potrebbe anche aggiungere l’aggettivo possessivo di “mio”, perché è così che lo sente, seppur l’abbia visto per poco più di un’ora in vita sua. «Si chiamerà Henry».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Mills, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Henry» mormora la donna quasi strappando il bambino dalle braccia del signor Gold, come farebbe un rapace con la sua preda.
«Prego?» domanda l’uomo, senza scomporsi.
«Il bambino» inizia a spiegare, ed è soddisfatta, orgogliosa, nel constatare che adesso potrebbe anche aggiungere l’aggettivo possessivo di “mio”, perché è così che lo sente, seppur l’abbia visto per poco più di un’ora in vita sua. «Si chiamerà Henry».
Un sorriso le scopre i denti immacolati, mentre Gold annuisce. Non sembra infastidito dai gorgoglii del neonato, anzi, lo guarda intensamente per qualche momento, gli occhi vitrei di ricordi. Poi sorride alzando gli angoli della bocca – non è tempo di lasciarsi andare al passato, non ancora almeno – «Se permette, io andrei».
«Certo» acconsente la donna, senza realmente averlo sentito.
L’uomo rivolge un ultimo sguardo a Henry che si guarda intorno con i suoi occhi scuri – Dio, possibile che un bambino possa fargli quell’effetto? Che possa riportare a galla certi spettri? – infine scompare dietro la porta.
Ancora dieci anni.
 

***

 
Una risata.
Un bambino che ride, cade, rotola per terra.
Piange.
Una maestra che corre a soccorrerlo, i compagni di gioco che gli si avvicinano per sapere come si sente.
E Henry, Henry sotto un albero tra le fronde di cui qualche timido raggio dorato riesce a filtrare portando con sé un po’ di tepore.
Henry che si accomoda per terra, le gambe incrociate come la mamma gli ha detto che siedono gli indiani.
Henry da solo. Lui non è bravo con le persone, a differenza del sindaco Mills. Non ha nemmeno compreso se sia per colpa di un cognome così ingombrante che dovrebbe portare con orgoglio, o perché il problema è proprio lui, perché sta in lui, che domenica nessuno è venuto al suo compleanno.
Non sa cosa fare, così guarda per terra, aspettando che la ricreazione passi. In genere piace a tutti i bambini. E, sul serio, anche lui vuole che gli piaccia.
Anche lui desidera cadere e rimettersi in piedi per poi tornare a giocare con qualcuno.
Invece no. È lì, solo, come ogni giorno.
Alza lo sguardo ed incontra quello della maestra Blanchard, lei sta passeggiando lentamente, senza distogliere gli occhi dalla sua persona.
Poi la donna sorride e Henry ricambia lievemente.
Trascorre qualche minuto e la maestra si avvicina, sempre quella gentile flessione di labbra sul volto.
È intima, tanto da farlo sentire bene, da infondergli quel calore che sono poche persone sanno trasmettere.
«Come mai non sei a giocare?» gli domanda, piegandosi leggermente per vederlo meglio.
Henry continua a fissarla, senza essere certo di cosa rispondere, così alza semplicemente le spalle. Lei annuisce lentamente, sembra riflettere per qualche secondo.
«Ti senti solo?» chiede dolcemente, ma più che una domanda sembra una constatazione.
Il bambino annuisce, con un sospiro. Aspetta che la donna se ne vada, ma lei resta immobile, come indecisa. Poi i lineamenti del suo volto si rilassano: «Conosco un modo che potrebbe aiutarti. Sai, ho un libro di favole, che ne dici se te lo regalo e quando ti senti triste lo leggi?».
Henry sorride di nuovo, un sorriso schietto, genuino, esultante. «Certo, mi farebbe molto piacere».
La maestra gli tende la mano per aiutarlo a rialzarsi.
 

***
 

Gli sguardi dei passanti sono molesti, indagatori, famelici di notizie, sembrano quasi in grado di trapassare l’anima fino a venire a conoscenza dei suoi segreti più reconditi.
Herny cerca di ignorarli, mentre segue Regina che lo sta lievemente tirando per un braccio.
«Mamma, non c’è bisogno…» tenta, seppur sappia che sia perfettamente inutile.
«Ne abbiamo già discusso, tesoro, il signor Archie ti aiuterà».
«Non ho bisogno di aiuto» protesta con un sospiro.
È conscio, conscio del fatto che domani tutta Storybrook saprà che lui è… come vengono chiamate le persone che vanno da Archie? Disturbate.
«Henry, a scuola non hai amici, parli sempre di quelle favole, mi dici che sono la Regina cattiva…» inizia il sindaco, la voce velata di preoccupazione.
Il figlio però non l’ascolta: prosegue la propria riflessione su quella nuova parola finché il personaggio della regina non viene nominato.
Allora alza gli occhi accarezzando con lo sguardo la figura della madre. No, di Regina. Regina perché sua madre, quella vera, l’avrebbe compreso.
E continua a seguirla, pensando che, in fondo, mancano solo otto mesi.

 
 
 
 



 

Note: e finché mi rimane un po
 di tempo pubblico qualcosa anziché lasciarlo in qualche cartella del pc.
Non so quante volte ho iniziato e riscritto questa storia ma sono abbastanza contenta del risultato. Uhm, non ho molto da dire. il personaggio di Henry mi piace, «è un ragazzo in gamba» tanto per citare Gold, per cui avevo voglia di scrivere qualcosa anche su di lui.
Le ultime due frasi della prima e terza parte si riferiscono a quanto tempo manca prima che Emma compia i suoi ventotto anni.
E niente. Spero che questa OS sia stata di vostro gradimento e vi ringrazio per essere arrivati fin qui. Vi invito a recensire, conoscere i vostri pareri e rispondervi è sempre un piacere per la sottoscritta! (:
   
 
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