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Autore: Juliet of Suburbia    11/08/2013    3 recensioni
" E fatto questo si allontanò tutto stizzito, sbattendo la parrucca rosa confetto per terra proprio davanti all'uscita e augurandosi con tutto il cuore di non rientrare mai più in quel dannato posto.
In quel momento avrebbe voluto solo essere nel suo amato, vecchio monolocale.
Quell'amatissimo buco di culo dove nessuno perdeva tempo a dirgli come se vestirsi, neanche se suonava in mutande, con un pigiama a pois rossi o direttamente nudo.
Non che si vergognasse a vestirsi da boxer afemminato con le treccine rosa, eh!
Era forse il tipo da vergognarsi a fare una cazzata?
Beh, se avevate pensato così, eravate proprio fuori strada.
Quello che gli dava fastidio era che qualcun altro dicesse a lui come doveva vestirsi per uno stupido video."
E con questa OS torno qua, con un nuovo account, dopo un lungo periodo in assenza di ispirazione...
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Tré Cool
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Walking Contraddiction. 

 

«No, col cazzo che vado in giro sculettando davanti a una telecamera vestito da boxer con le treccine rosa! È troppo assurdo anche per me
Le pareti dello studio, già allestito per sembrare una palestra, rimbombarono le urla contrariate di quello che avrebbe dovuto essere il “boxer”.
Scavalcò le corde del ring e per poco non cadde faccia a terra.
Ecco perché non voleva fare il boxer.
Era ridicolo!
Il regista rimase spiazzato e deluso dallo sbocco del ragazzo.
«Ma che ti prende? Era una trovata geniale, questa! Dove trovi qualcosa che sia più
contraddizione di questa!»
Il ragazzetto strinse i pugni. O meglio, i guantoni.
Sentiva che qualcosa non andava, però quel regista di merda voleva costringerlo a fare quello che diceva lui senza neanche ascoltare una delle sue obiezioni.
La canzone era sua.
E non voleva rovinarla con un video che non sentiva suo.
«Senti, ora tu mi ascolti. Fino a che si trattava di vestirsi da boxer, era ok.
Fino a quando si trattava di avere i pantaloni e i guantoni da boxer ma sopra il reggiseno imbottito di dieci taglie come una zoccola in spiaggia e una fottuta collana di fiori viola, andava bene lo stesso. Ma la parrucca con le trecce rosa, no. Mi rifiuto!
Anzi, me ne vado, fanculo!»
Senza farsi il minimo problema, si tolse guantoni, collana, reggipetto e pantaloni continuando a imprecare sotto voce e rimettendosi i suoi
veri vestiti.
Il tutto sotto agli occhi sgranati del regista e le risatine di quei due cretini che stavano con lui.
E fatto questo si allontanò tutto stizzito, sbattendo la parrucca rosa confetto per terra proprio davanti all'uscita e augurandosi con tutto il cuore di non rientrare mai più in quel dannato posto.
In quel momento avrebbe voluto solo essere nel suo amato, vecchio monolocale.
Quell'amatissimo buco di culo dove nessuno perdeva tempo a dirgli come se vestirsi, neanche se suonava in mutande, con un pigiama a pois rossi o direttamente nudo.

Non che si vergognasse a vestirsi da boxer afemminato con le treccine rosa, eh!

Era forse il tipo da vergognarsi a fare una cazzata?
Beh, se avevate pensato così, eravate proprio fuori strada.

Quello che gli dava fastidio era che qualcun altro dicesse a lui come doveva vestirsi per uno stupido video.
La cosa era degenerata.
Forse non era tanto bello essere immersi nel successo.
Soprattutto, non era bello avere addosso il peso di non deludere le aspettative.
Aspettative, stupide inutili aspettative.
Era bello quando era all'inizio, quando nessuno si aspettava nulla da lui, perché nessuno sapeva nulla di lui. Nessuno sapeva chi cazzo fosse e cosa cazzo avesse fatto il giorno prima, il mese prima, l'anno prima.
Ora invece tutti sapevano solo dire “speriamo siano in grado di fare un cd buono come quello dell'anno scorso”.
Che poi aveva anche un nome, “il cd buono dell'anno scorso”.
Si chiamava
Dookie, e anche se era un nome deficiente, fino a prova contraria si chiamava così.
Lo aveva scelto lui.
Gli piacevano le cose deficienti, ma solo quando decideva
lui di farle.
Era così esaltato quando aveva visto i numeri delle vendite andare su, su e ancora su.

Altissimi, proprio come non era lui.
Gli scappò un sorrisetto amareggiato.
La sua musica era in vetta alle classifiche, l'anno prima.
E lui si sentiva sulla vetta del mondo.

Libero.
Nessuno poteva fermarlo.
Eppure ora si sentiva così fottutamente limitato.
La stessa musica che lo aveva portato alla vetta adesso lo stava facendo sprofondare nei dubbi.
Come faceva a essere sicuro di non rovinare tutto?
Come faceva a essere sicuro che avrebbe vinto la lotta contro il se stesso dell'anno prima?
Si passò una mano tra i capelli tutti ritti, arancioni ormai solo a chiazze.
Forse gli erano venuti un po' a noia, quei capelli così arancioni che il primo giorno di tinta sembravano davvero color carota ma dopo massimo tre giorni già avevano stinto.
Sì, forse si era stufato di doversi ritingere ogni quattro o cinque giorni.
Perchè ovviamente, se andava in giro un po' stinto, tutti gli avrebbero immediatamente rotto i coglioni.
Non poteva fare più nulla. Nulla!

Adesso c'erano i canoni anche per essere punk.
Voleva ritornare all'inizio.
Quando era un ragazzino sfottuto, quando si esibiva in un posto che puzzava perennemente di sudore e alcool, quando aveva i capelli lunghi tinti di biondo e se anche non se li ritingeva finché non si ritrovava dieci centimetri di ricrescita, nessuno gli diceva proprio nulla.
“Ma sì, magari mi faccio biondo di nuovo” pensò, in un moto di nostalgia.
Quante cazzate faceva da ragazzino?
Tante, proprio tante.

Adesso era così sotto pressione che non aveva più neanche voglia di fare una cazzata.
Questo era preoccupante.
E intanto continuava a camminare, fregandosene di quei tizi che si giravano e sussurravano “ma lui è il tizio di Basket Case? Oh mio dio, ma non aveva i capelli blu?”
Ah,
Basket Case.
Gli era uscita proprio bene, quella canzone, considerato quanto stava male quando la aveva scritta.
Ecco, lui voleva che la sua musica fosse famosa, perché allora era riuscita ad arrivare a tante persone e a trasmettere a ciascuna di loro qualcosa.
Ma lui non voleva essere famoso.
Voleva essere per sempre “il ragazzino che nessuno conosce ma che ti stupisce sul palco perché fa buona musica”.
Essere famoso era una gabbia.
Una fottutissima gabbia di aspettative e pregiudizi.
E lui voleva sentirsi libero di fare tutte le cazzate che voleva senza ritrovarsele subito scritte sulle pagine di qualche giornale di merda.
Non voleva essere sulla bocca di tutti.
Però gli piaceva quando trovava qualche ragazzino per strada che canticchiava Basket Case o When I Come Around.

Era una contraddizione.
Una stupida contraddizione che camminava per strada senza riuscire a fregarsene delle aspettative e dei pregiudizi.
Si era scritto una profezia a se stesso, qualche mese fa.
Senza saperlo, era come se in un certo senso se lo sentisse già addosso, quel momento.
Quel momento in cui sarebbe stato una contraddizione che camminava per strada e avrebbe soltanto voluto demolire con la forza del pensiero tutto quello che aveva dietro di sé per ripartire da zero.
Niente aspettative, niente pregiudizi.
I suoi piedi si fermarono da soli sul marciapiede, accanto alla staccionata di qualche giardino, appena ritinta di bianco.

E lì Billie capì.

Adesso lui era lì, nel 1995, e se aveva scritto quelle canzoni, un motivo allora c'era.
Doveva smetterla con le seghe mentali.

Lui non era lo stesso dell'anno prima.
Era cambiato, e la sua musica con lui.
Cambiare la sua musica per colpa delle aspettative sarebbe stato come cambiare se stesso e farsi governare dagli altri.
Dookie aveva fatto il botto, certo, ma a lui non doveva fregargliene proprio un cazzo delle “esplosioni” accadute in passato.

Non doveva per forza fare a botte con il se stesso del '94, ma prenderlo come un'esperienza per fare, magari, addirittura meglio.
Cazzo, sì.
Era sicuramente così che stavano le cose!
Si sentì esaltato per essere riuscito a pensare
davvero tutte quelle cose.
Erano la forcina per scassinare la gabbia delle aspettative e dei pregiudizi e lui la aveva trovata.
Si voltò indietro in un secondo e partì a corsa.
Quando arrivò allo studio non era più una contraddizione, ma una pozzanghera di sudore vivente.
Respirò profondamente e entrò di corsa sbattendo i piedi per terra.
La testa verde di
Tré si voltò di scatto insieme a quella bionda di Mike e al cappellino nero del regista.
Ora non dovevano dire nulla, niente più boxer in bikini e trecce rosa.

Dovevano solo far parlare lui.
«Teste di cazzo, ho un'idea geniale per il video di
Walking Contraddiction

 

  
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