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Autore: simonama    12/08/2013    0 recensioni
Potevo averlo solo nei sogni, ma il semplice pensiero di averlo mi gonfiava l'anima e quindi accettai quella mia situazione. Nei sogni o nella realtà, per me contava poterlo avere vicino. E lui, che io lo volessi o meno, c'era sempre nel bene e, soprattutto, nel male. Ed io, per questo motivo ed altri mille, lo amavo più d'ogni altra cosa.
Genere: Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ Dark Paradise





Mi immersi lentamente nella mia vasca da bagno ed attesi che l'acqua ormai gelata sfiorasse il mio corpo ed inzuppasse i miei lunghi capelli rossi. Sospirai e mi sistemai al meglio, cercando una posizione comoda in grado di rilassarmi. Fissai un punto indefinito dinanzi a me e la mia mente precipitò verso miriadi di pensieri. Era un freddo sabato di dicembre e, come capitava da tempo, le mie amiche mi avevano presa in giro per ciò che dicevo di provare nei confronti di quell'uomo che nemmeno conoscevo realmente; si divertivano a non credermi, a ridere di me e, nel peggiore dei casi, a farmi la classica paternale:

«Lui non esiste, Julie. Dovresti farti una vita ed andare avanti per conto tuo», aveva suggerito Anastasia. «Lascialo indietro», aveva incalzato Mia.

Ma io no, non volevo lasciarlo al passato. Al contrario, volevo che lui venisse con me: io volevo che lui fosse il mio futuro.

«Lasciatemi stare, questa è la mia vita», avevo risposto e, furiosa come mai prima d’ora,  avevo riposto i libri nello zaino verde e lasciato la casa di Mia. Avevo corso fino a non sentire più i polmoni mentre il freddo invernale s'insinuava sotto la gonna a sfiorarmi le cosce, e nel frattempo mi chiedevo tempestivamente perchè nessuno riuscisse a comprendere quel mio turbine di emozioni e perchè nessuno provasse ad accettare quel mio amore. Poteva essere sciocco, folle, platonico, ma era reale. Lui era reale.

Continuavo a giacere nell'acqua gelida ed avevo già la pelle d'oca quando due lacrime calde quanto una giornata d'agosto, scivolarono sulle mie pallide guance. Cacciai una mano dall'acqua e l'appoggiai al bordo della vasca, rimanendo in equilibrio.

«That's how the story goes», canticchiai e poi sorrisi tra le lacrime: quella era la nostra canzone, la storia di quell'amore immenso. Risi quando ripensai a come l'avrebbe cantata lui se fosse stato nel bagno accanto a me, a come mi avrebbe corretta perchè troppo stonata o poco armoniosa. E poi, ripensai a quanto fu magico quando la cantò al concerto davanti a novemila di noi fratelli e sorelle e un sorriso mi increspò le sottili labbra: la sua voce era qualcosa di assurdamente irreale e perfetto, un dono divino che andava ben oltre la scontata immortalità. E come la cantava lui quella canzone, altri duecento non

avrebbero mai potuto. Amarlo mi risultava difficile perchè lui non era mai fisicamente

presente eppure sentivo che provare quelle sensazioni era la mia unica via d'uscita da quella vita che mi teneva prigioniera. Sentivo che, in un qualche sinistro senso, amarlo era la cosa giusta. E, anche se ogni cosa intorno a me mi urlava di smettere, io continuavo a farlo caparba e decidendo che mai e poi mai l'avrei lasciato scappare via. Sbattei le palpebre e spostai lo sguardo sui miei piedi appoggiati al bordo della vasca stretta. Cominciava a far freddo, ma qualcosa riusciva a tenermi caldo: il pensiero di lui. Sembrava non esserci rimedio a quella situazione. Non era mia intenzione, ma anche se avessi voluto, non sarei mai stata in grado di lasciarlo andare perchè io lo sentivo e lo avevo dentro di me; il suo sorriso, quegl'occhi irreali e la voce eterea erano diventati come una melodia per me e non riuscivo più a rimuoverli dalla mia mente; la sua anima, la sua essenza, il suo essere, mi inseguivano ovunque andassi, mi davano la caccia e continuavano a ripetermi, nei momenti di sconforto, che "andava tutto bene" o che "sarei stata meglio". Ma a volte non era così, a volte la voglia di averlo davvero vicino mi faceva desiderare d'essere morta. Talvolta, le parole delle mie amiche mi spaventavano e avrei preferito dormire per sempre piuttosto che affrontare quel peso ogni giorno. Sospirai e chiusi gli occhi, facendo scivolare di poco la mia testa nell'acqua fredda. Ogni volta che chiudevo gli occhi sentivo il dolore e la paura crescere, ma al tempo stesso, mi sentivo felice e tranquilla perché era come vederlo dinanzi a me, immaginarlo con me e con nessun altro. Chiudere gli occhi significava vivere tante, troppe contraddizioni; era come un paradiso al buio, un paradiso nero e scuro: mi beavo di quella condizione, ma la sua assenza imbruniva tutto e spegneva pure la speranza. Nessuno poteva competere con lui, mai nessuno avrebbe potuto, però al tempo stesso ero spaventata anch'io dal fatto che, se ne avessi avuto bisogno, lui non sarebbe mai apparso per abbracciarmi o baciarmi delicatamente le labbra. Volevo rimanere appiccicata a lui sebbene sapessi quanto fosse sbagliato e quanto nuocesse a me stessa. Alzai la testa dall'acqua e strinsi le ginocchia al petto riflettendo sul da farsi, sui pro e i contro: da un lato c'erano le mie amiche che mi chiedevano come facessi a tenere duro ad un amore impossibile, dall'altro c'era lui che, dall'altra parte del mondo, mi aveva insegnato cosa fosse l'amore e come andasse curato. Ed era il motivo principale per il quale rimanevo aggrappata a lui, a quella mia roccia: lui mi aveva dato la forza e il coraggio ed io lo avevo amato talmente tanto da dimenticare me stessa e il mio mondo reale. Lo avevo amato come lui amava me, come amava noi: con dedizione, passione e candida fiducia. Chiusi gli occhi e sprofondai completamente nell'acqua gelandomi il viso e la cute. Per quella pazzia, avrei di sicuro contratto l'influenza. Ancora con la testa sott'acqua urlai a pieni polmoni, consapevole che l'acqua avesse attutito il rumore delle mie urla. Urlare mi liberava da tutto, ma non da lui, il mio paradiso tenebroso; occupava tutti i miei pensieri e si era insediato nel mio cuore ed io, incapace di farmi del male, non riuscivo a mandarlo via, a darmi una tregua. Ma lui era così bello ed immensamente speciale che quasi dimenticavo d'esistere: la mia vita era diventata una sua proprietà, anzi, una sua priorità. Io non esistevo più; non avevo più un'identità, non avevo più un nome e magari non avevo più nemmeno gli occhi azzurri. Ma poco importava perché lui ce li aveva, gli occhi azzurri. E, seppure leggermente sproporzionati, erano dell'azzurro più spettacolare e unico al mondo: erano il colore del cielo o del mare oppure il colore della speranza che nutrivo nel poterlo incontrare e stringere forte. Dopo pochi minuti in cui rimasi immersa in acqua, l'ossigeno che avevo nei polmoni si esaurì e finii per chiudere gli occhi. Sentii una porta sbattere, delle urla - forse di mia madre - e poi non udii più nulla ed apparve il vuoto, la vacuità, l'ignoto. D'un tratto, mi ritrovai catapultata in un'enorme piazza vuota e di fronte a me troneggiava un palco altrettanto grande: non riuscivo a capire dove mi trovassi né come ci fossi arrivata, ma sentivo d'esserci già stata in passato. Mi riavviai i capelli e poi udii una voce che avrei riconosciuto tra altre mille. Mi girai di scatto e le parole mi morirono sulle labbra:

«Cosa ci fai qui, piccola?», mi domandò serio lui. Io non seppi rispondergli e gli occhi mi si velarono di lacrime: non riuscivo a credere che, dopo tre anni, lo avevo finalmente dinanzi. «Non credo che questo sia il tuo posto, sai? Tu non puoi stare qui. Hai altri luoghi da esplorare, da visitare, da amare», continuò e cominciò ad avvicinarsi. Non capivo a cosa si riferisse e scoppiai a piangere: mi sentivo persa e confusa.

«Non piangere, piccola», mi afferrò tra le sue braccia e troneggiò su di me per l'altezza.

«Se ti dicessi che questo è un sogno, ti sveglieresti?», chiese. Io mi agitai tra le sue braccia e finii per guardarlo dritto negl'occhi grandi e splendidi: l'unico modo per vederlo era incontrarlo nei miei sogni, come avrei potuto svegliarmi? Finalmente lo avevo, adesso era oniricamente reale. Feci di no col capo e lui rise.

«Io penso che dovresti», sussurrò e mi accarezzò la testa. Io lo strinsi forte a me e piansi ancora e ancora e ancora, respirando il suo profumo.

«Se invece ti promettessi di poterci incontrare ogni notte, in sogno, apriresti quegl'occhioni?»

«No. Voglio incontrarti davvero, averti vicino per davvero, toccarti per davvero». Lui sorrise e poi spezzò l'abbraccio.

«Avrai la tua occasione, piccola. Io te lo prometto. Ma adesso, apri gli occhi», mi guardò intensamente. Scossi la testa e i miei occhi si riempirono nuovamente di lacrime: non volevo svegliarmi.

«Guardami», mi afferrò entrambe le mani e le strinse tra le sue morbidi e grandi, «al mio tre, ti sveglierai e tutto andrà bene». Io gemetti di frustrazione e non riuscii a fermare le lacrime che scorrevano violente sul mio viso.

«Uno», cominciò.

«No!», urlai. «Come puoi pretendere che tutto andrà bene quando mi sveglierò e tu non ci sarai?», ritrassi le mani e lo guardai inviperita. Lui sorrise e cercò di nuovo le mie mani.

«Come puoi lontanamente credere che la vita mi possa sorridere se tu non ci sei?», cominciai a dargli dei pugni sul petto forte. Lui cercò di fermarmi, ma sospirò.

«Piccola, io ci sarò sempre. Anzi, noi... Noi ci saremo in ogni momento. Anche quando non mi vedrai, io sarò al tuo fianco. E quando ti sentirai da sola, io sarò lì ad abbracciarti forte. Anche se odio gli abbracci. Vieni, vieni qui», mi spiegò e mi attirò tra le sue braccia. Mi strinse forte ed io sembrai ritrovare la felicità e la forza.

«Uno, due e tre... Ti voglio bene, piccola», sussurrò infine e poi sentii degli strani colpi centrarmi il petto. Lo scenario intorno a me svanì assieme a lui ed udii le grida disperate di mia madre che mi diceva di aprire gli occhi.

«Julie! Svegliati!», un ultimo colpo al centro del petto e rinvenii tossendo e sputando tantissima acqua. Notai mia mamma che mi abbracciò forte e poi mi guardai intorno: le pareti bianche del bagno e la vasca mi raccontarono ciò che era successo e rabbrividii. Strinsi forte mia madre e le chiesi scusa: non sapevo per cosa, ma mi scusai. Avevo

perso i sensi e avevo vissuto a pieno il mio paradiso oscuro e lì, con lui, avevo provato troppe sensazioni che, se solo ci pensavo, sentivo un'angoscia posarsi sul cuore. Potevo averlo solo nei sogni, ma il semplice pensiero di averlo mi gonfiava l'anima e quindi accettai quella mia situazione. Nei sogni o nella realtà, per me contava poterlo avere vicino. E lui, che io lo volessi o meno, c'era sempre nel bene e, soprattutto, nel male. Ed io, per questo motivo ed altri mille , lo amavo più d'ogni altra cosa. No, io amavo loro più d’ogni altra bella cosa al mondo, più della cioccolata e più di una splendida giornata primaverile. D'altronde, era così che la storia andava avanti...

 


 

Hello cutie pies!

E' un onore essere ritornata con un'altra storia:)

Lo so, lo so, state aspettando il capitolo dell'altra storia, ma... Abbiate fede e pazienza u.u
*comincia a canticchiare End of all Days*

Comunque...
Questa mia nuova storiella è parecchio simile ad una che pubblicai circa l'anno scorso, ma questa - FORSE - può sembrare meno triste ._.  

Credo, poi dunnò HAHAHAHAHA

Ad ogni buon modo, questa nuova (cessica) creazione, è nata grazie al brano Dark Paradise della piccola, amorevole, coccolosa e perfetta(ok, basta)Lana del Rey. Diciamo che ho cercato di interpretare il brano che tratta di un amore impossibile e platonico e beh, ci ho provato.

Ragazziiiih, spero davvero che vi piaccia e gradirei, davvero tanto, che mi diceste cose ne pensate...

Sono malinconica e sembro una bimbetta in piena tempesta ormonale, ma ho le mie ragione per provare tali sensazioni.
I Mars mi hanno salvato la vita e Jared continua a tenerla ben salda tra le mani. Li amo, omg.
Grazie per aver letto fin qui... Aspetto responsi:)

WAGLIU', SIT TUTT BELL!

(ok, squallida ew)

  
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