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Autore: 3ottobre    12/08/2013    8 recensioni
Il tempo lì fuori sembrava essersi fermato, tutto era esattamente come lo aveva lasciato due anni prima: il legno scuro della tettoia e delle mura appena tarlato, gli scalini scricchiolanti, l’odore forte di muschio e la decisa aria familiare che ogni cosa lì le donava.
Non si sarebbe mai aspettata di dover tornare, aveva giurato a sé stessa che non lo avrebbe fatto più. Tornare per cosa, poi? Buttare sale sulle ferite e farle bruciare fino a perdere totalmente le forze? Non bastava tutto il male che quell'amore già le aveva procurato? Si erano amati e poi odiati così tanto che l’assenza di lui l’aveva denutrita, resa debole.
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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One foot onto the ice, I hold my breath and try to believe.

I pesanti anfibi neri affondavano nella neve che stanca si riposava lungo il viottolo che portava a quella casa, i piedi piccoli erano troppo deboli e gelidi per quelle scarpe che appena riuscivano a riscaldarli. L’aria congelata strisciava lenta attraverso i tessuti dei suoi abiti per poi solleticare la pelle con soffi frizzanti facendo rabbrividire la ragazza dai lunghi capelli castani che sola camminava per le strade in quella fredda giornata inglese, il sole stava calando dietro i tetti delle villette a schiera lasciando nel cielo di Londra lunghe strisce rosa che per quanto fossero luminose non riscaldavano.
Si fermò al cancello verde coperto da neve e gocce di pioggia, trattenne il respiro, con una mano tremolante lo aprì e dopo essere entrata se lo chiuse silenziosamente alle spalle. Altri passi impauriti la portarono sull’uscio della porta dove una targhetta d’oro splendeva fiera di quel cognome. Lasciò andare via l’aria dai polmoni formando una piccola nuvola di condensa, allungò un dito scheletrico ed affusolato che si posò sul campanello, e suonò. Lo stomacò e il cuore combattevano con il resto degli organi provando a salirle in gola, quasi come a voler uscire dalla sua bocca,  forse vomitando l’ansia che portava dentro si sarebbe sentita meglio.

 
Can I look at you with different eyes? Like the girl that I was, when I was seventeen.

Il tempo lì fuori sembrava essersi fermato, tutto era esattamente come lo aveva lasciato due anni prima: il legno scuro della tettoia e delle mura appena tarlato, gli scalini scricchiolanti, l’odore forte di muschio e la decisa aria familiare che ogni cosa lì le donava.
Non si sarebbe mai aspettata di dover tornare, aveva giurato a sé stessa che non lo avrebbe fatto più. Tornare per cosa, poi? Buttare sale sulle ferite e farle bruciare fino a perdere totalmente le forze? Non bastava tutto il male che quell’amore già le aveva procurato? Si erano amati e poi odiati così tanto che l’assenza di lui l’aveva denutrita, resa debole.
Non avrebbero potuto continuare in fondo, il loro era quel tipo di amore malato che ti porta in paradiso l’istante prima e ti fa scivolare verso l’inferno l’attimo dopo. Riusciva ancora a ricordare ogni minima cosa dei momenti passati insieme, quelli belli e quelli dolorosi, come quando si erano detti addio. Lei era andata via e dopo due anni era sempre lei ad essere tornata indietro, non per restare, non era abbastanza forte per farlo, era lì solo per accertarsi che lui stesse bene. “Scusa banale” si era detta, ma poi mica tanto, lo schianto al cuore che aveva avuto alla notizia della malattia che ora lo affliggeva le aveva fatto tornare alla mente i giorni in cui erano stati felici, gli era rimasto poco da vivere e lei era lì per dirgli addio ancora una volta.
L’ultima.
Aveva 19 anni lei ora e già sapeva che l’amore non è quella stupida favola che ti raccontano da piccola, che l’amore è anche sofferenza e che ti distrugge, ti fa diventare cenere. Come un fuoco, se ti avvicini troppo rischi pericolosamente di bruciarti.

 
The fallen empires, the shattered glass, the wicked echoes of my past, I’ve seen it all before that’s why I’m asking…

La porta si aprì e quando i suoi occhi lo videro si raggelò, così come il suo cuore. La figura di lui era immutata, perfetta, e tutti i ricordi che fino ad allora l’avevano ferita e consolata al tempo stesso non avevano reso giustizia alla sua bellezza.
Lui la fissò inerme, ritto con gli occhi sgranati e inanimati. Era comprensibile quella reazione, non si sarebbe mai e poi mai aspettato di vederla, sentire bussare alla sua porta in una gelida giornata di febbraio e trovarsela lì, trascinante un carico di ricordi e dolore alle spalle.
I vestiti di lui erano uguali all’ultima volta che si erano visti, gli anfibi chiari, i jeans larghi, il maglione blu pesante che fu proprio lei a regalarglielo.. anche se molte cose in lui erano cambiate, i suoi capelli per esempio ora erano più lunghi e ricci, la luce artificiale dell’interno alterava i loro riflessi color miele facendoli sembrare rossicci. Un passo risuonò in quel silenzio struggente, Liam avanzò. Un raggio di luce solare ridonò ai suoi ricci il colore naturale, ora era così vicino che lei poté notare i tratti del viso resi più duri dal tempo, dal dolore, e le iridi nocciola contornate da un rosso fioco e da lacrime.
Riusciva a leggere nel suo sguardo tutto quello che stava provando, come se qualcuno stesse gettando un secchio di fiamme roventi sul suo corpo teso, tutte quelle ferite che in due anni aveva provato a chiudere stavano iniziando a strapparsi di nuovo, a lasciare uscire strisce di pelle vivida e sensibile pronta ad essere bruciata, a soffrire ancora. Liam sentì una parte del cuore iniziare a gocciolare, a sciogliersi sotto quegli indimenticabili occhi castani che possedevano ciò che lui non aveva più trovato negli occhi di nessun’altra. Quegli occhi castani erano l’unica cosa rimasta illesa, per il resto nel corpo di lei tutto era stato soggetto d’un cambiamento spaventoso.
In teoria lui era quello con le ore contate, in pratica lei era quella che sembrava aver bisogno d’aiuto.
Le gambe esili davano l’idea di potersi spezzare da un momento all’altro, normale era chiedersi come riuscissero a sostenere il peso di quegli enormi anfibi neri. Il bacino era diventato così sottile da poterlo circondare tutto con un braccio solo e sconvolgente era la percezione delle ossa sporgenti seppur coperte dal pesante maglione.  Il busto piatto e scheletrico, le braccia sottili, i polsi quasi inesistenti, ogni osso al caldo sotto i vestiti era quasi visibile dall’esterno. Le guance erano affossate da due lievi solchi scuri che le davano un aspetto stanco e gli occhi sebbene lucidi erano spenti e tristemente opachi. Come poteva un essere umano distruggersi in quel modo?

 
Will you still be here tomorrow? Or will you leave me in the dead of the night? So your waves don’t crush around me, I’m still one step ahead of the tide.

Si fece da parte invitandola ad entrare silenziosamente in casa. Il calore di quell’appartamento donò sollievo alla pelle irritata dal freddo dell’esterno. Il camino di fronte al divano era acceso, le coperture delle poltrone erano di un rosso rubino sempre uguali, i quadri, i tappeti, l’atmosfera, tutto era uguale a come lo era sempre stato. Anche la sensazione di trovarsi a casa, era sempre la stessa. Si sedettero sul divano, silenziosi, senza fare il minimo rumore alcuno, avevano solo paura di poter spezzare la solennità del momento o di potersi ferire ancora con le parole.
Lui non avrebbe mai potuto perdonarla per averlo fatto soffrire come nessuno aveva sofferto mai, per averlo lasciato quando entrambi sapevano di amarsi ancora, per davvero, pur sapendo che una volta essersi lasciati nessuno dei due sarebbe più tornato dall’altro, troppo orgoglio, troppo dolore ancora vivido. Lei non avrebbe mai potuto perdonarlo per averla offesa fino a ferirla nel profondo dell’anima, per averla lasciata distruggere la loro storia senza fare nulla, senza opporsi. L’aveva portata ad odiare sé stessa per averlo fatto, aveva pianto per mesi con il rimorso di essere la colpa di tutto quello che era successo, la causa della sua eterna infelicità.
-Perché sei qui?- Parlò lui con voce roca e bassa che non mutò lo scorrere del tempo e lasciò intatta l’atmosfera calda della camera.
Cherry abbassò lo sguardo al pavimento, si sforzò per non far cadere le lacrime. –Ho solo saputo della tua malattia-.
-Non mi serve la tua pietà, o come la chiami tu, la tua ‘umanità’- sputò puntandole gli occhi addosso, come fari accecanti nel buio notturno.
Calò il silenzio di nuovo. Non era ora di discutere ancora. Non era ora di parlare.
L’angoscia era tanta ma quello era il posto perfetto per entrambi, uno accanto all’altra, non avrebbero potuto essere altrove.
I piccoli denti bianchi di lei affondarono nelle sue labbra pallide e le morsero più forte che poterono per non farla piangere.

 
Will you leave me lost in my shadows? Or will you put me into your light? Teach me how to be loved, teach me how to be loved. 
 
-       C-Come ti sei ridotta così?- chiese lui maledendo la sua voce che aveva iniziato a tremare.
Cherry girò il viso e con molto coraggio lo guardò negli occhi, sebbene avesse il cuore sotto chiave e poi congelato in un cubo di ghiaccio non poté impedire alla mente di ricordare la fantastica sensazione di leggerezza che provava quando li guardava.
-Così come?- fece finta di non capire, era dura ammettere la condizione in cui si trovava soprattutto con colui che ne era la causa.
-Non mangi più?- disse con riluttanza sebbene il tono di voce deciso restasse basso, quasi impercettibile.
-Ho messo via le cose inutili-
-Come me- rispose poi fulmineo.
La stava accusando di averlo messo via, come il pupazzo con cui dormi tutta l’infanzia e che poi decidi di buttare, come un foglio di carta dopo essere stato scarabocchiato interamente. Era consapevole del male che le stava riproponendo ma non riusciva a frenarsi, sembrava inevitabile farle ricordare quanto aveva sofferto a causa della suascelta.
-Liam, nella vita si sbaglia.-
-Stai dicendo che hai sbagliato a mettermi via?-
Calò di nuovo il silenzio.
-Sto solo dicendo che oltre te non mi è rimasto più nulla.-
-Ho paura di dirti che sei arrivata troppo tardi.-
Riecco il silenzio. Cherry lo guardò rizzandosi sulla spina dorsale, i suoi occhi iniziarono a piangere e una stretta allo stomaco la fece sentire male. Il ricordo di quella volta che a piangere era stato lui, che a supplicarla di restare era stato lui, che a non rispondere al suo addio era stato lui.
Era stato lui.
Sempre Lui.
Erano proprio quei ricordi che da due anni a quella parte erano riuscita a non farla più vivere. Ogni barlume di felicità le sembrava immeritato e così aveva smesso di cercarla, accontentandosi di soffrire, di ricordare ogni momento insieme e piangere, piangere sempre, piangere fino a sentire il petto lacerarsi.
Liam azzardò un contatto fisico allungando un braccio e tirandola con forza contro il suo petto facendo echeggiare nella stanza calda il rumore secco delle ossa che sbatterono contro il suo torso.

I got caught up in a daze of the wine and roses such a sweet escape, but I watched it all slip away like running water from my hands, raining on this picture land. 
 
La strinse a sé dando ascolto a quella parte del suo io che se ne fregava di quello che era stato e di quello che era ancora ora, quella che voleva solo sentirla vicina, quel suo lato offuscato che lui aveva sempre ritenuto un nemico personale sebbene gli appartenesse. Quel corpo minuto si perdeva tra le sue braccia possenti, quei ricci gelidi gli si attaccarono al maglione di lana, non ci sarebbe stata differenza con gli abbracci di quando erano innamorati se non fosse stato che ora risultava spigoloso a causa di quelle ossa dure e sporgenti che erano ovunque strette al suo corpo. L’indimenticabile odore di buono che Liam aveva sempre emanato si fece spazio tra le narici di Cherry fino ad arrivare al suo cervello dove aprì la porta ad altri ricordi dolorosi e bellissimi.
-E’ stata la tua assenza..- singhiozzò con il volto affondato nel blu del suo maglione, -.. a rendermi così. E’ stata la tua assenza, Liam.- ripeté come una confessione angosciosa.
Liam le lasciò un bacio tra i freddi capelli e piano piano l’abbraccio si sciolse lasciandoli ancora stretti l’una all’altro. Oltre al braccio di Liam intorno alle spalle, Cherry avvertiva l’aria ritornarle nei polmoni. Respirava a fatica, a causa di tutto quello che le era mancato, tutto ciò che ora era stretto a lei.
-Ho lasciato tutto scivolare via- continuò a parlare.
-Ma adesso sei qui- l’interruppe lui.
-Per quanto ancora durerà prima che tutto finisca di nuovo, Liam?- si asciugò le lacrime colanti dalla mascella.
-Non lo so.- Lui scosse la testa sconsolato. Non sapeva come potersi difendere, ormai la morte era una cosa che gli apparteneva e sarebbe arrivata da un momento all’altro, senza dargli altra scelta. Non era un prendere o lasciare, era un biglietto di andata senza ritorno, un’occasione arrivata al momento sbagliato anche se lui sapeva che se non fosse stato per la malattia lei non sarebbe mai tornata.
Proprio in quel momento sentì il proprio corpo irrigidirsi, prepararsi. Intese ciò che stava per succedere, e sebbene avesse voluto restare con lei per sempre fu felice di vivere gli ultimi momenti così, tenendola stretta, realizzando quel desiderio che da anni ormai di notte silenziosamente pregava Dio di realizzare.

Can I give myself just one more second chance and put my trust in love? Please don’t hurt me.
If I make myself like a feather in your hands and put my trust in love? Please don’t hurt me.

 
Le sorrise appena, percepì il cuore rallentare i suoi battiti, doveva fare presto. Si avvicinò a quel viso pallido ed angelico, le sfiorò le labbra con un bacio lieve che volò nel vento in un istante, poi felice come in paradiso chiuse gli occhi e poggiò la testa all’indietro tenendo ancora lei stretta tra le braccia con tutta la forza restante.
Cherry chiuse gli occhi ignara di tutto, allungò una mano verso il viso di Liam e lo accarezzò alla cieca lievemente. Non riusciva a sentire più il dolore o il vuoto, li aveva provati entrambi e quando si era ritrovata a scegliere aveva preferito il dolore, perché a differenza del vuoto la faceva almeno sentire viva. Ora invece a possedere il suo corpo era solo un’emozione frizzante, frenetica. Come un drogato di adrenalina si sente dopo un lancio col paracadute, così il suo cuore batteva e si sentiva felice, finalmente era ritornata ad esserlo.
Gli ultimi battiti iniziarono a risuonare nelle orecchie del ragazzo. Gli ultimi dieci..
Non rimpiangeva nulla della sua vita, forse se avesse potuto tornare indietro sarebbe corso da lei subito e non avrebbe aspettato due anni per rivederla.
..gli ultimi cinque..
Ma almeno alla fine era andato tutto bene. Lo diceva sempre lui “Alla fine andrà tutto bene, se non va bene vuol dire che non è la fine”. Per un periodo aveva smesso di crederci, ma era vero. Ora stava andando tutto bene, ora era la fine.
..tre..
..due..
..uno..
-Ti amo.- Sospirò.
 
Il silenzio si fece fitto e il freddo provò a forzare la porta di casa per catapultarcisi dentro, il caldo del camino lo tenne fuori, lo combatté fino alla sua arresa.
Cherry sorrise serena, dopo tanto tempo riusciva a sentire che qualcosa forse stava cambiando, sebbene a Liam non restasse più tanto da vivere potevano ancora essere felici insieme.
Ora si sentiva proprio come quando aveva 17 anni, come quando lo conobbe per la prima volta.
-Anche io, ora so che ti amo.- aspettò un po’ prima di tornare a parlare. – E ora non voglio più sprecare tempo, voglio stare con te fino e alla fine, anche se non sarà facile.- continuò, attese una risposta.
-Liam?- lo chiamò poi notando il suo silenzio.
La paura le morse il petto fino a farlo sanguinare, si alzò di scatto con gli occhi già appannati dalle lacrime e consapevoli di ciò che avrebbero visto. Lo vide lì, calmo, immobile, già pallido.
-Liam, perché non rispondi?!- lo scosse appena, incapace di farsene una ragione. Scoppiò in lacrime sentendo lo stomaco stringersi in una morsa di dolore e con esso anche il cuore. Le si offuscò la mente. Tutto dentro di lei divenne vuoto, nulla aveva più senso.
Gli baciò le labbra con più foga della volta precedente, lo strinse, lo scosse ancora, lo guardò sperando di vedere quelle pupille nocciola sbucare ancora da sotto le sottili palpebre, immerse in un mare bianco di quegli occhi deliziosamente rassicuranti. Non poteva essere già finita. Proprio ora, proprio quando avevano avuto il coraggio di mettere da parte il dolore. Sembrava uno scherzo del destino. Poi arrendevole si accovacciò con le ginocchia al petto e la testa sul grembo immobile di Liam, chiuse gli occhi e si fece cullare dal ricordo dell’ultima volta che le aveva detto ‘ti amo ’ senza nemmeno aspettare la sua risposta, pochi secondi prima. Era un nastro lungo pochi attimi che la sua mente mandava in riproduzione continuamente appena finiva. Ancora e ancora. Le sembrò quasi di sentirglielo dire di nuovo, nel bellissimo dormiveglia che l’accompagnava al sonno. Quella voce fresca e fragrante, a volte impastocchiata, quella tonalità familiare che aveva sentito urlare, sussurrare, parlare semplicemente. Quel suo parlare che aveva amato così tanto e che amava ancora, incondizionatamente.
 
Poi si addormentò per l’ultima volta tra le sue braccia.

Please don’t hurt me.
 



-Rebecca Ferguson "Teach me how to be loved"



 
 
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Spazio autrice: 
Buonasera!
Ammetto che questa song-fic è fortemente malinconica e triste.
La scrissi l'anno scorso in una serata un po' particolare, su un quaderno che poi è andato perso. Ebbene, un paio di giorni fa ho ritrovato il quaderno e.. tadà! L'ho ricopiata e modificata. Spero vi piaccia perchè a me fa davvero impazzire. Mi dispiace aver fatto morire Liam haha ma ci stava tutto. Comunque se non conoscete la canzone ascoltatela, è divina, perfetta. Beh, che dire? Recensite se volete, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate. Ringrazio @Niallhoransoul per il bellissimo banner (Quello in alto) E la mia stupenda amica Giovanna per il banner in basso. Baci a tutti xx 
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