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Autore: Sniffing the rain    13/08/2013    0 recensioni
Probabilmente sarà la classica fanfiction in cui ci sarà una lei che si innamorerà di un lui ma vedrò di far andare le cose diversamente....
"Jeane
I'm not sure what happiness means
But I look in your eyes
And I know
That it isn't there "
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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San Francisco,Star Wars, Fish and Chips.

Ore 18:03.
Stava piovendo.
Di brutto.

Quel giorno era un martedì e, come tutti i primi martedì del mese, mi sarei dovuta incontrare con Jamie al negozio di Gina per scovare qualche novità ma quel martedì, con quella pioggia, decidemmo di restare a casa.

Mi dispiaceva in realtà. Volevo davvero passare del tempo da sola con Jamie. Da dopo la sua festa di compleanno non avevamo avuto più l'occasione di stare soli io e lui. La biblioteca era chiusa per l'estate e quindi la mattina lui rimaneva a dormire nel suo letto ed io...beh io idem.

Poggia delicatamente la fronte sul vetro freddo della finestra della mia camera da letto. Il cielo grigio e quel forte temporale da piccola mia avrebbero spaventata ma con il tempo ho iniziato ad amare l'odore della pioggia, lo scrosciare dell'acqua che bagna qualsiasi cosa gli capiti sotto, il freddo che ti arrossisce la mani, il silenzio squarciato dal tuonare dei lampi.
Sospirai e il mio sospiro appannò il vetro.
C'era una cosa che non piace della pioggia: il fatto che ti costringesse, in qualche strano modo, a restare chiusa in casa se non per casi estremamente speciali.
“Jamie è forse uno di quei casi estremamente speciali che ti costringe ad uscire di casa?” mi chiese la Jeane interiore ma di tutta risposta, la vera Jeane, ammise di essere troppo pigra, anche per Jamie.
Presi il telefono e le mie dita digitarono da sole il numero sulla tastiera.
“Pronto...”
“La noia mi sta divorando.”
Lo sentii ridacchiare. Aveva la risata contagiosa (o forse ero io che ridevo nel sentir ridere gli altri) ed era bella, anche più bella di quella dei bambini.
“A me ha già mangiato una mano, ora sta iniziando a mordicchiare il braccio”

Ci fu un attimo di silenzio, poi presi fiato...
“Verrestiacasamia?misentotantosola,tipregotipregotiprego!” lo dissi tutto in un fiato e con il tono di una mocciosa.
“ J. Mi dispiace ma tra poco dovrei incontrarmi con gli altri per lavorare alle nuove canzoni...Cavolo, è da un'eternità che non passiamo del tempo insieme io e te...” mi dispiaceva che lui fosse dispiaciuto per me.
“E se veniste qui a provare le canzoni? Non c'è nessuno che vi disturberebbe e comunque io non starei da sola, no?!”.
“Sei così disperata da aprire la porta di casa tua a quattro poveri musicisti in cerca di fortuna?!”
“J. Risparmiati i cliché”
Lo sentii ridere. Era bella la sua risata.
“Okay, arrivo in un lampo!” probabilmente il suo “lampo” era un riferimento sarcastico al mal tempo ma ci arrivai solo dopo aver riattaccato.
Dopo circa 20 minuti lo sentii suonare alla porta.
“UN MIO SIMILE, TU SEI UN UMANO COME ME! E' DA TEMPO CHE NON NE VEDEVO UNO!” finsi stupore nel vederlo e mi gettai tra le sue braccia mentre lui, che inizialmente era rimasto quasi inorridito dalla mia reazione, aveva cominciato a ridere.

Jamie.

Appena entrai in casa sua mi gettò le braccia al collo e urlò con stupore “UN MIO SIMILE, TU SEI UN' ESSERE VIVENTE COME ME! E' DA TEMPO CHE NON NE VEDEVO UNO!” rimasi un attimo attonito dalla sua reazione, poi capii che stava scherzando ed inizia a ridere. Jeane riusciva sempre a farmi ridere.
“Sono solo tre giorni che tuo padre è partito per Liverpool e non dirmi che senti davvero così tanto la mancanza di qualcuno vicino a te?!”
“No, cioè sì” e mi fece un sorriso da orecchio a orecchio.
Era contagiosa, tanto contagiosa.
“Beh, dove sono gli altri?” chiese mentre ci sedevamo sul divano.
“Li ho avvisati, saranno qui tra poco”
“E allora noi nel frattempo ci beviamo qualcosa” disse cacciando dalla mano che aveva nascosto dietro la schiena una lattina di birra.
“Sono le sei, magari sarebbe meglio un bel the” dissi imitando il tono di voce di un ricco borghese.
“Mio caro, sei in ritardo per il the” disse avvicinandosi troppo a me. Mi irrigidii, cercai di non darlo a notare, vidi la sua mano tendersi verso di me per poi sfiorare il mio fianco e superarlo per raggiungere infine la chitarra alle mie spalle. L'afferrò e, prendendo le distanze che c'erano prima tra noi due, mi guardò dicendomi “Imparami a suonarla”.
“Pensavo ne fossi capace..”
“Me la cavo...Però voglio essere brava come te, così un giorno avrò una band tutta mia e sarò più ricca e famosa di te!” disse l'ultima parte della frase come una bambina a cui viene chiesto cosa farà da grande.
“Bhe, non che ci voglia molto ad essere più ricco e famoso di me, ora come ora...”
Un sorriso occupò gli angoli delle sue labbra.
“Fammi vedere cosa sai fare..” la spronai ad iniziare.
Posizionò meglio la chitarra sulle sue gambe e poi una mano cominciò a sfiorare le corde mentre l'altra si muoveva agilmente lungo il manico. Riconobbi subito quella melodia, qualsiasi inglese o non l'avrebbe riconosciuta. Era Wish you were here dei Pink Floyd. Era partita bene ed era anche molto brava ma ad un tratto la vidi rallentare fino a fermarsi, poi puntò i suoi due enormi occhi su di me.
“Non ricordo il continuo...uccidimi!” scoppiai a ridere anche se sapevo che per lei era una cosa seria, per quanto seria possa essere considerata una cosa del genere, così decisi di aiutarla. Mi accostai a lei, avvicinai il mio petto alla sua schiena e posai la mia mano sinistra sulla sua accompagnandola così da riprendere la melodia.
“Ora ricordo..” sussurrò lei ma continuai lo stesso ad accompagnare la sua mano sulla chitarra.
Solo al termine della canzone, quando lei si voltò verso di me, mi resi conto di quanto vicini fossimo. Quella vicinanza, adesso, sembrava non darmi fastidio anche se Jeane era chiaramente a disagio. Sorrise, poi abbassò gli occhi continuando a sorridere. Sembrava così dolce. Non seppi cosa fare così allungai una mano e le accarezzai il viso che al mio tocco prese un colorito di un rosa più vivo. Alzò gli occhi ed incontrò i miei. I suoi era i più belli. L'iride ricordava il colore di un bosco in quel periodo tra fine estate e inizio autunno, quando l'alternanza tra piogge e sole rende verdi scuro, quasi marroni, le foglie degli alberi che a mano a mano diventavano sempre più tetre fino a fondersi con il buio della pupilla. Erano belli.
Gli ero talmente vicino da riuscire a sentire il sapore delle sue labbra. Lei aveva chiuso gli occhi, quasi a volersi godere quel momento ma, il trillare incessante della porta, ci fece ritornare con i piedi per terra.

La vidi alzarsi di corsa e dirigersi alla porta fingendo che non stesse succedendo nulla.

Jeane.

Jamie era a pochi centimetri dalla mia faccia. Avevo chiuso gli occhi come quando si ha paura di qualcosa ma non si vuole scappare da quella cosa. Io avevo paura di quello che stava succedendo ma forse non volevo scapparne. Di solito sorrido e non lo do a notare ma ora la distanza tra noi due era davvero minima. I suoi occhi era due pietre di aquamarine incastonate ai lati del naso. Non riuscivo a reggere quegli occhi.
Sentivo il suo respirare sulle mie labbra e per un attimo mi è sembrato di trovarmi davanti le porte del Nirvana ma non ero ancora pronta a quella specie di pace tra corpo e anima, infatti ad impedire tale completamento fu il trillare del campanello. Mi alzai di fretta poggiando distrattamente la chitarra sul divano e dirigendomi alla porta.
                                                                                                                                  ****
“Scusami per ieri...” lui aveva gli occhi bassi.
“E per cosa? Katie è una bella ragazza e mi è anche simpatica, sono felice per te” le sue parole sembravano vere e non dette così tanto per dire.
Lui alzò gli occhi per accertarsi che la sua amica stesse dicendo la verità e quando finalmente i suoi occhi la trovarono lei sfoderò un sorriso a trentadue denti.
In quel moneto avrebbe voluto dirle tante cose, forse troppe, così si limitò ad abbracciarla fra le sue forti braccia che lei vedeva come un riparo dal minaccioso mondo che la circondava.
                                                                                                                                   ****

“Arrivo!”
Per mia fortuna/sfortuna i restanti ¾ delle scimmie mi “salvarono” da qualsiasi cosa stesse per succedere con Jamie.
“Povera Jeane, dimenticata da tutti...” Matt mi aveva letteralmente intrappolata tra le sue braccia in un abbraccio che stava per mozzarmi il fiato se non fosse stato per le spade laser da collezione di mio padre. Mio padre le aveva in bella vista in una parte del salone, era una specie di fan ossessionato di guerre stellari. Quelle era l'unica cosa che mia madre gli aveva permesso di comprare e tenere in casa. Anche dopo che se n'è andata papà non ha comprato più roba del genere, diceva che lo faceva per il mio bene anche se non riuscivo a capire quale male potessero portare nella mia vita dei stupidi gadget di Star Wars.
“Jeane, cazzo, ma sono spade laser!” Esclamò Andy richiamando anche l'attenzione di Matt che sembravano quasi sbavare su quell'ammasso di plastica colorata. “ Posso toccarle?!” esclamarono contemporaneamente
Non capivo tanto entusiasmo da parte loro ma feci spallucce e gli risposi “Certo!”
“Dovremmo lavorare alle canzoni...”
Se ne era stato zitto per tutto il tempo, con la chitarra sulle spalle, fermo sulla porta e solo allora pensai che forse avrei dovuto salutarlo e invitarlo ad entrare.
“Bhe, se rimani immobile sulla porta non vedo come tu possa lavorare alle canzoni...” quello è stato il mio saluto barra “benvenuto in casa mia”. Lui di tutta risposta sfoderò un sorriso, non era finto e neanche forzato, era un sorriso. Si decise a muoversi e si accomodò di fronte a Jamie, infine, con un espressione simile a quella di due bambini a cui vengono tolte le caramelle, anche Matt e Andy raggiunsero il resto della band, lasciando a malincuore quell'ammasso di tubi di plastica colorati.

I ragazzi cominciarono a “lavorare” nonostante i due patiti di film stellari gettassero, di tanto in tanto, delle occhiate alle armi dei cavalieri Jedi... mentre io me ne stavo sulla poltrona cercando di disturbarli il meno possibile. Erano seduti in cerchio e sul tavolinetto al centro della sala avevano poggiato uno di quei tovaglioli da bar tutto stropicciato.
“Un paio di giorni fa ero in un pub e mi è venuta l'ispirazione...” disse Alex cercando di stirare con le mani quel pezzo di carta accartocciato.
All'apice del foglio, con una scrittura quasi cubitale: “Fake Tales of San Francisco”.
Perché San Francisco?” nessuno aveva detto nulla riguardo al testo eccetto la sottoscritta che forse dovrebbe contare fino a 10 prima aprire la bocca e che forse si sarebbe dovuta degnare di leggere il resto della canzone. Era ovvio che la mia domanda fosse rivolta ad Alex nonostante continuassi a fissare quel tovagliolo. Nessuno mi rispose e tutti continuarono a fare quello che stavano facendo così pensai bene di “punirmi” nascondendomi in cucina.
Presi il telefono e pensai di chiamare Sarah. Era in Italia, suo padre era di Napoli e di solito passavano lì parte delle vacanze estive.

Tututu..

“Hey J. Non sai che ti perdi, i ragazzi italiani sono....”
“Sì Sarah, anche tu mi manchi” la troncai subito prima che dalla sua bocca potessero uscire parole poco caste per una ragazza.
“Scusa...” sussurrò “Allora J. Come te la passi?”. Aveva un tono di voce solare, più del solito.
“La solita...Tu piuttosto?” il mio tono, invece, era monotono e insignificante.
“Ci sono dei ragazzi che...” esitò prima di dirlo “Sono dei figoni da paura!” poi sussurrò “mi sono contenuta.”. Risi nell'immaginarmi Sarah che tentava di trovare aggettivi adatti ad esprimere ciò che intendeva farmi capire.
“Bhe tu dovresti spassartela, dovresti chiamare Jamie e poi darci dentro e ...” la interruppi nuovamente prima che cose poco caste potessero essere pronunciate dalla sua piccola bocca che ricordava tanto quella di un pesciolino.
“Sarah, sono una brava e buona ragazza. Non faccio certe!!” assunsi un tono serio che in realtà era sarcastico.
“J. So che Cookie è da te, mi ha chiamato prima che venisse dicendomi che tu sentivi la sua mancanza, lui sembrava quasi agitato. Inutile che lo negate, vi siete presi una bella cotta” era seria, troppo.
“E da quando lavori per il programma Strani Amori?” cercavo di essere simpatica, ma lei rimase seria.
“Jeane!” mi fece capire che non era il momento di scherzare.
“Siamo solo amici, diamine. L'ho chiamato perché era da tempo che non passavo del tempo con lui ma come amici. E poi ora ci sono anche gli altri e io ero talmente di intralcio lì in mezzo che mi sono rifugiata in cucina e ho pensato di chiamarti ma ora tu mi stai facendo il terzo grado e mi sta mettendo ansia e mi stai facendo diventare logorroica.”
“Scusa...” rise “ comunque, qualsiasi cosa accada, basta chiamarmi”. Sarah è sempre stata disponibile con me, tanto che a volte mi veniva da pensare che io non lo fossi abbastanza per lei.
“Intesi e adesso tornatene dai tuoi figoni da paura
“Sicuro...Ci sentiamo J.” e riattaccò.
Guardai l'orologio, erano le 19:00 e un boato quasi disumano, proveniente dal mio stomaco, mi fece capire che forse era l'ora di chiamare la pizzeria ed ordinare qualcosa.
Ritornai in salone per chiede agli altri che cosa prendevano. Erano ancora tutti attorno al tavolo e discutevano, forse, sulla melodia della canzone.
“Ehm, scusate se vi disturbo...ma non avete fame?” nessuno mi considerò, nuovamente.
“Oh bene, allora vorrà dire che prenderò una pizza e mi rintanerò in cucina e vi lascerò fare.” odiavo essere ignorata. Andy lo capì così si alzò dicendomi “Se ordini fish and chips sono dalla tua...”. In realtà avevo tanta voglia di una pizza ma mi abbassai a compromessi, ordinai fish and chips a condizioni che Andy avesse mangiato il mio fish e io mi sarai mangiata le sue chips, oltre che alle mie.
“Voi cosa volete?”
“Vada per il fish and chips” mi rispose Matt. Finalmente un briciolo di considerazione.
Erano le 19.32 e finalmente il ragazzo delle consegne bussò alla porta. Divorai le mie due porzioni di patatine e ne rubai un paio dal piatto di Jamie. Finita la pseudo-cena ritornammo in salotto. Eravamo tutti attorno a quell'insignificante tavolino, che era sia troppo basso per poggiarci sopra i gomito che troppo alto per sederti ed stenderci le gambe sopra, quando mi venne in mente della seconda passione di mio padre: il whisky. Aveva un reparto della dispensa pieno zeppo di bottiglie di qualsiasi forma o dimensione, di qualsiasi modo o provenienza, ma non era alcolizzato o dipendente, ogni tanto ne beveva ma solo quelle poche volte che sentiva la nostalgia della mamma.
Scomparii per cinque minuti senza dire nulla, lasciando gli altri attoniti cercando di capire dove fossi finita e riapparii a loro con delle bottiglie di Jack Daniel's e del whisky al miele, il mio preferito.
“Volete?”
                                                                                                                        .....
Alex
Erano le 2:00 ed eravamo ancora a casa di Jaene. Tutti erano buttati disordinatamente sul divano e sembravano dormire, Jeane era sulla poltrona, accoccolata, dormiva, anche lei. Avevo bisogno di una boccata d'aria così andai in cucina, la attraversai ed aprii la finestra che dava su un piccolo balcone. Sfilai una sigaretta dal pacchetto, l'accesi e assaporai l'aspro del fumo ardermi la gola.
“Potevi fumare anche dentro...” era Jeane. Aveva una maglietta talmente grande da coprirle le cosce ed arrivare fin sopra alle ginocchia, nascondendo così le sue curve, sotto aveva un paio di pantaloncini verde lime, si notavano abbastanza sotto quella mega-maglia bianca.
“Non volevo disturbare” in mano aveva una bottiglia di whisky al miele, da come mi è sembrato di capire le piace ed anche molto.
“Ma voi non disturbate” sorrideva, era innocente, era ubriaca.
La guardai meglio, era poggiata con i gomiti alla ringhiera del balcone, i suoi occhi era puntati sul cielo stellato ed un sorriso innaturale si era appropriato della sua bocca.
“Jeane, secondo te l'amore cos'è?” mi piaceva fare domande del genere a gente incosciente.
Lei si voltò, mi fissò per qualche secondo con fare serio, poi scoppiò a ridere.
“L'amore...per me....Bhe, hai presente il Laserquest, dove hai spade laser e devi simulare una specie di guerra con il tuo avversario?! Ecco per me questo è l'amore, certo poi nel mio caso è una di battaglia persa.” a quel punto abbassò gli occhi, si rivoltò e ritornò a guardare il cielo.
“Si può perdere la battaglia ma si può sempre vincere la guerra....” si rivoltò, mi sorrise.
“Deve esserti passata l'effetto, bevine un po” mi lasciò la bottiglia tra le mani e poi rientrò in cucina.
La vidi ritornare in salone, accoccolarsi di nuovo sulla poltrona, chiedere gli occhi e sorridere come una bambina.
                                                                                                              .....
Jeane.

Socchiusi un occhio per scrutare la situazione ma la folgorante luce del sole che penetrava dalla finestra mi costrinse a richiuderlo. Raccolsi tutte le forze che il mio corpo mal messo aveva in se e con un sol colpo mi sollevai dalla poltrona e spalancai gli occhi. Per un attimo sentii le tempie esplodermi, le gambe mollare la presa e vidi solo il buio davanti a me, poi cominciai a rivedere quell'orribile tavolinetto da ornamento davanti a me e piano piano il salone cominciò ad apparirmi sempre più nitido. Guardai l'orologio a cucù appeso alla parte, erano le 11:10, minuto più o minuto meno. Mi guardai attorno, i ragazzi non c'erano ma un biglietto, scritto da Matt, avvisava che sarebbero dovuti andare a fare dei provini per l'esibizione in un pub.
Mi guardai attorno, sembrava un porcile. Mi diedi forza e cominciai a pulire. C'erano lattine di birra, carta del fish and chips, le spade laser da collezione non erano al loro posto ma bensì era sparse un po ovunque per la sala, c'erano delle bottiglie di whisky e al fianco di una di queste c'era un foglio accartocciato. Lo presi, iniziai a leggere la prima strofa:
Lady, where has your love gone?
I was looking but can't find it anywhere
They always offer when there's loads of love around but, when you're short of some, it's nowhere to be found”
Rimasi seduta sul pavimento, con quel foglio fra le mani per circa cinque minuti. Nella mia testa riuscivo a sentire Alex cantare quelle parole, mi immaginavo il calmo suono di una chitarra accompagnare la sua voce. Mi alzai da terra, piegai il foglio ordinatamente e lo infilai nelle tasche dei mie pantaloncini verde lime, non sapevo se glielo avrei ridato, per il momento era meglio sistemare quello che, con una sera, 4 scimmie ed una Jeane ubriaca avevano combinato, per il resto c'era ancora tempo.

 

I'm come back!
Nono sono morta, i zombie non hanno ancora mangiato il mio cervello e Cell, l'essere perfetto, non è ancora stato ucciso da Gohan. (?)
Comunque, oltre a chiedervi scusa per il ritardo con cui ho postato, non ho nulla da aggiungere.
Alla prossima, sperando di essere più puntuale (:


 

  
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