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Autore: Lady Vibeke    20/02/2008    20 recensioni
Sono le quattro di notte, Bill è nella propria stanza, a rimuginare su se stesso e sulla propria vita, su ciò che è e su ciò che appare, e si sento solo. Infinitamente solo e freddo. Per sua fortuna, però, quello che dicono i media su di lui e i ragazzi è solo un mucchio di fesserie, e ci sono tre porte a cui può andare a bussare per non sentirsi più freddo, per non sentirsi più solo.
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'Autrice: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.

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Dicono che io sia l’essere perfetto. Molti mi odiano, molti altri nemmeno mi considerano, ma altrettanti ritengono che al mondo non ci sia niente migliore di me.

La gente più che stupidaggini non sa dire.

Sono le quattro del mattino di una gelida fine di febbraio, e io me ne sto qui, chino sul lavandino del bagno della mia stanza d’hotel, una delle tante, a guardare il sangue che mi cola dal naso senza arrestarsi. Non mi è capitato spesso di avere emorragie simili, ma non posso negare di provare un certo fascino verso questo contrasto: il bianco della ceramica e delle mie mani, il nero delle mie unghie, il rosso del sangue.

Alzo appena gli occhi e incontro me stesso nello specchio, immerso nelle tenebre quasi assolute, eccezion fatta per qualche vaga luce proveniente da fuori, dalla strada.

Mi sono spesso sentito dare del vampiro, e forse ora capisco anche meglio il perché. Probabilmente sembro più un non-morto che un umano, ora come ora, bianco come un cadavere, con questi cerchi scuri attorno agli occhi stanchi e languidi, macchie di sangue sulla bocca e sui vestiti.

Bill Kaulitz, la grande rockstar, si guarda allo specchio e non vede nessuno.

Tutti lo sanno, i vampiri non hanno riflesso.

Comincio a pensare che la mia identità sia diventata il gioco preferito dei media: decidiamo se Bill Kauliz è uomo o donna, etero o gay, in o out, anoressico o autolesionista, drogato o malato di cancro ai polmoni, vivo, morto o morente…

Chi se lo ricorda più se sono una, mezza o nessuna di queste cose.

Fa freddo, e la maglietta che ho indosso è sicuramente poco utile in questi termini, ma è ormai da un po’ di tempo che non trovo calore in niente.

O quasi.

Da tre giorni non chiudo occhio, e di questo passo nemmeno i truccatori più esperti del mondo riusciranno a rendermi presentabile al pubblico. Potrei dare la colpa all’overdose di stress a cui sia io che gli altri siamo sottoposti, o ai continui assalti di stampa e paparazzi, o magari al semplice fatto che la mia vita sta lentamente crollando su se stessa. Nemmeno so cosa rimarrà - se qualcosa rimmarrà - sotto alle macerie.

Sento la testa che comincia a girarmi. Apro l’acqua fredda e ne raccolgo un po’ con le mani, sciacquandomi il viso come se sperassi che assieme al sangue si possa lavare via anche tutto il resto: ansia, stanchezza, incertezza, frustrazione, malinconia, paura…

Dubbi.

Ho sempre creduto nei Tokio Hotel, fin dal primo momento, e non smetterò facilmente di farlo. Checché ne dicano quelli là fuori, quegli idioti che amano inventare favolette e fantasiose storielle su di noi, su chi siamo e da chi prendiamo ordini, prima ancora di essere un gruppo, siamo stati amici. Lo siamo ancora. Lo saremo sempre.

Voglio credere che sarà così.

Amo quello che facciamo, amo cantare e viaggiare, amo i nostri fans, sono immensamente grato a tutti loro per quello che fanno per noi, ma sono arrivato ad un punto della mia vita in cui è sorta la necessità di fermarsi e mettersi a fare i conti.

Ci hanno già proposto diverse volte di scrivere un libro, di raccontare la verità una volta per tutte, di raccontarci, per toglierci di dosso tutte le cazzate che il mondo ci butta addosso, per gridare a tutti chi siamo.

Per soldi, prima di tutto.

La mia vita non è un conto in banca, anche se probabilmente, se lo dichiarassi pubblicamente, quasi tutti riderebbero. Perché ovviamente sono un ipocrita che dispensa stronzate dalla mattina alla sera e fa perennemente buon viso a cattivo gioco davanti al pubblico, perché siamo nell’era degli inganni e delle serietà, e qualsiasi sorriso è una bugia.

È questo che vedono le persone, da fuori, quando mi vedono sorridere? Un amabile bugiardo che cerca di accattivarsi il mondo?

Cerco di scrutare nei miei occhi, cercando qualche cosa che mi rassicuri, sforzando un sorriso che sa di bugia in tutto e per tutto. Non mi riconosco.

Io non sono un bugiardo. Questo non sono io.

Ich bin nich’ ich…

Chiudo l’acqua, le mani gelate, e mi appoggio al lavandino, le dita che afferrano il bordo come se fosse tutto ciò che mi tiene in piedi. Mi sento debole. Debole dentro.

Il ritmico gocciolare dell’acqua dal rubinetto mi distrae. Conto ogni goccia pensando al tempo che passa, agli anni che si perdono uno dietro l’altro, e davvero mi sembra ieri che io e Tom abbiamo conosciuto Georg e Gustav.

Quest’anno fanno otto anni. Metà della nostra vita, quasi. Metà delle nostre vite fuse insieme, legate così profondamente da essere una cosa sola, e le nostre anime intere dedicate a questa band che significa tantissimo per noi.

Mi fa male che chi non sa ci accusi di essere solo un banale fenomeno costruito. La nostra amicizia è sempre venuta prima di tutto il resto.

Mi tampono distrattamente il viso con l’asciugamano e mi trascino a piedi nudi fino al letto, fissandomi le mani ancora incrostate di sangue in qualche punto. Mi siedo, senza ben sapere cosa fare. Ho freddo, dannatamente freddo, e mi sembra di avere un buco nero dentro che sta risucchiando tutto ciò che sono.

Ich bin nich’ ich…

L’occhio mi cade su una rivista che ho abbandonato a terra, io, Tom, Georg e Gustav in prima pagina, sorridenti (bugiardi?) che stringiamo insieme il premio vinto per Spring Nicht come miglior video agli Echo Awards 2008.

Siamo quello che siamo, come si vede, esattamente come ci mostriamo. Le bugie le lasciamo dire a chi ama dipingerci a proprio piacimento

Ricordo la nostra emozione in quel momento, l’orgoglio che ci riempiva nello stringere il trofeo e mostrarlo alle telecamere. Siamo ancora dei ragazzini, sotto sotto, e si vede, se uno non è troppo occupato ad accusarci di essere un’operazione commerciale.

Trovo patetiche quelle persone a cui piace additarci indignate e scagliare pietre contro di noi senza nemmeno avere la più pallida idea di chi siamo. Credono di sapere tutto perché leggono due righe sul primo giornaletto che capita loro sotto il naso, e allora va bene, spariamo a zero sui Tokio Hotel, sono solo quattro bellocci assetati di ricchezza e fama.

Ich bin nich’ ich…

Irritato, prendo la rivista e la lancio nel cestino al lato opposto della stanza. Un centro perfetto. Peccato non mi capiti mai quando Tom mi sfida.

Rabbrividisco e mi sfrego le mani sulle braccia, cercando di scaldarmi, anche se so che non funzionerà. Chiudo gli occhi e nella mia mente c’è ancora l’immagine di noi quattro, insieme, felici, vicini.

Ich bin nich’ ich…

Mi ritrovo a sorridere nostalgico. Ma perché devo provare nostalgia per qualcosa che ho ancora?

Sono mio fratello e i miei amici, loro ci sono sempre.

E adesso so perché sento tanto freddo.

Wenn du nich’ bei mir bist…

Non mi fermo nemmeno a pensare. Mi alzo, a piedi nudi, ed esco dalla mia stanza, fermandomi alla porta immediatamente davanti alla mia. Busso, incurante del fatto che siano le quattro passate e che a quest’ora ogni essere umano medio stia dormendo profondamente.

La porta si apre dopo il mio quarto tentativo, e Gustav mi guarda come se fossi un alieno, sfregandosi gli occhi assonnato.

“Bill,” mugugna frastornato. “Cosa ci fai qui? È ancora buio…”

Senza dire una parola, lo afferro per un polso e lo trascino fuori. Lui mi asseconda, penso più per mancanza di consapevolezza di quel che sta succedendo che per altro.

Passo alla porta successiva. Di nuovo, busso un paio di volte e alla terza Georg emerge dall’oscurità della sua stanza, i capelli legati in una coda scarmigliata, gli occhi gonfi e socchiusi.

“Bill, ma cosa diavolo vuoi?”

Mi guarda accigliato e non sembra essere del tutto sveglio, poi il suo sguardo si sposta su Gustav, ma prima che questo possa dire qualcosa, afferro anche Georg e me lo porto via.

Mi dirigo quindi verso la terza ed ultima porta, Gustav e Georg tenuti bel saldi per mano, che mi seguono mormorando parole sconnesse in uno stato semicomatoso.

Picchio alla porta con decisione ed un minuto più tardi questa si apre lentamente. Appena mi mette a fuoco, Tom mi lancia un’occhiataccia, appoggiandosi stancamente al muro.

“Bill, cazzo, non è nemmeno l’alba, tornatene a nanna, da brava bambina.” Borbotta irritato, poi sembra accorgersi anche degli altri due. “Ma che cos’è, una riunione notturna?”

Senza rispondere, lo faccio scostare e gli passo oltre, portandomi dietro Georg e Gustav. Vado verso l’immenso letto a due piazze di Tom e ce li faccio accomodare, e loro obbediscono remissivi, accogliendo con piacere l’idea di rimettersi a dormire.

Tom viene verso di noi, apparentemente troppo scioccato per intervenire.

“Ma si può sapere cosa cazzo ti prende?” mi chiede incredulo, fissando ora me ora gli altri due a bocca aperta.

Io mi limito a trascinare anche lui nel letto, dove Gustav e Georg già si sono accaparrati i due cuscini e se li stringono sotto la testa.

“Fateci un po’ di spazio.” Ordino, cercando di incastrare me e Tom in mezzo a loro. Georg rotola appena sul lato sinistro del materasso, Gustav verso il destro, lasciandoci posto.

Quando siamo tutti e quattro sdraiati, pigiati come sardine, tiro su le coperte e li osservo soddisfatto, Georg da un lato, Tom e Gustav dall’altro.

Non ho più freddo.

“Un giorno ci spiegherai il perché di tutto questo?” domanda Gustav, facendo un po’ di spazio a Tom sul cuscino.

“Non lo voglio sapere.” Brontolano Georg e Tom all’unisono.

Io rido.

“Un giorno, forse, in punto di morte o sotto tortura cinese, ma non vi assicuro l’assoluta sincerità, perché sono cose che…”

“Bill,” sbotta Tom, la voce impastata dal sonno. “Buonanotte, eh?”

“’Notte.” Fanno eco gli altri due, e a me non resta che assentire.

“Buonanotte.”

Ich bin nich’ ich wenn du nich’ bei mir bist, dann bin ich allein…

Adesso va tutto bene, non mi importa più di niente, se non del fatto che siamo qui, tutti e quattro, oggi come allora, e so che sarà sempre così.

“Ragazzi?”

Tre rantoli sommessi mi rispondono con una punta di impazienza.

“Vi voglio bene.”

Tre risate soffocate, poi una mano, che riconosco come quella di Georg, sale a scompigliarmi i capelli alla cieca.

“Anche noi ti vogliamo bene,” mi rassicurano, e il tono delle loro voci non è bugiardo, ma più sincero che mai. “Ora, però, buonanotte e basta.”

Sono queste le cose che il mondo non vedrà mai, di cui nessuno, io per primo, verrà mai a parlare, ma esistono, e la gente può dire quello che vuole di noi, a noi non importa.

Noi siamo quello che siamo, e siamo uniti. Sempre.

Penso ancora a come mi sentivo solo una manciata di minuti fa, e quasi fatico a credere quanto poco mi sia bastato per dimenticarmi tutto quanto.

Getto un ultimo sguardo ai miei tre compagni di sempre, e non posso non trovarli adorabili, già immersi nel mondo dei sogni. Sorrido, ricordando giorni ormai lontani, ma più simili che mai all’oggi, poi chiudo gli occhi, e, finalmente, dopo tre lunghissimi giorni, mi addormento.

An deiner Seite, nur eine Weile, du bist nicht alleine.




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A/N: Era un po' che avevo in mente qualche cosa di simile, e oggi mi è venuta l'ispirazione per questa oneshot. Ho da poco visto un discorsetto di Bill dopo aver ricevuto un premio (credo fosse proprio il sopraccitato premi degli Echo) e mi ha fatto riflettere. Ho quidi cercato di immaginare come possa sentirsi uno di loro in determinate circostanze (Bill, in questo caso) e questo è quanto ne è conseguito. Il titolo è tratto dalla meravigliosa "In Die Nacht", anche se in questo caso non vuole riferirsi solo a Tom, ma all'intero gruppo, come penso si sia già capito.
Vi lascio anche le traduzioni delle due canzoni che ho citato, ossia "Ich bin nich' ich" e "An Deiner Seite (ich bin da)":

Io non sono me stesso/quando tu non sei accanto a me/io sono solo...
+
Al tuo fianco/solo per un momento/tu non sei solo.

Spero sia stato di vostro gradimento, così come sarà di mio gradimento se vorrete lasciare una recensione.
Un abbraccio.
   
 
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