Il Sogno
Un
ragazzo entrò nella sua camera da letto sbattendo la porta. Il suo viso
esprimeva irritazione, era appena cessata un’accesa discussione tra lui e suo
padre, se solo il ragazzo ci avesse pensato, la discussione era cominciata per
un motivo alquanto stupido; tuttavia il rancore verso il genitore lo saziava,
come una distrazione in quella che lui definiva una monotona esistenza; e aveva
intenzione di andare a dormire continuando a cibarsi di questo strano
sentimento, aveva sempre odiato le incomprensioni, ed era fermamente sicuro di
avere ragione, quindi decise di non riappacificarsi con suo padre, almeno non
subito, avrebbe lasciato che si accorgesse da solo di aver sbagliato, così lui
avrebbe dimostrato di non essere nel torto.
Il
ragazzo si avvicinò al comodino, mise il telefono sotto carica, poi guardò il
letto, come se fosse una sfida che doveva affrontare da molto tempo, allargò le
braccia e fece un grosso sbadiglio, si diede un occhiata intorno, tutto era al
suo posto, la scaffaliera in fondo, di fronte a lui, l’armadio sul lato destro
era ancora li; poi decise di controllare la sua immagine allo specchio, aprì
l’anta dell’armadio, e riflesso sulla lucida lastra si riconobbe, un ragazzo non
molto alto, ma d'altronde era normale, in fondo tutta la sua famiglia aveva
un’altezza tra il metro e cinquanta e il metro e sessanta; i suoi capelli erano
tutti scompigliati, biondo cenere e finissimi, parevano quasi i capelli di una
bambola tanto erano sottili, il ragazzo era parecchio muscoloso, e a petto nudo
presentava un grosso tatuaggio sul braccio sinistro, raffigurante la testa di un
lupo.
Il
ragazzo evidentemente soddisfatto della sua immagine, fece un cenno di
apprezzamento a se stesso riflesso sullo specchio, e chiuse l’anta; non si era
mai lamentato, si piaceva, era abituato al suo aspetto fisico e vanitosamente si
apprezzava; dopotutto come ragazzo era abbastanza carino.
Si
strofinò i palmi delle mani, l’uno contro l’altro come per prepararsi ad una
dura battaglia, scostò le coperte e vi si immerse fino al collo; spenta la luce
cominciò a pensare al trattamento riservatogli da suo padre, e un moto di
rancore lo pervase, dovette trattenersi dall’imprecare ad alta voce; ad un certo
punto la sua rabbia, arrivata al culmine lo fece cadere in un gesto di
debolezza, gli occhi gli si riempirono di lacrime, e si ritrovò a desiderare di
risvegliarsi in un altro mondo, in un'altra persona, in un'altra
vita.
E
lo sanno tutti che bisogna prestare attenzione a quello che si desidera, perché
qualcuno potrebbe decidere di accontentarvi.
Il
sonno arrivò.
Quella notte fu la più burrascosa che avesse
passato.
Quando ancora si chiamava Luca sognò la sua ragazza
Federica, in uno sfondo nero, sembrava brillare di luce propria, bellissima,
com’era sempre, i capelli neri sino alle spalle, gli occhi azzurro ghiaccio, il
fisico perfetto, però la vedeva lontana, come se quella visione fosse l’ultima,
come se fosse giunto il momento di dirsi addio.
Quando Federica, sempre con lo sfondo nero, ma non era
nemmeno nero, era più intenso del nero, semplicemente non aveva un colore, quel
paesaggio invisibile dietro di lei era completamente astratto, si allontanò,
come scivolando su un pavimento che non c’era, fino a diventare un puntino
appena percettibile dall’occhio, per poi svanire lasciando spazio al paesaggio
inesistente; proprio in quel momento Luca provò un dolore straziante, un dolore
inconcepibile, non un dolore preciso, era dappertutto, ogni recettore del suo
corpo s’infiammò e urlò la sua disapprovazione verso l’improvviso
disagio.
Il
ragazzo non sapeva dire se quel dolore facesse parte del sogno, o se fosse
reale, non era nemmeno sicuro di sognare ancora, il nero davanti e intorno a lui
poteva benissimo essere il buio nella sua stanza, cercò di raggiungere il punto
dove si trovava l’interruttore della lampada che utilizzava per leggere, ma non
lo trovò; intanto, il dolore insopportabile lo lacerava, come una tortura; provò
a spostarsi sul letto, ma si accorse che sotto di lui non c’era nessun letto,
non possedeva nemmeno il senso del tatto, la forza di gravità non lo attirava
verso il basso, non sentiva la pressione del suo peso su nessuna superficie; gli
venne voglia di urlare, ma si accorse che non aveva la bocca per farlo, non
vedeva nulla, non sentiva nulla, non poteva toccare nulla, era come se il dolore
lo stesse consumando, come se si stesse mangiando tutto quello che era; anche i
suoi ricordi cominciavano ad azzerarsi, incominciò a non ricordare chi fosse,
dimenticò tutto, il lavoro, i conoscenti, la sua famiglia, dimenticò suo padre,
e con lui anche l’ultimo litigio,
dimenticò i suoi due migliori amici, Erik e Veronica, dimenticò che loro due
erano fidanzati, che erano una coppia immortale, e per ultima dimenticò
Federica, gli balenò davanti a occhi che non aveva, per l’ultima volta la sua
immagine, era sempre bella, i capelli sempre neri, e gli occhi sempre azzurri,
poi dopo quell’ultima visione della sua vecchia vita, il dolore cessò, l’aveva
consumato, si etra saziato di tutto ciò che era, allora Luca, se ancora così
possiamo chiamarlo, capì che non era più nulla, non esisteva, non poteva nemmeno
pensare di essere morto, perché non poteva capire la morte; tutti lo sanno che
per sapere cos’è la morte, bisogna prima conoscere la vita, e quella non si
poteva definire vita. E così fu, il processo inverso, contrario a quello appena
accaduto, la prima sensazione fu il calore, poi il freddo improvviso, poi
incominciarono a reinnestarsi ricordi che conosceva bene, ricordò Erik,
Veronica, sua sorella, che ricordò chiamarsi Katya, sua madre, suo padre, e con
lui anche il rancore che provava, ricordò Federica, il ricordo più importante,
quello che gli fece capire di esistere di nuovo, gli fece capire di essere
tornato. Provò a muovere un braccio, e sentì il tatto di una coperta, la forza
di gravità era tornata, scorse della luce intorno a lui, da sotto le palpebre
chiuse; capì di avere gli occhi, sentiva il vento soffiare vicino a lui, e pensò
che si fosse dimenticato la finestra aperta; allora decise di alzarsi, però di
tenere ancora gli occhi chiusi, così si mise in piedi di scatto, si sentiva
riposato, una voce sembrava borbottare a fianco a lui, pensò che avessero
sentito dei rumori, emessi da lui durante l’incubo, e che sua madre e suo padre
fossero venuti, per vedere come stava, poi, facendosi coraggio, si decise ad
aprire gli occhi, aveva voglia di riabbracciare i suoi famigliari, nonostante la
rabbia che ancora provava verso suo padre, ma quando i suoi occhi si abituarono
alla forte luce, quando misero a fuoco l’immagine, davanti a lui non c’erano i
suoi genitori, e la sua camera era diversa, non era in una stanza, era uno
spazio aperto, e quando preso improvvisamente dal panico, cercò di riassemblare
il tutto, come pezzi di un puzzle, capì che qualcosa doveva essere andato
storto, oppure invece era andato esattamente come aveva chiesto.
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