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Autore: Alexiel_Slicer    14/08/2013    1 recensioni
[...] "Si avvicinò alla finestra e pulendo velocemente col palmo della mano il vetro appannato, guardò fuori: il cielo era coperto da una spessa coltre di nubi, che andavano sfumando dal bianco al grigio scuro; il sole era stato completamente inghiottito da esse e tutto veniva immerso in un'atmosfera uggiosa e malinconica. Persino il bel verde degli alberi del parco sotto casa era vittima di quella cupezza, che lo rendeva quasi nero. Osservando giù, tra le fronde che ondeggiavano al freddo vento, notò una figura scura, ricurva su se stessa, che avanzava trascinandosi dietro un carellino sghembo, di quelli che usavano gli anziani per far la spesa. Nonostante Davide spiasse i movimenti del curioso individuo dal quinto piano, vide ugualmente il giaccone logoro e malamente rattoppato. Un barbone." [...]
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I

Davide all'epoca aveva quindici anni. Era un ragazzino come tanti: scuola, amici, sport e sogni a non finire. All'età di sei anni sognava di fare l'esploratore, poi l'austronauta ed adesso ambiva a diventare un calciatore professionista, circondato dagli spalti pullulanti di tifosi urlanti inni d'incitamento. Infatti, Davide trascorreva quattro pomeriggi la settimana giocando a calcio nella squadra di un comune della sua città.
Quel pomeriggio di metà Novembre, per via del maltempo, però, dovette saltare a malincuore gli allenamenti. Solo in casa (il padre medico e la madre insegnante erano entrambi fuori a lavoro) si avvicinò alla finestra e pulendo velocemente col palmo della mano il vetro appannato, guardò fuori: il cielo era coperto da una spessa coltre di nubi, che andavano sfumando dal bianco al grigio scuro; il sole era stato completamente inghiottito da esse e tutto veniva immerso in un'atmosfera uggiosa e malinconica. Persino il bel verde degli alberi del parco sotto casa era vittima di quella cupezza, che lo rendeva quasi nero. Osservando giù, tra le fronde che ondeggiavano al freddo vento, notò una figura scura, ricurva su se stessa, che avanzava trascinandosi dietro un carellino sghembo, di quelli che usavano gli anziani per far la spesa. Nonostante Davide spiasse i movimenti del curioso individuo dal quinto piano, vide ugualmente il giaccone logoro e malamente rattoppato. Un barbone. Lo guardò avvicinarsi alla panchina, al cui fianco stava un bell'albero dagli ampi rami, e lì si sdraiò, rannicchiandosi con le ginocchia contro il petto.
In quell'istante la porta di casa si aprì e una voce femminile ruppe il silenzio: "Sono tornata".
Davide staccò la punta del naso, rivelatasi diventata gelida, dal vetro su cui si era formata una leggera condensa.
Una donna sbucò dal corto corridoio d'ingresso: era la madre. Si chiamava Elena ed aveva un viso dolce che iniziava ad indurirsi sotto le pieghe delle prime rughe. Questo era incorniciato da lunghi capelli neri e un paio di grandi occhi castani vi erano, invece, incastonati, mentre le labbra troppo sottili davano l'impressione di essere state disegnate di netto dal rossetto color porpora.
"Fa un freddo fuori!" si lamentò, poi riponendo la borsa e la giacca impermeabile beige sullo schienale della sedia della tavola da pranzo, chiese "Cosa guardavi laggiù?".
"Niente" rispose il ragazzo.
Lei per tutta risposta si avvicinò con un'espressione diffidente e guardando, dove un attimo prima aveva guardato il figlio, dalla finestra fece una smorfia "L'avevo visto venendo" sospirò "Ci mancava solo un clochard! Spero solo non si accampi definitivamente qui e che non dia noie". Detto quello si diresse verso l'entrata ad arco della cucina "Non lo guardare. Io vado a preparare la cena" e scomparì dentro.
Presto rincasò anche il padre, Alessandro: un uomo alto ed occhialuto, dai capelli brizzolati e gli occhi grigi, accompagnato perennemente dalla sua ventiquattrore.
Durante la cena, però, Davide sentiva i sensi di colpa invaderlo. Ogni boccone, ogni respiro di quell'aria calda, resa tale dal riscaldamento, lo facevano sentire un mostro in confronto a quel barbone. Come se non bastasse adesso pioveva anche; sentiva l'inesorabile ticchettio delle gocce contro l'asfalto, i tetti e le finestre. E lui se lo immaginava là fuori, in balia del freddo e della pioggia, con solo quel grigio cielo a fargli da coperta che gli si ritorceva pure contro, mentre dormiva con lo stomaco intirizzito su quella scomoda panchina di ferro, ai piedi dell'albero.
  
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